a cura di Cornelio Galas
- documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
A settanta anni dalla loro redazione ecco per la |
SETTEMBRE 1938
COLLOQUIO COL MINISTRO DI JUGOSLAVIA
Roma, 13 settembre 1938 – XVI
Ho ricevuto il Ministro di Jugoslavia, di ritorno da un congedo trascorso in patria. Dopo avere a nome di Stoiadinovic rinnovato l’invito a recarmi in Jugoslavia per una caccia verso i primi di gennaio, secondo gli accordi presi a Venezia, mi ha chiesto il nostro punto di vista circa la situazione creatasi in Europa per la questione sudetica. Ho letto al Ministro l’“Informazione Diplomatica”.
Il Ministro mi ha detto allora che Stoiadinovic lo aveva incaricato del seguente messaggio: egli intende conformare l’attitudine del suo Governo a quella del Governo fascista. Il Ministro nel trasmettermi tale comunicazione mi ha chiesto, a titolo personale, se noi saremmo entrati in guerra. Ho risposto che era prematuro parlare di questo, dato che la crisi odierna lascia ancora possibilità di soluzioni pacifiche: aggiungevo però che, per quanto noi non si sia legati da impegni militari con la Germania, non avevamo in questi ultimi tempi e durante questa così singolarmente grave vicenda minimamente allentato i vincoli con la Germania e anzi avevamo pubblicamente dato chiare prove della nostra solidarietà col Camerata dell’Asse.
Il Ministro Christic, sempre parlando a titolo personale, mi ha detto che non ritiene che la Jugoslavia possa affiancare la Germania in una guerra. Esclude però che possa metterglisi contro. La Jugoslavia, a suo avviso, conserverà una neutralità molto favorevole ai Paesi dell’Asse e particolarmente all’Italia. Ha tenuto però a sottolineare che queste erano sue impressioni personali: le istruzioni ricevute si limitavano al messaggio sopra trascritto.
Christic mi ha parlato anche dei rapporti con l’Ungheria che sono molto migliorati ed ha sottolineato la necessità che l’Ungheria non prenda per prima le armi contro Praga. Ciò obbligherebbe la Jugoslavia a tener fede ai suoi impegni di Piccola Intesa. Qualora invece l’Ungheria appoggi e segua un intervento tedesco, la Jugoslavia si considererà prosciolta da ogni obbligo. Ho assicurato a Christic che gli ungheresi si asterranno dal prendere l’iniziativa dell’attacco: anche durante i recenti colloqui di Roma abbiamo avuto conferma di tale preciso intendimento magiaro.
Il Ministro Christic, parlandomi della situazione interna jugoslava, mi ha detto che la posizione di Stoiadinovic si va sempre piú rafforzando nel Paese nonostante le ingenti somme che in questo momento Francia e Cecoslovacchia spendono per rafforzare e galvanizzare le opposizioni contro il Presidente.
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DEL REICH
Roma, 22 settembre 1938 – XVI
Ho ricevuto l’Ambasciatore di Germania, che era incaricato dal Führer di far pervenire al Duce l’espressione della profonda riconoscenza personale di Hitler e di tutto il popolo tedesco per l’azione “storica” svolta dal Duce nell’attuale situazione internazionale.
L’Ambasciatore, d’ordine del suo Governo, mi ha comunicato inoltre che durante i colloqui di Berchtesgaden il Führer ha invitato i Ministri ungheresi, nonché l’Ambasciatore polacco a precisare di fronte al mondo i loro desiderata nella soluzione della questione ceca e li ha consigliati ad intensificare la loro attività irredentista nonché l’opportuna preparazione militare.
Il Führer ha fatto conoscere ai suddetti rappresentanti polacco e ungheresi che egli intende, secondo la formula suggerita da Mussolini, arrivare ad una soluzione integrale anche per le altre minoranze. L’Ambasciatore ha aggiunto che dovrebbe fra breve giungere a Roma il Principe d’Assia, recando un messaggio personale di Hitler al Duce.
COLLOQUIO COL MINISTRO D’UNGHERIA
Roma, 22 settembre 1938 – XVI
Il Ministro di Ungheria mi ha consegnato la qui unita copia di nota rimessa dal Governo magiaro a quello cecoslovacco. Il Ministro Villani mi ha inoltre comunicato, a titolo strettamente segreto, che durante i recenti colloqui di Berchtesgaden, Imrédy e Kànya hanno riaffermato a Hitler la loro ferma determinazione di arrivare ad una soluzione della questione minoritaria. A tal fine si propongono di far sorgere degli incidenti nelle zone popolate da ungheresi e nella stessa Slovacchia. Il Führer li ha incoraggiati ed ha dimostrato “piena comprensione del punto di vista di Budapest”.
Per parte mia non ho mancato di esprimermi con Villani nel senso delle istruzioni già inviate questa mattina al Ministro Vinci: essere cioè interesse ungherese di agitare continuamente la questione delle minoranze, di tenersi pronti a seguire e a sostenere l’iniziativa tedesca o polacca, ma di non essere i primi ad attaccare e ciò per evitare che giuochino ancora i legami della Piccola Intesa.
Il Ministro Villani, cui avevo già più volte parlato in tal senso, si è dichiarato assolutamente d’accordo con tale nostro punto cli vista.
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE BRITANNICO PERTH
Roma, 22 settembre 1938 – XVI
Ho ricevuto l’Ambasciatore d’Inghilterra, di ritorno da un lungo congedo trascorso in patria. La sua visita era per riprendere contatti e non aveva alcun obiettivo specifico. Parlandomi della situazione egli mi ha detto che nonostante le buone prospettive determinate dall’iniziativa di Chamberlain, egli non è ancora assolutamente ottimista perché teme che i tedeschi vogliano andare troppo oltre nelle loro richieste e forse nella loro eventuale azione.
Alcuni giornali parlavano dell’eventualità di un invio di forze tedesche a Praga: se ciò fosse vero, la situazione apparirebbe di nuovo oscura poiché in tal caso è probabile che la Francia passerebbe all’azione e l’Inghilterra la seguirebbe. Chamberlain ha fatto del suo meglio per salvaguardare la pace, ma non bisogna nascondersi che egli è molto osteggiato in patria e che dopo un primo momento di sbandamento, le opposizioni si sono riprese ed hanno organizzato un’offensiva in forza contro il Primo Ministro. La Nazione è unanime nel ritenere che qualora la Germania volesse spingere le sue ambizioni al di là dei termini segnati dalla giustizia, bisognerebbe risolvere la partita con le armi.
