ALTO ADIGE, BOMBE E SEGRETI – 1

a cura di Cornelio Galas

Trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988: 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra e mine antiuomo. Ventuno morti, di cui 15 rappresentanti delle forze dell’ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che loro stessi stavano predisponendo. E poi 57 feriti: 24 fra le forze dell’ordine, 33 fra i privati cittadini. Sono le cifre ufficiali del terrorismo in Alto Adige.

Diciassette le sentenze passate in giudicato: la magistratura italiana ha condannato 157 persone, di cui 103 sudtirolesi (ovvero cittadini italiani di lingua tedesca), 40 austriaci e 14 germanici della Repubblica federale. Ma veniamo agli antefatti di quegli anni ad altissima tensione.

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La Democrazia Cristiana e la Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito della minoranza tedesca e ladina, guidato da esponenti della Resistenza contro i nazifascisti, collaborarono nella gestione della regione, che riuscì a svilupparsi floridamente. Nel 1952 il reddito per abitante della provincia di Bolzano era di 211.012 lire, ossia il 130,4% della media nazionale.

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Nel 1958 l’indice della disoccupazione era dell’1,25%. Mentre il gruppo linguistico italiano controllava l’industria e il pubblico impiego, l’agricoltura e il turismo erano nelle mani del gruppo linguistico tedesco. La separazione economica tra la grande industria di Bolzano, di tipo moderno, costruita con capitali italiani, e l’attività agricola tradizionale, cui era dedita la popolazione di lingua tedesca (per ben il 74%), determinò una chiusura anche culturale e politica.

Il canonico Michael Gamper (1885 - 1956) direttore della casa editrice Athesia, guida politica e morale della comunità sudtirolese sotto fascismo e nazismo, dovette riparare a Firenze dopo l'8 settembre

Il canonico Michael Gamper (1885 – 1956) direttore della casa editrice Athesia, guida politica e morale della comunità sudtirolese sotto fascismo e nazismo, dovette riparare a Firenze dopo l’8 settembre 1943

La costruzione di zone industriali venne infatti particolarmente avversata dalla comunità di lingua tedesca, che vi vedeva un tentativo di attirare manodopera italiana al di fuori dell’Alto Adige. Il prete Michael Gamper si oppose pubblicamente all’immigrazione dal resto d’Italia, “da quel meridione che ci è estraneo”, e accusò le autorità italiane di sottomettere la popolazione di lingua tedesca a una Todesmarsch (le marce della morte di epoca nazista).

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I politici della Südtiroler Volkspartei e austriaci, sulla stessa linea, ritenevano che il governo italiano proseguisse in tal modo nell’intento di creare una maggioranza italiana in Alto Adige (cosiddetta “politica del 51%”).

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Alle cifre allarmanti di Gamper che indicavano “50 mila immigrati italiani negli ultimi sette anni” replicò uno studio del Commissariato del Governo e dell’Istituto Centrale di Statistica che quantificò l’aumento della popolazione italiana tra il 1947 e il 1953 nella cifra di poco più di 8 mila unità, legato alla riattivazione postbellica degli uffici statali e militari e alla risistemazione delle opere pubbliche.

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Molte tensioni creò nel 1957 la sovvenzione per la costruzione di nuove case popolari, per favorire l’immigrazione di operai dalle altre regioni d’Italia. Nel frattempo (vedi le puntate di “Trentino, dal 1945 alla nuova autonomia”) si era ricostruita la Repubblica Austriaca (1955) e la guida delle SVP era stata assunta da estremisti etnici, alcuni con trascorsi nazisti. Per essi, lo status degli altoatesini di lingua tedesca come minoranza in seno alla regione Trentino-Alto Adige era inaccettabile.

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Giorgio Almirante ad un comizio dell’Msi

Da allora si moltiplicarono le manifestazioni inneggianti al Tirolo unito e alla secessione dall’Italia, a cui le autorità governative italiane tentarono di reagire. Una signora di Bressanone fu così obbligata a ridipingere le 38 ante delle finestre di casa, colorate di bianco e rosso (i colori tirolesi); nel 1956 venne anche arrestato e processato un ferroviere austriaco, per aver diffuso materiale “eversivo”.

