I “SEGRETI” DI GALEAZZO CIANO – 6

a cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

A settanta anni dalla loro redazione ecco per la
prima volta in rete i documenti che Galeazzo Ciano
allegava al suo DIARIO

OTTOBRE 1937

Colloquio con l’Ambasciatore di Gran Bretagna

Roma, 2 ottobre 1937 – XV

L’Ambasciatore Sir Eric Drummond, rimasto solo con me dopo che si è ritirato l’Incaricato d’Affari di Francia, mi ha detto che durante la sua assenza da Roma aveva visto con vivo rammarico il peggioramento progressivo delle relazioni italo-britanniche che nell’estate scorsa sembravano avviate a così favorevole soluzione. Osservando la situazione dell’Inghilterra, egli aveva potuto rendersi conto che due fatti sopratutto avevano determinato la nuova crisi nei rapporti italo-britannici:

1) il telegramma di congratulazione mandato dal Duce a Franco dopo la conquista di Santander;

James Eric Drummond

2) il rifiuto dell’Italia a partecipare alla conferenza di Nyon ove un contatto diretto coi Ministri degli Affari esteri di Francia e d’Inghilterra avrebbe permesso di chiarire molti punti oscuri della situazione e di determinare una détente nei rapporti internazionali. Comunque, essendo il Governo inglese vivamente desideroso di riportare le relazioni italo-britanniche su un piano di cordialità, egli mi lasciava un promemoria.

Mi sono limitato, al fine di evitare ogni inizio di discussione, a prendere atto della consegna del promemoria e a dirgli che non avrei mancato di esaminarlo con attenzione e di trasmetterlo, per gli ordini, al Duce.

IL PATTO ANTI-COMINTERN

Roma, 20 ottobre 1937 – XV

L’Ambasciatore del Giappone, dopo essersi scusato per il lungo ritardo, mi ha messo al corrente di quanto si è passato tra lui ed il suo Governo a proposito del progettato accordo anticomunista tra l’Italia ed il Giappone. Mi ha detto che in un primo tempo egli aveva ricevuto istruzioni dal suo Governo di procedere ad un accordo anticomunista con l’Italia, aggiungendo verbalmente l’impegno d’onore del Giappone di neutralità favorevole e di eventuale consultazione in caso di conflitto.

Stava continuando il carteggio con Tokio ai fini di trasformare questo impegno verbale in un accordo scritto o in qualche cosa comunque più precisa, secondo i desideri che io gli avevo esposti, quando è stato informato dal suo Governo che la situazione si presentava sotto un nuovo aspetto dato che il Governo tedesco propendeva per la stipulazione di un Patto a tre.

A tal fine egli mi preannunciava la visita di von Ribbentrop e m’informava che domani giungerà a Roma anche l’Ambasciatore del Giappone a Berlino. Altro non poteva aggiungere, non essendo egli a conoscenza di maggiori dettagli. Ma mi pregava di volere riprendere contatti con lui dopo essermi incontrato con von Ribbentrop.

Il colloquio tra l’Ambasciatore del Giappone e me è quindi proseguito su altri argomenti relativi alla situazione in Estremo Oriente ed egli si è mostrato sicuro dell’immancabile successo militare dei suoi compatrioti.

Per quanto concerne la Conferenza delle Nove Potenze mi ha detto che si rendeva ben conto della opportunità della partecipazione italiana attraverso la quale sarebbe stato a noi facile di rendere utili servigi alla causa giapponese.

Ho quindi ricevuto l’Ambasciatore di Germania che accompagnava il signor Raumer, Capo di Gabinetto di Ribbentrop, col quale avevo già avuto un rapido contatto lo scorso anno a proposito dell’azione anticomunista. Il signor Raumer mi ha rimesso lo schema di Protocollo nonché quello di Protocollo supplementare.

Ho domandato al signor Raumer, dato che si trattava di dare la nostra adesione ad un patto già esistente tra altre due Potenze, se fosse in grado di farmi conoscere quali altri accordi di carattere confidenziale esistessero fra Germania e Giappone, dato che di tali accordi mi si è più volte parlato anche da personalità ufficiali germaniche.

Il signor Raumer non è stato in grado o non ha voluto rispondere, riservando a von Ribbentrop di entrare nella discussione di merito. Per parte mia ho ringraziato della comunicazione ed ho riservato ogni risposta dopo aver preso gli ordini dal Duce.

COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL REICH

Roma, 22 ottobre 1937 – XV

Nel colloquio avuto quest’oggi con von Ribbentrop abbiamo discusso la proposta tedesca di adesione dell’Italia al Patto antibolscevico nippo-germanico, che si trasformerebbe in seguito a ciò in Patto tripartito. Ho detto a Ribbentrop, dopo avergli fatto il punto delle nostre relazioni col Giappone, che il Duce avendo preso visione della formula propostaci da Raumer era di massima favorevole all’accettazione.

D’altra parte venendo noi ad immetterci in un sistema politico esistente, io ritenevo opportuno che Ribbentrop ci chiarisse quali altri rapporti di carattere riservato esistono tra Tokio e Berlino. Gli ho detto anche che, all’inizio dei nostri colloqui col Giappone, avevamo fatto conoscere che per parte nostra saremmo stati favorevoli a completare il Patto antícomunista con un accordo segreto di neutralità favorevole in ogni caso e di consultazione in alcune evenienze speciali.

L’Ambasciatore del Giappone nel comunicarmi che per il momento il suo Governo non pensava di mettere tale formula per iscritto, mi diceva però che era autorizzato ad assumere verbalmente impegno di onore del popolo giapponese in tal senso.

Ribbentrop ha confermato esistere tra la Germania ed il Giappone anche una specie di gentlemen’s agreement che mentre ha le sue basi nelle identità ideologiche dei due Paesi, trova poi il suo sviluppo nei continui contatti e sotto l’impulso delle circostanze. In questi giorni è stata decisa la creazione di una linea aerea Tokio-Berlino.

