ESSERE O NON ESSERE?

Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l’ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.
Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell’uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto
con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e
a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d’altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell’azione perdono anche il nome…

GHE SENTE O NO GHE SENTE?


Esser o no esser, questo l’è el ciodo. Se sìa cioè meio soportar, curvar la testa davanti a na vita piena de sgeve o ciapar en cortel per mandar via de colp tuti sti casini.
Morir, dormir, fognar forsi, ma chi ghè la gabola: cosa sognerente ancora, magari
de pu brut, na volta che fussem morti
Chielo del resto che no soporteria le frustade, el temp che te fa deventar semper pu bacuco, zent che te rote le scatole, done che de colpo no le te vol pu veder, le peae nei stinchi
se con en colp de cortel o de pistola te podessi meter en taser tuti sti travai, sti pesi che devi portar su la schena.
Zà, ghè semper, ala fim, la paura che dopo la vaga magari anza pezo, che en quela roba strana che nesuni dopo l’hobit i ha mai vist, se finissa – oh pol darsi – de nar dala padela ale brase
E così, stem su la nossa. Meio engiotir brute robe che conossem putost che nar a meter el cul en altre peae.
Così lassem star el cortel, vardem fora dai vedri empanai de la cosina. Po tolem le ciavi dela machina e nem a far la spesa. Come tuti i di.

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