PIETRO PAOLO GIORGIO ORSI
Rovereto, 17 ottobre 1859 – Rovereto, 8 novembre 1935
a cura di Cornelio Galas
Paolo Orsi nacque a Rovereto, città al tempo facente parte dell’Impero austro-ungarico, e questo favorì i suoi legami culturali con la Mitteleuropa.
Dopo gli studi presso l’Imperial Regio Ginnasio di Rovereto, si trasferì a Vienna per seguire corsi di storia antica e archeologia. Continuò gli studi presso l’Università di Padova e si laureò a Roma. Poi frequentò la Reale scuola italiana di Archeologia a Roma, la scuola d’arte classica a Bologna e paleontologia di nuovo a Roma.
Durante le sue prime ricerche, che condusse nella sua terra di nascita, scoprì la zona preistorica del Colombo a Mori nel Trentino. Dopo un breve periodo di insegnamento al liceo di Alatri in provincia di Roma, entrò nella direzione generale delle antichità e delle belle arti e successivamente alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze.
Non avendo superato il concorso per la cattedra di archeologia all’Università di Roma, rimase, nei ruoli della pubblica amministrazione, come ispettore degli scavi e dei Musei, e nel 1890 fu inviato a Siracusa, dove si dedicò allo studio della preistoria con attenzione alle sedi e alle origini dei Sicani, Siculi e Itali e ai centri dell’età del Bronzo Thapsos e di colonie greche quali Naxos e Megara Hyblaea.
Nel lavoro sui monti Iblei e la valle che porta al mare scoprì templi, necropoli, mura, palazzi, monete e altro e riportò alla luce l’antica città Casmene. Diede una particolare interpretazione sull’architettura della Basilica di San Foca a Priolo.
Fu “Commissario” del Museo Nazionale di Napoli per un breve periodo (1900 – 1901), lasciando però un’impronta indelebile. Infatti gettò le basi per il suo riordinamento globale (realizzato poi dal successivo direttore Ettore Pais), individuando dieci grandi raccolte di materiali.
Nel 1907 ebbe l’incarico di organizzare la Soprintendenza della Calabria con sede a Reggio Calabria, e contribuì alla nascita del grande Museo Nazionale della Magna Grecia, lavorò in particolare a Reggio, a Locri a Crotone a Sibari a San Giorgio Morgeto, a Rosarno dove continuò lo studio sulla Magna Grecia. Scoprì città, un tempio ionico, antiche mura e i siti di Medma, Krimisa e Kaulon. Scavò per diversi anni a Monteleone di Calabria (attuale Vibo Valentia). Nel 1931 fondò con Umberto Zanotti Bianco la rivista «Archivio storico per la Calabria e la Lucania».
Mantenne sempre il doppio incarico fino alla nomina di un Soprintendente per la Calabria nel 1924 e si concentrò nell’attività in Sicilia rifiutando la nomina alla cattedra universitaria. Restò anche dopo il pensionamento a lavorare a Siracusa per l’ordinamento del museo di Siracusa che oggi porta il suo nome.
Sempre nel 1924 fu nominato senatore del Regno d’Italia. Scrisse oltre 300 lavori di fondamentale importanza, che lo portarono a vincere il Gran Premio di Archeologia dell’Accademia dei Lincei. La sua bibliografia fu ricca di opere e di temi, dalla Preistoria all’età medievale con grande attenzione alla Sicilia Orientale e alla Calabria, oltre che al territorio di Rovereto, delle Alpi e dell’Alto Adige.
Fu tra i fondatori della Società Italiana di Archeologia nel 1909 e, per quanto riguarda il Trentino, i suoi lavori furono spesso realizzati in collaborazione con Federico Halbherr, già suo collega per qualche anno all’università di Vienna. Fu membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. A lui e a Halbherr è dedicata l’annuale Rassegna del cinema archeologico che si svolge presso il Museo Civico di Rovereto e da alcuni anni a Reggio Calabria.
Il Museo Archeologico di Siracusa, a lui intitolato, e il Museo Archeologico Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, contengono una grandissima quantità di reperti risalenti a un periodo che va dalla preistoria sino al periodo greco, provenienti da ritrovamenti di tutto il territorio della Sicilia e della Calabria.