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Alle manifestazioni di piazza della SVP cercò invece di opporsi il partito neofascista Movimento Sociale Italiano, allora partito insignificante in provincia, che programmò una contromanifestazione ad un’adunata dei popolari altoatesini prevista per il 30 settembre 1956, portando al divieto di entrambe le manifestazioni. Per protesta contro il governo italiano alcuni sudtirolesi accendevano inoltre dei fuochi sulle montagne attorno alle più grandi località della provincia.

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La SVP fece dal canto suo una violenta campagna di propaganda contro lo Stato e contro l’inforestierimento dovuto all’immigrazione italiana, supportata dagli ambienti ecclesiastici di lingua tedesca.

In tutti i comuni a maggioranza SVP (tutto l’Alto Adige tranne allora Bolzano, Bronzolo, Egna, Fortezza, Merano, Laives, Salorno e Vadena) venne sospeso il rilascio di nuove residenze per italiani e fu fatta una furibonda propaganda contro i matrimoni misti per preservare la “purezza” della stirpe tirolese, tanto che i politici della Südtiroler Volkspartei si spinsero a chiedere il divieto dei matrimoni misti con italiani.

Raimondo Falqui

Raimondo Falqui

Il clima di forte ostilità creatosi portò dunque, ancor prima della fondazione ufficiale del BAS, ad atti di violenza contro le forze dell’ordine italiane. Il 15 luglio 1956 fu trovato agonizzante nel greto di un ruscello a Fundres il finanziere Raimondo Falqui, dopo un pestaggio condotto tra ubriachi (tra cui il futuro marito della terrorista Karola Unterkircher) all’esterno di un’osteria.

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Il finanziere morì poco dopo. Il processo ai cosiddetti Pfunderer Buibm (i ragazzi di Fundres, di età tra i 18 e 22 anni), accusati dell’omicidio, portò il 16 luglio 1957 alla condanna dei sette imputati ad un totale di 114 anni di carcere. Mentre in Italia prevalse lo sdegno per la brutalità dell’aggressione, in Austria si levarono proteste perché gli imputati, secondo la stampa austriaca, sarebbero stati condannati a pene così severe nonostante la mancanza di prove ed i dubbi espressi dai giudici nella motivazione.

Tra il 1956 e il 1957 si verificarono attentati dinamitardi, riconducibili al gruppo intorno ad Hans Stieler, tipografo presso il quotidiano Dolomiten

Tra il 1956 e il 1957 si verificarono attentati dinamitardi, riconducibili al gruppo intorno ad Hans Stieler, tipografo presso il quotidiano Dolomiten

Tra il 1956 e il 1957 si verificarono attentati dinamitardi, riconducibili al gruppo intorno ad Hans Stieler, tipografo presso il quotidiano Dolomiten. Il primo attentato ebbe luogo il 20 settembre 1956 a Settequerce di Terlano, con lo scoppio di una carica di dinamite a ridosso di un capannone della Caserma Huber.

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Si susseguirono altre esplosioni, che non risparmiarono nemmeno le istituzioni religiose di lingua italiana: il 6 ottobre 1956 un altro ordigno esplose nell’oratorio Don Bosco di Bressanone. Le sentenze nei confronti dei membri del gruppo Stieler furono piuttosto benevole, la pena per Hans Stieler fu di quattro anni e otto mesi di reclusione.

Ai fini di ottenere l’autodeterminazione dell’Alto Adige e il distacco dall’Italia a partire dal 1956 un gruppo di sudtirolesi, molti dei quali con trascorsi nazisti, si riunì intorno a Sepp Kerschbaumer, dando vita a un’organizzazione clandestina, il Befreiungsausschuss Südtirol: tra loro Jörg Pircher, Franz Muther, Martl Koch, Alfons Obermair, Luis Hauser, Anton Gostner, Karl Titscher e Luis Gutmann.

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Nel giro di breve tempo il gruppo si allargò, accogliendo tra le sue file anche Sepp Innerhofer. Dal punto di vista organizzativo il movimento era articolato in numerose cellule locali, che operavano in un modo autonomo, con ciascuna un capo al comando: ad esempio Luis Gutmann era responsabile della cellula di Termeno, nella Bassa Atesina, Martl Koch era il capo di una delle due cellule di Bolzano, Jörg Pircher comandava a Lana, Franz Muther in Val Venosta e Karl Titscher a Bressanone.

