TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 38

GINO TOMASI

Trento, 1927 – Trento, 12 settembre 2014

Gino Tomasi

Gino Tomasi

a cura di Cornelio Galas

Di Gino Tomasi ho un ricordo personale curioso, singolare. Legato ad una “gaffe” giornalistica (mia, anche se indotta) quando lavoravo alla redazione de “l’Adige” a Rovereto, nel 1978. Succede che un giorno, l’allora caposervizio Amedeo Trentini, assegna all’allora praticante Cornelio Galas un servizio in Vallarsa. Si tratta di andar su, col fotografo (l’indimenticabile Bruno Gentili, della Val di Gresta), per una scoperta eccezionale: lo scheletro dell'”anticristo”.

Non ho nemmeno il tempo di chiedere cosa sia questo “anticristo” e mi trovo in una casa – proprio ai lati della strada della Vallarsa – con un giovane che dice di essere un esperto nel settore. E che mi fa vedere e fotografare (da un Bruno Gentili peraltro molto scettico) questo strano scheletro.

Bruno Gentili

Bruno Gentili

Torno in redazione. Riporto quello che l'”esperto” della Vallarsa dice su questo … su questo “anticristo”. E il giorno dopo telefona in redazione Gino Tomasi. Chiede espressamente dell’autore del servizio sull’anticristo. Non so nemmeno chi sia Gino Tomasi.

L'"anticristo"

L'”anticristo”

Prendo la cornetta in mano e dopo cinque minuti mi viene la voglia di: 1. Girare tutta Rovereto, tutto il Trentino per raccogliere copie del giornale “l’Adige” e bruciarle e far così scomparire l’evidente bufala che sta sotto una delle mie prime firme sul giornale; 2. Andare in Vallarsa e prendere a male parole l’esperto dell’anticristo; 3. Cambiare decisamente mestiere.

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Gino Tomasi

Non aveva detto tante parole Tomasi al telefono: “Scuséme neh, ma quei lì l’è sol òssi de ‘n gat … grant per quel. Ma ‘n gàt, na bestiòla che fa miao, o meio, che la féva miao fin quando qualchedun no l’ha magari ciapà soto”.

scheletro di un gatto

scheletro di un gatto

Inutile aggiungere, credo, che da quel “maledetto” giorno, per me Gino Tomasi divenne una sorta di Bibbia. Lo interpellai mille volte. Anche per un ritrovamento di poco conto. Pendevo dalle sue labbra. Anche a costo di dar la notizia di una “scoperta” archeologica in ritardo, se prima non avevo la sua conferma.

Ed ho avuto la fortuna di sedermi vicino a lui, in un incontro a Trento. Incontro terminato inevitabilmente con quel ricordo del “gatto anticristo”, in grado di far ridere anche attempati accademici.

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Gino Tomasi

Naturalista, studioso e autore di innumerevoli pubblicazioni scientifiche, Gino Tomasi è stato direttore del Museo tridentino di scienze naturali dal 1964 al 1992. Fra le sue pubblicazioni, fondamentale la sua opera del 2004 “I trecento laghi del Trentino”, che fa seguito alla prima edizione del 1964 “ I laghi del Trentino”.

“Con la sua poliedrica cultura e vivacissima personalità – lo ricordò Michele Lanzinger, direttore del Muse, il giorno della scomparsa – Gino Tomasi diede slancio alla ricerca naturalistica locale e alla promozione dell’idea di conservazione della natura. Chi lo ha conosciuto ricorderà la limpidezza del suo ragionare, la gradevolezza dell’interloquire, l’amicalità nell’intrattenere le relazioni tra le persone. Con Gino Tomasi viene a mancare un anello fondamentale del legame con le tradizioni di studio e di etica naturalistica novecentesca.

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Gino Tomasi ha avuto un ruolo fondamentale nella ricerca in Trentino e nella valorizzazione della natura a livello provinciale. È stato l’ideatore e il promotore dei Parchi naturali come quello dell’Adamello Brenta e Paneveggio Pale di San Martino e della sezione territoriale del Museo delle Palafitte del Lago di Ledro.