Vi sono dei contatti tecnici tra i militari dei due Stati Maggiori. I rapporti tra i due Paesi si intensificano in ogni settore. Perciò sorge una collaborazione che si concreta sul piano politico. Carattere generale del gentlemen’s agreement antirusso. Ribbentrop mi ha detto che per il momento non era in grado di dirmi se il Governo giapponese fosse pronto ad assumere un impegno di carattere politico verso la Germania e l’Italia.

Ciano e Joachim von Ribbentrop

Egli comunque aveva telegrafato a Tokio raccomandando una tale proposta. Però, anche qualora essa non dovesse venire accettata immediatamente, Ribbentrop non se ne preoccupa oltre misura dato che egli vede in un eventuale Patto tripartito anticomunista le basi di una ben larga e profonda intesa fra i tre popoli.

Abbiamo convenuto con Ribbentrop di ritrovarci alle ore 18.30 nella stanza del Duce.

COLLOQUIO DEL DUCE CON VON RIBBENTROP

Roma, 22 ottobre 1937 – XV

Ribbentrop, dopo aver portato al Duce i saluti personali del Führer, ha narrato la genesi del Patto tra la Germania e il Giappone. Ha detto come egli abbia voluto conoscere, attraverso la sua missione a Londra, fino a qual punto l’Inghilterra sarebbe stata disposta ad andare incontro ai desideri della Germania ed a riconoscerne gli interessi vitali.

Oggi deve francamente ammettere che la sua missione è andata perduta. Anche alcune recenti manifestazioni britanniche, quali il voto del Partito conservatore contro la cessione di colonie alla Germania hanno provato la non conciliabilità di interessi dei due Paesi. In un certo momento aveva anche pensato di attrarre l’Inghilterra nell’orbita dei Paesi anticomunisti. Ciò non è stato possibile dato che in Inghilterra il pericolo comunista non è sentito né compreso nel suo pieno valore.

(da destra) Ciano, Ribbentrop e Hitler

Ha quindi esposto le ragioni che militano a favore di una trasformazione del Patto nippo-germanico in un Patto tripartito mediante l’adesione dell’Italia. Il Duce ha detto che per parte sua era disposto e lieto di accettare la proposta tedesca. Ha anche aggiunto come, in un primo momento, sarebbe stato suo desiderio di completare tale Patto anticomunista con una clausola politica di neutralità e consultazione.

Si rendeva però conto che non conveniva insistere adesso col Giappone anche per non dare l’impressione che volevamo profittare della situazione particolarissima in cui tale Paese si trova a causa del conflitto con la Cina per estorcergli alcune speciali condizioni. Von Ribbentrop ha approvato tale decisione del Duce, ripetendo quanto aveva già detto a me circa gli immancabili sviluppi di un Patto quale quello che ci apprestiamo a concludere.

Ciano, von Ribbentrop, Hitler e Mussolini

Quando cominciarono le trattative fra la Germania ed il Giappone fu detto che si trattava di costruire un piccolo ponte in legno per poter fare poi il grande e definitivo ponte di ferro tra i due Paesi. Tale formula può essere ancora utilmente ripetuta.

Per quanto concerne la firma è stato deciso che essa avrà luogo nei prossimi giorni, probabilmente a Monaco dato che Ribbentrop, per la sua posizione di Ambasciatore a Londra, non potrebbe firmare un Patto del genere in Italia. In linea di massima è stato deciso che verrà pubblicato il testo integrale del Protocollo. Su queste due ultime questioni von Ribbentrop si è però riservata l’approvazione del Führer.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DEL GIAPPONE

Roma, 23 ottobre 1937 – XV

Mi ha chiesto udienza l’Ambasciatore del Giappone il quale desiderava conferma di quanto gli era stato detto da fonte tedesca circa l’accettazione di massima del Duce del Patto tripartito anticomunista.

Gli ho detto che in realtà il Duce si era espresso in tal senso con Ribbentrop e che ormai restava alle Cancellerie di mettersi d’accordo su alcune questioni secondarie e formali, nell’attesa di un benestare da Tokio, non ancora pervenuto.

L’Ambasciatore ha ripetuto che Tokio è d’accordo in linea di principio e che si riserva alcune piccole modifiche del testo che ci verranno comunicate quanto prima. Egli frattanto intendeva ripetere che anche se il Patto italo-giapponese stava per essere sostituito da un Patto tripartito, l’impegno verbalmente preso per una favorevole neutralità e una eventuale collaborazione in caso di difficoltà internazionali, era completamente mantenuto.

Aveva istruzioni di dire che il popolo giapponese non potrà mai dimenticare la prova di solidarietà che l’Italia sta dandogli in questo momento della sua storia nazionale e che non lascerà sfuggirsi l’occasione per dimostrare coi fatti che è pronto ad assolvere totalmente nei nostri confronti il suo debito di riconoscenza.

L’Ambasciatore aggiungeva che era spiacente che per ora non fosse possibile metter per iscritto un siffatto impegno. L’Italia deve però credere che la parola giapponese vale quanto qualsiasi documento formale. Ho ringraziato l’Ambasciatore di tale comunicazione, della quale ho preso atto, aggiungendo che, a mio avviso, le circostanze e gli avvenimenti suggeriranno e determineranno i futuri immancabili sviluppi dell’amicizia fra i due Paesi.

NOVEMBRE 1937

MUSSOLINI A COLLOQUIO CON VON RIBBENTROP

Roma, 6 novembre 1937 – XV

Il Duce, dopo avere rilevato la grande importanza del Patto a tre anticomunista concluso in mattinata, ha affermato che a suo avviso esso costituisce il primo fondamentale gesto che condurrà ad un’intesa ben più stretta di ordine politico e militare tra le tre Potenze. Nel frattempo, poiché ormai siamo così strettamente interessati alle vicende dell’Estremo Oriente, conviene esaminare con attenzione quanto si sta svolgendo colà.

