TRENTINO, DAL 1945 ALLA NUOVA AUTONOMIA – 4

a cura di Cornelio Galas

Nonostante la «cobelligeranza» italiana dopo l’armistizio dell’ottobre 1943 e l’annessione dell’Austria al Reich hitleriano dal 1938, entrambi i paesi uscirono sconfitti dal secondo conflitto mondiale. Tuttavia le carte in mano all’Italia nello scacchiere geopolitico e nelle trattative diplomatiche erano certamente migliori di quelle austriache.

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Nell’incipiente clima da guerra fredda che veniva caratterizzando il secondo dopoguerra, il confine del Brennero verrà considerato dalle potenze alleate più sicuro in mani italiane. A latere della Conferenza di pace di Parigi, e su invito britannico, i due ministri degli esteri italiano e austriaco firmarono una risoluzione, inserita come allegato nel trattato di pace dell’Italia con gli alleati, che passò alla storia come «Accordo De Gasperi-Gruber» e che prese il nome appunto dai due ministri che l’avevano sottoscritta.

Stretta di mano, a Parigi, tra De Gasperi e Gruber

Stretta di mano, a Parigi, tra De Gasperi e Gruber

Ma cosa si sottoscriveva in quell’accordo? Quali i “patti”? L’Accordo di Parigi prevede all’art. 1 la completa eguaglianza di diritti degli “abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento rispetto agli abitanti di lingua italiana” nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca.

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In particolare l’art. 1 garantisce ai cittadini di lingua tedesca l’insegnamento nella loro lingua materna, l’equiparazione della lingua tedesca alla lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nella nomenclatura topografica bilingue, il ripristino dei nomi di famiglia tedeschi che siano stati italianizzati nonché la parità di diritti nell’accesso a pubblici uffici allo scopo di attuare una più soddisfacente distribuzione degli impieghi tra i gruppi etnici (“appropriate proportion of employment”).

L’art. 2 riconosce “alle popolazioni delle zone sopradette l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo regionale autonomo”, sancendo quindi la vera autonomia per la provincia di Bolzano e per “i vicini comuni bilingui della provincia di Trento”. Allora facevano parte della provincia di Trento anche i vicini comuni bilingui della Bassa Atesina e della Valle di Non, ai quali, secondo l’interpretazione dei sudtirolesi, si faceva riferimento.

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Con l’art. 3 il Governo italiano s’impegna, previe consultazioni con il Governo austriaco, a rivedere il regime delle opzioni di cittadinanza, a concludere accordi per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio, a facilitare il libero transito di passeggeri e merci nonché un più esteso traffico di frontiera.

A quel tempo, parti della popolazione del Tirolo e del Sudtirolo reagirono con grande delusione ai risultati delle trattative di Parigi ed a questo accordo, che indirettamente significava l’approvazione dell’annessione del Sudtirolo all’Italia.

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Solo la storia potrà giudicare se fu giusto o meno approvare questo accordo; certo è che l’Accordo di Parigi garantisce oggi l’autonomia amministrativa e legislativa, promuovendo la tutela delle minoranze e la collaborazione dei gruppi etnici. All’Accordo Degasperi-Gruber fa esplicito riferimento la cosidetta “quietanza liberatoria” alla base della quale nel giugno 1992 è stata dichiarata conclusa la vicenda della questione sudtirolese aperta davanti all’ONU nel 1960.

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Testo dell’Accordo di Parigi nella versione italiana

1. Gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca.

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In conformità ai provvedimenti legislativi già emanati od emanandi, ai cittadini di lingua tedesca sarà specialmente concesso:

a) l’insegnamento primario e secondario nella loro lingua materna;
b) l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue;
c) il diritto di ristabilire i nomi di famiglia tedeschi che siano stati italianizzati nel corso degli ultimi anni;
d) l’eguaglianza di diritti per l’ammissione a pubblici uffici, allo scopo di attuare una più soddisfacente distribuzione degli impieghi tra i due gruppi etnici.

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2. Alle popolazioni delle zone sopraddette sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell’ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicata sarà determinato, consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca. 3. Il Governo italiano, allo scopo di stabilire relazioni di buon vicinato tra l’Austria e l’Italia, s’impegna, dopo essersi consultato con il Governo austriaco, ed entro un anno dalla firma del presente Trattato:

a) a rivedere, in uno spirito di equità e di comprensione, il regime delle opzioni di cittadinanza, quale risulta dagli accordi Hitler-Mussolini del 1939;
b) a concludere un accordo per il reciproco riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari;
c) ad approntare una convenzione per il libero transito dei passeggeri e delle merci tra il Tirolo settentrionale e il Tirolo orientale, sia per ferrovia che, nella misura più larga possibile, per strada;
d) a concludere accordi speciali tendenti a facilitare un più esteso traffico di frontiera e scambi locali di determinati quantitativi di prodotti e di merci tipiche tra l’Austria e l’Italia.

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Questo accordo costituirà la base dell’autonomia sudtirolese e dei suoi sviluppi successivi. Alla fine del gennaio 1948, a partire da questo accordo, che prevedeva, come abbiamo visto, parità di diritti per la minoranza sudtirolese e cercava di sanare le discriminazioni che questa aveva subito nei decenni precedenti, compresa la tragica pagina delle opzioni e la restituzione dei cognomi tedeschi violentemente italianizzati, verrà approvato il primo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige.