Nei primi decenni dopo la formazione dell’unità, si realizza in Italia il periodo delle grandi ricerche sul terreno volte specialmente alle civiltà preistoriche e protostoriche dell’Italia settentrionale. Gli interessi iniziali e profondi della ricerca nell’Orsi hanno origine, come è noto, nella Valle dell’Adige e nelle valli adiacenti al Trentino. Camminatore instancabile dall’occhio attento ai fenomeni del terreno, esprime con innata autorevolezza e prepotente evidenza tutta la passione.
Gli studi medi a Rovereto, quelli universitaria Vienna nell'”Historisches Epigraphisches Seminar”diretto da Otto Benndorf e dal Borrmann, gli danno il necessario inquadramento culturale, di cui con giovanile fervore si serve per i primi lavori a stampa. Ma i frequenti sondaggi e gli instancabili sopralluoghi nella sua terra rivelano subito la vastità degli orizzonti che si apriva al suo sguardo indagatore nonché degli impulsi offerti alla ricerca.
Da uno studio sulla topografia del Trentino in epoca romana del 1880 ad un viaggio archeologico nelle vallate occidentali, al gruppo di aes grave rinvenuto a Trento stessa, dal ripostiglio di bronzi dell’età del ferro di Caldaro, con la illustrazione di una nota situla, all’identificazione dell’insediamento litico del Colombo di Mori in cui per la prima volta si cerca di chiarire il significato del neolitico nelle valli dell’Adige, del Sarca e del Noce, allo studio della necropoli di Vadena in un ampio arco di tempo che va dal X al IV sec. a.C. È tutta una serie di contributi dai quali ancora oggi gli studiosi attingono le prime origini di conoscenze preziose.
Ma l’Orsi al solito non si limita a periodi archeologici remoti; affronta, reso forte della sua preparazione filologico-epigrafica, lo studio delle iscrizioni romane nel Trentino e anche nella lontana Albania, si ferma a rintracciare i monumenti che attestano la diffusione del Cristianesimo nel Trentino prima del Mille, ad illustrare scoperte archeologiche nelle Alpi Giulie ed in Istria, attinge insomma i più vasti interessi nei territori limitrofi alla sua terra.
E se fosse rimasto al nord avrebbe certamente dato vita ad una ricostruzione storica di tutta la zona delle Alpi centrali ed orientali, con quella tipica ansia di orizzonti sempre più ampi e storicamente inesplorati che è alla base profonda di tutta la sua mentalità di indagatore di antiche civiltà, che non si arresta mai al terreno che ha davanti agli occhi ma vorrebbe spiccare talora «un folle volo», nuovo Ulisse dantesco.
Dopo un brevissimo periodo di insegnamento nelle scuole secondarie di Alatri ed un altrettanto breve periodo di vicebibliotecario alla Nazionale di Firenze il destino dirige decisamente i suoi passi, anche su amichevole suggestione del grande maestro filologo Domenico Comparetti, verso la Sicilia, per succedere all’antico direttore del Museo siracusano Francesco Saverio Cavallari.
Nell’ambito di un breve ricordo come questo non è possibile neanche sfiorare l’importanza ed il significato delle ricerche giovanili dell’Orsi dedicate allo studio delle civiltà preistoriche in Alto Adige e, in genere, in Italia settentrionale, anche per l’incompetenza di chi scrive; crediamo tuttavia di non andare lontano dalla verità nel sottolineare che i suoi studi, collocati nel tempo in cui si verificarono, fra il 1878 ed il 1890, restano come stimolo verso l’identificazione delle fasi neolitiche, enee e del ferro in queste terre, e proprio da loro sorgeranno nuove valutazioni delle civiltà preistoriche del Trentino.
La prima manifestazione dell’attività scientifica dell’Orsi in Sicilia, un anno appena dal suo arrivo, è quella di certi appunti sulla paletnologia di Siracusa e del suo territorio. Essa non solo conferma la continuità dei suoi interessi diretti allo studio della preistoria nel nuovo campo di lavoro, ma rivela il fermo proposito che anima gli inizi di questa luminosa carriera scientifica, cioè quello di illustrare la civiltà dei Siculi in modo fondamentale ed essenziale.
