“IMI” TRENTINI, INTERNATI, MALMENATI, INGANNATI – 7

LIBRI DA LEGGERE – 3

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a cura di Cornelio Galas

Diari, lettere, documenti autobiografici

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IL VIDEO

 

APOLLONI ADALGISO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento. Titolo: “Cinquant’anni dopo. Ricordi di fatti avvenuti durante il mio servizio militare nel periodo del secondo conflitto mondiale (1940-’45)” Tipologia: Memoria autobiografica Descrizione: Dattiloscritto, pp. 51. Memoria della guerra e dell’internamento in Germania (12 marzo 1940 – marzo 1946). Apolloni è arruolato nel 17° Regg. Fanteria Acqui e inviato sul fronte francese. Il 7 dicembre 1940 parte per l’Albania, dove combatte contro i reparti dell’esercito greco. Poi, tra la primavera del 1941 e l’agosto del 1943 sarà a Corfù, sull’isola di Santa Maura e a Cefalonia. Il 7 settembre s’imbarca per Patrasso. Qui è fatto prigioniero dai tedeschi e inviato in Germania. Lavorerà dapprima sulla linea Maginot e poi a Mannheim fino all’arrivo dell’esercito statunitense. Apolloni è di Ponte Arche, di professione negoziante. Il testo è stato dattiloscritto nel febbraio 2001.

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ASTE POMPILIO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento,copia, originale presso i famigliari. Data di nascita: 9/8/1908; Luogo: Staineri di Vallarsa; Occupazione: Insegnante Incipit: “8/9/43 Lubiana…”. Nel diario, tenuto dall’8 settembre 1943 al 19 gennaio 1945, Pompilio Aste descrive la cattura da parte dei tedeschi a Lubiana dopo l’8 settembre, la deportazione in Germania e la prigionia nei campi di Thorn, Tschensotochowa, Cholm. Molte pagine contengono indirizzi ed elenchi di compagni di prigionia.

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BENACCHIO ALDO Luogo di conservazione dei documenti: presso il figlio Rodolfo Benacchio. Il materiale complessivo comprende: (1) un diario della campagna d’Africa (con materiale iconografico, 56 pp.; (2) un quaderno con una pagina scritta durante l’internamento, in pratica quella iniziale del diario, e la minuta di una lettera del dopoguerra ad un altro ufficiale internato, con considerazioni sulla situazione generale e sull’esperienza della prigionia (5 pp.); (3) diario del periodo di prigionia (pp. 112). Nota: Vengono consegnati anche alcuni materiali originali: una dichiarazione di impegno di adesione all’idea repubblicana della RSI; una lettera di accompagnamento pacchi per prigionieri di guerra; una piastrina di riconoscimento in cartone appartenuta al ten. Benacchio.

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Ci concentriamo solo sul diario. E’ scritto in buona parte in forma di epistolario. Si tratta in gran parte di lettere non spedite alla moglie Lauretta, tra le quali sono inframezzate anche lettere e cartoline effettivamente spedite. Ma ci sono anche classiche annotazioni di diario. Si tratta di un testo complesso e di un certo interesse. L’autore è un ufficiale. Di fronte alla proposta di optare per la Repubblica di Salò, temporeggia inizialmente (pur inclinando ad una risposta positiva): nel gennaio 1944 aderisce formalmente. Le motivazioni andrebbero approfondite attraverso uno studio meno impressionistico del testo di quello che abbiamo potuto fare: influiscono certo il pensiero della famiglia e la speranza di un ricongiungimento, e anche la preoccupazione per la propria incolumità fisica, anch’essa legata al pensiero dei bambini piccoli, della moglie, della casa.

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Non ci sono entusiasmi ideologici, nelle note di B., ma non si intravedono nemmeno argomenti contrari all’opzione. “Ho aderito a combattere di mia piena e libera volontà: ora lascio alla sorte la decisione del domani”, scrive a un certo punto, pensando alla destinazione futura. I luoghi principali della sua prigionia e poi del suo impiego come aderente alla Repubblica mussoliniana sono Przemysl, dove rimane in un lager relativamente mite dal 2 ottobre 1943 al 12 gennaio dell’anno successivo; Hammerstein, in condizioni che gli appaiono più dure, fino al 13 marzo 1944; Stettino, ormai da optante sottoposto a corsi d’istruzione e in attesa di impiego; Emden dove viene trasferito il 16 maggio 1944 per prestare servizio in un “Distaccamento autonomo nebbiogeni”. Il diario si conclude sostanzialmente con l’arrivo a Emden. Il “diario”, costituito da un insieme ordinato cronologicamente di lettere non spedite alla famiglia, parte dall’8 novembre 1943, “Dal campo di concentramento di Przemysl (Polonia), mentre non è facile stabilire una datazione della documentazione contenuta nella parte finale del testo.