A sinistra la prima vittima del terrorismo altoatesino: il carabiniere Vittorio Tiralongo. A destra il fondatore del Befreiungsausschuss Südtirol, il movimento separatista e anti-italiano dell' Alto Adige Sepp Kernschbauer

A sinistra la prima vittima del terrorismo altoatesino: il carabiniere Vittorio Tiralongo. A destra il fondatore del Befreiungsausschuss Südtirol, il movimento separatista e anti-italiano dell’ Alto Adige Sepp Kernschbauer

L’azione era inizialmente circoscritta a propaganda anti-italiana e alla distribuzione di volantini secessionisti. Alla fine degli anni 50 il comitato iniziò a procurarsi materiale esplosivo. Inizialmente l’obiettivo principale era di fare scalpore, senza ledere le persone, infatti gli attentati erano mirati a monumenti fascisti e tralicci dell’alta tensione.

Vennero però colpite anche le scuole italiane in provincia. Dopo che la guida del movimento venne assunta dal gruppo radicale intorno a Georg Klotz e dai neonazisti venuti dall’Austria, iniziarono gli attentati mirati a uccidere le forze dell’ordine italiane.

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Tra i membri dell’organizzazione figuravano dunque non solo cittadini italiani (gli altoatesini di lingua tedesca, in maggioranza), ma anche austriaci (come Norbert Burger) ed alcuni cittadini della Repubblica Federale di Germania. A questi si affiancavano sul territorio austriaco gruppi di irredentisti, capeggiati da Franz Gschnitzer, ai tempi presidente del Bergisel-Bund (BIB, Lega del Monte Isel), ed altri esponenti politici.

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Il BAS non fu la prima espressione di un movimento secessionista che riportasse l’Alto Adige nell’area tedescofona. Già nel 1933, era sorto il Völkischer Kampfring Südtirols (di ispirazione nazista), che predicava l’annessione alla Germania.

Trascorsi 5 giorni dal raduno di Castel Firmiano (17 novembre 1957), ci fu la prima azione esplosiva del BAS. Il 22 novembre 1957 fu minata la tomba che conteneva la salma di Ettore Tolomei, nel cimitero di Montagna, ed in seguito, il 1º febbraio 1961, venne praticamente distrutta, con una carica esplosiva ad alto potenziale, anche la sua casa.

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A seguire, e precisamente il 9 e il 12 dicembre, altre due esplosioni si ebbero a Laces, da parte del gruppo di Franz Muther. Il 29 gennaio 1961 a Ponte Gardena, presso la centrale idroelettrica della società Montecatini, l’austriaco Heinrich Klier, membro del Bergisel-Bund, fece esplodere il monumento equestre in alluminio eretto nel 1938, originariamente dedicato al “Genio del Fascismo” e nel 1945 ridedicato al “Lavoro italiano”. Oggi la testa originale del cavallo è esposta presso il museo Das Tirol Panorama sul Monte Isel a Innsbruck.

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La testa del cavallo della statua equestre al Lavoro italiano distrutta nel 1961, conservata al museo Das Tirol Panorama di Innsbruck. Durante la Feuernacht (Notte dei fuochi, dove in Alto Adige ricorre la tradizione dei fuochi del Sacro Cuore in onore della battaglia di Andreas Hofer contro le truppe francesi di Napoleone), ovvero la notte tra l’11 e il 12 giugno 1961, furono compiuti diversi attentati terroristici che fecero saltare 42 tralicci dell’alta tensione mediante l’utilizzo di 350 ordigni, di cui il primo scoppiò a Bolzano.

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Giovanni Postal

In località Nassi di Faedo, presso la Stretta di Salorno (al confine tra la Provincia autonoma di Bolzano e quella di Trento), un ordigno inesploso posto su un albero che fiancheggiava la strada statale 12 dell’Abetone e del Brennero causava la morte del cantoniere Giovanni Postal, che tentava di disinnescarla.

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Sepp Kernschbauer

Fu la prima vittima degli attentati altoatesini, nonostante la direttiva di Kerschbaumer di evitare vittime umane. Postal aveva già rinvenuto nello stesso posto un analogo ordigno esplosivo il 27 marzo 1961 ed era però riuscito a disattivarlo. Durante la Kleine Feuernacht (Piccola notte dei fuochi) del 13 luglio 1961 furono distrutti altri 8 tralicci, con lo scopo di paralizzare il traffico ferroviario. Dopo questa prima fase furono arrestati molti appartenenti al BAS, tra l’altro lo stesso Kerschbaumer.