A questi problemi subito affrontati dagli inizi dedicherà circa mezzo secolo di ricerche senza sostare mai e sotto tutti gli aspetti possibili. Un’attenzione incessante che viene a mano a mano accrescendosi con l’acquisto prezioso della conoscenza del terreno conquistato palmo a palmo, come era sua abitudine; basta un semplice sguardo alla produzione scientifica fra il 1890 ed il 1900 per rendersi conto della inesauribile ricchezza delle indagini effettuate nel decennio. Sono in tutto ben dieci i contributi a stampa di questo periodo, parecchi di notevole consistenza.
Da Pantalica con le necropoli del bronzo e del ferro, allo stanziamento neolitico di Stentinello, alla necropoli del Plemmirio presso Siracusa dell’età del ferro, alle estese necropoli enee di Castelluccio ( eccezionale risultato di ricerche che restano celebri nella storia delle scoperte per la rivelazione dei rapporti con le civiltà egee da lui individuati con chiaroveggenza) ai sepolcri siculi in provincia di Siracusa e così via; è tutto un organizzarsi di periodi e di fasi che vanno delineandosi in quella divisione di quattro periodi che in sostanza, anche se con qualche aggiustamento cronologico, restano ancora oggi nella preistoria sicula.
Né si dimentichi gli scavi della necropoli di quella Thapsos dove per la prima volta egli identifica le tracce della civiltà micenea come doveva poi luminosamente confermarsi nelle esplorazioni recenti dal 1968 in poi.
Si pensi che in quello stesso decennio la febbrile attività orsiana ritorna, nei brevi spazi di cosiddette vacanze, ai problemi lasciati in sospeso altrove; e così ha il tempo di occuparsi delle monete del Museo di Rovereto, della necropoli romana di Bassano Veneto, e dei Vittoriati di Caltrano Vicentino, del ripostiglio dei bronzi di Calliano.
Ma imposta anche per la prima volta nella ormai sua Siracusa i problemi archeologici dell’età sto rica della città, ivi compresi quelli degli ipogei cristiani, delle chiese bizantine del territorio, e poi della vicina Eloro (anch’essa oggi scavata e identificata sullo stimolo offerto dalle sue ricerche). E il suo occhio implacabile identifica anche, nello stesso periodo, nella colonia dei Locresi Opunzi ed Ozolii della costa ionica una delle espressioni più alte dell’architettura greca in Magna Grecia, nel tempio ionico.
La sua figura gigantesca di ricercatore mai soddisfatto delle conquiste ottenute meglio si apprezza fermandosi per un momento su due ordini di considerazioni. Anzitutto cercando di comprendere il metodo da lui seguito, e poi la continuità inventiva, direi, delle sue scoperte. È questa continuità che oggi si apre al nostro sguardo (proprio attraverso le grandi imprese archeologiche realizzate) a partire dal 1935 in poi, anno della sua scomparsa.
Un esempio della struttura della ricerca storica dell’Orsi possiamo trarlo da tre monografie famose, quella su Camarina del 1899, quella su Gela del 1906, quella sull’Athenanion di Siracusa del 1912. La prima era stata affrontata nel 1899 in un breve cenno preliminare, ma ripresa nel 1903 con maggiore ampiezza.
Al vero e proprio giornale di scavo condotto con la descrizione tomba per tomba, è preposta una descrizione del paesaggio , delle tracce superficiali di un abitato «neolitico», nonché la valutazione di una statuetta calcarea di atleta in riposo certa mente di IV e forse III sec. a.C., e di statuette bronzee appartenenti ad un grande sostegno di lebete della fine del VI secolo.
Sono degli excursus culturali in cui, servendosi della scarsa bibliografia del suo tempo, mette a fuoco la situazione storica del centro che vuole illustrare. Le osservazioni sono spesso superate dalla specializzazione moderna in tante parti della classicità, ma danno la misura delle capacità analitiche dello studioso attentissimo a cogliere sempre le sfumature culturali e storiche del problema di un centro antico.
Chi conosce la bibliografia della quale l’Orsi poteva servirsi allora, avendo per giunta frequentata la biblioteca da lui lasciata al Museo siracusano, ritrova richiami familiari e ripercorre con ricordo commosso il suo cammino rivolto ad attingere una sua verità storica. In questi panorami introduttivi non mancano osservazioni sull’ambiente naturale, sul paesaggio, sull’aspetto, diremo oggi, ecologico del problema sottoposto alla nostra attenzione. Segue, nel caso di Camarina o di Gela, la descrizione dei sepolcri con particolari sulla disposizione degli scheletri, sui residui di sacrifìzi.