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BETTA BRUNO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento I famigliari hanno di recente messo a disposizione gran parte dei documenti conservati in famiglia e riferiti al periodo della prigionia in Germania, nonché al lavoro successivo sulla memoria individuale e collettiva di quell’esperienza. Si tratta di un archivio personale rilevantissimo. In attesa di un riordino vero e proprio, si segnalano qui i materiali più importanti. Ci sono due agendine di diario, dentro un’unica copertina nera. Partono dal 1943, occorre un lavoro filologico delicato per vedere in che misura coincidono con i testi editi. Ampi stralci dal diario Bruno Betta pubblicò in Gli I.M.I. Un carattere diverso, da piena rielaborazione memorialistica, hanno le pagine di 3653 giorni. Lo studio del testo originale scritto in prigionia consentirà di entrare in modo particolarmente intimo nei processi di scrittura dell’autore.

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Ci sono poi preziosissimi materiali che documentano le conferenze e tutta l’attività culturale e formativa svolta nel lager, trasformato in laboratorio di una nuova coscienza democratica. In una sorta di curriculum, scritto in terza persona, Betta elenca il suo lavoro di insegnante e animatore culturale in prigionia: I Campo di Stablach (pochi giorni), Conversazioni di filosofia ai compagni di baracca II Deblin – Irena, Arilager dal 2 ottobre 1943- 7 gennaio 1944, Corso di sociologia bisettimanale, durante tutto il trimestre. Inoltre ha tenuto queste conversazioni: Invito a pensare: pensiero e azione. Meditazione dell’educatore Riflessioni dell’insegnante .Sguardo critico alla situazione della nostra civiltà. Commemorazione del Natale: parole agli uomini di buona volontà. Inoltre ogni domenica insieme a collaboratori: L’ora della lettura con letture da Cultura e vita morale di Croce da Balbo, Mazzini, Manzoni e poeti classici e moderni (a sfondo costruttivo del gusto, del senso morale) III Beniaminowo, Lager 333 poi Oflag 73, dal 10 gennaio 1944 al 30 marzo 1944 Nuovo corso di sociologia, bisettimanale, sui seguenti argomenti: Disagio e sensata esperienza La situazione storica come situazione dell’educazione, Il cittadino e l’ora – Impegno all’educazione di sé. Della partecipazione alla vita umana come vita etico-politica. I problemi etici, sociali, politici ed economici. Relazione fra essi. In che consiste il rinnovamento etico? Il problema pratico del rinnovamento etico IV Sandbostel (Bremerwörde), Stamlag XB, dal 2 aprile 1944 al 24 gennaio 1945. Conversazioni sul Risorgimento, Asterischi di vita morale, Essere onesti per essere liberi (conversazione) La situazione politica recente.

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Fondò e diresse “Orientamenti” rivista di cultura e vita morale di cui furono letti 10 numeri (settimanale, usciva il mercoledì sera. Tiene un corso di sociologia: il problema della direzione della società, Una nuova serie di conversazioni ebbe luogo nell’Oflag 83 a Wietzendorf, ad iniziare dal giugno 1945, con più diretto carattere politico. Un appunto recente ne fornisce questo elenco: La lezione di Churchill, Libertà e responsabilità dell’esprimersi, Dialogo sull’ordine e la costruttività in regime democratico, Dialogo: Parteggiare per la Destra o per la Sinistra? Dialogo: Militare in un partito politico oppure no? Dialogo: Come scegliere il partito? Della democrazia: Considerazione preliminare sulla scelta di un partito. Il valore sociale che viene dalle capacità della persona. Dialogo: Si parla alla nuora perché capisca la suocera Alcuni motivi del pensiero socialista Di questa attività imponente B. Betta ha conservato una documentazione quasi completa: moltissimi testi interi di conferenze, appunti, schede di lettura.

