TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 30

INES FEDRIZZI

Cadine, 7 novembre 1919 – Trento, 18 marzo 2005

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a cura di Cornelio Galas

Ines Fedrizzi, nata a Cadine nel 1919, artista poliedrica e raffinata gallerista, è stata un punto di riferimento per molti protagonisti dell’arte contemporanea. Legata al Mart da un decennale sodalizio, ha voluto donare, nel 2003, gran parte della sua produzione che rimane oggi un unicum per originalità ed estro creativo.

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Il suo percorso artistico fu sempre una continua esplorazione di diverse tecniche e gesti pittorici: dalle prime sperimentazioni del dripping al frottage, con le grandi opere del periodo “improntale” fino alle sue celebri “tavole della memoria” degli anni ’90. La sua ricerca, più che intima e introspettiva, era rivolta all’indagine fenomenologica dell’universo, ricostruendo sulla tela, attraverso il colore e la luce, geometrie e ritmi della natura.

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A Ines Fedrizzi va inoltre riconosciuto il ruolo fondamentale di animatrice culturale della scena artistica trentina, per aver contribuito in maniera fondamentale a stimolare e far crescere un’intera generazione di artisti tra gli anni Settanta e Ottanta. Da ragazza aveva frequentato l’accademia linguistica a Genova; poi, tornata a Trento, aveva dato libero sfogo alla sua passione per le arti figurative. Aveva fondato lo studio d’arte l’’Argentario’’, attraverso il quale erano passato nomi illustri e che era stato incubatore di giovani talenti.

Come pittrice, si era distinta per uno stile cromatico molto personale. Era conosciuta in tutta Italia e nel novembre 2002, Ines Gretter Adamoli le aveva dedicato un libro di 184 pagine, dal titolo ‘’Ines, una vita’’, nel quale sono raccolte le tappe di 80 anni di esperienze artistiche.

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Era figlia del partigiano ‘’Giotto’’, trucidato dai nazisti nel corso dell’ultimo conflitto ed alla cui memoria, proprio per l’impegno della figlia, le autorità trentine elevarono un cippo.

Rinaldo Sandri

Rinaldo Sandri

Scriveva di lei, nel 1978, il compianto collega Rinaldo Sandri (che ho avuto l’onore, la fortuna di conoscere molto bene a “l’Adige”): “Ines Fedrizzi è una donna che trasforma, impreziosisce, vorrei dire trasfigura, tutto ciò che vede, tutto quello che le passa fra le mani. Pittrice, gallerista, antiquario, creatrice di stoffe e oggetti d’arredamento: un’artista poliedrica, raffinata, con una personalità estroversa ed acutissima.

Ines Fedrizzi nel suo laboratorio

Ines Fedrizzi nel suo laboratorio

Tutti coloro che frequentano artisti e gallerie, a Trento prima o poi si sono scontrati, o almeno misurati, con lei: perché Ines Fedrizzi non permette la neutralità, il quieto vivere, il vedremo dopo. Irruente come un’acqua di montagna, è una di quelle persone dai propositi di ferro, indistruttibili, litigiose, ma con improvvise tenerezze, che non si fermano mai.

Ines Fedrizzi

Ines Fedrizzi

Conta qualcosa, probabilmente, anche il fatto che sia la figlia di un capitano dei partigiani (Emilio “Giotto” Fedrizzi) ucciso a Torino dopo una lunga, irriducibile militanza antifascista, e proprio a causa di quella.

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Se ricorda qualcuno, vien fatto di pensare ad Anna Magnani, ma con un’inquadratura nordica, più contenuta: simile tuttavia nell’estro inventivo, nel piglio di chi va diritto allo scopo, secondo l’impulso di un femminismo ante litteram, di una ribellione che appare frutto non di calcolo, ma di preciso carattere.

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Trento è una città lontana dai canali di diffusione delle arti; pensare d’inserirvela, negli anni Sessanta, quando in coincidenza con il boom economico, così accade, anche le tendenze artistiche si elettrizzarono, sembrava impresa ciclopica per i contatti necessari, le relazioni da coltivare, l’informazione puntuale ma veloce.

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Ines Fedrizzi

Ines Fedrizzi ci riuscì, e non soltanto sporadicamente, al punto che la galleria d’arte “L’Argentario”, prima in via Oss Mazzurana, poi in via Roma, divenne una specie di meta obbligata per chi voleva esporre in Alta Italia: una mostra a “L’Argentario”, nel curriculum di un giovane artista, segnava un punto di serietà e professionalità.

“L’Argentario” iniziò con l’allineare opere di pittori che facevano riferimento a Carlo Cardazzo. Vennero a Trento all’inizio degli anni Sessanta Emilio Scanavino, Remo Bianco, Bruno Saetti, Mario Deluigi, Lorenzo Viani, Agostino Bonalumi, Getullio Alviani, Luigi Spazzapan, Tancredi, Virgilio Guidi, Giuseppe Santomaso, Concetto Pozzati, Riccardo Licata, Toni Fulgenzi, Milena Milani, Giovanni Korompay, tanto per fare qualche nome.

E poi Armando Pizzinato, Basaglia, Nobuya Abe, Riccardo Manzi, Remo Brindisi, Soto e il gruppo venezuelano; e con questi centinaia di altri operatori che riveleranno, poi, negli anni, il proprio valore.