All’analisi fa seguito un capitolo dedicato ai risultati sintetici, rivolti, egli dice, «a chi non ha tempo di leggere la lunga esposizione ed il circostanziato diario degli scavi».
II panorama tracciato non è una ripetizione pedissequa del già detto, ma un ampliamento limpidissimo di confronti con altre necropoli greche, con un’analisi dei riti funerari (cremazione e inumazione) con richiami ad altre necropoli siciliane; la forma dei sepolcri viene distinta in ben 12 tipi, mentre una statistica del contenuto delle tombe divisa per forme e tecnica vascolare ed uno sguardo alle importazioni attiche in Sicilia ed a Camarina conduce a conclusioni cronologiche.
La necropoli di Passo Marinaro occuperebbe due secoli, dalla metà del V fino alla distruzione della città da parte dei Romani nel 258. Disegni del Carta e del Palizzi illustrano le scene vascolari, alcune delle quali notevoli come quelle di una pelike di Polignoto il ceramografo. Lo stesso metodo, con un ampliamento della visione storica e topografica, è adottato nella memoria del 1906.
Per Camarina, ricca colonia siracusana fondata nel 598 a.C. di cui l’Orsi aveva rinvenuto le necropoli, un tempio e aveva identificato l’acropoli, dobbiamo dire che le ricerche sono proseguite ampiamente da parte del Di Vita e di Paola Pelagatti, che ormai è individuato il perimetro di ben 7 km. delle mura, e che diversi quartieri della città nel loro impianto urbanistico di ricostruzione timoleontea (fra il 339 ed il 275 a.C.) sono noti. L’impulso è stato proprio quello dell’Orsi, offerto dalle escursioni sul terreno delle quali restano, nei noti taccuini di scavo, numerosi documenti utilizzati ampiamente dai successori.
Ancora più ampio e ormai avviato verso una sistemazione di carattere urbanistico anche moderna è il caso di Gela, colonia rodio-cretese fondata nel 698 presso le foci del fiume omonimo. Anche qui lo stimolo delle ricerche orsiane è stato immenso.
Nella memoria, con un discorso più complesso, l’archeologo descrive il non facile paesaggio determinato anche dal corso capriccioso del fiume, fa un profilo storico del problema, legato come è noto a Siracusa con la dinastia dei Dinomenidi, e illustra anche l’aspetto preistorico della situazione fermandosi sull’insediamento di Monte Lungo e di Manfria, località limitrofe a Gela che saranno, insieme con altre decine, oggetto di fruttuose esplorazioni negli anni dal 1950 al 1970 circa da parte dell’Adamesteanu e dell’Orlandini.
Si deve anche all’Orsi l’intuizione che la collina di Bitalemi alla foce del fiume era occupata da un santuario arcaicissimo dedicato a Demetra e Kore, identificato poi dall’Orlandini con un vero e proprio thesmophorion. Ed anche l’identificazione di un piccolo heroon dedicato ad Antifemo e di due templi si deve all’Orsi, seguita da esplorazioni moderne.
Ed infine l’idea che intorno a Gela ci fosse una vera e propria corona di stanziamenti siculi corrispondenti alla larghezza della città (da Piano Notaro alla contrada Mulino a Vento) è alla base anche di ricche ricerche seguite ai nostri giorni.
Tutte le colline di questo entroterra sono state percorse da lui a piedi o con l’asino, e almeno un cenno nei taccuini esiste; da Butera a Bitalemi, da Niscemi a monte Bubbonia, per non citare che alcuni dei grandi caposaldi fortificati degli indigeni siculi, egli ha additato ai successivi scavatori la strada della ricerca: illustrare i rapporti degli indigeni con i coloni greci.
Certamente oggi altri numerosi centri greco-siculi del l’entroterra sono noti, ma l’impulso è stato anche qui offerto dalla sua penetrante concezione dell’analisi sul terreno. E se oggi l’esplorazione sul terreno condotta con mezzi aerei ha dato notevoli risultati, non c’è dubbio che il territorio esplorato con mezzi addirittura semplici dall’Orsi aveva già additato la via da percorrere con grande saggezza.