Dato che la Conferenza di Brusselle è destinata a sicuro insuccesso, il Duce si domanda se non sarebbe conveniente per la Germania e per noi di esaminare la possibilità di una nostra mediazione per porre fine al conflitto. Una pacificazione dell’Estremo Oriente è utile ai fini di mantenere integra la forza militare giapponese per un’eventuale futura azione antirussa.

Mussolini e Ribbentrop

D’altra parte ciò deve tornare gradito anche alla Cina la quale dopo aver opposto delle resistenze, rese possibili dal periodo caratterizzato “dalla crisi di sbarco” delle forze giapponesi, non ha alcuna facoltà di arrestare L’avanzata nipponica. Ribbentrop dice di essere d’accordo col Duce sulla opportunità di una pacificazione in Estremo Oriente. In un colloquio da lui recentemente avuto col Rappresentante del Principe Kanin, Capo di Stato Maggiore Giapponese, e che praticamente è L’uomo che ha imposto queste operazioni militari contro il volere del Ministero degli Affari esteri anglofilo e liberale, ha saputo che anche

L’esercito desidera finire al piú presto le operazioni, però dopo essere arrivato a battere in forma definitiva le forze cinesi. La pace col Governo di Ciang Kai-scek è impossibile. Bisogna quindi che a Nankino si stabilisca un nuovo Governo. Anche presso L’Ambasciata tedesca in Giappone sono stati compiuti passi diretti ad ottenere una eventuale mediazione.

Ma di questi passi lo Stato Maggiore giapponese era completamente all’oscuro. Il Führer sarebbe favorevole alla mediazione, la quale dovrebbe basarsi su due elementi: l’adesione della Cina al Patto tripartito anticomunista e l’impegno del Giappone a rispettare tutti gli interessi stranieri in territorio cinese.

Mussolini e Ribbentrop

Il Duce concorda su tale punto di vista e dice che eventuali trattative in tale senso dovranno essere condotte nel più assoluto segreto, salvo a rendere pubblica la mediazione una volta conseguito lo scopo. Qualsiasi indiscrezione sarebbe pregiudizievole. Ciano fa presente che tra giorni giungerà a Roma il Ministro della Propaganda cinese Ch’en Kung-Po, uomo molto influente negli ambienti del Kuomintang, appartenente alla fazione nettamente ostile a Ciang Kai-scek ed amico di Wang Ching-Wei. Eventualmente il signor Ch’en Kung-Po potrebbe venire presentato e potremmo valerci di lui per conversazioni confidenziali.

Ciang Kai-scek

Il Duce e Ribbentrop aderiscono. Si passa quindi a parlare delle ripercussioni che il Patto anticomunista avrà negli altri Stati. Ribbentrop ritiene che la reazione inglese sarà più viva di quanto non sia previsto, dato che questo Patto sarà giudicato l’alleanza delle Nazioni aggressive contro i Paesi soddisfatti. L’Inghilterra moltiplicherà i suoi sforzi per avvicinarsi all’America. Ma ciò probabilmente sarebbe avvenuto anche senza l’Accordo tripartito.

Il Duce concorda nel ritenere che i cattivi umori americani saranno esasperati da un’intesa col Giappone, che è considerato, senza ragioni evidenti, il nemico tradizionale e potenziale degli Stati Uniti. Comunque anche questa volta gli americani non faranno niente. Quando fu soppressa la massoneria, si minacciarono violente reazioni. Esse sono invece totalmente mancate.

Ciano e Ribbentrop

Così come mancano adesso, mentre noi stiamo conducendo una campagna antisemita assai decisa e sempre più intensa guidata da un uomo abbastanza popolare in Italia, l’on. Farinacci, e che già ha in Roma due organi di stampa, il “Tevere” ed il “Quadrivio” e molti aderenti specialmente nel mondo universitario. Le minacce americane sono sempre inconsistenti: sembrano montagne e sono vesciche.

Si passa quindi a discutere la situazione spagnola. Il Duce riassume l’attuale stato delle nostre forze e dichiara che salvo imprevedibili novità non manderà più uomini in Spagna, dato che Franco non ne ha bisogno avendo recentemente congedato la classe del 1908. Il nostro Corpo Volontario verrà ancora impiegato in Aragona nella prossima battaglia, che potrà essere decisiva.

Dopo di che, noi siamo disposti a cominciare l’evacuazione delle forze di fanteria, lasciando invece in Spagna gli specialisti del Genio, delle Artiglierie, di Carri Armati e l’Aviazione. Ormai Franco ha la vittoria in pugno e dovrebbe conseguirla rapidamente, anche perché da notizie precise e da molti indizi risulta che i rossi sono demoralizzati e la resistenza nell’interno della Spagna bolscevica è ridotta al minimo.

Von Ribbentrop, Ciano e Hitler

Se però un fatto nuovo dovesse ancora minacciare le posizioni di Franco e se il conseguimento della vittoria richiedesse uno sforzo ulteriore, il Duce è disposto a farlo, sia pure mediante l’invio di nuove forze regolari. Intanto concorriamo efficacemente al blocco navale avendo ceduto a Franco sei sottomarini e quattro navi di superficie.

Adesso merita attenzione l’atteggiamento dell’Inghilterra nei confronti di Franco. Non vi è dubbio che Londra si è accorta di avere giocato sul cavallo perdente e cerca adesso di compiere una rapida conversione verso la Spagna Nazionale.

