ILIO

ILIO

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di Cornelio Galas

Staccava foglie. Una per volta. Le sfiorava con il palmo della mano. Fincheè pollice ed indice si univano in una presa che diventava, in un istante, rapido strappo dal ramo.

Si, strappava le foglie. E le buttava per terra. Ilio non era pazzo. Riusciva a cogliere, negli altri, quello che di lui si stava pensando.

Perché strappava quelle foglie? Per il sadico gusto di sentire un’inerme, sottile piuma verde tra le dita? Per privilegiare il tatto rispetto agli altri sensi?

In realtà Ilio aspettava il momento giusto, per recidere il gambo della foglia. Non a caso preferiva quelle lunghe e strette: richiedevano misurate, lente, tappe d’avvicinamento.

Prestava cura anche alla direzione del vento. Era importante. Anche una brezza calcolata male avrebbe potuto rendere imprecisa quella strana ghigliottina di unghie. Già, le unghie. Né lunghe, né corte. Dovevano essere complementari. Garantire un taglio netto. Un colpo solo. Preciso.

La foglia, privata d’improvviso del suo cordone ombelicale, il più delle volte restava per qualche secondo immobile, attonita. Impietrita. Poi finiva vittima delle probabilità di caduta. Ma ad Ilio il dopo interessava poco.

Passava subito ad un’altra potenziale vittima. -Perché fai quelle cose con le foglie?

Era la voce di un bambino che da alcuni minuti lo stava osservando.

“E perché tu te ne stai lì, a guardarle, mentre cadono?”

-A cosa ti servono?

“Raccoglile pure se vuoi, puoi portarle a casa. ..”. -Sono troppe. Dove le metto tutte per portarle via?

“Non occorre che tu le porti via tutte insieme. Perché non ne porti una alla volta?”

-E perché? Poi mi stanco. Ma perché le stacchi dall’albero se non ti servono?

“Non è una mia decisione.. Dipendesse da me… ”

-Non ci capisco niente.

“Neanch ‘io ci capisco un bel niente”.

-E allora? Lavori per qualcuno? Devi staccare quelle foglie per il padrone di questo albero? “Non è un ordine. E’ l’ordine”. -Cos’ hai detto ?

Ilio parlava con il ragazzo appoggiato con un braccio ad un ramo completamente privo di foglie. Si era spostato bruscamente. Ferendosi leggermente con la punta lasciata lì, sul ramo, da chi l’ aveva potato. Uscì anche una goccia di sangue.

-Guarda, ti sei fatto male.

“Noi non potremo mai farci del male. Fa parte tutto dell’ordine prestabilito…”. -Ma senti male ?

“Non è niente. Prendi questa foglia e portala con te. Ricordati che ce ne sono altre qui. Tutte tue”. -Grazie, ma perché le stacchi dall ‘albero?

“Me ne mancano ancora nove. Avrò tanto tempo dopo. Per pensare, guardare il vento. Ancora nove foglie: poi potrò fare quello che voglio. Decidere dove andare, cosa dire. Come muovere il mio corpo”.

-Non ci capisco niente.

“Mi mancano ancora nove foglie…otto, dopo che avrò staccato questa. E tu torna a casa. E’ tardi. I tuoi genitori sanno che sei qui ?”

-E tu non vai a casa?

“Vai, vai che è tardi…”.

-Perché non mi vuoi dire a cosa ti servono queste foglie ?

Il ragazzo, con un gesto di stizza, strappò anche parte di una zolla di terra raccogliendo una foglia. Con il pugno chiuso, dal quale spuntavano ciuffi verdi ed esili pezzi di radici, cominciò a correre verso casa. I lunghi capelli biondi lo rendevano buffo nella corsa. Sembrava una scopa dal manico corto. Come quelle gambe, che ancora non erano sicure sulla collina.

Ilio morì poco più di una settimana dopo. Non aveva ancora ricevuto la sua prima pensione.

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