TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 46

ELISABETTA (ELSA) CONCI

Trento, 23 marzo 1895 – Mollaro, 1 novembre 1965

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a cura di Cornelio Galas

Primogenita di cinque sorelle, Elsa (Elisabetta) Conci nacque a Trento il 23 marzo 1895, figlia dell’avvocato Enrico Conci, futuro deputato alla Dieta di Innsbruck e al Parlamento di Vienna, e di Maria Sandri. Dalla famiglia ebbe un’educazione profondamente religiosa che improntò tutta la sua vita.

ELSA CONCI

ELSA CONCI

Frequentò il liceo privato femminile delle suore Orsoline ad Innsbruck, dove conseguì la licenza «con distinzione» il 4 luglio 1915. Nel dicembre di quell’anno si diplomò pure in pianoforte. Dopo aver conseguita la licenza liceale, raggiunse il padre che dal giugno 1915 si trovava confinato a Linz con la famiglia.

Contro di lei venne avviato un processo per irredentismo, che però non arrivò alla sentenza per la sopravvenuta amnistia alla morte dell’imperatore Francesco Giuseppe. Nell’autunno 1915 si iscrisse alla facoltà di filosofia dell’Università di Vienna, facoltà che frequentò per tre anni, fino all’ottobre 1918.

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Finita la guerra, passò alla facoltà di lettere dell’Università di Roma, dove si laureò con lode il 2 dicembre 1920, discutendo la tesi «Il Mefistofele di Arrigo Boito come espressione del romanticismo milanese». Un saggio della tesi, rielaborata, venne pubblicato nel 1921 dalla rivista «Studium» di Roma .

Nel periodo universitario Conci fu molto attiva nella Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI) e ne divenne in seguito presidente della sezione romana. Un corso di esercizi spirituali tenuto ad Intra dall’assistente ecclesiastico nazionale di tale associazione, mons. Pini, fu determinante per indirizzare la sua vita all’ideale evangelico della carità e del solidarismo.

Enrico Conci e la figlia Elisabetta

Enrico Conci e la figlia Elisabetta

Dal 4 al 6 settembre 1920 partecipò al congresso nazionale di Trento della FUCI, presieduto da Alcide Degasperi, che si svolgeva contemporaneamente alla prima assemblea. In quel congresso la Conci tenne una relazione su La moralità della giovane, nella quale trattò della formazione morale dell’universitaria che si sarebbe dovuta porre come dovere morale per reagire ad ogni forma di immoralità nelle università.

Tale formazione acquistava per lei un significato particolare per l’influenza che la donna poteva esercitare sui suoi compagni di studi, con il suo contegno semplice ed onesto. Nella sua relazione sottolineò pure come le universitarie avessero avuto molta parte in seno alle sezioni di Roma, Padova, Pavia e Firenze, riconoscendo e lodando l’opera da esse svolta nel dopoguerra.

Elisabetta Conci

Elisabetta Conci

Vinta nel 1923 la cattedra di lingua tedesca nei licei scientifici, rifiutò l’assegnazione al liceo di Pavia, che l’avrebbe tenuta lontana dall’ambiente trentino nel quale aveva già iniziato un’intensa opera di organizzazione della gioventù femminile. Preferì una cattedra di tedesco presso l’Istituto tecnico inferiore Leonardo da Vinci di Trento dove insegnò per quindici anni.

La scuola rappresentò per lei il primo campo di azione sociale. Interessata all’ambiente familiare dei propri alunni, quando ancora non era nata l’idea del doposcuola, ne creò uno privato e gratuito che arrivò ad avere fino a 35 alunni. A questo lavoro parascolastico si aggiungeva quello che svolgeva con grande passione nell’ambito dell’Azione cattolica, organizzando tra le giovani gruppi di assistenza caritativa a favore dei poveri.

Elisabetta Conci

Elisabetta Conci

Fin dai primi anni d’insegnamento organizzò nella scuola il Natale del povero per numerosi alunni bisognosi e assunse a suo carico tutte le spese per il mantenimento di due orfani di un istituto del Tirolo. Si prese pure cura di alcuni ragazzi orfani o senza famiglia che assistette come una madre nel suo appartamento di via Santa Trinità; in seguito, nel 1927, le fu offerto un appartamento più grande.