Importante il ruolo che ebbe nel panorama della museologia scientifica italiana: è stato Presidente dell’Associazione Nazionale Musei Scientifici e Presidente dell’Associazione italiana insegnanti di geografia. Nell’ottobre del 2006, Tomasi riceve l’Aquila ardente di San Venceslao.

L'allora sindaco di Trento Pacher consegna l'Aquila di San Venceslao a Tomasi

L’allora sindaco di Trento Pacher consegna l’Aquila di San Venceslao a Tomasi

Si ricorda infine la pubblicazione “Per l’idea di Natura”, edita nel 2010 alle soglie dell’apertura del MUSE: 568 pagine dedicate alla storia del Museo tridentino di scienze naturali per ricordare, soprattutto alle nuove generazioni, le radici su cui poggia il nuovo museo. Personalità vulcanica e instancabile, ha mantenuto la carica di direttore emerito fino alla sua scomparsa”.

Da giovinetto Gino Tomasi aveva frequentato l’allora Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina, fino dagli anni del primo dopoguerra. Era diventato direttore del Museo tridentino di scienze naturali nel 1964, all’atto della trasformazione del precedente museo regionale in ente pubblico  funzionale della Provincia autonoma di Trento. Svolse questa importante funzione fino al 1992. Da allora, fino alla sua scomparsa, ha continuato a frequentare il Museo tridentino e quindi il MUSE, accolto con gioia di tutti per dare spazio e ricetto al proseguire delle sue ricerche.

La vecchia sede del Museo Tridentino di Scienze Naturali a Trento

La vecchia sede del Museo Tridentino di Scienze Naturali a Trento

Sue le storiche difese del paesaggio dalla minaccia di trasformazione per la realizzazione di invasi lacustri artificiali o impianti a fune. Suo un fondamentale contributo all’istituzione dei parchi naturali provinciali (Adamello Brenta e Paneveggio Pale di San Martino), di riserva naturali e di biotopi. Gino Tomasi diede forza organizzativa al Giardino botanico delle Viotte del Monte Bondone e istituì la sezione Museo delle Palafitte del Lago di Ledro, che ancora oggi sono parte della rete territoriale del MUSE.

Suo, infine, il trasferimento nel 1982 del Museo tridentino di scienze naturali nella storica sede di via Calepina, e lo sviluppo di un innovativo approccio tematico ed ecologico delle esposizioni.

Il "Muse" di Trento

Il “Muse” di Trento

Nel panorama della museologia scientifica italiana, ebbe un ruolo importante quale Presidente dell’Associazione Nazionale Musei Scientifici e  Presidente dell’Associazione italiana insegnanti di geografia. Tra le molte onorificenze, nell’ottobre del 2006, ricevette l’Aquila ardente di San Venceslao.

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Fu autore di  saggi monografici fondamentali per la conoscenza del territorio dolomitico. Tra i suoi testi, oltre al citato I laghi del Trentino del 1964,  Il territorio trentino – tirolese nell’antica cartografia del 2005, un regesto che costituisce una pietra miliare per lo studio e la documentazione cartografica del territorio alpino.

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Si ricorda infine la pubblicazione Per l’idea di Natura, edita nel 2010 alle soglie dell’apertura del MUSE: 568 pagine dedicate alla storia del Museo tridentino di scienze naturali per ricordare, soprattutto alle nuove generazioni, le radici su cui poggia il nuovo museo. Negli ultimi anni si dedicò a una documentazione “totale” sugli scienziati e ricercatori trentini, in via di completamento nel momento della sua scomparsa.

Un ricordo sul giornale “Il Trentino”:

Sulla carta d’identità, alla voce professione, aveva fatto scrivere «naturalista», e lo studio della natura, l’amore per la natura, sono stati parte integrante della sua vita fino all’ultimo momento. Fino a ieri pomeriggio quando Gino Tomasi, si è spento a 87 anni. Difficile descrivere questo vulcanico personaggio trentino che ha guidato il museo di scienze naturali per 27 anni e che poi ne era rimasto direttore emerito.

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E anche dopo la pensione non aveva perso il «vizio» di fare una capatina – ogni giorno – nel suo ufficio. Ma il nome di Tomasi è legato a doppio filo con quello del progetto di reintroduzione dell’orso in provincia. Progetto al centro in questi giorni di aspre polemiche.