Per parte mia ho detto all’Ambasciatore d’Inghilterra che noi, come già era stato ripetutamente e inequivocabilmente espresso dal Duce, intendevamo che la soluzione del problema cecoslovacco fosse integrale e che cioè anche l’Ungheria e la Polonia avessero la debita soddisfazione. A nostro avviso sarebbe infatti puerile e pericoloso risolvere il problema sudetico e lasciare ancora aperta la questione delle minoranze magiare e polacche, capaci in un breve giro di tempo di mettere nuovamente in pericolo la pace d’Europa. Lord Perth mi ha detto che egli è perfettamente d’accordo con noi.
Non sa però quali siano le proposte che Chamberlain avanzerà al Führer, quindi non è in grado di far conoscere le intenzioni del suo Governo. A titolo personale mi ha chiesto se noi saremmo disposti a garantire le frontiere della Cecoslovacchia, dopo che tutte le questioni delle minoranze fossero state risolte e la rimanente Repubblica cecoslovacca fosse stata neutralizzata col sistema svizzero.
Ho risposto a Lord Perth che un tale problema non era stato ancora da noi esaminato e che quindi non potevo dargli alcuna risposta ufficiale. In via personale potevo però dirgli che ritenevo che la questione avrebbe potuto venire esaminata con la massima benevolenza. Quello che intanto potevo escludere in forma assoluta era un’eventuale garanzia italiana prima della liquidazione delle questioni magiara e polacca. Nessun’altra questione è stata discussa con l’Ambasciatore d’Inghilterra.
COLLOQUIO COL MINISTRO RUMENO ZAMFIRESCU
Roma, 23 settembre 1938 – XVI
Ho ricevuto il Ministro di Romania col quale ho molto vivacemente protestato per la pubblicazione del “Curentel” e degli altri giornali romeni, minacciando rappresaglie da parte nostra. Il Ministro Zamfirescu è apparso profondamente scosso dal nostro passo, ha sconfessato il giornale e l’autore dell’articolo e si è impegnato ad adoperarsi a Bucarest nel modo più energico per far cessare tali assurde pubblicazioni.
In pari tempo il Ministro romeno mi ha fatto la seguente segreta comunicazione di cui era stato incaricato dal suo Governo:
1. La Romania è stata oggetto di vivissime pressioni perché concedesse il libero passaggio delle truppe sovietiche attraverso il suo territorio nel caso di attacco tedesco contro la Cecoslovacchia. La Romania si è opposta, si oppone, si opporrà ad una tale richiesta.
2. La Romania si rende conto che l’Ungheria possa fra breve essere reintegrata nei suoi territori già sottoposti al Governo di Praga. Dato l’andamento delle cose il Ministro romeno trova che ciò è logico e naturale. Prega però il Governo italiano di volersi adoperare presso Budapest affinché da parte ungherese non venga compiuto nessun gesto di impulsività tale da rendere difficile la posizione della Romania in relazione ai suoi accordi di Piccola Intesa.
3. La Romania, mentre comprende e giustifica il ritorno all’Ungheria dei territori puramente magiari, dovrebbe rivedere il suo atteggiamento qualora da parte ungherese si avanzassero pretese su territori abitati da altre popolazioni: ad esempio la Slovacchia. Il Ministro romeno confida che il Governo italiano vorrà svolgere azione di moderazione su Budapest.
Ho ringraziato il Ministro di Romania della comunicazione fattami della quale prendevo atto. A titolo personale gli ho detto che fin da oggi mi sembrava che la Romania potesse considerarsi sciolta dai legami della Piccola Intesa, dato che uno dei contraenti e precisamente la Cecoslovacchia era già sostanzialmente modificata in modo tale da rendere nullo qualsiasi contratto precedente. Il Ministro Zamfirescu mi ha detto di ritenere che questo è anche il punto di vista del Governo romeno.
Essendo durante il colloquio pervenuto un telegramma stampa relativo alla frizione determinatasi tra Varsavia e Mosca, ho posto il quesito al Ministro Zamfirescu circa l’atteggiamento che la Romania adotterebbe qualora un conflitto aperto si determinasse tra l’U.R.S.S. e la Polonia. Zamfirescu mi ha detto senza esitazione che la Romania si schiererebbe a fianco di Varsavia e che comunque l’alleanza con la Polonia avrebbe il sopravvento su qualsiasi impegno con Praga.
CRONACA DELLE GIORNATE 28-29-30 SETTEMBRE 1938 – XVI
Il mattino del 28 settembre, alle ore 10, l’Ambasciatore Perth telefona chiedendo una urgente udienza. Lo ricevo subito ed egli mi dice, in tono molto commosso, che Chamberlain fa appello al Duce per un intervento amichevole presso il Führer in queste ore che considera le ultime utili per salvare la pace in Europa.
Ripete e conferma la garanzia che Francia ed Inghilterra hanno già offerto per la cessione dei Sudeti alla Germania. Chiedo a Perth se devo considerare la démarche come un invito formale e solenne rivolto dal Governo inglese al Duce perché egli assuma il ruolo di mediatore. Dopo breve riflessione, Perth risponde di sì. Allora, dato che non c’è tempo da perdere e che l’offerta merita considerazione, prego l’Ambasciatore britannico di attendermi a Palazzo Chigi.
Alle ore 11 sono a Palazzo Venezia ove il Duce, dopo avere ascoltato quanto Gli espongo, dice che è impossibile lasciar cadere la domanda di Chamberlain. Personalmente telefona ad Attolico: “Andate subito dal Führer e, premesso che io in ogni evenienza sarò al suo fianco, ditegli che lo consiglio a dilazionare di 24 ore l’inizio delle ostilità. Nel frattempo, mi riservo di studiare quanto potrà esser fatto per risolvere il problema.”
Torno a Palazzo Chigi ove Perth attende. Lo informo che l’azione avrà inizio alle ore 2 pomeridiane e gli confermo che il nostro posto è con la Germania. Trema in volto e gli si arrossano igli occhi. Dopo breve pausa aggiungo che il Duce ha accolto la richiesta di Chamberlain ed ha proposto ventiquattr’ore di rinvio. Allora Perth pronuncia alcune parole di ringraziamento e mi chiede subito di tornare all’Ambasciata per informare il suo Governo. Poco dopo domanda una nuova udienza.
Reca un messaggio telefonico di Chamberlain al Duce e copia di quello diretto in pari tempo ad Hitler: una concreta proposta di conferenza a quattro con impegno di arrivare alla soluzione del problema sudetico entro sette giorni. Chamberlain ritiene che la sua proposta verrà accolta dal Führer solo se il Duce sarà favorevole: ciò è accennato nel messaggio e chiaramente detto da Perth.