Nemmeno tra i suoi nemici (in un’attività così precisa e dinamica è facile incontrare detrattori) ve n’è uno che non riconosca a Ines Fedrizzi il merito, non esiguo, di avere impresso al sonnolento trantran di Trento un’apertura culturale di vasto respiro, convogliando l’interesse del pubblico e di molti collezionisti a conoscere, a confrontarsi con le correnti vive dell’arte: anche coloro che sostenevano accademiche, auliche concezioni – pur criticamente – hanno dovuto fare i conti con ciò che non potevano ormai più ignorare.

Sulle reazioni della città dopo tutto questo lavoro, Ines Fedrizzi dimostra di non essersi mai illusoriamente attesa niente di più di quanto sembra lecito: “Trento è un po’ apatica – dice – ma è la mia città. Ciò che ho fatto l’ho fatto anche se non mi aspettavo niente, perché era giusto in quei momenti preparare quelle mostre, portare quei nomi. Era l’unica cosa da fare”.

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Furono Fortunato Depero, da una parte, ed Erminio Macario, dall’altra, a spingerla a cominciare. Prima di aprire “L’Argentario” Ines Fedrizzi si occupava di arredamento e della compravendita di oggetti dell’antiquariato minore.

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Depero teneva una mostra personale nella sala della Camera di commercio e le apparve spiritato, pieno di amarezza. Oggi se ne falsifica l’opera, ma allora egli faceva la fame. Le regalò una stampa e nello stesso tempo cercò di scoraggiarla dal dedicarsi alla pittura, le chiese se era impazzita: “Sarà una strada piena di delusioni”, le disse. Per un carattere come il suo, tanto bastava a deciderla. Macario le mise a disposizione la sua collezione per esporla.

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C’era una sola galleria in tutta la regione, quella di Elena Gaifas a Rovereto, la “Delfino”.  Bolzano e Trento mancavano di ogni iniziativa: gli artisti esponevano dove era possibile, in salette improvvisate o messe a disposizione da qualche ente o dagli alberghi.

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“L’Argentario” nacque nel 1960 in via Vannetti, si trasferì nel 1962 in via Oss Mazzurana, nel 1964 in via Roma. L’alluvione del 1966 coprì tutto con due metri di acqua e nafta. La distruzione sembrò non risparmiare nulla: né la casa, né la galleria, né il magazzino. Anche l’automobile venne sommersa. Un altro si sarebbe scoraggiato: Ines Fedrizzi si riprese, recuperò quel che era recuperabile, cominciò di nuovo. “Ogni giorno – dice – è una conquista”.

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Ines trasforma e trasfigura tutto quello che le arriva in mano. Ha un senso della materia eccezionale, unico: questa sua qualità è divenuta leggendaria anche al di fuori di Trento; ne ho sentito parlare con entusiasmo a Milano, a Venezia da critici ed artisti. Ha fatto bambole per arredare, tessuti, sculture di bottoni, disegnato abiti e stoffe; ha realizzato poltrone modernissime.

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Sue sono, alla fine, le magliette che divennero qualche anno fa tanto di moda, colorate irregolarmente di viola, tutte macchie. Per non parlare dell’attività di pittrice: una pittura di gesto, simmetrica, dal contenuto surreale.

Se non la si conosce, Ines Fedrizzi è difficile da avvicinare. Si difende aggredendoti: liquida con qualche frase lapidaria un approccio affrettato, e magari timido, sulla qualità di un pittore nuovo, di una tendenza. Ma è subito conquistata da un osservatore intelligente: conquistata per sempre.

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La sua cultura si rivela solida, benché d’autodidatta, intuitiva ed istintiva. Difficilmente sbaglia un giudizio. Bisogna trovarseli a fianco davanti ad un fatto nuovo, per capirlo. Le sue scelte sono frutto di attentissima esperienza. Fra le sue passioni, certamente la più nota è quella delle case. La condivide col marito, Gualtiero Giovannoni: s’innamorano di un rudere, ci lavorano e ci pensano finché riescono a ripristinarlo.

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Più l’impresa è difficile, più ci s’impegnano, imparando vecchi metodi, recuperando materiali propri, con rispetto verso l’articolazione degli spazi precedenti, senza snaturare alcun particolare, benché l’intento sembri qualche volta disperato. Si comportano come si trattasse di resuscitare una vecchia creatura, di guarirla e ringiovanirla.

Ines Fedrizzi e Gualtiero Giovannoni

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E in parte questo è vero. Una casa non è nulla se non la si può pensare abitata, calda, fatta per accogliere degli esseri umani: e tutto dev’essere perciò umano, dai muri alle finestre, dalla forma delle stanze alle suppellettili. Niente di consumistico, nemmeno in bagno. Si tratta di case raffinatissime, prive di errori, che vanno sulle riviste di architettura per la linearità, il gusto, gli accorgimento equilibrati.

Gualtiero Giovannoni

Gualtiero Giovannoni

In queste case Ines Fedrizzi e Gualtiero Giovannoni sono degli ospiti squisiti; e raramente soli. All’inaugurazione di ogni mostra ci si ritrova a decine, artisti, collezionisti, amici, per una cena durante la quale nascono conversazioni di grande interesse. Ines Fedrizzi è tipo da comperare duemila bicchieri per regalarli a Natale agli amici: ma sono bicchieri speciali, di vetro spesso, a spigoli, di quelli che non si trovano più.

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Oppure di confezionare decine di piccole borse di stoffa decorate perché i suoi ospiti possano portarsi a casa il pane che il marito ha tolto dal forno qualche istante prima, un pane impastato utilizzando vecchie ricette liguri. A conoscerla bene, Ines Fedrizzi è d’indole fanciullesca, sollecitata da rapidi e tenaci entusiasmi; eppure forte, caparbia e fantasiosa. Un personaggio eccezionale”.

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