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La teca “L’Orientamento (di Sandbostel)” contiene in pratica l’archivio del periodico. Ci sono poi disegni e poesie. C’è un racconto sullo stesso tema, evidentemente autobiografico, da cui il fratello Nino ha tratto “Le ali del cuculo”. Ci sono anche ritagli di articoli del dopoguerra che aiutano a costruire una bibliografia più completa degli scritti di B. Betta. Altro documento rilevante, un quaderno copialettere con le lettere inviate dalla moglie Bice. Vi sono anche una decina di lettere scritte ai due prigionieri dal padre Abramo e da altri famigliari (sfollati ai Ronchi di Ala).

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BORSATO LIVIO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento. Data di nascita: 18/5/1923; Luogo: Vigodarzere (Padova); Occupazione: geometra .Titolo: “Storielle di papà in guerra” / “Storie di guerra e di prigionia”. Tipologia: Memoria autobiografica Descrizione: Due dattiloscritti: “Storielle di papà in guerra”, Trento, 18 maggio 1993, pp. 28; “Storie di guerra e di prigionia (Seconda parte)”, Trento, 18 maggio 2002. La memoria ha inizio con l’8 settembre 1943, quando Borsato, carabiniere, si trova a Durazzo a guardia di un deposito viveri. Fatto prigioniero dall’esercito tedesco, viene deportato in Germania, dapprima a Neubrandeburg, a nord di Berlino ed in seguito a Wickede, un paese della Ruhr. Il testo, piuttosto frammentario, contiene una serie di ricordi (le “storielle” del titolo) legati soprattutto alla fame e alla ricerca di cibo. Il testo è scritto in un italiano molto corretto e scorrevole. Talvolta, nel corso del racconto, viene fatto riferimento a fotografie o “piantine” che tuttavia non risultano presenti in questa documentazione. “Storielle di papà in guerra” si tratta di una serie di racconti.

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Il primo prende il via al principio di ottobre 1943, durante il trasferimento al primo lager. E’ la storia di una rocambolesca fuga nella notte per rubare patate fuori dal campo. Il secondo racconto è ambientato alcuni mesi più tardi (“… erano già passati alcuni mesi di prigionia…”). Borsato descrive la propria fuga dalla colonna di prigionieri, mentre questa viene condotta dal Lager al luogo di lavoro. La colonna si avvia alle 5 del mattino, quando è ancora notte. La sortita riesce: egli va in una baracca di legno piena di fieno a dormire; si sveglia che è sera tardi. Si inserisce in una delle colonne che stanno facendo ritorno al campo e in questo modo non viene scoperto. Con questo sistema la fuga dal lavoro si ripete a più riprese. Durante una delle fughe Borsato viene sorpreso da un contadino che gli intima un “Komm raus!” e lo conduce nella propria abitazione, dove gli offre delle patate e del latte caldo.

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“Quasi non credevo ai miei occhi, non mi sembrava possibile che dei tedeschi potessero avere compassione di noi, anche se poi, negli anni successivi, e sia pure attraverso dolorose esperienze, ho capito che anche fra di loro si potevano trovare delle buone persone”. Il terzo racconto ci illustra come il fenomeno delle fughe dei prigionieri durante l’orario lavorativo fosse diventato una pratica diffusa, sebbene molto rischiosa. Per sopravvivere, i prigionieri compiono anche furti di barbabietole da foraggio e di frumento “ancora da battere” (che veniva poi cotto nel campo). Nel quarto racconto il protagonista entra di soppiatto in un magazzino alimentare, attiguo ad una stazione ferroviaria non lontana dal campo; mentre sta tentando di recuperare del cibo arrivano tre tedeschi e lui si nasconde sotto a dei sacchi, restandovi tutto il giorno mentre i sacchi che lo coprono, vengono presi, uno ad uno, dai tedeschi e riempiti con grano, biada, avena, orzo. Riesce a rubare qualche chilo di cereali, a nasconderli in un vicino magazzino e a recuperarli nei giorni successivi, dividendone il contenuto con gli altri prigionieri.