L’Italia e la Germania debbono essere estremamente guardinghe perché il problema si presenta per noi di particolare interesse sotto un duplice aspetto: finanziario e politico. In primo luogo abbiamo speso in Spagna circa quattro miliardi e mezzo. Le spese tedesche, secondo quanto ha detto Göring, si avvicinano ai tre miliardi e mezzo di lire. Vogliamo e dobbiamo essere pagati.

Hitler e Mussolini

Ma vi è anche e sopratutto un aspetto politico. Vogliamo che la Spagna Nazionale salvata in virtú degli aiuti di ogni natura italiani e tedeschi, rimanga strettamente legata al nostro giuoco. D’altra parte anche l’aspetto finanziario del problema è legato a quello politico: soltanto se la Spagna rimarrà nel nostro sistema, potremo contare su un completo indennizzo.

Bisogna quindi che Roma e Berlino si mantengano in stretto contatto per agire in modo che Franco faccia sempre, e sempre piú, la nostra politica. Franco ha dato prova di possedere delle qualità singolari in uno spagnolo. È calmo, discreto, di poche parole.

Nei nostri confronti, specialmente in questi ultimi tempi, ha mantenuto un atteggiamento di viva simpatia. Però è innegabile che egli sente già alcune influenze negative, come quella dei grandi proprietari terrieri e dell’alto clero. Né bisogna dimenticare che il Capo del suo Gabinetto diplomatico, signor Sangroniz, si è rivelato anglofilo e di tendenze liberali.

Hitler e Mussolini

Ribbentrop vorrebbe conoscere quale è l’esatta nostra situazione a Maiorca e quali sono le intese al riguardo. Il Duce risponde che Franco concentrando tutta la flotta a Palma ha voluto dare una pubblica prova della sua sovranità sull’isola. Sta di fatto che noi abbiamo costituito a Palma una base navale ed una base aerea: vi teniamo delle navi in permanenza ed abbiamo tre campi di aviazione.

Intendiamo restare in questa situazione il piú a lungo possibile. Ad ogni modo bisogna che Franco si persuada che Maiorca deve rimanere, anche dopo una nostra eventuale evacuazione, una base italiana in caso di guerra con la Francia: intendiamo, cioè, tenervi pronte tutte le attrezzature per potere in poche ore fare entrare l’isola di Maiorca nel gioco effettivo delle nostre basi mediterranee. Valendoci della base di Maiorca, di quella di Pantelleria e delle altre già esistenti ed agguerrite, non un solo negro potrà venire dall’Africa in Francia attraverso il Mediterraneo.

D’altro lato già 50.000 uomini adesso, e il doppio nel futuro, impegneranno ai confini libici le forze francesi ed inglesi. Si può prevedere che la parte piú importante della prossima guerra sarà giuocata in Africa. Gli inglesi non amano la guerra terrestre perché detestano la coscrizione ed odiano la caserma. Proprio per queste ragioni bisogna imporre loro la guerra terrestre.

Ribbentrop e Ciano

Quando la “Home Fleet” è venuta nel Mediterraneo furono subito inviate sette divisioni in Libia. In tal modo si era certi che la flotta non avrebbe agito. Tale nostro gesto fu giudicato da taluni una provocazione: era invece una garanzia. Bisogna anche aggiungere che le forze terrestri inglesi non possono vivere a lungo in Egitto e sopratutto non vi potrebbero operare. Quelle che furono spostate verso le nostre frontiere in occasione del conflitto etiopico, furono ben presto colpite dalla dissenteria ed ebbero gravissime perdite.

Tornando all’atteggiamento di Franco, il Duce afferma che questi dovrà necessariamente restare legato al nostro sistema politico perché, in primo luogo, la nostra pressione ne impedirà il distacco, ed anche poiché la sua ideologia essendo vicina alla nostra, egli si è avviato su una strada dalla quale non gli sarà permesso retrocedere.

Adesso Franco darà battaglia in Aragona. Anche in questa occasione, che può essere risolutiva, Franco può contare appieno sul nostro appoggio. Subito dopo prenderemo contatto per definire nettamente i suoi rapporti politici con noi. In primo luogo dovrà aderire al Patto anticomunista. In secondo luogo faremo un Patto a tre col quale Franco si ingaggerà ad armonizzare la politica spagnola con quella dell’asse Roma-Berlino.

Hitler e Franco

Ribbentrop, che in questi ultimi tempi ha avuto frequenti contatti con la Turchia, narra come negli ambienti turchi si sia ancora preoccupati dell’atteggiamento italiano nei confronti di questo Stato. Egli dice che la Turchia sarebbe una buona carta nel nostro giuoco e, a suo avviso, esisterebbe ancora la possibilità di guadagnarvela.

Domanda al Duce spiegazioni circa lo stato attuale dei nostri rapporti con la Turchia. Il Duce, dopo avere riassunto l’andamento delle relazioni italo-turche in questi ultimi anni, ripete che la Turchia non ha la minima ragione di preoccuparsi dell’Italia ed autorizza Ribbentrop a far sapere ai circoli responsabili di Ankara che egli è disposto a dare ancora una volta la garanzia ed a rinnovare la dichiarazione che l’Italia non ha mire antiturche. Una prova di ciò è data dal fatto che abbiamo rinnovato il Trattato alla sua scadenza. Eventualmente saremmo anche disposti a rafforzarlo.

Il generale Franco e Mussolini

Ribbentrop parla infine della questione austriaca. Premettendo che quanto egli dice è a titolo puramente personale, fa presente al Duce che nel grande giuoco della politica di Roma e di Berlino, l’Austria rappresenta ormai un elemento di secondaria importanza e ritiene che ad un certo momento converrà risolvere in forma definitiva tale questione, sulla quale ancora speculano i nemici della politica comune italo-tedesca.

