TUT SU LA CARNE SALADA

LA CARNE SALADA

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di Cornelio Galas

L’è questi i dì giusti per mèterla via­: bisoin preparar prima quel che ghe vol. Entant la carne, se sa. Fèsa de manz. Volè no restàr senza sul pu bel? Comprene do chili valà. Ghe và tirà via gras e altre batàrie: sol carne magra empicada deve restar. Po’ dovè averghe lì davanti ale manote zento grami de sal gross, oto foie de alòr, zinque bache de zinever, sei spichi de ai, vinti grani de pever e anca en ramèt (fènt doi) de rosmarin. Adès scominzien: taiè la fesa con en cortèl che taia che gh’abia el fil, ensoma che no sia sdentà, la carne en tre tochi grossi. Ho dit trei: no a fetine, quele se le fa dopo… no massa pressa.

Taià la fesa? Bom adès svoltolèla en mez a sal, alor, pever, ai, tute le robe che v’avevo dit de tegnirve a man. El pever e le bache de zinever le và schizae. Con cossa? Oscia, coi dedoti se no gh’avè en martel, en schizapever, ensoma i va schizai. Ve par de aver miscià ben tut? Avràla ciapà dal sal e dal pever e dal zinèver e da l’ai sta carne? Me sa de no… dai n’altra bela svoltolada se no l’è del bao. Ades zò tut ne le so ànfore de tera cota, quele che na volta se ciamèva pitàri. No gh’avè i pitàri? Va bem anca en vaso de fiori vot, ma serèghe el bus enfont demò. E comunque ghe se vol en bel quercio (oscia devo comprarvel mi? Né zò a l’Agraria a veder se i gh’à qualcos de le misure che ve serce) . Quel che conta l’è meterghe po’ i so bei pesi al de sòra.

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Gh’avrè en cà qualcos che pesa de fer e che ‘l staga sul quercio. No? Alora stè li dì e not co la man de sora a schizar che ve diga. Perché serve ‘sta pressiom? Perché così la carne la perde l’acqua e entant la ciapa i saori de le erbe, del pèver del rest che gh’avè butà adòs no? No perché secondo voi la carne salada la se sala da sola? Oh, darghe n’ociada giusta tuti i dì, tuti i dì. Me racomando.

Almen tre ‘stimane. Che po’, quando l’è zamai pronta, te la tai fina fina se te la magni cruda e sol en po’ pu grossa se ‘l so destìm l’è la padèla. Robe da no dir perché me nona la me diseva de non dir en piaza el so segreto per far la carne salada come se deve…ma sì ve ‘l digo valà, basta che no ghe ‘l diseghe a tuti neh. Alora per far la carne salada bona che pu bona no se pol? Te ciapi la fetina, te la giri apena apena ne l’oio da na banda e da l’altra e dopo su subit sula padela calda (senza gnent neh) basta na scotada da na banda e da l’altra. E via subit sul piat ensema ai so fasoi (o senza se ai vossi no i ghe pias…).

Drio buteghe zoen bicier (anca doim anca trei dai) de quel bòm: ‘na bela sciavèta. No la bira, barea. Acqua sol per i boci. Se te vai su a Tem, a Cologna pena sora Riva (ma anca al Belveder de Varignàm poch fora da Arco) te trovi quela bona, zà messa via come se deve e cota giusta. Ma se te la meti via tì caro mio ghè de pu sodisfaziom Perchè i lo sa tuti che quando te te rangi po’ te ghe disi ai altri “Senti che bona l’ho ‘pena tirada fora savendo che te vegnivi propri ti”.

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GH’ERA ‘NA VOLTA …

Nata come metodo di mantenimento delle carni per la stagione fredda, l’ usanza di conservare i pezzi di bovino nel sale conferiva in realta un gusto tutto particolare al prodotto, esaltato dall’ aggiunta di erbe aromatiche dai profumi montani. Di carne salata si parla in un manoscritto quattrocentesco dal titolo ” Libro de cosina composto et ordinato per lo hegregio homo Martino de Rubai de la Valle de Bregna, coquo quel!’ illustre Signore Johanne lacobo Trivulzio” e più precisamente di carbonata di carne salata. Nel 1700 due famiglie di Tenno, una delle quali si era salvata dalla peste che nel 1600 aveva colpito quella zona, inziarono una produzione per la commercializazzione della carne salada.