Così don Giancarlo Pellegrini ha ricordato, su l’Adige, il 5 aprile 2011, la tragica fine di Postal: 
“Il 27 marzo cadevano 50 anni di un fatto, che poteva essere un’avvisaglia di quello che presagiva di quanto sarebbe accaduto. Quello che è passato alla storia come i fuochi del Sacro cuore a cui seguirono le cariche di tritolo che abbatterono i tralicci della corrente elettrica.

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Quella mattina Giovanni Postal, stradino sulla nazionale, abitante a Grumo, giungendo alla baracca dell’Anas, posta a confine della due province, vi trova scritto a caratteri cubitali «hier ein Südtirol». L’uomo, che l’esperienza aveva reso capace di cogliere i segni meno vistosi, girando circospetto attorno alla baracca scopre un ordigno a orologeria. Subito allerta i carabinieri di Salorno e di Mezzolombardo.

Giovanni resta sconvolto ripeteva spesso: «Fosse passato una macchina o peggio un bus ci poteva essere una strage». L’ordigno era stato messo lì per uccidere; Giovanni ne era convinto. Sarebbe interessante vedere che tipo di investigazioni furono fatte: comunque non tali da poter prevenire la notte dell’11 giugno. Purtroppo non finisce qui. La mattina del lunedì 12 giugno iniziava una nuova settimana di lavoro per Giovanni.

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Era già in età di pensione, ma i contributi di gioventù non gli consentivano di maturare una pensione decente per cui decise di rimanere al lavoro i due anni che necessitavano al suo completamento. Amava il suo lavoro e questo prolungamento non gli pesava affatto. Alle 7,30 inforcato il «paperinos» da Grumo di S. Michele all’Adige raggiunge la sua baracca dove ricovera il mezzo. Si dedica ad alcuni lavoretti di sistemazione del ciglio della strada.

Il giorno prima il traffico domenicale, intenso per le prime gite verso le dolomiti, aveva procurato qualche disordine. Quindi inforca la bicicletta che gli serviva ad ispezionare con cura lo stradone. Via per Salorno: pedalando con calma.

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Poco dopo si accorge che un pioppo aveva una cintura di color nero verso le radici. Intuitivamente ricorda il 27 marzo e abbandonata la bicicletta attraversa veloce la carreggiata, si avvicina pronto a staccare l’ordigno tagliando con la «podarola» la cinghia che lo teneva legato all’albero.

La deflagrazione fu terribile. Il corpo straziato di Giovanni fu buttato all’aria e cadde seminudo in mezzo alla carreggiata. Il pioppo schiantato cadde sullo stradone il che la dice lunga sulla potenza della carica di tritolo impiegata.

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Giovanni è la prima vittima di quei altoatesini che per qualche anno uccideranno militari e civili con i più vili attentati. L’esperienza del 27 marzo lo ha spinto a intervenire per rimuovere la bomba assassina: ha donato la vita per salvare gli altri.

Proprio di fronte a quel pioppo vi era una piazzola dove spesso si incontravano, proprio verso quell’ora, le pattuglie dei carabinieri che facevano servizio l’una in Alto Adige e l’altra in Trentino: una sigaretta due parole e via al lavoro. Ora vi è una lapide che ricorda l’innocente vittima dell’odio e della violenza disumana di chi crede di risolvere i problemi sociali con il sangue.

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Spero proprio che, nel ricordare i 50 anni dagli avvenimenti, non si dia più importanza ai tralicci, il cui danno e la spettacolarità furono senza dubbio grandi, ma non così come la perdita di una vita umana, oltretutto di un innocente: Giovanni Postal, stradino”.

Da quel momento il movimento si radicalizzò e i suoi attentati si fecero cruenti: il 3 settembre 1964 nella caserma di Selva dei Molini venne ucciso il carabiniere Vittorio Tiralongo. Sei giorni dopo un sottufficiale e quattro militari furono feriti gravemente sulla strada presso Rasun Anterselva. Solo ventiquattr’ore più tardi la stessa sorte toccò a un altro militare.

Vittorio Tiralongo

Vittorio Tiralongo

Il 26 agosto 1965 vennero uccisi all’interno della caserma dei carabinieri di Sesto Pusteria i carabinieri Palmerio Ariù e Luigi De Gennaro, colpiti da 33 proiettili a 3 metri di distanza.

