NEDDA FALZOLGHER
Trento, 22 febbraio 1906 – Trento, 2 marzo 1956
a cura di Cornelio Galas
Nedda Falzolgher detta “Nil”, nasce il 26 febbraio 1906 a Trento, quando quella parte del territorio è ancora sotto il dominio austriaco. Il padre era un bancario e la madre di ricca famiglia.
Il padre di Nedda, Mario Falzolgher, era un impiegato. Era appassionato di pesca e forse principalmente per questo aveva scelto di abitare a Trento in una casa poco a sud del vecchio ponte di ferro di San Lorenzo (quello spazzato via dal bombardamento della Portèla il 2 settembre del ’43), accanto al vecchio gasometro ma con le finestre e la terrazza affacciate sull’Adige.
Ha scritto di lei Renzo Francescotti, nel 2006, sul giornale “L’Adige”: “Nedda – come ce la mostrano le fotografie – era una bellissima bambina bionda quando, a cinque anni, venne colpita dalla paralisi infantile(come allora chiamavano la poliomielite). Rimase un piccolo corpo inchiodato sulla carrozzella, con le gambe e il braccio destro paralizzato: scriveva col sinistro, prediligendo l’inchiostro verde … Aveva un volto molto bello che truccava con cura e una voce melodiosa (melodiosa come la sua poesia) con cui dialogava con i famigliari e gli amici.
Era lei – paradossalmente – a offrire loro conforto: lei che tra tanti più fortunati che si piangono addosso, in nessuno di suoi versi alluse mai alla sua condizione fisica. Negli anni ’30 questa ragazza che si era costruita una ampia e aggiornata cultura studiando da autodidatta, polarizzò nella sua “casa sul fiume” quello che è improprio definire “salotto letterario”: era un cenacolo di amici, nel Ventennio retorico e bellicista, che parlavano liberamente di poesia, di filosofia, che si divertivano sul terrazzo avvolto di verde, affacciato sul fiume.
C’erano poeti conosciuti come il maturo Augusto Goio e giovani poeti ancora sconosciuti come Marco Pola (suo coetaneo). Raffaele Gadotti, Diego Gadler, Arcadio Borgogno. C’era Franco Bertoldi che diverrà n seguito pedagogista e docente universitario a Milano e Trento, con il fratello Luigi, futuro leader socialista e Ministro del Lavoro nel dopoguerra. C’erano donne come Jerta Bertodi e le figlie dello storico Antonio Zieger.
E c’era una ragazzina di quattordici anni che si chiamava Edda Albertini, che dopo la guerra diverrà una delle maggiori attrici del teatro italiano,e la più grande amica della sua quasi omonima Nedda. Venne la guerra, la casa sul fiume fu danneggiata dalla bombe, i Falzolgher sfollarono a Vigo Meano e poi a Bosco di Civezzano.
Dopo la guerra questo gruppo praticamente si sciolse: tutti si erano sposati, e qualcuno come Gadotti, figlio di contadini a Gazzadina, che le aveva fatto scoprire la campagna, era andato fuori provincia; rimasero nella casa sul fiume Nedda con il padre e la fedele Adele, più che mai sola dopo la scomparsa dell’amatissima madre.
Nedda, che aveva sino ad allora pubblicato poche poesie in un opuscolo del 1934 o su qualche antologia come “L’eroica” diretta da Ettore Cozzani, decise di raccogliere le sue liriche. Uscirono a Roma da Ubaldini nel 1949, con la prefazione del grande critico teatrale Silvio D’Amico, procurata da Edda Albertini che viveva a Roma e, in ogni occasione possibile, recitava i versi dell’amica Edda.
Ma tranne qualcuno come il romanziere Bruno Cicognani o il critico Alberto Frattini, nessuno se ne accorse. Meno che mai nella sua città. Nedda Falzolgher morì di tumore a cinquant’anni il 26 febbraio 1956.
L’anno seguente l’amico Franco Bertoldi su in carico del padre di Nedda pubblicò presso Rebellato a Cittadella di Padova “Il libro di Nil”, un’antologia di poesie e prose della Falzolgher da lui scelte e ordinate. Tutti i manoscritti – su richiesta del padre – furono bruciati. Un vero peccato! Il libro non ebbe, si può dire, riscontri: il sostanziale silenzio sulla poetessa trentina durò un ventennio.