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Il quinto racconto ci descrive il secondo furto compiuto dal protagonista-autore nel magazzino sopra citato: egli, però, si ferisce ad un piede rompendo un vetro. Nello stesso capitolo viene dato resoconto di una tragedia: la colonna di IMI cui appartiene il protagonista, mentre transita su un viadotto ferroviario sopra un fiume, viene travolta da un treno: muoiono, parte straziati parte annegati, 6 prigionieri italiani. Nel sesto racconto Borsato ci racconta di essere stato arrestato mentre tentava di impossessarsi di una lepre caduta in un laccio. Viene portato nella prigione del campo e lasciato due giorni senza mangiare né bere. Nell’ultimo racconto del fascicolo viene narrato l’episodio del furto di una gallina da una casa di contadini. Il pollo lesso verrà poi condiviso con tutta la camerata. “Storie di guerra e di prigionia”: mentre nel primo fascicolo l’autore propone alcuni brevi racconti, senza riferimenti precisi a date e luoghi, nel secondo, fin dal principio, viene offerta al lettore una ricostruzione molto più dettagliata del periodo di internamento del protagonista. Nel settembre del 1943, poco prima dell’armistizio, Borsato ci riferisce di essersi trovato in Albania, alla periferia di Durazzo, sulla strada che porta a Tirana, come carabiniere in servizio di guardia presso un deposito viveri dell’esercito italiano. Viene catturato dai tedeschi alcuni giorni dopo l’armistizio e trasferito alla stazione ferroviaria di Skoplje. Da qui è condotto a Vienna tramite vagoni merci. Il treno muove quindi alla volta della Germania, “… a Brandenburgo, una cittadina a nord di Berlino sulla via che porta a Stettino”. Successivamente viene condotto a Wickede [?] nella Ruhr, dove è impiegato come lavoratore.

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Viene data ampia descrizione delle fughe rocambolesche organizzate per rubare patate dai fossati dei contadini dove, coperte di terra e paglia, erano tenute nascoste. In un’altra occasione vi è il fallito tentativo di recuperare la carcassa di un vitellino sotterrato da alcuni contadini dopo che era morto affogato in una pozza d’acqua. Altrove nel testo viene narrato l’episodio del furto di sigari e sigarette da un treno, compiuto da Borsato e compagni durante un bombardamento. Un soldato tedesco di stanza a Levico, tornato in licenza in Germania per la morte di un parente, si offre di portare le lettere degli internati in Italia. Un giorno Borsato viene percosso violentemente da “una guardia campestre” mentre vaga alla disperata ricerca di cibo lungo la valle della Ruhr; tutto questo gli causa la frattura di un avambraccio. Successivamente viene impiegato dai tedeschi nel ripristino delle linee ferroviarie bombardate dagli alleati. Dopo la liberazione del lager vi è il rientro a Trento; dal capoluogo, in bicicletta, egli prosegue fino a Pergine. Alla fine del fascicolo viene elencata una serie di compagni di prigionia, con qualche breve notizia anche sui contatti intercorsi nel dopoguerra.

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BUGNA ARTURO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento. Data di nascita: 26/9/1919; Luogo: Bersone di Pieve di Bono; Occupazione: contadino. Titolo: “La / mia odissea. / 8 settembre 1943 – 21 ottobre 1945”.Memoria autobiografica. Descrizione: Dattiloscritto, pp. 250. La memoria, scritta dopo il 1951, ricostruisce gli avvenimenti successi dall’8 settembre 1943 al 1951. Ma centrali sono naturalmente gli anni della prigionia in Germania. Bugna svolge il servizio militare nel 6° Regg. Artiglieria 38 della Guardia di Finanza nel paese di San Candido (val Pusteria, BZ); fatto prigioniero dai tedeschi l’8 settembre 1943, viene internato in Germania; ammalatosi viene ricoverato all’ospedale di Wurzen e poi trasferito nell’ospedale di Muhlberg da dove assiste all’arrivo dell’esercito russo e alla fuga dei tedeschi. Lì subirà un’operazione chirurgica e ritornerà in Italia nell’ottobre del 1945. Il testo in possesso dell’Archivio è la fotocopia di un originale.