Vado nuovamente a Palazzo Venezia. Il Duce esamina la richiesta inglese, decide di appoggiarla tanto piú che ormai il Fiihrer, secondo quanto ha comunicato Attolico, ha deciso il rinvio delle operazioni per ventiquattro ore. Di nuovo il Duce telefona ad Attolico e redige di Suo pugno il seguente fonogramma di istruzioni:
“1) Ringraziate il Führer per aver accettato mio invito sospendere 24 ore mobilitazione;
2) insieme con un messaggio personale a me diretto da Chamberlain che mi consigliava passo compiuto presso Hitler, sono a conoscenza testo lettera che Chamberlain ha diretto in data odierna 28 ad Hitler;
3) tale lettera che sarà forse resa di pubblica ragione e della quale in ogni modo Vi trasmetto il testo, contiene proposte che io ritengo accettabili e cioè ritorno a Berlino di Chamberlain per liquidare in non piú di sette giorni problema, presenti gli czechi e se Hitler lo desidera anche Francesi ed Italiani. Italia è naturalmente favorevole a partecipare. È mia convinzione che Hitler otterrebbe in tal modo un successo che non esito a chiamare grandioso dal punto di vista concreto e dal punto di vista prestigio mondiale – Mussolini.”
Al mio ritorno a Palazzo Chigi mi incontro nuovamente con Perth: lo informo della rapida azione compiuta dal Duce. Ringrazia con molta effusione ed ancora una volta dà segni evidenti della sua commozione.
Mentre attendo la risposta da Berlino mi chiama al telefono il Duce: è risultato, da una telefonata, che anche Blondel si preparasse a fare “un passo”, il che trasformerebbe tutta la situazione quale si è creata in seguito alla preghiera britannica. D’ordine del Duce telefono a Perth quanto segue: “Mi risulta che la Francia si prepara a mettersi in mezzo. Vi avviso che qualsiasi azione di Blondel sarebbe assolutamente controproducente. Fate in modo che non abbia luogo. Tutti i risultati sinora raggiunti verrebbero senz’altro messi in pericolo.” Perth si dichiara d’accordo e s’impegna ad agire secondo la mia richiesta.
Ore 15 – Attolico telefona che Hitler è in massima d’accordo, pur facendo alcune riserve circa la necessità che Chamberlain possa prendere decisioni senza dover consultare il Governo a Londra. Però il Führer pone una condizione fondamentale: la presenza personale del Duce alla Conferenza, che egli considera la sola garanzia di riuscita. Lascia al Duce decidere se la Conferenza dovrà aver luogo a Francoforte o a Monaco. Mi metto in comunicazione telefonica col Duce il Quale accetta e sceglie Monaco. La partenza ha luogo alle ore 18.
29 Settembre. A Kufstein, incontro col Führer.
Il Duce prende posto nel vagone del Führer, ove, spiegate su di un tavolo, sono tutte le carte geografiche dei Sudeti e delle fortificazioni occidentali. Il Führer illustra la situazione. Intende liquidare la Cecoslovacchia quale ora è, poiché immobilizza 40 divisioni e gli lega le mani in caso di un conflitto con la Francia. Quando la Cecoslovacchia sarà convenientemente deflazionata, basteranno 12 divisioni per neutralizzarla.
Il Duce lo ascolta ed entrambi i Capi convengono su questo punto: o la Conferenza riesce in breve tempo (“entr’oggi,” specifica il Duce) oppure la soluzione dovrà essere cercata attraverso la forza. “D’altronde – mi dice il Führer – verrà una volta in cui uniti dovremo batterci contro le Potenze Occidentali. Tanto vale che ciò avvenga fino a che alla testa dei nostri due Paesi siamo il Duce ed io, giovani e pieni di energia e che rappresentiamo la migliore armata.”
Alle ore 11 arriviamo a Monaco. Dopo breve sosta a Palazzo Reale, il Duce si reca alla Führerhaus accompagnato da Hess. Gli altri Capi di Governo sono già arrivati e stanno consumando una colazione fredda. Hanno luogo le presentazioni. Poi, siccome il Duce si è ritirato in un angolo ove si sta intrattenendo con Göring, Chamberlain mi domanda se può avvicinarsi per dirGli qualche parola. Lo accompagno ed egli ringrazia il Duce per quanto ha fatto e per quanto farà per salvare l’Europa dalla minaccia che su di lei incombeva.
Alle ore 12,30 ha inizio la riunione. Sono presenti: i quattro Capi, Ribbentrop, Léger, Wilson, io e l’interprete Schmit. Parla per primo il Führer: ringrazia i presenti di avere accettato il suo invito ed espone la situazione quale si è creata ed aggravata negli ultimi giorni. Conferma di avere accolto il rinvio di ventiquattro ore in seguito all’intervento del Duce, ma dice in pari tempo che sarà costretto ad agire se nel minor tempo possibile non verrà raggiunto l’accordo.
Parlano anche Chamberlain e Daladier facendo alcune dichiarazioni di carattere formale. Infine il Duce. Dopo un breve preambolo, afferma la necessità di una decisione rapida e concreta ed a tal fine sottopone ai convenuti un documento che potrà servire da base di discussioni. Il documento comprende cinque punti, concordati precedentemente con i tedeschi, attraverso i quali viene deciso e regolato il passaggio dei Sudeti alla Germania.
Chamberlaín dopo una prima lettura del documento, si dichiara in massima favorevole, ma solleva l’obiezione relativa alla presenza di un delegato cecoslovncco che possa, allorché necessario, essere chiamato nella sala della Conferenza ed impegnare il suo Governo sulle nostre deliberazioni. Daladier appoggia la tesi del Primo Ministro Britannico. Il Duce fa opposizione. Ed in seguito alla opposizione del Duce, dopo una discussione cui partecipano i quattro Capi di Delegazione, la proposta Chamberlain viene abbandonata.
Daladier chiede che venga concesso il tempo necessario per tradurre ed esaminare il progetto. La proposta è accolta e la seduta viene tolta alle ore 14,45 e rinviata alle ore 16,30. La Segreteria della Conferenza distribuisce le traduzioni del progetto che, come risulta dalla copia unita, viene chiamato “progetto del Capo del Governo Italiano”.
In inizio di seduta Chamberlain prende la parola per dichiarare che accetta il progetto del Duce come base di discussione. Daladier fa del pari. Da questo momento si può considerare in pratica risolta la questione. Si tratta ancora di discutere, paragrafo per paragrafo, il progetto italiano e di portare quelle modifche, soprattutto di forma, che appaiono convenienti.