Palmerio Ariu

Palmerio Ariu

Il 24 maggio 1966 morì il finanziere Bruno Bolognesi, dilaniato da una mina che era attaccata alla porta del rifugio sul Passo di Vizze. Ancora non è certo se anche il rifugio Monza (oggi ricostruito nel rifugio Gran Pilastro) fu fatto saltare da un atto terroristico del BAS o da una valanga, nel 1967.

Il 25 luglio 1966 morirono in un agguato a San Martino in Valle di Casies i finanzieri Salvatore Gabitta e Giuseppe D’Ignoti. In seguito il 9 settembre 1966 vi fu la strage di Malga Sasso, dove fu fatta saltare con esplosivo la caserma della guardia di finanza che successivamente crollò; qui morirono il vice brigadiere Eriberto Volgger e il finanziere Martino Cossu, fu invece gravemente ferito il tenente Franco Petrucci, che decedette in seguito all’ospedale.

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Martino Cossu

Il 1967 vide l’impiego massiccio di ordigni antiuomo. Nel rifugio Plan (Zwickauer Hütte), sulle Alpi Passirie, già danneggiato da precedenti azioni del BAS, vennero nascoste delle mine, ma fu possibile evitare una strage grazie all’intervento degli artificieri.

Il 25 giugno 1967, a seguito dell’esplosione di un traliccio a Cima Vallona (nel Bellunese), fu dilaniato da una mina uno degli alpini che sorvegliavano l’area, Armando Piva, che decedette in seguito all’ospedale di San Candido.

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A bonificare la zone e ad indagare sull’attentato fu inviata dall’aeroporto di Bolzano la Compagnia Speciale Antiterrorismo, dato che i terroristi avevano disseminato di mine antiuomo la zona attorno al traliccio.

I militari dopo aver accuratamente setacciato tutta la zona palmo a palmo, alle due del pomeriggio, quando l’ispezione sembrava conclusa, si diressero sulla strada per il fondo valle, ma un bagliore li accecò: una seconda mina posta a Sega Digon dilaniò la pattuglia dei soccorritori, compiendo la tristemente nota “strage di Cima Vallona” e uccidendo sul colpo il capitano dei carabinieri Francesco Gentile e il sottotenente paracadutista Mario Di Lecce.

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Erano presenti sul posto anche il sergente paracadutista Olivo Dordi, che rimase ferito gravemente e morì in seguito, e il sergente paracadutista Marcello Fagnani, che invece fu l’unico del gruppo a salvarsi.

Il 30 settembre 1967 morirono in un’esplosione il brigadiere di polizia Filippo Foti e la guardia scelta Edoardo Martini, in servizio presso la stazione di Trento. Avevano ricevuto una segnalazione in cui si comunicava che a bordo del treno Alpen Express, proveniente da Innsbruck, vi fosse una valigia contenente una bomba.

Una volta giunto il convoglio in stazione, Foti e il collega Martini spostarono la valigia sospetta in un luogo isolato; prima però che costoro potessero allontanarsi l’ordigno esplose, uccidendoli sul colpo.

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A causa della struttura del BAS, i cui membri si reclutavano segretamente, ma anche per la connivenza di una parte della popolazione di lingua tedesca, fu assai arduo sgominare il movimento.

Ciò spinse il governo italiano a una ferma reazione. Il Presidente del Consiglio Mario Scelba decretò il 16 giugno 1961 il coprifuoco tra le ore 21 e le ore 5. Durante la notte tra il 18 e il 19 giugno rimasero uccisi dal fuoco di militari di sentinella due cittadini in Val Sarentino e a Malles Venosta, apparentemente per errore.

Al centro della foto, il ministro Mario Scelba. In seguito all'aggravarsi delle azioni terroristiche, impose il coprifuoco in Alto Adige dalle 21 alle 5. Inviò inoltre reparti speciali antiterrorismo e la "sua" Celere

Al centro della foto, il ministro Mario Scelba. In seguito all’aggravarsi delle azioni terroristiche, impose il coprifuoco in Alto Adige dalle 21 alle 5. Inviò inoltre reparti speciali antiterrorismo e la “sua” Celere

La serie di incidenti continuò: sul Corno Bianco sarentino soldati spararono dall’elicottero a un uomo che perse la gamba. Anche i militari italiani furono vittime del fuoco amico o si ferirono con le proprie stesse armi.