Infine è a Siracusa, come è naturale, che l’archeologo, nella sua residenza lunga e solitaria , ha offerto una delle più prestigiose monografie sul passato siculo e greco. Alludo alla monografia sull’Athenaion o tempio di Atena, oggi ancora considerato uno dei monumenti più originali dell’intera Sicilia; il duomo, come è noto, della città.
Lo studio è del 1919; è la pubblicazione degli scavi effettuati in via Minerva e adiacenze, a pochi metri da quella umile stanza dell’albergo Roma dove ha passato in solitudine quasi mezzo secolo della sua esistenza. In questo approfondito esame del sottosuolo egli è riuscito a identificare le tracce degli insediamenti siculi, poi in parte distrutti dalle fondazioni del tempio di Athena del 480 a .C.
Fra le altre emergevano i resti forse di un’ara e di una costruzione allungata a megaron che poteva far pensare ad un edifizio sacro antichissimo. Ma l’Orsi non lo dice espressamente, lo fa intuire; è questa la ricerca più difficile ed estremamente complessa che dal punto di vista tecnico egli abbia compiuto non solo nella città ma nell’intera Sicilia.
Negli scavi di via Minerva, sul fianco nord della strada, l’Orsi aveva sfiorato le fondazioni di un altro tempio, di ordine ionico, forse l’Artemision di ciceroniana memoria, interrotto dalla costruzione del tempio di Athena quando Gelone arrivò nel 483 a.C. a Siracusa. Oggi conosciamo questo tempio non finito, dalle colonne imponenti, costruito forse da fuorusciti di Samo, e certamente segno eloquente di una politica profondamente diversa dei predecessori dei Dinomenidi. Anche qui, a piene mani, lo spunto a proseguire le ricerche intorno all’Athenaion viene proprio da lui, al solito.
E che dire di Megara Iblea, la cui prima indagine del 1890 e del 1899 sarà di stimolo alle ricerche francesi dal 1960 in poi? Ma in quest’opera di antesignano della ricerca archeologica in Sicilia non vanno dimenticate le appassionate indagini relative ai momenti cristiani di Siracusa, di Catania e della stessa provincia di Siracusa.
Dall’esplorazione della catacomba di San Gio vanni nel 1893 e 1895, proseguita nel 1906, a quella di San Marziano del 1907, della Cassia nel 1915-1919, di Santa Lucia nello stesso periodo, alle ricerche delle vestigia delle comunità cristiane di Canicattì, Modica, Spacca forno, Cava d’Ispica, Ferla, Cassibile, Priolo, Molinello.
A questo punto c’è un’ultima cosa, e non piccola, da dire su questa attività che ha del miracolo; che fra il 1911 ed il 1924 egli ebbe anche la direzione della Soprintendenza calabrese, con responsabilità che lo ama reggiarono molto, ma che spronarono la sua indomabile volontà di ricerca ancora di più. Il suo grande interesse per i monumenti cristiani in genere ebbe modo di esplicarsi su alcuni gioielli dell’architettura bizantina in Calabria come la Cattolica di Stilo, restaurata sotto la sua guida, Santa Maria di Tridetti, San Marco Argentano.
Orsi aveva diretto il suo sguardo alla Magna Grecia con la scoperta del tempio ionico a Locri; fra il 1910 ed il 1915 intraprende grandi campagne di scavo sempre a Locri.
Centinaia di tombe ( per l’esattezza 975) con migliaia di vasi per lo più frammentari, terrecotte, bronzi, sono rivelati da quegli scavi, che non si limitano tuttavia alle grandi necropoli ma affrontano in purtroppo brevi indagini il grande problema ancora oggi non risolto del santuario di Persefone; è il prodigioso rinvenimento della più straordinaria raccolta di tavolette votive che mai si sia trovata in Magna Grecia e Sicilia, quella dei pinakes fittili, ancora oggi per gran parte inediti.
Agli scavi di Locri, che da soli costituirebbero il grande merito di un archeologo, Orsi aggiunge quelli dell’antica Medma con la rivelazione di una grande fossa votiva i cui materiali oggi in parte meno noti ( ma già avviati finalmente ad una conoscenza assai buona) contengono centinaia di terrecotte figurate di grande interesse religioso.