La discussione si protrae ancora a lungo, ma sempre su questioni secondarie. Chatnberlain si attarda soprattutto a sollevare questioni di procedura e di carattere legale. Daladier difende, con poca convinzione, la causa dei cechi. Il Duce riassume le conversazioni e tira le conclusioni. Il Duce poi prende di nuovo la parola in forra ufficiale allorché si tratta di mettere sul tappeto il problema delle minoranze magíara ed ungherese.
Gli altri, tutti gli altri, tedeschi compresi, non hanno manifestato nessun particolare desiderio di parlarne ed anzi cercano di sottrarsi ad una discussione in merito. Ma il Duce ha preparato anche su questo argomento una risoluzione scritta di Suo pugno e la sottopone alle decisioni della Conferenza. Gli altri cedono alla Sua pressione ed il problema viene risolto.
Durante le pause della Conferenza hanno luogo alcuni contatti personali di particolare interesse. Attolico accenna anche alla possibilità di un ritardo nella partenza del Duce per permettere un Suo incontro con Chamberlain, ma l’idea è scartata dal Duce poiché ritiene che un tale incontro a Monaco potrebbe urtare la suscettibilità tedesca e poi perché sarebbe difficile, avendo ricevuto Chamberlain, rifiutare una intervista anche a Daladier.
Però il Duce si intrattiene assai a lungo con Chamberlain nella sala della Conferenza. Gli esprime il suo punto di vista nei confronti della Spagna dicendo che l’interesse da Lui portato a tale problema è molto diminuito, e gli annuncia come prossimo il ritiro di 10 mila volontari, cioè circa la metà del nostro Corpo di spedizione. Invita Chamberlain a venire in Italia “quando la situazione tra i due Paesi sarà definitivamente regolata.”
Chamberlain ringrazia ed accenna anche alla possibilità di una conferenza a quattro per risolvere il problema spagnolo. Il Duce non risponde ad una tale apertura. All’una del mattino del 30 settembre il documento è finalmente completato dopo un lungo lavoro del Comitato di traduzione. Il Duce propone che la Commissione internazionale venga nominata seduta stante e dice che potrebbe essere composta degli Ambasciatori a Berlino, assistiti dagli esperti necessari. Sottolinea l’urgenza della questione, poiché la Commissione dovrà mettersi all’opera immediatamente. La proposta è accolta. Infine i quattro Capi appongono le loro firme.
Alle ore 2 il Duce lascia Monaco di Baviera accompagnato al treno dal Führer e salutato da una nuova calorosissima manifestazione della popolazione che ancora affolla le strade.
OTTOBRE 1938
CONVERSAZIONE TELEFONICA CON VON RIBBENTROP
Roma, 22 ottobre 1938 – XVI
Mi ha chiamato al telefono Ribbentrop, il quale ha detto di aver ricevuto il passo ungherese per l’eventuale arbitrato dell’Asse nella questione ceco-magiara. Ribbentrop non aveva ancora potuto conferire col Führer col quale si sarebbe incontrato nella tarda serata.
Egli però voleva farmi fin d’ora presente un suo senso di rincrescimcnto per l’atteggiamento ungherese: a suo dire quanto era stato proposto da Praga, aveva avuto la piena approvazione di Darànyi e Imrédy. A prescindere da ciò, Ribbentrop appariva scettico sulla possibilità di risolvere la questione ceco-magiara mediante l’arbitrato. Temeva che si sarebbe finito con lo scontentare ambo le parti e che forse saremmo stati obbligati a fare applicare con la forza le decisioni dell’arbitrato. Cosa che la Germania non intende di fare.
Gli ho detto che per parte nostra avevamo fatto sapere agli ungheresi, in via preliminare, che non avevamo obiezioni all’arbitrato, ma che comunque qualsiasi decisione doveva venire presa di pieno accordo con la Germania. Per quanto concerneva poi l’esecuzione delle decisioni arbitrali da parte dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, mi pareva da escludere ogni pericolo del ricorso alla forza, poiché l’arbitrato poteva effettuarsi solo previo impegno di ambo le parti di accettare senza riserve o obiezioni le conclusioni arbitrali.
Ribbentrop ha allora fatto cenno che forse Praga avrebbe preferito di far convocare la Conferenza delle quattro Potenze, convocazione che potrebbe aver luogo, in un prossimo futuro in una città dell’Italia settentrionale. Voleva conoscere il nostro avviso in proposito.
Gli ho risposto che ne avrei informato opportunamente il Duce onde riceverne ordini, ma gli rammentavo che già alcuni giorni or sono noi eravamo stati favorevoli ad una tale eventualità, scartata successivamente per opposizione non nostra.
Ribbentrop si è riservato di telefonarmi ulteriormente dopo aver conferito col Führer. Egli ha tenuto a dare a tutta la conversazione un tono di marcata cordialità nei nostri confronti e di evidente risentimento contro l’Ungheria. È stato, piú apertamente del solito, l’avvocato di Praga.
COLLOQUIO COL MINISTRO D’UNGHERIA
Roma, 23 ottobre 1938 – XVI
Il Ministro di Ungheria ha ricevuto istruzioni dal suo Governo di comunicarci che, data l’impossibilità di procedere immediatamente all’arbitrato, a Budapest si prende nuovamente in considerazione la eventualità di nuovi contatti diretti con i cechi. Tali conversazioni verranno però riassunte in una atmosfera di assoluto scetticismo: si ritiene che dopo uno o due giorni di negoziati, esse saranno nuovamente interrotte.
A Budapest si ha altresí l’impressione che la Francia e l’Inghilterra sarebbero favorevoli all’arbitrato dell’Asse, intendendo questi Paesi di non occuparsi piú oltre delle vertenze ceco-magiare. Poiché da parte della Germania l’idea dell’arbitrato non è stata accolta con incondizionato favore, ma in pari tempo non è neppure stata del tutto scartata, il Governo ungherese ritiene che, qualora l’Italia insistesse presso Berlino, il progetto di una soluzione arbitrale potrebbe venire adottato.
Al momento opportuno il Governo ungherese si riserva di farci nuovamente conoscere i suoi desideri onde ottenere il nostro aiuto. Per ora si tratta soltanto di facilitare eventualmente la formazione di un’atmosfera favorevole all’arbitrato dell’Asse.