Nel 1976 ricorreva il ventennale della sua morte ma nessuno (neanche dei suoi amici), mostrava di ricordarsene. Io ero da poco entrato in Consiglio Comunale: una delle mie prime interrogazioni riguardava Nedda Falzolgher, della cui poesia mi ero innamorato.
Chiedevo che nel ventennale della sua morte il Comune si facesse promotore di una serie di iniziative sulla grande e dimenticata poetessa trentina: editare un’antologia con una scelta delle sue più belle poesie e farla presentare da un importante critico; organizzare un Convegno a cui partecipassero studiosi nazionali e trentini, per fare conoscere la Falzolgher in campo nazionale; pubblicare gli atti del Convegno; collocare sulla sua casa una targa. Col tempo in cui viviamo che accelera sempre più vertiginosamente ci sono voluti trent’anni ma, alla fine, ciò che auspicavo è arrivato in porto.
Per Nedda, per la poesia, per la cultura trentina e un po’ anche per me ne sono lieto… Certo, nel 1978, edita dal Comune di Trento uscì l’antologia “Nedda Falzolgher, poesie e prose (1935-1952)”. Il libro era impreziosito dai bei disegni di un Maestro come Remo Wolf e introdotto da tre saggi di Nunzio Carmeni, Franco Bertoldi a da chi scrive. L’anno seguente, alla Filarmonica, il libro fu presentato da Ines Scaramucci della Cattolica di Milano, che ne scrisse anche un saggio sul “Ragguaglio Librario” nel giugno dell’anno seguente. Mancava però una monografia sulla poesia di Nedda che fosse scritta da un critico di importanza nazionale.
L’occasione si concretizzò in seguito a un mio articolo (firmato con lo pseudonimo di Franco Milani) pubblicato su”Nuova Rivista Europea” diretta da Giancarlo Vigorelli. Quell’articolo ebbe la fortuna di essere letto da Vittoriano Esposito, critico letterario con al suo attivo decine di monografie e saggi su scrittori nazionali. Esposito si mise in contatto con me per avere tutto il materiale possibile. Così nel 1981, presso le Edizioni dell’Urbe di Roma uscì quella che resta la monografia fondamentale sulla grande poetessa lirica trentina: “Il caso letterario di Nedda Falzolgher”.
Indetto dal Comune di Trento, nel 1983 si arrivò finalmente al Convegno, presieduto da Giancarlo Vigorelli: purtroppo non si dimostrò all’altezza e, neanche in seguito, fu fatto qualcosa in favore della Falzolgher. Vi parteciparono personaggi nazionali come il poeta Franco Loi, il critico Alberto Frattini. Tra gli interventi quelli di Nunzio Carmeni, Franco Bertoldi e degli amici poeti Raffaele Gadotti, Diego Gadler. Benché invitato, non ci fu però l’adesione di Marco Pola. Nella scia della monografia di Esposito uscirono negli anni seguenti altri libri.
Nel 1986 “La casa sull’Adige” della romana Marcella Uffreduzzi, dove tra l’altro erano ripubblicate quasi ottanta poesie di Nedda. Quattro anni dopo, nel 1990, un’altra giovane studiosa romana pubblicò il libro edito dal Comune di Trento “Nedda Falzolgher: il cuore e la poesia”. Si trattava della pubblicazione della sua tesi di laurea discussa all’Università di Roma. Ma perché, viene da chiedersi, non è mai uscito niente sulla Falzolgher dall’Università di Trento? Lo stesso anno – a nove anni dal Convegno (!) – uscirono per conto del Comune di Trento gli atti col titolo “Poesia e spiritualità”.
Un altro bellissimo ritratto di Nedda è quello di Felice Serino: “Nil non poteva andare verso le cose, ma le cose venivano a lei a cimentare la sua forza e la sua gioia, e tutto la investiva e subito l’abbandonava, lasciando segni di grazia sulla sua anima con il moto dell’onda marina che scrive parole di vita su tutta la riva” (da Il libro di Nil).