Non piccolo merito è qui l’identificazione dell’antica Medma, in polemica con uno studioso locale di fonti antiche che avrebbe voluto stabilire invece il centro antico di Medma a Nicotera e non a Rosarno. Gli scavi effetuati e lo studio ripreso delle terrecotte medmee hanno dato ragione all’Orsi.
Nel 1924, già sessanticinquenne, egli compì l’ultimo scavo calabrese a Cirò col rinvenimento di un tempio e di una testa marmorea forse apollinea , ancora oggi oggetto di alcune perplessità , ma che costituisce un rarissimo esempio di aerolito marmoreo. In questo scavo come in altri lavori scientifici in Magna Grecia gli fu vicino quella Società Magna Grecia creata dalla volontà e abnegazione di un uomo di cultura di alto intelletto che fu Umberto Zanotti-Bianco.
La corrispondenza fra l’Orsi e questo organizzatore instancabile, pieno di iniziative sociali e legato come pochi lo furono all’Italia meridionale , sulla scia della Società per il Mezzogiorno e della personalità di Giustino Fortunato, andrebbe conosciuta e pubblicizzata, perché aiuta anche a comprendere quale fosse la fiamma della ricerca che stava nell’animo dell’Orsi.
Fra le tante attività dell’Orsi in Sicilia non vanno dimenticati quegli enormi libroni degli Inventari del Museo riempiti accuratamente di suo pugno dalla calligrafia sottile e chiara, ben nota a chi ha frequentato quel Museo. Aveva soltanto tre collaboratori dei quali non dobbiamo dimenticare il ricordo, Rosario Carta, disegnatore, Giuseppe D’Amico, restauratore che faceva anche da assistente di scavo, e un custode, il De Tommaso.
Ma l’inventario dei materiali del Museo a lui carissimo, e del quale era gelosissimo custode, costituiva un dovere persona le al quale non si sottraeva in alcun modo.
Oggi gli inventari del Museo siracusano non sono riempiti dalla stessa calligrafia per necessità, ed i collaboratori ci sono; ma negli anni dal 1890 al 1932, ogni giorno quando era in sede lo studioso dedicava le ore di cosiddetto riposo alla catalogazione ed all’inventario, con un accanimento simile a quello che poneva nell’annotare nei ben noti taccuini ogni evento della giornata. La quale era di una pienezza di attività inusitata. Iniziava all’alba (ancora prima degli spazzini che lavoravano nella piazza Duomo) e finiva la sera a buio.
Certamente è stato un uomo terribilmente solo; negli ultimissimi tempi, già quando il male lo tormentava, sedeva davanti al suo Museo circondato dai ragazzini e dai poveri che ricevevano i «piccioli», come egli diceva, delle sue elemosine, quasi a cercare in questi atti di carità anonima un conforto alla sua solitudine.
Talora, dai taccuini emergono questi sentimenti di solitudine e di pudico abbandono alla malinconia con brevi frasi con punti esclamativi. Ma ogni minuto, ogni dettaglio della operosissima giornata era ricco di intensa passione per la ricerca scientifica. Soltanto così è possibile spiegare quella immensa ricchezza di lavoro intenso e costante.
Allorché i primi segni di deperimento fisico cominciarono forse troppo presto a farsi sentire (fu nel 1923, all’età di 64 anni, ed il suo organismo era minato da un tipo di lavoro fisico terribilmente austero e senza riguardo alcuno per la fatica) scriveva in uno dei rari momenti di abbandono: «Io tengo alla vita solo per il lavoro».
Nell’ultimissima fase del suo lavoro, lo sguardo dello scienziato ricercatore era andato sognando la possibilità di spostare l’indagine verso il centro della Sicilia, e precisamente verso la località di quella Sant’Angelo Muxaro dove oggi stanno comparendo chiare tracce della civiltà micenea che confermano anche la tradizione storica sui contatti dei Siculi e Sicani e del regno di Kokalos con influenze cretesi.
Fu il suo ultimo tentativo di esplorazione, che portò soltanto ad un breve articolo negli atti della Accademia di Palermo. Quando era di nuovo tornato in Trentino, che, pur lontano da tanti anni, non aveva mai dimenticato si capì che fosse così provato non soltanto dai numerosi accenni che nei taccuini alludono proprio agli affettuosi rimproveri dei conterranei che si sentivano abbandonati dal loro grande compatriota, ma da quella piccola collezione archeologica messa su da lui, e della quale tutti ignoravano l’esistenza in anni lontani.