Il Duce risponde che l’Austria è un Paese tedesco di razza, di lingua e di cultura. La questione austriaca non deve venire considerata come un problema tra l’Italia e la Germania, ma invece come un problema di ordine internazionale. Per parte sua ha dichiarato, ed ora ripete, che è stanco di fare la sentinella all’indipendenza austriaca, specialmente se gli austriaci non vogliono piú la loro indipendenza.

Il Duce vede cosí la situazione: l’Austria è lo Stato tedesco N. 2. Non potrà mai fare niente senza la Germania, e tanto meno contro la Germania. L’interesse italiano non è oggi piú cosí vivo come lo era alcuni anni fa e ciò anche per lo sviluppo imperiale dell’Italia, che ora ne ha fatto convergere l’interesse sul Mediterraneo e sulle Colonie.

La Sicilia è il centro geografico dell’Impero. Bisogna poi anche aggiungere che a far diminuire l’interesse italiano in favore dell’Austria ha contribuito il fatto che gli austriaci non hanno minimamente modificato il loro stato d’animo freddo e negativo nei nostri confronti. Secondo il Duce il miglior metodo è quello di lasciare agli eventi il loro naturale sviluppo. Non conviene bruscare la situazione per evitare crisi di ordine internazionale. D’altra parte i francesi sanno che se una crisi si dovesse verificare in Austria, l’Italia non farebbe niente.

HItler e Ribbentrop in Vaticano per gli “accordi” con la Santa Sede

Questo è stato detto anche a Schuschnigg in occasione del colloquio di Venezia. Noi non possiamo imporre l’indipendenza dell’Austria, che per il fatto stesso di una tale imposizione cesserebbe di essere indipendente. Conviene quindi in materia austriaca rimanere sulla formula che fu enunciata nel colloquio avuto con Göring a Karinal: niente sarà fatto senza reciproca preventiva informazione. Il colloquio iniziatosi alle 17,30 ha avuto termine alle ore 19.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DEL GIAPPONE

Roma, 7 novembre 1937 – XVI

Ho convocato subito l’Ambasciatore del Giappone col quale mi sono espresso secondo gli ordini ricevuti dal Duce e cui ho mostrato copia del telegramma inviato all’Ambasciatore Auriti. L’Ambasciatore del Giappone mi ha detto che già le prime reazioni giapponesi erano contrarie all’accettazione dell’invito.

Ha ripetuto che il Governo di Tokio era pronto ad entrare in eventuali conversazioni con la Cina, ma dirette ed assolutamente al di fuori di ogni ambiente di conferenza. È rimasto sinceramente commosso dalla prova di solidarietà datagli dal Duce in questa occasione e mi ha detto che, a suo avviso, il Governo di Tokio gradirà molto che l’Italia svolga un’azione come quella indicata nel telegramma ad Auriti.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE SOVIETICO

Roma, 8 novembre 1937 – XVI

Questa mattina ho ricevuto L’Ambasciatore dei Soviet, signor Stein, il quale mi ha fatto la seguente comunicazione: “D’ordine del mio Governo vi comunico che l’U.R.R.S. considera la stipulazione del Patto tripartito italo-tedesco-giapponese come contrario al Patto di amicizia, non aggressione e neutralità esistente tra i nostri due Paesi. Considera inoltre la vostra adesione al Patto antibolscevico come un gesto inamichevole verso Mosca. Non ho altro da dire.”

Soviet delegation on the way to the Naval Conference in Geneva in May 1927. On the left Boris Shtein and on the right Grigory Sokolnikov.

Ho risposto testualmente: “Prendo atto della vostra comunicazione della quale informerò il Duce. Neppure io ho altro da dire.” Dopo di che mi sono levato in piedi e l’ho accompagnato alla porta.

FORNITURE DI SOTTOMARINI AL BRASILE

Roma, 8 novembre 1937 – XVI

Ho ricevuto questa mattina l’Ambasciatore del Brasile il quale è venuto a parlarmi per la questione delle forniture dei sottomarini, argomento sul quale sono già in corso trattative col Ministero della Marina.

Nel corso del colloquio L’Ambasciatore brasiliano ha tenuto a felicitarsi per la stipulazione del Patto tripartito anticomunista e mi ha detto che egli spera, e in tal senso ha già lavorato presso il suo Governo, che il Brasile, molto interessato alla lotta contro il bolscevismo, possa aderire al Patto. Mi ha chiesto in via personale se una tale adesione riuscirebbe gradita.

Gli ho risposto che, pur riservandomi una risposta ufficiale, ritenevo che certamente L’adesione del Brasile, maggiore Stato del Sud-America, sarebbe stata bene accetta ai tre firmatari.

COLLOQUIO COL MINISTRO D’UNGHERIA

Roma, 8 novembre 1937 – XVI

Ho avuto questa mattina un colloquio con il Ministro Villani il quale, d’ordine di Kànya, ha tenuto a scusarsi per l’atteggiamento di alcuni giornali ungheresi nei nostri confronti, mettendo contemporaneamente in chiaro la nessuna responsabilità del Governo in tale questione dato che mancano, almeno per ora, al Governo stesso i mezzi per frenare la stampa in gran parte di proprietà ebraica.

1938 Koloman Von Kanya Hungarian Foreign Minister

Il Ministro propone, sopratutto ai fini di far cessare le insinuazioni francesi ed inglesi circa una minore compattezza nel gruppo degli Stati firmatari dei Protocolli di Roma, di indire al più presto una delle riunioni periodiche dei tre Ministri degli Esteri, dato che l’ultima ebbe luogo a Vienna esattamente un anno fa. Questa volta la riunione dovrebbe aver luogo a Budapest, ma il Ministro Kànya sarebbe disposto a venire a Roma qualora ciò apparisse a noi più conveniente. Suggerirebbe per tale riunione, alla quale annette molta importanza, il prossimo dicembre o il gennaio.