Molti arrestati e inquisiti di lingua tedesca denunciarono la brutalità delle forze dell’ordine italiane: si parlò anche di torture presso la caserma di Egna, alle quali sarebbe riconducibile la morte in carcere di Franz Höfler il 17 novembre 1961 e di Anton Gostner il 7 gennaio 1962.

Filippo Foti

Filippo Foti

La Corte d’Assise di Milano a proposito delle presunte sevizie rilevò che “dalle perizie necroscopiche eseguite da collegi di periti fosse risultato che entrambi i detenuti erano morti per cause naturali e che a tale giudizio avessero aderito senza riserve i consulenti tecnici nominati dai congiunti degli estinti nelle persone dei professori di medicina legale Franz Josef Holzer dell’università di Innsbruck e Wolfgang Laves dell’università di Monaco di Baviera”.

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Luis Amplatz

Il 23 luglio del 1964 la corte d’assise di Milano condannò gli autori della Notte dei fuochi a pene detentive, ma li prosciolse dalle accuse di alto tradimento e attentato all’integrità dello Stato (reato quest’ultimo introdotto nel Ventennio), mosse dalla pubblica accusa.

Luis Amplatz fu condannato a 26 anni e 6 mesi, Georg Klotz a 18 anni e 2 mesi, mentre Sepp Kerschbaumer, il fondatore del BAS, fu condannato a 15 anni e 11 mesi di reclusione. Dei 91 imputati, 23 erano latitanti.

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Il 20 aprile del 1966 si concluse il secondo processo di Milano contro 58 terroristi. Günther Andergassen, Alois Oberhammer del Bergiselbund e il professore austriaco Helmuth Heuberger furono condannati a trent’anni di carcere a testa, mentre Norbert Burger fu condannato in contumacia a 28 anni di reclusione.

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Per la strage di Cima Vallona la corte d’assise di Firenze in data 14 maggio 1970 individuò quattro responsabili. Il medesimo Norbert Burger fu condannato all’ergastolo per strage continuata pluriaggravata, vilipendio di cadaveri, danneggiamento aggravato e banda armata; la stessa pena fu inflitta a Peter Kienesberger ed Erhard Hartung, mentre Egon Kuftner fu condannato a 24 anni. I condannati fuggirono in Austria e Germania e dunque non scontarono mai la pena.

Camionette del Terzo Reparto Celere della Polizia di Stato per le vie di Bolzano.

Camionette del Terzo Reparto Celere della Polizia di Stato per le vie di Bolzano.

Il 9 luglio 1971 la corte d’assise d’appello di Bologna condannò i responsabili dell’attentato di Selva dei Molini, in cui venne ammazzato il carabiniere Vittorio Tiralongo, a due ergastoli ciascuno per i reati di attentato alla integrità dello Stato e di strage, ma la sentenza non poté essere eseguita, dal momento che anche questi terroristi avevano trovato rifugio in Austria e Germania.

Nel 2009 la magistratura ha riaperto le indagini sul caso Tiralongo, siccome sarebbero emersi nuovi elementi che avrebbero smentito la pista terroristica, indicando come colpevole un ex collega, scomparso dopo l’evento e ormai deceduto. Gli inquirenti non hanno trovato riscontri.

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La riapertura dell’inchiesta non ha dunque portato a nessuna novità,[51] se non quella che ha accertato l’arma del delitto: una fucile Mauser calibro 7,62 ritrovato in un arsenale appartenente ai terroristi del BAS.

Le azioni del BAS provocarono la reazione dei movimenti di estrema destra italiani. Una bomba collocata nella salina di Ebensee, in Alta Austria, provocò la morte del gendarme Kurt Gruber il 23 settembre 1963.

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Inizialmente si sospettò che l’attentato fosse stato opera del BAS, ma le indagini scoprirono una pista italiana, confermata dalle stesse autorità italiane. Nel 1969 il tribunale di Verona condannò a 9 anni e 4 mesi Giorgio Massara, a 6 anni e mezzo Maurizio Perito, a un anno a testa Sergio Tazio Poltronieri, Luciano Rolando e Franco Panizza.