Il Ministro Villani mi ha anche confidenzialmente informato del dissidio Ribbentrop-Darànyi, causato da una diversa interpretazione delle condizioni di soluzione della vertenza ceco-magiara fissate a Monaco. Gli ungheresi insistono nel dire che le carte in tavola non sono state cambiate da loro, bensí dai tedeschi. Darànyi avrebbe sempre affermato l’assoluta necessità di cessione all’Ungheria delle tre città orientali, mentre Ribbentrop dice il contrario.
La tesi ungherese sarebbe suffragata da testimonianze dello stesso ministro di Germania a Budapest il quale però, per evidenti ed ovvie ragioni, non può rendere pubblica tale sua asserzione.
NUOVA CONVERSAZIONE TELEFONICA CON VON RIBBENTROP
Roma, 23 ottobre 1938 – XVI
In serata mi ha telefonato Ribbentrop da Berchtesgaden.
1. Attribuendo al Führer i giudizi e le argomentazioni già anticipate da lui nella telefonata di ieri sera, ha confermato l’opposizione tedesca alla eventualità di un arbitrato dell’Asse. Poiché (come del resto già risulta dal mio colloquio di stamane con Villani) si sta determinando la possibilità di una ripresa di contatti diretti tra Praga e Budapest, Ribbentrop propone di mandare un messaggio identico ai Governi magiaro e cecoslovacco per incoraggiarli a proseguire sulla via delle negoziazioni dirette.
Ho riservato una risposta dopo avere preso gli ordini dal Duce. Ribbentrop ha aggiunto che qualora i negoziati diretti dovessero ancora una volta fallire, il Führer ritiene che la questione dovrebbe venire affrontata in una Conferenza a quattro, con la partecipazione dei soli Ministri degli Esteri, da tenersi in una città dell’Italia settentrionale.
2. Ribbentrop ha detto di avere una missione personale del Führer per il Duce da compiere personalmente e che a tal fine intenderebbe venire a Roma nella seconda metà della corrente settimana. Indicherebbe come giorni migliori venerdí o sabato. La sua permanenza a Roma sarebbe brevissima e di carattere non ufficiale. Ho risposto che avrei informato il Duce e che gli avrei fatto avere una risposta al più presto.
COLLOQUIO COL MINISTRO VON RIBBENTROP
Palazzo Chigi, 28 ottobre 1938 – XVII
I due Ministri degli Esteri hanno preso in esame la vertenza ungaro-ceca. Il Conte Ciano ha voluto chiarire a von Ribbentrop il valore e l’influenza in Europa di un arbitrato italo-tedesco della questione. Egli ha fatto presente che mentre si poteva pensare che il Governo inglese non dovesse essere favorevole a tal arbitrato, da una comunicazione fattagli ieri da Lord Perth risultava che invece Londra avrebbe visto non solo senza preconcetti ma con soddisfazione un intervento diretto, in qualità di arbitre, delle due Potenze dell’Asse.
“Stando cosí le cose – ha proseguito il Conte Ciano – non vi è nessun dubbio che una affermazione di questo genere consacrerebbe un diritto della Germania e dell’Italia di dirimere le questioni dell’Europa centrale mentre affermerebbe presso le popolazioni tanto ceche che magiare l’influenza esclusiva dell’Asse”. Von Ribbentrop che già in un precedente colloquio aveva prospettato al Conte Ciano la sua esitazione ad aderire all’idea dell’arbitrato, si è lasciato guadagnare dalle argomentazioni del Conte Ciano e vi ha scorto tanto l’interesse germanico che la possibilità di conciliare divergenze ungaro-ceche nel nome dell’Asse.
Ha aggiunto che in base ai chiarimenti del Conte Ciano egli avrebbe in giornata avanzato nuove proposte al Führer – il quale non era finora propenso all’idea dell’arbitrato – e sperava di ottenerne il di lui assenso. Per quanto si riferiva alle richieste ungheresi e alle resistenze ceche, il Conte Ciano, dopo aver tracciato cronologicamente le varie fasi delle richieste magiare e dei rispettivi interventi italiano e tedesco a Praga e a Budapest e dopo aver chiarito i punti essenziali dei desiderata ungheresi, proponeva a von Ribbentrop di stabilire intanto un accordo di massima italo-tedesco da servire di intesa per il futuro arbitrato.
Il Conte Ciano riteneva, dall’esame dei documenti e dai colloqui avuti con gli ungheresi, che l’Ungheria e lo stesso Governo ungherese potevano essere accontentati – assicurando con questo la riconoscenza del Paese magiaro all’Asse – inducendo la Cecoslovacchia a cedere loro tre delle città per cui erano in corso contestazioni e precisamente quelle dei distretti orientali: Kassa, Munkàcs e Ungvàr. Per Pozsony e Nyitra il Conte Ciano riteneva che effettivamente non sarebbe stato possibile dar corso alle domande magiare.
Ma alla rinuncia a tali due città sembrava al Conte Ciano che i magiari si fossero già adattati ed è perciò nella cessione dei tre centri anzidetti – specie di Kassa a cui gli ungheresi tenevano in modo particolare – che egli vedeva la possibilità di dirimere la vertenza. In cambio di tale cessione gli ungheresi avrebbero dovuto rinunciare alle loro pretese sulla Slovacchia e sulla Rutenia.
Obiettava von Ribbentrop che una simile soluzione avrebbe provocato una reazione da parte slovacca e possibilmente dei movimenti a fondo separatista che la Germania e l’Italia come arbitre e garanti avrebbero dovuto fronteggiare con le armi. A tale obiezione ribatteva il Conte Ciano che un’ipotesi del genere si sarebbe difficilmente verificata in quanto, a parte l’accordo contingente degli slovacchi con Praga, non vedeva l’interesse slovacco a giungere a tali estremi.
Il signor von Ribbentrop, dopo aver accennato a quelle che erano state le richieste di Darànyi e che hanno provocato un fondamentale equivoco che è durato fino ad ora, finiva per prendere in attenta considerazione la tesi esposta dal Conte Ciano e, abbinandola alla possibilità dell’arbitrato e ripetendo che tale possibilità veniva dentro oggi deferita al Führer, concludeva dicendo che il piano di arbitrato, insieme alla linea generale del soddisfacimento delle richieste ungheresi tracciata dal Conte Ciano, potrebbe costituire la piú seria base per la soluzione della vertenza ceco-magiara.
COLLOQUIO FRA MUSSOLINI E VON RIBBENTROP
Roma, 28 ottobre 1938 – XVII
Ribbentrop espone i concetti che inducono il Governo del Reich a ritenere molto utile, nel momento attuale, la stipulazione di un Patto di alleanza militare tra Italia, Germania e Giappone. Il Führer è convinto che dobbiamo contare inevitabilmente su una guerra con le democrazie occidentali nel giro di pochi anni, forse tre o quattro.