Elisabetta Conci

Elisabetta Conci

Anche il giudice dei minori di Trento si rivolgeva a lei per qualche caso particolare. Dal 1939 al 1945 insegnò tedesco nell’Istituto tecnico Tambosi di Trento. Il 3 febbraio 1933 venne iscritta al Fascio femminile di Trento, ma fascista non fu mai.

Elisabetta Conci

Elisabetta Conci

Quando il governo approvò le leggi razziali, Elsa Conci, in un quaderno manoscritto intitolato «Cronache 1938-1940», scriveva: «2 settembre 1938. Tutti gli ebrei immigrati in Italia – anche quelli cui è stata concessa la cittadinanza italiana!! – devono lasciare il nostro paese entro sei mesi. È inumano, ingiusto, davvero degno della nostra tanto vantata civiltà!».

E all’avvicinarsi della guerra: «25 ottobre. Discorso del Duce a Padova: il popolo italiano è pronto a qualsiasi evento, e tutti gridano come forsennati ‘Sì’ e anche ‘guerra, guerra!’ (incoscienti!)». «26 marzo 1939. […] bisogna armarsi: a qualunque costo… anche se dovessimo fare tabula rasa di tutto quello che si chiama vita civile. Basta!».

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Quando, conclusasi la guerra, anche alle donne si aprì la possibilità di una fattiva presenza nella politica, Conci partecipò con entusiasmo e determinazione all’azione politica nel partito della Democrazia cristiana, portandovi tutto il peso delle sue idee sociali e delle sue convinzioni morali e religiose.

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Elisabetta Conci e Maria Badaloni al tavolo degli oratori durante il convegno del Movimento femminile democristiano; dietro di loro Moro e Rumor

Nei difficili anni della guerra diede la propria collaborazione all’organizzazione di un’assistenza scolastica capillarmente articolata in centri di studio e di assistenza, doposcuola e mense per studenti. Nel dopoguerra contribuì ad una rapida riattivazione dell’ONAIRC, che operava nel campo dell’assistenza all’infanzia, e dell’Istituto professionale femminile.

Nelle nuove prospettive dell’assistenza sociale, promosse la costituzione a Trento della Scuola superiore di servizio sociale. Ancora nel maggio 1945 fece parte del primo comitato provinciale provvisorio della DC trentina.

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Elisabetta Conci con Antonio Segni

Fu poi presente al primo congresso provinciale di questo partito che si tenne il 23 settembre di quell’anno presso il Teatro sociale di Trento, sotto la presidenza di suo padre, e vi fece un ampio intervento che venne riportato con rilievo dal settimanale democristiano «Il Popolo Trentino» in quella stessa data.

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Achille Ardigò e Elisabetta Conci

Conci iniziò il suo discorso, tutto pervaso da forti sentimenti religiosi e da spirito di crociata, con il rilevare che era la prima volta che in un’assemblea politica anche le donne potevano far sentire la loro voce. Gruppi femminili, proseguiva, erano stati costituiti in tutte le valli del Trentino, in tutte le città, in tutti i paesi ed anche nei villaggi più remoti.

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Le propagandiste democristiane del movimento femminile avevano fatto una capillare azione di informazione e organizzazione «con fervore di santo entusiasmo», portando ovunque «calde parole di fede». L’intero Trentino era stato da loro percorso a piedi e in bicicletta. A partire dal 10 agosto 1945, giorno in cui si era tenuto a Trento il primo convegno di questo movimento, era iniziata una forte affermazione dello stesso in tutta la provincia.

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Edoardo Martino, Elisabetta Conci e Giulio Pastore

La propaganda delle attiviste democristiane si fondava su un principio che, secondo la Conci, rappresentava l’unico mezzo per risanare la vita sociale: «Ricondurre i singoli e ricondurre l’opera di coloro che governano alle pure fonti dei principi evangelici». A comprendere il battagliero spirito religioso che animava la Conci e le attiviste democristiane, può aiutare la conoscenza dell’inno ufficiale della Gioventù femminile cattolica italiana che veniva cantato nelle loro adunanze.