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Vi sono numerose correzioni a penna effettuate con grande probabilità dallo stesso autore. Il racconto è scritto con un linguaggio molto scorrevole, ricco di particolari e ben curato. A differenza di altri testi i riferimenti temporali e di località sono quasi del tutto assenti. Quando vengono citati i prigionieri incontrati in prigionia, c’è sempre e solo il nome di battesimo (tra questi anche alcuni trentini). Alcuni ricordi della cattura da parte dei tedeschi: Verso le 22,30 quel lugubre silenzio fu squarciato da un terribile boato che rimbombò da monte a monte. Come sospinti da una molla balzammo in piedi e, istintivamente, ponemmo mano ai moschetti …  Si può capire quali potevano essere i nostri pensieri in procinto di combattere contro i tedeschi, che erano stati nostri alleati fino a poche ore prima, e quindi esposti al pericolo di perire proprio il giorno dell’armistizio dopo essere scampati tante volte alla morte durante tre lunghi anni di conflagrazione … Lo strazio della partenza dei vagoni merce verso la Germania: Mentre i primi davanti cominciavano ad aprire gli sportelli per salire a prender posto nei vagoni, si videro due donne, scarmigliate e piangenti, che con le braccia protese in avanti, in atto supplichevole, correvano verso di noi; erano seguite da due ragazzini, maschio e femmina, che strillavano a più non posso! Una, la madre dei bimbi, era la moglie di un nostro cuciniere, un richiamato di circa quarant’anni, che proprio un mese prima aveva fatto venire la famiglia lì nel paese per averla più vicina; quella povera donna era anche in stato interessante e pareva dovesse uscire di senno! (…) E cinque minuti dopo, sotto un Cielo plumbeo e con un fischio acutissimo, il convoglio partiva verso l’ignoto. Erano esattamente le ore 13 del giorno 9 settembre 1943. Il nostro Calvario di prigionieri di guerra incominciava …  Prima sosta del treno a Lienz, poi partenza verso la Germania: Era quella la Germania di Hitler per la quale i suoi soldati si battevano fino all’ultima goccia di sangue? Era quella la Nazione che aveva sfidato il mondo intero e che ancora sperava nella vittoria? Dove erano mai il bel sole e il tiepido autunno d’Italia! Dove erano mai i bei campi di bionde messi, i rigogliosi vigneti, i pomposi frutteti, gli ameni pascoli, gli uliveti e le superbe foreste della nostra Patria! Quale stridente contrasto!

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La prima notte al Lager: Allo spuntar dell’alba un lungo fischio di zufolo, in tutto simile a quello dei capostazione alla partenza dei treni, ci fece sussultare. Comparve subito il nostro interprete che ci disse essere quello il segnale della sveglia. Mio Dio …  quale sveglia? Chi aveva dormito? Come si avrebbe potuto dormire su quel duro tavolato? Ampia descrizione dei tentativi di arruolamento degli internati nella RSI o nell’esercito tedesco (costruzione di un “palco” nel campo e discorso di ufficiali tedeschi con intervento di interprete). Dopo l’ennesima di quelle rappresentazioni … un prigioniero russo, che aveva visto da vicino tutta la scena e aveva notato lo stridente contrasto fra la nostra freddezza e il fanatismo tedesco, intendendo manifestarci la sua ammirazione protese le braccia verso di noi coi pugni chiusi, come per incoraggiarci a “tener duro”. Non l’avesse mai fatto! Per sua sventura fu adocchiato in quell’atteggiamento dal Tenente tedesco che, senza esitare un attimo, cavò la pistola dalla fondina e lo uccise sul colpo! Dinnanzi a tanta efferatezza inorridimmo e … fino al nostro arrivo in baracca la nostra pelle fu quella dell’oca! Il 28 settembre 1943 Bugna inizia a lavorare presso una fabbrica di aerei.