Ho risposto a Villani, riservando ogni decisione definitiva al Duce, che in linea di massima non vedevo obiezioni alla riunione, ma che comunque non ritenevo possibile farla in dicembre in considerazione degli impegni già assunti. Il Ministro Villani mi ha detto che il suo Governo gradirebbe una risposta in merito non appena possibile.

DICEMBRE 1937


VINCOLI D’AMICIZIA ITALO-JUGOSLAVI

Roma, 11 dicembre 1937 – XVI

Nei colloqui che hanno avuto luogo a Palazzo Venezia il 6 ed il 7 dicembre, il Presidente  ha cominciato con l’affermare che la Jugoslavia intende procedere sulla via tracciata dagli Accordi di Belgrado nel marzo scorso.

I risultati del Patto sono stati finora ottimi. Una collaborazione piú intensa in tutti i domini potrà aver luogo in avvenire. Frattanto il Presidente Stoiadinovic si è dichiarato incaricato, da parte del Reggente Paolo, di dire al Duce che in futuro, in qualsiasi combinazione politica, la Jugoslavia non si troverà mai nel campo avverso all’Italia.

Il Duce ha preso atto di tali dichiarazioni ed ha, per parte Sua, confermato l’intenzione di determinare un progressivo e continuo rinsaldamento dei vincoli di amicizia fra l’Italia e la Jugoslavia.

Mussolini con Stojadinovic,

Spagna. – Il Presidente Stoiadinovic chiede di conoscere il giudizio del Duce sulla situazione spagnola. Il Duce fa il punto su tale situazione e conclude dicendo che il Generale Franco ha avuto nel passato precise prove della amicizia italiana e che tale amicizia lo sosterrà fino al raggiungimento della vittoria che ormai non appare piú dubbia.
Il Presidente Stoiadinovic dice che ha seguito con la piú viva simpatia il nostro atteggiamento in Spagna e comunica che la Jugoslavia ha deciso di inviare a Salamanca un agente diplomatico. Aggiunge che d’altra parte, dall’inizio della rivoluzione in poi, i rapporti della Jugoslavia con Madrid sono stati praticamente inesistenti.

Inghilterra e Francia. – Il Presidente Stoiadinovic parla del suo recente viaggio a Parigi ed a Londra. Tale viaggio non ha ottenuto nessun risultato pratico. A Londra, nei colloqui avuti con i più eminenti uomini politici, ha tratto la convinzione che l’Inghilterra, mentre si prepara a ricostruire le sue flotte aerea e navale, non sarà mai in grado di possedere un’armata terrestre data la netta avversione dell’Inghilterra al servizio militare obbligatorio.

Ciò verrà a mettere la Gran Bretagna in una posizione di inferiorità. Il Presidente Stoiadinovic ha rimarcato come nei confronti dell’Italia sussista tuttora da parte inglese la piú viva preoccupazione. Ricorda che durante il conflitto etiopico, l’Addetto militare britannico a Belgrado gli confidò che la flotta inglese non avrebbe potuto agire contro l’Italia per timore delle cosí dette squadriglie aeree della morte.

Milan Stojadinović

Il Duce espone la situazione delle nostre relazioni con Londra e dice che per parte Sua è tuttora disposto a mettersi d’accordo con l’Inghilterra a condizioni però che detto accordo sia comprensivo di tutte le questioni in sospeso e a carattere duraturo. Per quanto concerne la Francia, il Presidente Stoiadinovic non nasconde il suo profondo dissentimento all’opera del fronte popolare. Rimarca che sopratutto esistono numerose correnti in senso diverso che impediscono ogni positiva decisione.

Lo stesso Esercito, per il suo carattere esclusivamente difensivo, può trovarsi un giorno di fronte ad una profonda crisi materiale e psicologica. La Francia in questi ultimi tempi ha insistito perché un patto di mutua assistenza venisse stretto tra Parigi e i tre Paesi della Piccola Intesa. Questo è anche lo scopo del viaggio che Delbos sta attualmente compiendo. Stoiadinovic si è formalmente opposto ad un tale patto e ancora piú ferma resistenza opporrà alle nuove pressioni che gli verranno fatte.

Un accordo di tale natura, oltre ad essere antinaturale e praticamente non eseguibile, verrebbe a creare delle inconcepibili assurdità e controsensi quando si pensa alla situazione determinata dai Patti che legano bilateralmente alcuni degli Stati che dovrebbero far parte di tale combinazione.

Il Presidente Stoiadinovic informa che la Francia, preoccupata della sua politica estera, ha suscitato contro di lui in passato una forte campagna di opposizione. Con l’aiuto del Reggente Paolo egli ha superato la crisi ed ora le forze avverse sono state sgretolate.

Ciano e Stojadinovic passano in rassegna alcuni soldati schierati nella stazione di Belje

Approfitterà di questa situazione per allargare la base popolare del suo Governo attraverso la costituzione, già in corso, di un gran partito che avrà principalmente lo scopo di organizzare le forze giovanili jugoslave. Tutto ciò determinerà un sempre più preciso avvicinamento al sistema politico formato dai paesi autoritari ed un distacco dalla Francia.

Ungheria e Austria. – I rapporti tra la Jugoslavia e l’Ungheria sono notevolmente migliorati in questi ultimi giorni. Il Presidente Stoiadinovic crede che, anche dopo le elezioni, Tatarescu affronterà eventuali conversazioni con l’Ungheria in vista di arrivare ad una distensione tra Budapest e Bucarest. Egli lo incoraggia su questa strada perché ciò renderebbe possibile un’intesa anche tra la Romania e l’Italia.

Il Duce dice infatti che tra l’Italia e la Romania le relazioni sono cordiali e che i rapporti economici si vanno sempre piú intensificando. Però nessuna intesa formale avrà luogo senza il beneplacito di Budapest, cui Roma continua ad essere strettamente e cordialmente legata.