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Pur sancendo per la prima volta l’autonomia amministrativa e la tutela giuridica dei diritti della popolazione sudtirolese, il primo statuto d’autonomia conteneva, secondo molti storici, una sorta di «vizio d’origine».

In sostanza: l’autonomia che sulla base dell’Accordo De Gasperi-Gruber avrebbe dovuto interessare «gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento» era stata estesa anche al Trentino, dove nel frattempo si era sviluppato l’ASAR (Associazione Studi Autonomistici Regionali), un imponente movimento per l’autonomia integrale da Ala al Brennero.

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Insomma, nella nuova regione a guida italiana, la maggioranza di lingua tedesca in Sudtirolo tornava a essere minoranza. Questo «vizio d’origine» sarà la causa dei contrasti e conflitti, sfociati in attentati e atti di violenza, che caratterizzeranno la coesistenza dei due gruppi linguistici almeno fino ai governi di centrosinistra, dai quali la questione sudtirolese verrà affrontata con altro spirito e nuove aperture.

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Lo slogan «Los von Trient» coniato dalla Südtiroler Volkspartei, il partito di raccolta della popolazione sudtirolese, testimonia efficacemente il clima politico che si viveva in regione in quegli anni: la richiesta di una separazione da Roma, dalla capitale dello Stato italiano, aveva lasciato il posto alla rivendicazione di una sorte separata rispetto alla vicina provincia di Trento.

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Lungo quest’indicazione si vennero sviluppando i colloqui e le trattative successive che portarono all’approvazione del secondo statuto di autonomia, statuto che prevede e disciplina un’autonomia più ampia per ognuna delle due province di Trento e Bolzano, nell’ambito di una comune cornice regionale.

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Al termine di un decennale processo, iniziato con la costituzione nel 1961 della «Commissione di studio dei problemi dell’Alto Adige» (detta commissione dei 19), nel corso del quale si dovettero superare resistenze e opposizioni da ambo le parti, nel dicembre 1969 i parlamenti italiano e austriaco approvarono le 137 norme miranti ad ampliare notevolmente l’autonomia concessa nel 1948 a favore però ora delle due province.

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Ad ognuna di esse vennero così trasferite importanti competenze prima in capo allo Stato e alla Regione: caccia e pesca, parchi, viabilità, turismo, agricoltura e foreste, assistenza e beneficenza pubblica, scuola materna ed edilizia scolastica, acquedotti e lavori pubblici.

Ma torniamo all’Accordo De Gasperi-Gruber, al famoso vizio d’origine. Secondo il Trattato, lo Stato italiano si impegnava, come abbiamo detto, a mantenere e concedere l’autonomia alla minoranza tedesca.

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Tuttavia, tra le tre versioni firmate (in inglese, tedesco e italiano) vi erano delle discordanze. In particolare, le versioni inglese e italiana affermavano che l’autonomia dovesse essere concessa nell’ambito territoriale abitato dai Tedeschi, mentre invece l’Accordo in lingua tedesca dichiarava che questa dovesse essere ammessa alla minoranza tedesca.

Dopo la guerra, l’Italia non poteva concedere l’autonomia ai soli tedeschi, per ragioni ovviamente politiche ma anche per non perdere il controllo sulle infrastrutture altoatesine (ad esempio, centrali elettriche); quindi, l’ Accordo di Parigi fa sì che anche il Trentino diventi corresponsabile dell’autonomia.

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Nel 1948 venne approvato il Primo statuto dell’autonomia, una legge costituzionale che, in quanto tale, entra in vigore solo con una lunga procedura che prevede due voti dei due ranghi del Parlamento entro sei mesi sullo stesso testo.

Non appena i Russi lasciarono Vienna e l’Austria si dichiarò neutrale (per la sua posizione strategica non aderì né alla NATO né al patto di Varsavia), iniziarono le rivolte degli altoatesini contro lo Stato centrale, le stesse che i Trentini avevano rivolto prima del 1918 contro l’impero austriaco. Nel 1957 venne proclamato a Castel Firmiano il famoso “Los von Trient” che originò una serie di ribellioni che culminarono negli anni ’60 con numerosi attentati.

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Lo Stato italiano pensò di risolvere la questione con l’invio dell’esercito, ma ciò non provocò altro se non la protezione e l’approvazione dei terroristi da parte della popolazione. Poi, nella seconda metà degli anni ’60, vennero impiegati i servizi segreti che cancellarono definitivamente ogni traccia delle insurrezioni.

Nel 1972 venne approvato il Secondo statuto dell’autonomia, modifica del Primo. Sigla la nascita di un sistema tri-istituzionale basato su tre enti: Regione e le due Province autonome. Negli anni ’90 venne applicata un’ulteriore riforma al Secondo statuto che vedeva la Regione come organo di collegamento tre le due Province.

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L’autonomia, oggi, permette di legiferare su alcune materie, divise tra concorrenti (che concedono l’interpretazione di leggi statali, ad esempio nell’ambito dell’istruzione, le riforme Gelmini – Dalmaso) ed esclusive, che attribuiscono alle sovrintendenze provinciali le stesse competenze di quelle statali (ad esempio, nei casi della sanità e della formazione professionale). Esercito, Carabinieri e Polizia, assieme all’ordine dei giudici sono le uniche categorie che non possono essere provincializzate.

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Ma di queste “tappe” storiche dell’autonomia approfondiremo cause ed effetti nelle prossime puntate.

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