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La fame: Una mattina io e un mio compagno di banco, girando intorno alla fabbrica trovammo un riccio (o porcospino che dir si voglia). Contenti come una Pasqua lo mettemmo in un fazzoletto da naso e ‘solennemente’, al pari di una reliquia, lo conservammo fino al nostro ritorno serale al campo. Fatto l’appello e sciolte le file entrammo in baracca e, preso un secchio, vi buttammo dentro un pò d’acqua. Anche nella nostra stanza, come in tutte le altre, c’era un fornello che funzionava a carbone il quale ci veniva dato giorno per giorno dal Comando tedesco … Quando perciò anche quella sera il fornello cominciò a funzionare vi misi sopra il secchio e, allorché l’acqua cominciò a bollire, il mio compagno vi immerse il riccio. Trascorso il tempo necessario lo togliemmo e gli strappammo tutti gli aculei; indi lo facemmo a pezzi, lo lavammo ben bene e poi, fatte due parti uguali, finimmo di cuocerlo nei nostri gamellini. La censura: Prima di metterci a scrivere fummo avvertiti di non far sapere alle nostre famiglie i maltrattamenti ai quali eravamo sottoposti. Ci fu suggerito invece di scrivere che ‘noi stavamo bene’ e che i tedeschi non ci maltrattavano: soltanto così si poteva sperare che la lettera giungesse a casa! Bugna viene ricoverato nel 1944 in ospedale per problemi di ulcera e per una malattia agli intestini. Sconfortante è l’episodio che narra l’arrivo all’ospedale: …  un uomo, affacciatosi sulla soglia ci chiamò con un breve fischio e poi buttò fuori sul prato una manciata di biscotti – similmente alla maniera che si suol usare nel buttare un osso ad un cane! Quei biscotti non rimasero a terra più di dieci secondi.

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Compare quindi nel testo la testimonianza diretta di un omicidio di internato militare (un meridionale), il quale – dopo avere lanciato delle invettive contro Hitler e la Germania – viene freddato da un soldato tedesco: Si tolse dalla spalla il moschetto (sempre carico) glielo puntò addosso e sparò. Il poveretto non ebbe neppure il tempo di chiamare “mamma”; cadde di schianto sul duro selciato del marciapiede, ad un metro di distanza da me, e si può comprendere come rimasi a quella vista così raccapricciante! Fu un miracolo se non smarrii la ragione! Pur tuttavia passato quel momento di spavento mi venne un coraggio insperato e aiutai l’omicida a sollevare il mio estinto compagno – vittima inconscia della sua irriducibile ostinatezza – e ad adagiarlo sul ciglio della strada; e dopo averlo composto un pò dignitosamente, di avergli incrociate le mani sul petto, di averlo baciato in fronte … Mi allontanai col suo uccisore che pronunciava ad ogni passo la frase: “Gefangen italiener nisch gutt” (prigioniero italiano non buono). [la località è Wurzen; la data dell’omicidio è il 18.1.1944; i fatti accadono mentre il Bugna e un altro internato, l’assassinato, stanno per essere trasferiti nel locale Ospedale].

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In seguito Bugna viene trasferito in un “Centro di raccolta” di prigionieri di guerra d’ogni nazionalità, con estensione di 14 chilometri quadrati. Qui vi è un’alta mortalità degli italiani; viene data descrizione della procedura seguita dai tedeschi per l’inumazione dei prigionieri deceduti. L’autore riferisce quindi di un’operazione “chirurgica” subita per la cura di un grosso ascesso al braccio. Compare poi il tema lacerante del “tradimento” della moglie lontana: Colei che diciassette mesi prima, davanti all’Altare consacrato, aveva ricevuto dalle mie mani la fede nuziale giurandomi amore e fedeltà eterna – e soltanto per la quale pregavo Iddio di farmi tornare un giorno …  era volontariamente uscita di casa mia per andare a prender servizio presso del circondario ove, giorno e notte, gozzovigliavano soldati tedeschi e imboscati d’ogni specie … ai quali ella concedeva le sue grazie perdendo la sua virtù di sposa! Null’altro dico di questo fatto; perché il rievocarlo significa per me frugare in una dolorosissima ferita che giammai si rimarginerà! Bugna ha quindi una sorta di visione “infernale”, che ci ricorda un’altra, nota, memoria dell’universo concentrazionario nazista, Se questo è un uomo. Da qualche giorno era stato ricoverato in baracca: Sul castello di fronte a me, un alpino italiano allo stremo delle forze e magro da far pietà, il quale ormai non riusciva a mangiar niente. Nel pomeriggio di uno dei primi giorni del nuovo anno due piantoni lo tolsero dal pagliericcio, lo spogliarono del tutto, e sorreggendolo sottobraccio lo portarono in mezzo alla baracca per fargli un bagno, del quale aveva estremo bisogno essendo affetto da dissenteria. Quando lo vidi –  completamente nudo e tenuto in piedi da uno dei piantoni, mentre l’altro lo lavava – sentii qualcosa dentro di me che mi fece vacillare … e mi lasciai cadere sul mio giaciglio con le mani nei capelli! Alto, senza più un briciolo di carne addosso, la pelle piena di grinze in tutto il corpo, le costole del torace che si potevano contare a cinquanta metri di distanza, le mani adunche, e gli occhi, infossati nelle occhiaie sporgenti, erano vitrei e senza più espressione. Un vero scheletro!