A Linz il 31 maggio 1967 una giuria popolare assolse Norbert Burger e 14 complici, con un verdetto di assoluzione generale, dai reati di addestramento clandestino all’uso di armi, furto di esplosivo in Austria e trasporto, custodia, raccolta e distribuzione dello stesso in Alto Adige, nonostante avessero ammesso di averli compiuti; la motivazione della sentenza afferma che agirono “in stato di necessità” per la “difesa di interessi superiori”.

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Al termine del processo gli assolti intonarono l’inno di Andreas Hofer (Das Andreas-Hofer-Lied) al loro canto subito si unì il pubblico presente in aula. La sentenza venne negativamente commentata in Italia ed il giorno seguente il Corriere della Sera vi vide una “mancanza di giustizia e lealtà”, e la giudicò pericolosa in quanto avrebbe legalizzato ed incoraggiato il terrorismo e messo in difficoltà il governo italiano nelle trattative con quello austriaco nel fare accettare alla pubblica opinione italiana le “concessioni” contenute nel “pacchetto” altoatesino.

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La sentenza, confermata in ultima istanza a Vienna il 14 novembre, provocò infatti le proteste ufficiali del governo italiano, che condannò pure la calorosa festa con cui il pubblico presente nell’aula giudiziaria accolse la liberazione degli imputati.

Il medesimo Norbert Burger, condannato dalla giustizia italiana per la strage di Cima Vallona, nel 1981 si candidò alla presidenza austriaca per il partito nazionaldemocratico, di matrice neonazista.

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Il BAS fu attivo in Alto Adige fino al 1969. Molti appartenenti all’organizzazione rinunciarono già prima dell’approvazione del cosiddetto Pacchetto, base del secondo statuto d’autonomia, che prevedeva ampie tutele a garanzia della popolazione di lingua tedesca (e ladina). L’Austria si impegnò a controllare i propri confini, ma continuò a dare asilo ai terroristi condannati dalla magistratura italiana.

Dopo circa dieci anni senza attentati a seguito dell’introduzione del secondo statuto d’autonomia (1972) iniziò una nuova stagione di bombe: gli obiettivi furono in particolare il Monumento alla Vittoria di Bolzano, il monumento all’Alpino di Brunico (in ricordo alla guerra di Abissinia), il Sacrario militare di Passo Resia e la tomba del senatore Ettore Tolomei, l’ideatore del Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige.

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Gli autori di questi attacchi non divennero mai noti. Il loro movente potrebbe essere stata la lentezza con cui il governo italiano implementò l’autonomia altoatesina.

Nel 1986 comparve un nuovo gruppo terroristico, chiamato Ein Tirol (tradotto dal tedesco “Un Tirolo”), fondato dal pregiudicato Karl Außerer, ex membro del BAS. Il gruppo fu sciolto con la cattura dello stesso Außerer, processato a Innsbruck.

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Ein Tirol colpì la sede RAI in Piazza Mazzini a Bolzano e la condotta forzata della centrale idroelettrica di Lana e organizzò attentati incendiari contro le abitazioni di politici di lingua italiana. Le azioni di Ein Tirol ebbero l’effetto di rallentare il processo d’autonomia e favorire i risultati elettorali del Movimento Sociale Italiano. Essi contribuirono inoltre a peggiorare sensibilmente i rapporti fra i due gruppi etnici italiano e tedesco.

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Secondo più recenti indagini storiche i servizi segreti giocarono un ruolo decisivo nel fomentare le attività di Ein Tirol. Dopo l’incarceramento o la morte dei protagonisti della prima generazione degli attentatori BAS l’organizzazione paramilitare Gladio infiltrò sistematicamente il gruppo Ein Tirol usandolo per i suoi scopi nell’ambito della “strategia della tensione”. Spesso gli attentati avvenivano alla vigilia di elezioni politiche.

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In risposta a queste attività si formarono due movimenti di estrema destra italiani, l’Associazione Protezione Italiani e il Movimento Italiano Alto Adige, che rispondevano a loro volta con la violenza, con diversi attentati incendiari, come quello alla casa del Presidente della Provincia Silvius Magnago. Secondo alcuni, anche questi gruppi potrebbero avere avuto contatti con i servizi segreti italiani. Ma questo lo approfondiremo nelle prossime puntate anche con il supporto di documenti (desecretati) dell’apposita commissione d”inchiesta parlamentare.

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