Elisabetta Conci con il padre Enrico

Elisabetta Conci con il padre Enrico

Eccone come saggio la prima strofa: «Avanti ci sproni l’appello / che chiama animoso a battaglia / pel sacro fulgente ideal. / Noi esser vogliamo l’eletta / falange che assalta e sbaraglia / lo spirto protervo del mal. / La mano all’opra / l’occhio e il cor lassù. / Avanti / avanti / avanti per Gesù».

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Elisabetta Conci e Palmiro Foresi

Un passo rilevante del discorso della Conci al Teatro sociale, che il giornale democristiano riportò con il significativo sottotitolo di Lavorare e non bagordare, riguardava quello che l’oratrice definiva un grave pericolo che minacciava la società, al quale le donne erano particolarmente tenute a far fronte.

Si trattava dell’immoralità dilagante dalla quale dovevano venire difese le famiglie e soprattutto i figli. Per ricostruire, affermava ancora Conci, non bastava rivendicare i propri diritti, ma «compiere con tenacia il proprio dovere: lavorare e non divertirsi sopra le rovine».

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L’oratrice allargava poi la sua relazione ai temi dello studio, delle attività ricreative, della stampa e delle attività sociali. Al termine del suo discorso Conci propose il seguente ordine del giorno che venne approvato dall’assemblea per acclamazione:

«Il Congresso della DC, sentita la relazione della prof. Conci sullo spettacolo poco edificante del moltiplicarsi di locali di pubblico divertimento, particolarmente i balli pubblici, in stridente contrasto con la miseria delle classi operaie ed impiegatizie e con le gravi conseguenze economiche del paese, in omaggio ai sentimenti della grande maggioranza della popolazione, invita il prefetto a vietare tale nauseabondo spettacolo che è un oltraggio ai reduci dei campi di concentramento ed alle famiglie materialmente e moralmente colpite dal flagello della guerra».

Seguirono sul giornale «Il Popolo Trentino» vari articoli della Conci, di contenuto politico-moralistico, tra i quali si ricorda in particolare quello dal titolo significativo Il naufragio della moralità può segnare la fine di ogni speranza.

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Difendersi col voto, apparso sul numero del 13 gennaio 1946. Il 7 marzo di quell’anno la DC provinciale tenne a Trento, sempre sotto la presidenza del senatore Enrico Conci, il secondo congresso straordinario per la elezione dei delegati al primo congresso nazionale del partito: tra gli eletti risultò la Conci. Il 2 giugno essa fu pure eletta deputato alla Costituente nel collegio di Trento, piazzandosi al secondo posto, dopo Degasperi, con 4881 voti.

Da allora fu sempre rieletta nelle successive competizioni elettorali degli anni 1948, 1953, 1958 e 1963, nelle liste della DC della circoscrizione di Trento. La sua attività parlamentare, sempre animata da un viscerale anticomunismo e da forte spirito clericale, si svolse all’insegna della più assoluta fedeltà al partito.

Per questo, come fu notato, poté essere con piena coerenza vicinissima a Degasperi quando pur faceva parte del gruppo di avanguardia dossettiano; a Fanfani quando questi era alla segreteria politica e a Scelba, presidente del Consiglio dei ministri, a Segni, presidente della Repubblica, e a Moro, segretario del partito.

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Nominata membro della «Commissione dei 18» incaricata di coordinare con la nuova Carta costituzionale gli statuti speciali regionali di autonomia, Conci si mostrò subito aperta nei confronti delle rivendicazioni degli altoatesini di lingua tedesca, in sintonia del resto con l’atteggiamento politico del padre Enrico.

Già ai primi di gennaio del 1947 il canonico Michael Gamper, figura di spicco dell’irredentismo sud-tirolese, si era rivolto per lettera a lei , quale unica rappresentante della regione Trentino-Alto Adige nella «Commissione dei 18».