I genitori cercano di renderle la vita meno disagevole possibile. La mamma la incoraggia in quella sua insaziabile sete di cultura che la indirizza verso la scrittura alimentando il suo mondo interiore. Nedda apprenderà a uscire da quel mondo circoscritto dalle pareti di casa per conoscere il mondo esterno, perseguendo il raggiungimento di un ideale superiore. Dall’età di ventisette anni, lei riceve in casa amici poeti e artisti, e la sua dimora diviene presto un punto d’incontro culturale. Fra i giovani frequentatori c’è un ragazzo, Franco Bertoldi, che resterà per lei un amore impossibile.
“Non ti darò contro il petto dolore
più che il rigoglio delle fronde sciolte.
Dammi tu spazio allora per questa morte:
io non ho solco per vivere
e non ho paradiso per morire;
e sento in me stormire
quest’agonia d’amore,
bionda, contro la zolla che la ignora …”.
Nella sua opera Il libro di Nil, pubblicato postumo, dal padre c’è una sezione di poesie intitolata “Ritmi dell’infinito”, dove si leggono versi scritti durante la guerra.
“Stasera io sono stanca
delle tue mani lontane;
stanca di grandi stelle disumane,
com’è sazia l’agnella di erbe amare …
Il 2 settembre 1943 Trento fu bombardata e Nedda fu salvata dalle macerie, insieme ai genitori. In seguito, la ragazza inizierà una corrispondenza con Domenico, suo salvatore e amico, facente parte di un servizio di volontariato. Lo spirito altruistico e la bontà di Domenico fanno sì che Nedda si avvicini a una dimensione spirituale personale intensa.
“Ma una luce è posata sulle cose,
come la carità senza parola;
e ogni vita attende sola
che la raccolga con gesto d’amore”.
La guerra termina e la ragazza può tornare a casa. Intanto la madre da tempo malata, viene a mancare nel settembre del ’50.
“T’amo, Signore, per la muta passione delle rose.
T’amo per le cose della vita leggere,
le cose che sognano i morti la sera
dentro la terra calda,
sotto il limpido brivido degli astri.
Ma più t’amo, Signore per la misericordia
delle tue grandi campane
che portano nel vento
verso l’anima della sera
la nostra povera preghiera”.
Nedda ha sempre continuato a scrivere nel trascorrere degli anni. Ora, sente la vita sfuggirle e soffre per quel che non ha vissuto.
“Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l’amore”.
“Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti”.
Nil rende lo spirito il 2 marzo ’56, a 50 anni.
Chiudiamo questo breve excursus con dei versi stupendi, da quest’anima candida:
“… Che ansia, allodola pura,
questo palpito d’angelo sommerso
che ha smarrito la vena dei venti;
sul respiro del mondo senti
ancora tutte le stelle
mutar la tua voce in chiarore …”.
In questa “casa a specchio sul fiume / così sola nell’urlo delle piene” visse la sua breve vita Nedda Falzolgher, col “corpo segnato in croce” e “il canto di allodola pura”. Queste parole sono incise sulla targa commemorativa che il Comune di Trento volle dedicare alla poetessa Nedda Falzolgher (1906-1956), per onorarne la memoria nel centenario della nascita.
“Il caso di Nedda Falzolgher resta, per i più, ancora da scoprire”, scriveva nel 1966 il grande critico e poeta Alberto Frattini. “Eppure è una voce che meriterebbe d’essere ascoltata, per la purezza e la limpidezza di accenti in cui l’angoscia di una vita stroncata nell’infanzia dal male fisico sa farsi toccante elegia, equilibrando l’ansia disperata d’amore in placata letizia d’ascesi e d’offerta, entro un dolceamaro colloquio tra la creatura e il Creatore che solo può suggerirle parole di verità e di salvezza”.
Nedda Falzolgher appartiene, in effetti, a quel novero di poeti che non hanno avuto grandi riconoscimenti dalla critica, ma che purtuttavia hanno lasciato un corpus di opere di indiscusso valore artistico.