Dopo quanto è avvenuto a Monaco, l’Asse è in posizione eccezionalmente favorevole, tanto favorevole che negli stessi nostri Paesi vi è qualcuno che non riesce a rendersene esattamente conto. L’alleanza oggi è da considerarsi un passo utile e prudente: bisogna tener presente che un’alleanza esiste tra la Francia e la Gran Bretagna e che, seppure affievolito, è ancora in vigore il Patto franco-russo. Un’eventuale alleanza, secondo la proposta tedesca, non farebbe altro che metterci sulla stessa linea degli altri.
Il Führer ha finora esitato a proporre l’alleanza per le due ragioni seguenti:
1. Riteneva che le grandi democrazie avrebbero intensificato la loro azione di riarmo e che gli uomini che in Francia ed in Inghilterra rappresentano le correnti di conciliazione con gli Stati totalitari sarebbero stati scossi nelle loro posizioni. Adesso il Führer è giunto alla conclusione che indipendentemente da ogni nuovo avvenimento politico, la Francia e l’Inghilterra hanno fatto e faranno il massimo sforzo in materia di armamenti.
Ciò nonostante il vantaggio preso dalla Germania e dall’Italia è tanto forte che non potremo piú essere raggiunti. Per quanto concerne la posizione di Chamberlain e Daladier sono abbastanza bene piazzati ed anche la stipulazione di una alleanza tripartita non potrebbe provocarne la caduta.
2. L’America. Si ritiene da taluni che l’Alleanza tripartita favorirebbe l’alleanza tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Il Führer è giunto a conclusioni contrarie: gli Stati Uniti si isoleranno sempre più, se si manifesterà una minaccia di guerra. La crisi cecoslovacca ha provato che l’America è il Paese che sa fare le ritirate più complete e più rapide. Anche i giapponesi condividono tale giudizio: gli Stati Uniti non si vorranno immischiare in nessun conflitto e tanto meno se il Giappone fosse in esso coinvolto.
La Germania svolge una politica di grande amicizia e collaborazione col Giappone dal 1933. Oggi la posizione del Giappone è formidabile: il dominio sulla Cina è, o sarà tra breve, assoluto. Ormai l’obiettivo più prossimo del dinamismo giapponese non è la Russia, bensí la Gran Bretagna. In caso di guerra con le democrazie occidentali l’alleanza militare giapponese sarà preziosa.
Bisogna fin da ora preparare la collaborazione militare con questo popolo. Occorre però tener presente che in Giappone vi sono due correnti opposte: la corrente imperialista e quella che potremmo chiamare finanziaria, che tenderebbe piuttosto ad un accordo coi Paesi democratici ed alla preparazione di un lungo periodo di calma. Hitler ritiene che avendoci oggi il Giappone offerto questo patto, conviene accettarlo, poiché altrimenti potrebbero prevalere le forze conservatrici ed imporre l’intesa con l’Inghilterra.
La crisi cecoslovacca ha mostrato la nostra forza. Noi abbiamo il vantaggio della iniziativa e siamo padroni dell’azione. Siamo inattaccabili. La situazione militare è ottima: fin dal settembre potevamo affrontare una guerra con le grandi democrazie. La Germania avrebbe messo in campo, fin da principio, 98 divisioni.
Espone la situazione delle forze armate: fortissimo l’esercito; fortissima l’aeronautica; in via di rapido sviluppo la marina, la quale sarà tra breve sufficiente ad impegnare nel Mare del Nord una notevolissima parte della flotta britannica.
Per quanto concerne poi la situazione politica, la Cecoslovacchia si può considerare liquidata. Nel settembre sarebbero occorse due settimane per completarne l’invasione: oggi bastano quarantotto ore. Le frontiere tedesche sono tanto ravvicinate che in taluni punti le artiglierie sono state retrocesse di alcuni chilometri per impedire che battessero le altre artiglierie tedesche al di là della Cecoslovacchia.
Nei confronti della Polonia, il Reich intende continuare a sviluppare la politica di amicizia, rendendosi conto di quelle che sono le necessità vitali della Polonia e in primo luogo lo sbocco al mare. Vi sono altri Paesi che vogliono stringere sempre piú i legami con l’Asse: Jugoslavia, Romania ed Ungheria. Ad Oriente la Russia è debole e lo sarà per molti anni: tutto il nostro dinamismo può dirigersi contro le democrazie occidentali. Questa la ragione fondamentale per cui la Germania propone il Patto e lo ritiene adesso tempestivo.
Il Duce è d’accordo che vi sarà la guerra nel giro di pochi anni tra l’Asse, la Francia e l’Inghilterra. Ciò è nel dinamismo storico. Si è determinata una frattura insanabile fra i due mondi. Bisogna riconoscere che tra Londra e Parigi esiste una alleanza difensiva simile a quella che ora viene proposta dalla Germania. Inoltre sono già in atto contatti tecnici fra gli Stati Maggiori.
Tra l’Italia e la Germania invece non esistono Patti scritti, poiché ormai si possono considerare sorpassati i Protocolli di Berchtesgaden che contemplavano problemi contingenti. Esiste il Patto anticomunista di Roma, in cui predomina il carattere ideologico e che ci impegna a fondo insieme col Giappone. Non si deve però dimenticare che tra l’Italia e la Germania vi è la solidarietà dei regimi, nonché l’interesse reciproco di aiutarsi anche se l’impegno non è consacrato in un documento ufficiale.
L’attitudine dell’Italia è stata chiara nel passato e lo sarà sempre quando fossero in giuoco le sorti dei due Regimi. Crede che si debba arrivare alla conclusione di questa alleanza, ma fa una precisa riserva sul momento in cui converrà stringere tale Patto. Premette che si esprimerà con la chiarezza che è doverosa verso gli amici e che considera l’alleanza un impegno sacro che si deve in qualsiasi evenienza rispettare ed eseguire al cento per cento. Perciò bisogna fare un esame della situazione in Italia.
L’Asse ormai è popolare: gli italiani sono fieri di questo sistema politico che ha già dato cosí formidabile prova nelle recenti vicende mondiali. Nei confronti però dell’Alleanza militare l’opinione pubblica sarebbe in alcuni suoi settori ancora impreparata. L’aviazione è favorevole, la marina abbastanza favorevole, l’esercito favorevole nei bassi gradi, mentre nei medi gradi e sopratutto negli alti gradi esistono ancora dei larghi settori di riserbo. Resta bene inteso che quando il Governo deciderà tale alleanza tutti obbediranno e nessuna obiezione verrà mossa.