Interrogato sulla questione austriaca, il Duce espone la situazione ed il nostro punto di vista in merito, cosí come risulta dai colloqui avuti con i dirigenti del Reich in varie occasioni e con Schuschnigg a Venezia nell’aprile scorso. Il Presidente Stoiadinovic concorda appieno sulla nostra formula.

Cecoslovacchia. – Prima della sua partenza per Roma, il Governo di Praga ha pregato Stoiadinovic di accertare nei suoi colloqui se vi erano delle possibilità di una collaborazione fra l’Italia e la Cecoslovacchia, che valesse a migliorare la situazione internazionale di questo Paese.

Ciano e Stojadinovic applaudono sotto lo sguardo di alcuni uomini in divisa

Nel comunicare quanto precede Stoiadinovic aggiunge che egli stesso si rende perfettamente conto della difficile condizione cecoslovacca e che, nel trasmettere la comunicazione, non aggiunge nessuna sua parola di raccomandazione o di pressione. Il Duce risponde che l’Italia non può e non desidera comunque intervenire in favore di Praga.

La Cecoslovacchia si trova a dover fronteggiare una situazione difficilissima che a noi non interessa direttamente, mentre invece pone contro i cecoslovacchi i nostri amici tedeschi e ungheresi. L’Italia non può quindi che lasciar cadere ogni profferta proveniente da Praga.

Intesa balcanica. – Il Presidente Stoiadinovic fa il punto delle sue relazioni con Atene ed Ankara. Dice anche che Rustu Aras lo ha pregato di far conoscere a Roma i sentimenti amichevoli della Turchia, ma, personalmente, aggiunge un giudizio severo nei confronti del Ministro degli Esteri turco.

Il Duce riassume l’andamento dei nostri rapporti con Ankara ed Atene in questi ultimi anni. Dice che per parte nostra siamo intenzionati di mantenere alle relazioni con questo Paese un’intonazione nettamente cordiale; ma deve osservare che, specialmente dopo la firma del Patto di Belgrado, si è rivelato, sia in Grecia che in Turchia, un piú marcato nervosismo e un tono di diffidenza non soltanto verso l’Italia, ma anche verso la Jugoslavia.

Ciò dipende dal fatto che i turchi ed i greci sentono ora maggiormente la forza di gravitazione degli slavi verso il Bosforo e l’Egeo. Stoiadinovic afferma che una tale impressione del Duce è corroborata da molte prove. I rapporti tra Jugoslavia da una parte e Grecia e Turchia dall’altra, per quanto formalmente correttissimi, sono stati in tempi recenti alterati nella loro sincerità. Ciò però non preoccupa il Governo di Belgrado. Stoiadinovic aggiunge che anche nei confronti della Grecia e della Turchia intende sempre più armonizzare la sua politica con quella di Roma.

Ciano e Stojadinovic, colti dall’alto, si stringono la mano davanti ad alcune personalità

Società delle Nazioni. – Il Duce comunica a Stoiadinovic che è sua intenzione di abbandonare la Società delle Nazioni l’11 dicembre. Avrebbe già compiuto un tale gesto da qualche giorno se non vi fosse stata in corso la visita del Presidente jugoslavo a Roma. Se Stoiadinovic crede che il ritiro dalla Società delle Nazioni immediatamente dopo la sua partenza dall’Italia possa dar luogo a polemiche a lui nocive, il Duce è disposto a ritardare di alcuni giorni l’avvenimento.

Il Presidente jugoslavo approva incondizionatamente la decisione del Duce e dice che scriverà personalmente il commento all’avvenimento nel senso che con l’uscita dell’Italia da Ginevra la Società delle Nazioni viene a perdere ogni funzione e valore.

Esamìnati punti di minore importanza, viene riaffermata la volontà di una stretta collaborazione in ogni settore e, al fine di intensificare gli scambi fra i due Paesi, si decide l’invio di alcune missioni jugoslave militari e tecniche che possano prendere una più particolareggiata conoscenza delle nostre forze produttive e un piú diretto contatto con le nostre forze armate.

COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE POLACCO WYSOCKI

Roma, 13 dicembre 1937 – XVI

L’Ambasciatore Wysocki è venuto a comunicarmi d’ordine del suo Governo l’andamento ed i risultati dei colloqui Delbos-Beck. Ha cominciato col dirmi che la visita del Ministro degli Esteri francese non ha valso se non a marcare più nettamente le differenze che esistono tra la Polonia e la Francia nel giudizio della situazione internazionale e delle vie da seguire. Delbos si è mostrato particolarmente attaccato al sistema della sicurezza collettiva ed è fiducioso nell’azione della Lega, senza peraltro fare pressioni su Beck, il quale invece ha riaffermato la fiducia polacca nelle trattative e nei patti bilaterali.

Alfred Wysocki

Le conversazioni si sono portate anche sulle relazioni fra la Polonia e la Cecoslovacchia, ma Beck ha fatto capire all’interlocutore che tale problema era, a suo avviso, da trattarsi direttamente tra i due Paesi interessati senza intervento di terze Potenze. Per quanto concerne le relazioni tra Polonia e Russia, il Ministro degli Esteri polacco ha detto che, pur senza aderire al Patto anticomunista, la Polonia non intende modificare le sue relazioni nei riguardi dei Sovieti: relazioni improntate a riserbo e freddezza.

La questione coloniale è stata incidentalmente toccata soltanto nell’ultima parte delle conversazioni. Nessuna richiesta territoriale è stata avanzata. Beck si è limitato a far presente che nel caso di revisione del problema coloniale la Polonia intende far valere il suo bisogno di materie prime.