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Mi misi le mani sugli occhi per non vedere più oltre quello spettro; e rimasi così finché udii un piantone dire all’altro che ‘ormai non c’era più niente da fare! Allora, intuendo cosa volevano dire quelle parole, tolsi le mani dagli occhi … e vidi che quello che i piantoni reggevano sulle braccia non era altro che un cadavere! Era morto …  così …  in piedi … mentre lo lavavano! Molto difficile, per Bugna, è il periodo aprile/maggio 1945 perché le sue condizioni peggiorano notevolmente; ad un certo punto è costretto a fermarsi indietro rispetto alla colonna che sta rientrando in patria. Questo gli permette di descrivere gli scenari immediatamente post-bellici che lo circondano, attraverso una narrazione che ripropone una visione spaventosa, in cui non viene risparmiato alcun particolare: Il dì appresso, allo spuntar del sole, mi rimettevo in cammino. Il tempo continuava bello e, con l’avanzare della stagione primaverile, il clima si faceva sempre più mite. La strada, ogni qual tratto, si inoltrava in pinete sconvolte e bruciate ove si vedevano scheletri di numerosi soldati tedeschi riarsi e carbonizzati, con in testa ancora l’elmo e ai piedi ancora pezzi di scarpe bruciacchiate. Quale orribile visione! Per tutto quel giorno non vidi altro che morti … Ma ciò che più mi impressionò fu la vista di un grosso carro-armato, fracassato e bruciato, sotto la cui parte anteriore, che ingombrava quasi mezza la strada, giacevano, sfracellati, tre soldati germanici delle SS e le loro teste, sopra le quali chissà quante ruote eran passate, eran divenute appiattite come fogli di carta. Che morte orrenda dovevano aver fatto! Seppur a fatica, il 10 maggio 1945 arriva a Bünzlau, dove si ricongiunge ai compagni di prigionia e quindi viene ricoverato in infermeria per molti ascessi che hanno provocato grave infezione al braccio. Il terribile racconto della propria infezione. Poi: “Spuntò il mese di Agosto … Il mese fatale …  il mese che ricorderò sempre col cuore gonfio di amara afflizione …”.

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Il 26 agosto 1945 gli viene amputato il braccio in cancrena. Rimpatriato il 13 ottobre 1945. Trasferito prima a Merano e poi in un convalescenziario a Bari rientrò a casa solo il 18 novembre 1945. L’Epilogo propone l’amarissima riflessione sul dopoguerra vissuto da un ex internato.

BUSOLLI CLAUDIO Luogo di conservazione dei documenti: Museo storico in Trento, in copia; originale presso la figlia Mariuccia sposata Deimichei. Data di nascita: 3 aprile 1921 (morto ivi il 19 febbraio 1981); Luogo: Saccone di Brentonico; Occupazione: Manovale contadino. Tipologia: memoria/diario Descrizione: quaderno, cm 10×15,59. Memoria dall’8 settembre 1843 al giugno 1945. Catturato dai tedeschi a S. Candido (BZ) dopo l’8 settembre e trasferito in Germania (a Mühlbergin Sassonia) nello Stalag IV B, Busolli si trova come tutti gli internati a dover scegliere tra la prigionia e l’arruolamento nell’esercito della Repubblica di Salò. Sceglie la prigionia.

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Nel suo testo ricostruisce la permanenza nel campo di lavoro di Erla, in seguito abbandonato a causa dei bombardamenti; il trasferimento a Limbach; la fine della guerra e la liberazione; la permanenza a Zwichau e, infine, il ritorno a casa.

CALLIARI TULLIO Luogo di conservazione dei documenti: presso i famigliari. E’ stato individuato un consistente archivio (grazie ai figli, in particolare Fabio), nel quale sono conservate sia carte personali che documenti che riflettono l’attività di Calliari nell’ambito dell’ANEI, a livello trentino come nazionale. Tullio Calliari fu Presidente della federazione trentina dell’ANEI dal marzo 1996 fino al 2003. Il figlio ha manifestato la sua eventuale disponibilità a donare il materiale al Museo: è necessario stabilire contatti istituzionali.

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