I contadini ed anche gli operai sono simpatizzanti con la Germania nazista e vedrebbero con favore qualsiasi nuovo impegno. La borghesia invece meno. La borghesia continua a guardare Londra con un certo interesse e ciò perché i borghesi identificano erroneamente la potenza con la ricchezza. Un’altra ragione di freddezza nei confronti di un’alleanza con la Germania sarebbe rappresentata dalla lotta tra il Nazismo e il Cattolicesimo, mentre l’Accordo diventerebbe molto popolare se una distensione in materia religiosa si determinasse in Germania.
Il Duce afferma che è sua volontà di fare questa alleanza allorché l’idea sia stata fatta convenientemente maturare nelle grandi masse popolari. Oggi ancora non lo è. Il popolo italiano è giunto alla fase “Asse”: non ancora a quella dell’alleanza militare. Vi può del resto giungere molto rapidamente.
Il Duce continua affermando che lo stesso Asse comporta, come è stato provato dagli avvenimenti recenti, un concetto di solidarietà militare anche senza un Patto di alleanza. Quando questo Patto sarà fatto, la preparazione spirituale del popolo italiano dovrà essere compiuta in modo tale da assicurare una entusiastica accoglienza a tale evento.
Ribbentrop domanda se il popolo italiano non potrebbe già fin d’ora ravvisare in un Patto del genere uno strumento di difesa e di espansione dell’Impero. Il Duce ritiene di sì. Del resto il popolo è convinto che tra l’Italia e la Germania esiste la più assoluta solidarietà di fatto.
In settembre avevamo mobilitato 400 mila uomini alla frontiera francese ed eravamo pronti ad attticcare la Francia. È convinto che con la Francia dovremo un giorno regolare molte partite in sospeso, che non potranno essere liquidate senza la guerra. La Francia non rispetta che i popoli che l’hanno battuta.
Ribbentrop ripete alcune argomentazioni di carattere militare e dice che in caso di guerra Italia e Germania potrebbero mettere in campo 200 divisioni che al comando del Duce e del Führer raddoppierebbero di potenza. Il Duce è d’accordo nel ritenere che le forze italo-tedesche unite sono imbattibili, non soltanto per la loro preparazione materiale quanto perché si tratta di eserciti politici e la storia ha provato che gli eserciti si battono in ben altra maniera quando sono portatori di una fede politica.
Ribadisce però il fatto che le condizioni per una alleanza devono tuttora maturare. Non esclude nemmeno che il Papa, col quale le nostre relazioni sono piuttosto tese, possa, di fronte all’alleanza, compiere un gesto che metterebbe in una situazione difficile molti cattolici. Assicura che nel frattempo niente sarà fatto tra noi, la Francia e l’Inghilterra. Con l’Inghilterra esiste il Patto di aprile che tra poco entra in vigore, ma che nel frattempo ha perso molto della sua importanza.
Coi francesi la situazione continua ad essere estremamente difficile. Allorché l’alleanza tra noi e la Germania apparirà matura, bisognerà fissarne gli obiettivi. Noi non dobbiamo fare un’alleanza puramente difensiva. Non ve ne sarebbe bisogno perché nessuno pensa di attaccare gli Stati totalitari. Vogliamo invece fare un’alleanza per cambiare la carta geografica del mondo. Per questo bisognerà fissarci gli obiettivi e le conquiste: per parte nostra sappiamo già dove dobbiamo andare.
Ribbentrop concorda col Duce su questa concezione dell’alleanza e conferma che il Mediterraneo è destinato a divenire un mare italiano. La Germania intende agire a tale fine. Per due volte l’Italia ha dato prova della sua amicizia verso la Germania. Adesso è la volta dell’Italia di profittare dell’aiuto tedesco.
L’opinione pubblica in Germania è tutta favorevolissima all’intesa e anche all’alleanza con l’Italia. Se vi sono ancora in certe classi borghesi dei mormoratori, bisogna tener presente che si tratta di persone che non contano piú niente nella vita del Paese e che sono nemici anche del Nazionalsocialismo. Confidenzialmente aggiunge che il Führer sta preparando un’altra fondamentale epurazione che ricorderà quella compiuta il 4 febbraio.
Passando ad altri argomenti, viene esaminato il problema dei rapporti ceco-magiari e si decide in favore di un arbitrato dell’Asse da farsi in Vienna mercoledí 2 novembre. In relazione alla Spagna viene deciso di continuare ad aiutare Franco con l’invio di armi ed altri rifornimenti di guerra. Il colloquio ha termine alle ore 20.
NOVEMBRE 1938
COLLOQUIO CON FRANÇOIS-PONCET
Roma, 9 novembre 1938 – XVII
Ho ricevuto l’Ambasciatore di Francia François-Poncet. Egli ha senz’altro cominciato il suo dire dichiarando che la sua presenza a Roma deve essere considerata alla luce dell’incontro di Monaco: si deve nella sua nomina riconoscere la volontà della Francia di contribuire a schiarire definitivamente l’atmosfera europea, migliorando le relazioni tra l’Italia e la Francia.
Dopo avermi ripetuto le tappe della sua carriera personale e della sua attività politica, François-Poncet ha continuato affermando che egli intende svolgere un’attività basata su criteri essenzialmente realistici: l’Asse RomaBerlino è una realtà effettiva e solida ed egli si guarderà bene nel corso della sua missione dal fare qualsiasi tentativo diretto ad indebolire i legami che esistono tra i due Paesi totalitari. Però l’amicizia verso Berlino non deve essere considerata esclusiva.
L’Italia può riprendere le relazioni cordiali con la Francia, contribuendo cosí al riavvicinamento tra i due sistemi politici esistenti in Europa, riavvicinamento che è da tutti desiderato, poiché solo dall’accordo tra l’Italia, la Germania, la Francia e 1’Inghilterra deriverà la distensione generale del Continente. A tale fine egli si propone di esaminare a fondo con il Governo italiano i problemi che hanno reso difficili le relazioni tra Roma e Parigi, allo scopo di arrivare al piú presto ad una chiarificazione.
Ho preso atto di quanto mi ha comunicato François-Poncet e gli ho risposto confermando la buona volontà italiana di facilitare una distensione in Europa. L’azione svolta dal Duce al momento della crisi è stata decisiva ed ormai universalmente riconosciuta come tale. Per quanto concerne le relazioni tra l’Italia e la Francia, ho riassunto brevemente quanto si è passato negli ultimi tempi.