E sui plantigradi verteva anche l’ultima intervista che aveva rilasciato, neppure un anno fa, al Trentino. «I rapporti tra l’orso e l’uomo – ricordava in quell’occasione – sono sempre problematici, l’orso può persino affezionarsi agli umani e ciò è ulteriore fonte di problemi, che si possono prevenire con la formazione e l’informazione. Ma non è semplice. Si può favorire la presenza degli orsi più mansueti, allontanando quelli più problematici. È un ripiego, dal punto di vista di un naturalista, ma anche l’unica soluzione possibile».

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Era stato proprio lui il regista di tre tentativi di reinserimento del plantigrado fra il 1959 e il 1973 e la sua esperienza è risultata molto importante per il progetto attuale avviato dalla Provincia.

Ma Gino Tomasi è stato tanto altro per la città e per la provincia. In molti se lo possono ricordare mentre attraversava il centro di Trento per raggiungere palazzo Sardagna dove, da direttore emerito, si era ricavato una stanza tutta per lui in un sottotetto fra libri, insetti schedati e la collezione di fossili.

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Era stato, per iniziare a ricordare quale sarà la sua eredità, ideatore e promotore dei parchi naturali come l’Adamello Brenta, Paneveggio, Pale di San Martino, della sezione staccata del Museo delle Palafitte di Ledro. E porta la sua firma il monumentale quanto fondamentale studio sui laghi del Trentino che aveva fatto scoprire la forse impensabile ricchezza di specchi lacustri di questa terra.

La ricostruzione di un'abitazione su palafitta a Ledro

La ricostruzione di un’abitazione su palafitta a Ledro

E poi alla fine del 2010 era arrivato il volume – di oltre 500 pagine – con cui Tomasi raccontava il museo di scienze pubblicato proprio nel momento in cui stava nascendo il Muse. «Per l’idea di natura» il titolo che rendiconta la trasformazione dell’approccio al mondo naturale nei secoli, a partire dalle collezioni del settecento, da cui trasse origine l’ avventura trentina della scienza e della divulgazione.

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«Ho impiegato quattro anni di intenso lavoro di ricerca delle fonti, per scrivere il libro – avvertiva in un’intervista l’autore – solo un vecchio pensionato come me poteva avere il tempo per svolgere un lavoro come questo. Un giovane non potrebbe mai permetterselo».

Poi c’era stato il massimo riconoscimento della città di Trento. Quell’aquila di San Venceslao che gli era stata consegnata nel 2006 dalle mani dell’allora sindaco Alberto Pacher. Un riconoscimento che stava a significare la gratitudine «per il suo impegno di uomo di scienza che ha saputo suggerire a ricercatori, insegnanti, studenti, amministratori e cittadini una sensibilità esigente per il nostro ambiente».

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E ora Gino Tomasi non c’è più. L’annuncio della morte lo hanno dato la moglie Rita e la figlia Valentina. È stato ideatore e promotore dei parchi naturali come l’Adamello Brenta, Paneveggio, Pale di San Martino, della sezione staccata del Museo delle Palafitte di Ledro e tanto altro ancora.

A fine luglio 2013, quando venne inaugurato il Museo, lo avevamo incontrato nella nuova sede. Aveva ammirato la nuova generazione del museo che lui aveva guidato in epoca remota. Era rimasto senza parole, vista la poca disponibilità che aveva la sia Amministrazione. Però si era emozionato dall’evoluzione dei tempi e si era augurato che tutto potesse evolversi così.

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Gino Tomasi

«Con Gino Tomasi scompare un padre ed un figlio nobile della cultura trentina, – scriveva il compianto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale – figura discreta e sobria lascia un segno indelebile non solo nella nostra comunità regionale bensì in quella nazionale ed internazionale.

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«Il Museo delle Scienze diretto con eccezionale capacità ne è testimone, di quel fare cultura che ha reso la nostra regione terra d’avanguardia.
«A Gino Tomasi il grazie riconoscente della comunità regionale, la quale sono certo saprà ricordarlo nelle forme più consone ed appropriate”.

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