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L’onorevole Elisabetta Conci riceve da Gui il Monopattino d’Argento

Gamper invitava la Conci ad appoggiare le richieste della Südtiroler Volkspartei, rivolte ad ottenere una propria autonomia per l’Alto Adige, indipendente da quella per il Trentino.

In particolare: l’attribuzione dei comuni di Salorno e di Egna alla provincia di Bolzano, l’autonomia scolastica, una propria polizia regionale e, in fine, la conservazione per il territorio altoatesino dell’«antico e glorioso nome di Tirolo».

La Volkspartei, costretta dal Trattato di pace a rinunciare ai suoi postulati irredentistici, tendeva allora ad un’autonomia a sfondo conservatore e clericale. In seguito pervenne alla Conci, da parte della Volkspartei, un memoriale nel quale venivano esposti i «desiderata» per l’autonomia del «Tirolo Meridionale».

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Elisabetta Conci con Giulio Andreotti

Il 13 dicembre il segretario generale della Volkspartei, Otto von Guggenberg, trasmise alla Conci la «Risoluzione» votata nel congresso generale di quel partito, che si era tenuto a Bolzano il 9 dicembre precedente.

Nella lettera accompagnatoria lo stesso rilevava che il governo italiano non intendeva dar luogo alle consultazioni richieste dalla Volkspartei, in quanto riteneva «che la semplice comunicazione del Progetto di Statuto, elaborato da un’apposita Commissione Presidenziale e il nostro rigetto motivato del medesimo, costituiscano le consultazioni previste dall’Accordo Gruber-De Gasperi di Parigi».

Elisabetta Conci con Aldo Moro

Elisabetta Conci con Aldo Moro

Rilevava pure che quel rifiuto era considerato dalla popolazione tedesca dell’Alto Adige come «un’aperta violazione dell’Accordo italo-austriaco». Per questo, unitamente al presidente della Volkspartei, Erich Amonn, si sentiva costretto «di nuovo a pregarLa di voler prestarci il suo valido appoggio, affinché, prima della votazione del progetto di autonomia, vengano ordinate le consultazioni con i rappresentanti della nostra popolazione e ciò tanto più in quanto non abbiamo alcuna possibilità di far valere il nostro punto di vista a mezzo di propri Deputati nella Costituente».

Conci appoggiò le richieste sudtirolesi, che però vennero accolte solo in parte: i due comuni mistilingui di Salorno e di Egna vennero uniti alla provincia di Bolzano, diverse competenze legislative furono trasferite dalla regione alle due province, ma la richiesta della denominazione Südtirol, che tanto stava a cuore agli esponenti della Volkspartei e sulla quale si trovavano d’accordo sia Conci che suo padre, non venne accolta.

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Conci proseguì anche negli anni seguenti ad interessarsi con molto impegno della questione autonomistica e dei problemi che la stessa poneva in riferimento all’Alto Adige. L’archivio della famiglia Conci. Ai primi di dicembre del 1958 partecipò al congresso di Innsbruck della Volkspartei austriaca in rappresentanza della direzione centrale della DC, portandovi il saluto del partito.

Nel suo intervento Conci riconobbe l’azione, che definì «coraggiosa e costruttiva» sul piano internazionale ed interno, del cancelliere Raab, rappresentante di «un’Austria tornata ad essere un pilastro della libertà ai confini con il mondo comunista», e ne apprezzò l’assicurazione data che l’appoggio dell’Austria alle rivendicazioni degli alloglotti dell’Alto Adige si sarebbe tenuto nei limiti dell’Accordo di Parigi.

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Il discorso di Conci venne vivacemente criticato dalla stampa nazionalista italiana che l’accusò di non aver protestato per l’atteggiamento anti-italiano che era stato assunto dal congresso nei confronti della situazione altoatesina.

In occasione delle elezioni politiche dell’aprile 1958 non mancarono contrasti all’interno della DC, divisa in correnti che mettevano in pericolo l’unità dei cattolici. La corrente del segretario del partito, Amintore Fanfani, caratterizzata da un integralismo cattolico certo non sgradito alla Conci, puntava a portare in parlamento il maggior numero di candidati legati alla sua politica.