Dopo la morte dell’amatissima madre (che l’aveva sempre incoraggiata nella sua spontanea vocazione poetica), Nedda rimase sola con il padre e con la fedele governante Adele, la quale,nel citato articolo a firma di Renzo Francescotti pubblicato nel 2006 sul quotidiano L’Adige, così la ricorda: “Era un creatura angelica. Aveva un volto molto bello ed una voce melodiosa aperta al dialogo con familiari ed amici. Era lei, paradossalmente, ad offrire loro conforto: lei, che fra tanti più fortunati che si piangono addosso, in nessuno di suoi versi alluse mai alla sua condizione fisica…”.
Passano gli anni e la vita di Nedda Falzolgher continua ad esprimersi attraverso la scrittura. Attraverso quei versi che vergava con la mano sinistra prediligendo l’inchiostro verde, e che portavano alla luce il suo mondo di emozioni in delicata sintonia con l’ambiente naturale:
Superati i quarant’anni, Nedda Falzolgher, che aveva sino ad allora pubblicato soltanto su alcune antologie, decise di raccogliere le sue liriche in volume.
Il libro, intitolato Fin dove il polline cade, uscì nel 1949 a cura dell’editore Ubaldini con prefazione del grande critico teatrale Silvio D’Amico (una prefazione procurata dalla famosa attrice Edda Albertini, anch’essa trentina, che aveva fatto parte del gruppo della “casa sul fiume” e aveva conservato con la poetessa un’amicizia affettuosa).
Non furono in molti ad accorgersene: tra questi lo scrittore Bruno Cicognani e il già citato Alberto Frattini. Ma, al di là della disattenzione della critica, sono versi che esprimono una profonda ansia spirituale; versi che affidano al canto un dolore centellinato nelle sue pieghe più amare, per sublimarlo in una superiore intuizione di vita.
Nedda morì giovane, ad appena cinquant’anni, come detto. Dopo la sua morte, il padre affidò a Franco Bertoldi, docente universitario a Milano e Trento (anche lui del gruppo degli amici della “casa sul fiume”), l’incarico di ordinare e pubblicare in una antologia le poesie della Falzolgher. Il volume uscì nel 1957 per i tipi dell’editore Rebellato e fu intitolato Il libro di Nil (il soprannome con cui Nedda veniva chiamata dagli amici). In quest’opera postuma c’è una sezione di poesie intitolata Ritmi dell’infinito, dalla quale proponiamo alcuni versi, rivelatori di uno stato d’animo contraddittorio: sentimento della vita che sfugge e sofferenza per ciò che non si è vissuto …
Trascorreranno ancora molti anni prima che la critica inizi ad accorgersi dell’opera della poetessa trentina. Nel 1978, edita dal Comune di Trento, uscì l’antologia Nedda Falzolgher, poesie e prose (1935-1952). Tre anni dopo, il noto critico letterario Vittoriano Esposito pubblicò un’importante monografia intitolata Il caso letterario di Nedda Falzolgher.
Nel 1986 fu la volta di Marcella Uffreduzzi, qualificata studiosa della poesia d‘ispirazione cristiana del ‘900, che pubblicò un volume intitolato La casa sull’Adige, comprendente quasi ottanta poesie della Falzolgher, da cui emergono una grande forza interiore, una fede salda seppure inquieta, e una profonda spiritualità.
E oggi? Oggi per fortuna c’è la rete, grande serbatoio di memoria collettiva, dove è possibile rintracciare importanti testimonianze sulla vita e l’opera di Nedda Falzolgher e leggere alcune delle sue raffinate composizioni liriche.
Scrisse di sé Nedda Falzolghen: “E gli altri la chiamarono Nil, che vuoi dire nulla. Pure il suo spirito era tanto forte che il sole la guardava negli occhi e lei sfavillava di gioia senza battere le ciglia”. La sua biografia è tutta qui, in questa immagine di intcriore forza esercitata a contraddire quel nulla, quel nulla fisico che lei era col suo abbozzo di corpo fulminato dalla poliomelite, rattrappito, ma non ucciso a tal punto che la vita non la mordesse in amore e dolore.
In questa dolcezza e sofferenza di grido, ed in questa intima forza solare vanno collocate le altre immagini con cui Nedda si definì, “albero della tormenta”, “terra d’agosto che attende la piena”, “pietra incuneata nell’arena paurosa che l’onda la sfaldi”.