Ma c’è un altro aspetto della vita operosa ed instancabile di questo grande archeologo che vorrei sottolineare alla fine. Dalla lettura special mente dei taccuini emerge la statura internazionale dell’opera dell’Orsi.
Da Siracusa, proprio per la sua grande ricostruzione della vita antica della Sicilia e della Calabria, passavano tutti; da Lenormant a Picard a Collignon ad Homolle, fra i francesi più illustri, ad Ashmole e Beazley fra gli inglesi, a Helbig, Amelung e Robert, allo stesso Mommsen fra i tedeschi, al Benndorf suo maestro, è tutta una serie di celebri studiosi che, attirati dalle sue scoperte, giungevano accolti con sorridente austera bonomia; non mancano accenni a visite di altri perso naggi di diversa importanza politica, come appare in un resoconto dettagliato della permanenza a Siracusa dell’imperatore Guglielmo II.
Ma non dimenticava davvero l’opzione per la cittadinanza italiana fatta nel 1894 con Federico Halbherr. È questa proiezione della sua personalità nella cultura specializzata europea della fine del secolo scorso e dei primi trent’anni del nostro che off re a Siracusa un’occasione mai verificatasi prima, e cioè quella di diventare sede di un Museo fra i più autorevoli d’Europa per lo studio dell’archeologia siciliana e preistorica in generale.
Eppure nella sua profonda convinzione di redigere relazioni provvisorie, con una modestia esemplare, l’Orsi non volle mai scrivere una storia od una ricostruzione della Sicilia antica che sarebbe stato bene in grado di fare; per lui, l’ansia di nuove scoperte prevaleva su tutto; egli ha dato un contributo eccezionale agli studi archeologici con un senso del limite delle sue forze che stupisce.
Di fronte alla testimonianza archeologica che sa analizzare con penetrazione eccezionale, non osa mai concludere in qualche modo sul suo valore storico, e si chiude in una prudente attesa che altri facciano tesoro dei fatti che ha posto davanti agli occhi. Sicché ci sembra che si addica a tutta la sua immensa produzione scientifica quello che un grande studioso dell’antichità ha detto sul significato della ricostruzione storica del mondo antico:
«Soltanto la scoperta di nuovi fatti rende consapevoli dell’intuizione che la storia dipende dalle testimonianze; e la scoperta di nuove testimonianze è una perpetua sfida a dar credito alle conclusioni».
Conclusioni che il grande studioso, profondamente convinto di non avere avuto il tempo di meditare sulle grandi scoperte sempre incalzanti, non volle mai trarre se non come provvisorie opinioni emerse dai fatti controllati e faticosamente analizzati che la terra gli aveva offerto. Era insomma un viandante che raramente si volgeva indietro, ma nell’ansia di procedere non si arrestava mai, perché la sua vita era lo stesso cammino che stava dinnanzi ai suoi occhi penetranti.
“Ché io appartengo ormai alla generazione che tramonta. Ho la coscienza di aver compiuto in un ventennio il dover mio con passione ed amore ad una regione che mi ha dato soddisfazioni spirituali e scientifiche indimenticabili fin ch’io viva. Possa la nuova generazione degli archeologi e studiosi dell’arte, coi più abbondanti mezzi di cui dispone, continuare la modesta opera mia e cogliere nuovi allori, che non le possono mancare.»
Così Paolo Orsi concludeva nel 1927 la Prefazione di uno dei testi fondamentali per la conoscenza dell’architettura bizantina in Calabria – Le chiese basiliane della Calabria – riassumendo in poche righe i motivi che lo avevano condotto a percorrere, in condizioni tutt’altro che agevoli, strade e sentieri impervi di una terra a cui restò sempre profondamente legato.
Il museo a lui intitolato a Siracusa, opera poi continuata dall’illustre archeologo Luigi Bernabò Brea negli anni del dopoguerra. da 1967, si rivelò insufficiente per lo spazio espositivo per l’abbondanza di materiale provenienti da grandi campagne di ricerca e scavo nei maggiori siti archeologici della Sicilia orientale. Si dette quindi avvio con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno e dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali alla costruzione dell’edificio del nuovo Museo, inaugurato nel 1988.