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Anche a Trento il partito risentì di quel disagio in sede nazionale, e ne fu indice lo scontro tra la Conci e un altro candidato democristiano, l’ing. Guido de Unterrichter, oltre all’opposizione della stessa alla candidatura nella circoscrizione di Trento della figlia di Degasperi, Maria Romana.

Dal 23 gennaio 1952 Conci ricoprì la carica di segretaria del gruppo DC alla Camera, dopo esserne stata dal 1948 vice-segretaria. Per il suo attaccamento al partito e la sua attivissima azione politica gli avversari la definirono «la pasionaria bianca»: per gli stessi motivi e per il suo grande dinamismo i parlamentari democristiani le offersero una spilla d’oro a forma di monopattino.

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Sul finire della sua vita, nel settembre 1965, il papa Paolo VI la insignì della croce «Pro Pontifice et Ecclesia» per il servizio prestato alla Chiesa «nell’umiltà e soprattutto in un assoluto disinteresse di sé». Convinta propugnatrice dell’ideale europeistico, Conci fu membro della delegazione italiana al Parlamento europeo di Strasburgo.

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Fu pure nel 1955 tra le fondatrici dell’Unione femminile europea, della quale divenne poi, dal 1959 al 1963, presidente. L’Unione era stata costituita per iniziativa dell’Austria e comprendeva dieci paesi europei: Germania occidentale, Belgio, Austria, Finlandia, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Inghilterra e Svezia.

Suo scopo era di favorire una stretta collaborazione delle donne facenti parte di organizzazioni politiche di destra e di centro, per un regolare e periodico scambio di idee su questioni pratiche riguardanti riforme politiche e sociali. In tal modo si cercava di rafforzare la comprensione internazionale e di stimolare le donne a svolgere un ruolo più attivo nella vita politica e sociale dei rispettivi paesi.

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Gli interessi primari dell’Unione erano rivolti alla famiglia, considerata la base di una società civile e responsabile, e alla conservazione in essa dei principi cristiani. Conci partecipò a vari congressi dell’Unione che si tennero in alcune capitali europee (Berlino, Londra, Vienna, Bonn e Copenaghen).

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Nel 1963, quando l’assemblea dell’Unione si tenne a Roma, essa fu insistentemente pregata dalle partecipanti di volere ancora accettare l’incarico di presidente, ma rifiutò con fermezza asserendo che l’avvicendamento delle cariche costituiva una delle esigenze primarie degli organismi democratici. Il suo impegno politico proseguì finché lo stato di salute glielo consentì: si presentò in Parlamento l’ultima volta il 4 maggio 1965, poi, ammalata, rientrò nella sua casa a Mollaro in Valle di Non dove passò gli ultimi mesi della sua vita.

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Elisabetta Conci, Amintore Fanfani e Lorenzo Natali

Si spense il 1° novembre di quell’anno. Numerosissime furono le partecipazioni ai funerali, che videro anche la presenza delle maggiori cariche dello Stato e di esponenti di vari partiti, e grande fu il rilievo dato dalla stampa alla sua scomparsa.

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Conci venne commemorata nella seduta della Camera dei deputati del 18 novembre 1965 con i discorsi del presidente del Parlamento Bucciarelli Ducci, e, a nome del Governo, del presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro.

In particolare Moro sottolineò l’amicizia «profonda e devota» che lo legava alla Conci, della quale ricordò «l’assoluta costante fedeltà agli ideali cristiani e democratici, la purezza della vita, il personale distacco, la generosità, il senso del dovere, la cordialità dei rapporti e l’amichevole comprensione per tutti».

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E concluse: «Tra l’altro, ad Elisabetta Conci molto deve il mondo femminile italiano ed in particolare quello cattolico e democratico cristiano. Tanta parte della sua battaglia politica fu combattuta infatti nel Parlamento e nel paese per l’emancipazione della donna e la sua partecipazione attiva alla vita sociale e democratica in Italia».

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