Per quanto attiene più specificatamente la carne salàda del Garda trentino, se ne trova forse traccia in un documento che elenca i beni di Caste’ Tenne. E’ un inventario stilato il primo marzo del 1515 dal vicario di Tenno, Antonio Beriano, a beneficio del vescovo Bernardo Cles. Vi vengono elencati esclusivamente i beni mobili del castello e in particolare dei locali adibiti a stanza da letto, cucina e cantina. “L’inventario – scrive Graziano Riccadonna – può fornire una serie di appunti per una storia della gastronomia locale, non tanto per gli alimenti citati quanto per la carne salada de bove et de porco. Laddove l’autentica originalità deriva dal riferimento alla carne salata di maiale, al posto del più consueto e tradizionale manzo”. Risale forse allo stesso periodo una ricetta che troviamo in un manoscritto trentino settecentesco (copia con aggiunte di un ricettario più antico) “riscoperto” da Bertoluzza. Vi si legge la ricetta di uno “stuffato” nella quale si prescrive di prendere della carne di manzo, di porla “due giorni in salle” e di aggiungere bacche di ginepro, aglio, rosmarino ed aceto “tanta che stia coperto caricandolla con sassi”. Insomma: carne in salamoia tenuta premuta da delle pietre. “La salatura della carne – spiega Bertoluzza – avveniva in quell’epoca con un pizzico di salnitro, con il quale veniva strofinata da una parte all’altra, riponendola poi in un vaso di terra con sei once di sale comune e sei once d’acqua, bacche di ginepro e aglio pestati insieme”. Il vaso veniva poi coperto e la carne, tenuta pressata, doveva essere rivoltata due volte al giorno.

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Per fare una descrizione esaustiva della carne salada va innanzitutto rivendicata la sua significativa origine contadina e popolare. Veniva ottenuta principalmente dalle carni di bovino (anche se poteva capitare fosse prodotta col suino) anche perché quasi ogni famiglia utilizzava questi animali per il lavoro dei campi o per il latte fino alla loro vecchiaia e perciò la fine della loro carriera lavorativa. Successivamente veniva macellata e una grande quantità della carne derivante veniva salata, in modo da poterne disporre anche durante i rigidi inverni. Attualmente la carne salada trentina è un prodotto tipico ottenuto secondo tecniche di conservazione tradizionali partendo da un taglio anatomico della coscia bovino. Le masse muscolari della coscia del bovino adulto vengono private delle ossa ottenendo così la polpa da salare.

La macellazione contadina prevedeva che si cercasse di sfruttare ogni minima parte dell’ animale, in questo modo le parti che non potevano venire consumate subito come tali oppure quelle parti che, essendo troppo magre, non potevano venire utilizzate per la preparazione di salumi e insaccati, potevano essere conservata per il lungo periodo adottando le tecniche di salagione ed affumicatura.

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Le principali tecniche di conservazione in uso sin dall’ antichità si possono riassumere in fermentazione, salagione ed affumicatura.

– La fermentazione prevede il raggiungimento di condizioni di acidità che non permettono la sopravvivenza e il moltiplicarsi della maggior parte dei microrganismi patogeni.

– La salagione consiste nello sfruttamento delle proprietà antisettiche e disidratanti del sale; anche quest’ ultimo, che durante la lavorazione può essere unito a svariate spezie, crea condizioni sfavorevoli per lo sviluppo di batteri patogeni.

Il prodotto rispecchia il taglio anatomico del muscolo dal quale è ottenuto e si presenta quindi in forma irregolare, oblunga, affusolata. Il taglio appare compatto, omogeneo e consistente, con sole fenditure naturali proprie del tessuto muscolare da cui proviene. Il colore sfuma da tonalità rosso rubino a rosso mattone, dell’ interno verso l’ esterno.

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Il sapore, contrariamente a quello a cui potrebbe far pensare il nome, non è affatto salato ma moderatamente saporito e gradevole al palato; vi si riconoscono, all’ olfatto come al gusto, le diverse spezie utilizzate nella fase di stagionatura e tali ingredienti conferiscono al prodotto un sapore particolare oltre ad un profumo piacevole e delicato sia che si consumi cruda che cotta.

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Il periodo di maturazione (o stagionatura) della carne, attualmente, è svolto in apposite vasche per uso alimentare fino a quando il prodotto, dopo il riposo (salagione), è ricoperto dal liquido che la carne stessa ha rilasciato (per effetto del processo di osmosi) è pronto per essere consumato. In passato, invece la carne si conservava in contenitori di legno, che erano dotati di un coperchio apposito che all’ occorrenza, veniva avvitato per mantenere pressata la carne in modo che rilasciasse i suoi liquidi, il cosiddetto ” pitar” . Fino alla fine del XIX secolo la carne salada veniva prodotta esclusivamente nel periodo invernale (data la mancanza di tecniche di refrigerazione). In tal modo ci si creava la possibilità di avere accesso ad un alimento ad alto contenuto proteico, proprio nei periodi in cui l’ agricoltura non poteva offrire quasi nulla. Oggigiorno, con I’ evolversi delle tecnologie, lo sviluppo sul territorio trentino di salumifici artigianali ed industriali e la crescente domanda di questa tipologia di prodotto, la carne salada è prodotta per tutto l’ arco dell’anno.

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