Il ministro Ciano a colloquio con il ministro degli esteri polacco Józef Beck

Fin qui la comunicazione del suo Governo. A titolo personale l’Ambasciatore di Polonia, che porta spesso il nastrino della Legion d’Onore e trascorre le sue vacanze in Francia, ha aggiunto che Delbos, secondo quanto a lui risultava da informazioni private, aveva lasciato in Polonia una buona impressione.

GENNAIO 1938

RICONOSCIMENTO DELL’IMPERO

Roma, 3 gennaio 1938 – XVI

È venuto a vedermi l’Ambasciatore di Gran Bretagna il quale mi ha detto che, in seguito al colloquio Eden-Grandi del 2 dicembre ed alla comunicazione fatta da Crolla al Governo britannico il 23 dicembre, il suo Governo stava studiando la situazione. Poiché nella comunicazione

Crolla si parlava di un regolamento totalitario delle relazioni fra la Gran Bretagna e l’Italia, inclusa quindi la questione del riconoscimento dell’Impero, il Governo britannico, che nella comunicazione fatta in ottobre da Drummond non aveva fatto cenno a tale problema, deve attentamente esaminare una tale questione.

Robert Anthony Eden

Perth era incaricato di dirmi che il ritardo inglese nel farci conoscere il punto di vista era determinato non dal fatto di volere escludere tale argomento dalle eventuali conversazioni, ma dalla necessità di esaminare attentamente una tale possibilità. Ho risposto a Perth che prendevo atto della comunicazione che mi faceva, e gli ho praticamente ripetuto quanto Crolla aveva detto a Eden circa la opportunità che un eventuale accordo regoli tutte le questioni esistenti tra l’Italia e la Gran Bretagna senza lasciare zone d’ombra o motivi di sospetto.

Perth mi ha detto che per parte sua era interamente favorevole ad una soluzione totalitaria, ma che, nell’attesa di ricevere maggiori istruzioni dal suo Governo, teneva a farci sapere che il silenzio britannico di questi ultimi tempi non voleva affatto significare un cambiamento di programma circa l’eventualità di conversazioni con l’Italia e che non è nelle intenzioni britanniche di compiere inutili tentativi di “cloroformizzazione”.

CONVERSAZIONE DEL DUCE COL CONTE BETHLEN

Roma, 5 gennaio 1938 – XVI

Il Conte Bethlen in una conversazione avuta col Duce gli ha espresso la sua convinzione che in caso di conflitto tra l’Italia e l’Inghilterra, l’Inghilterra correrebbe un rischio gravissimo data la sua inferiorità di armamenti.

Nei confronti dell’Austria, Bethlen ha detto che l’80 % della popolazione è nazista ed il resto è favorevole all’Anschluss. Ciò aumenta la istintiva diffidenza degli ungheresi nei confronti della Germania tanto più che l’atteggiamento tedesco nei riguardi delle minoranze germaniche in Ungheria non è affatto simpatico.

Il conte Bethlen e Mussolini a colloquio a Palazzo Chigi

Gli ungheresi temono che l’andata al potere di Goga possa costituire l’inizio di una nuova Piccola Intesa con perno su Berlino anziché su Parigi. Cosa che ancor maggiormente preoccupa i magiari dato che la Germania ha fatto delle dichiarazioni antirevisioniste nei confronti dell’Ungheria, dichiarazioni che non sono ancora state smentite.

Bisogna aggiungere che i giornali tedeschi che escono nella Transilvania sono nettamente antimagiari. D’altra parte gli ungheresi non sono affatto sicuri dell’atteggiamento revisionista germanico in loro favore nemmeno nei confronti della Cecoslovacchia. L’unica possibilità politica dell’Ungheria è l’Italia.

Il Duce ha detto che l’accordo fatto dall’Italia con la Jugoslavia è molto favorevole all’Ungheria, perché a Belgrado si sa chiaramente che noi non permetteremmo ai serbi di attaccare l’Ungheria in difesa della Cecoslovacchia. Ciò è del resto molto improbabile perché Stoiadinovic è scettico sulla vitalità della Cecoslovacchia che egli stesso ha definito uno Stato salsiccia.

Il Conte Bethlen ha ammesso che dei tre Stati della Piccola Intesa la Jugoslavia è il più corrente nelle trattative. Il Duce ha confermato a Bethlen che noi non faremo niente con la Romania senza l’approvazione preventiva di Budapest, ciò vuol dire senza un previo accordo magiaro-romeno, accordo sul trattamento delle minoranze.

Mussolini firma il trattato con l’Ungheria – ricevimento e pranzo col Conte Bethlem [Istvàn Bethlen]

Bethlen ritiene che un Protocollo simile a quello polacco-germanico sarebbe soddisfacente. Egli desidererebbe però che una dichiarazione analoga a quella fattagli dal Duce venisse fatta anche dalla Germania a favore dell’Ungheria. Per quanto concerne la Cecoslovacchia, il Conte Bethlen ha detto che gli ungheresi considerano impossibile un accordo dato che ritengono pregiudiziale di portare le loro frontiere ai Carpazi per congiungersi con la Polonia e meglio contenere la pressione tedesca.

Il Duce ha detto a Bethlen che un eventuale conflitto tra l’Italia e la Gran Bretagna scatenerebbe la pressione tedesca nell’Europa Centrale e tutto l’equilibrio danubiano ne sarebbe alterato.

SULLA CESSIONE DEL GIUBALAND

Roma, 8 gennaio 1938 – XVI

L’Ambasciatore d’Inghilterra mi ha chiesto se l’Italia contemplava la cessione del Giubaland alla Germania. Per tale eventualità egli faceva presente l’art. 5 del Trattato italo-britannico del 1924. Gli ho risposto che l’Italia non contemplava la cessione di nessun territorio a nessuno Stato. In quindici anni di regime fascista, avevamo alzato la bandiera su molti territori. Ammainata: su nessuno.

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