Ma, a scanso di equivoci, ho fatto subito presente all’Ambasciatore che fra l’Italia e la Francia esiste tuttora un grosso problema insoluto: la questione di Spagna. Per quanto concerne il problema spagnolo la posizione rispettiva di Roma e Parigi è ancora quella fissata nel discorso di Genova: ai lati opposti della barricata. L’Italia anche in questo settore ha recentemente dato prova di buona volontà e sopratutto della vera natura delle sue intenzioni in Spagna.
Ma si sbaglierebbe chi credesse di scorgere nella nostra politica un qualsiasi cambiamento di indirizzo: l’Italia fascista è stata, è e sarà solidale con Franco fino alla di lui completa vittoria, la quale si sarebbe già realizzata se alcuni Paesi non avessero continuato a tenere artificiosamente in piedi attraverso aiuti di ogni specie la repubblica rossa di Barcellona. L’Italia ha preso degli impegni al Comitato di Non Intervento. Questi impegni li manterrà scrupolosamente ed anzi ha già prevenuto in parte la possibile decisione del Comitato ritirando unilateralmente diecimila volontari.
Adesso sorgerà il problema del riconoscimento della belligeranza a Franco. È evidente che egli ha diritto a tale riconoscimento. L’Italia si attende che tale riconoscimento venga dato. Riassumendo, ho detto a Poncet che sarebbe stato difficile inizi conversazioni di fondo circa le nostre relazioni con la Francia fino a quando il terreno non fosse stato sgombrato dall’affare spagnolo. François-Poncet Poncet ha detto che si aspettava di incontrare tale ostacolo.
Egli non si nasconde che la soluzione della questione spagnola è ancora molto difficile dato che forti correnti di opinione pubblica francese propendono per la difesa ad oltranza della repubblica di Barcellona. D’altra parte è noto che invece il Governo, e particolarmente Daladier e Bonnet, sarebbe favorevole all’invio di un Agente diplomatico a Burgos. Avrebbero forse potuto farlo subito dopo l’incontro di Monaco.
Non ne ebbero il coraggio. Adesso la cosa appare piú difficile. Comunque, François-Poncet era lieto che io gli avessi fatto una cosí franca dichiarazione poiché ciò gli avrebbe dato modo di far pressioni sul suo Governo per addivenire ad una rapida soluzione del problema spagnolo. François-Poncet mi ha chiesto inoltre cosa pensassi dell’eventualità di una mediazione o di un armistizio.
Ho risposto che Franco si era già nettamente pronunciato contro tale soluzione e che il punto di vista di Franco era completamente accolto da noi. Un eventuale armistizio potrebbe aver luogo solo dopo la resa dei rossi e il riconoscimento a Franco della sua indiscussa posizione di vincitore della guerra. L’Ambasciatore François-Poncet ha ripetuto la sua buona volontà di svolgere opera utile e vantaggiosa ai fini del riavvicinamento dei due Paesi.
Mi ha chiesto di essere aiutato a prendere contatto con istituzioni e uomini che gli possano permettere di conoscere quanto meglio possibile le realizzazioni del Regime. Gli ho risposto che lo avrei fatto. Avendo però egli detto che in Germania aveva stretto particolari amicizie con gli uomini del Partito e che ciò gli era valso per poter sviluppare meglio la sua azione diplomatica, ho trovato modo di fargli capire che in Italia è bene che non cerchi di seguire un tale sistema poiché la politica estera è fatta soltanto dal Duce ed eseguita sotto i suoi ordini dal Ministro degli Affari esteri.
LETTERA A GRANDI, AMBASCIATORE A LONDRA
N. 9161 segreta
Roma, 14 novembre 1938 – XVII
Caro Dino,
come tu sai, il 16 entrerà in vigore il Patto italo-britannico e si chiuderà cosí uno dei capitoli piú aspri e gloriosi della nostra storia. Mentre firmerò, il mio pensiero non potrà a meno di volgersi all’opera tua che è stata così efficace in ogni momento ed in ogni sviluppo di questa veramente singolare vicenda.
Ma giunti a questo punto, non è, come tu immagini, nelle intenzioni del nostro Capo di sostare neppure un momento. C’è subito un altro problema che si presenta e che deve venire da noi considerato sotto l’aspetto delle nuove realizzazioni imperiali del Regime. Parlo dei nostri rapporti con la Francia.
È chiaro che ormai, essendo sostanzialmente mutate le condizioni politiche, militari ed anche geografiche del nostro Paese, le future conversazioni con la Francia non possono venire riprese sulla base di un tempo. Le rivendicazioni che una volta tenevamo chiuse nel nostro animo, ormai possono, a breve scadenza, essere messe sul tappeto. Tre sono i punti fondamentali della nostra politica nei confronti della Francia: la Tunisia, Gibuti e il Canale di Suez. Per la Tunisia non è concepibile ritornare a parlare di quelli che furono una volta gli Accordi Laval. Siamo su un ben altro piano.
Intendiamo migliorare nettamente, decisamente e definitivamente la posizione delle nostre masse lavoratrici, che hanno rappresentato e che rappresentano la sola forza viva della razza bianca in quella zona. Non si tratta di reclamare puramente e semplicemente la cessione territoriale, come già del resto qualche giornale estero scrive. Ci accontentiamo di giungere, almeno in un primo tempo, ad una forma di condominio che permetta lo sviluppo sicuro e fecondo delle nostre attività.
Per quanto poi concerne Gibuti, la situazione è ancora più precisa. Che cosa rappresenta quel porto avulso all’Impero? È chiaro che noi non possiamo continuare ad impinguare col nostro lavoro e coi nostri traffici organismi ed aziende francesi. Quindi bisogna fissare alcuni punti: la ferrovia deve essere italiana totalmente; il porto deve essere amministrato globalmente dai due Paesi.
Anche qui in pratica bisogna giungere ad una forma di condominio. Se ciò non fosse, dovremmo orientare in ben altro modo le nostre correnti di economia e di traffico ed il porto di Gibuti, privato della linfa vitale che gli viene dall’Italia e dall’Impero, diverrebbe rapidamente una foglia morta.
Terzo punto è quello del Canale di Suez. Non intendiamo, ora che i nostri traffici verso il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e il Pacifico si sono così rapidamente moltiplicati, non intendiamo, ripeto, rimanere sottoposti all’esoso sfruttamento della Compagnia del Canale. Qualsiasi opera diventa, ad un certo momento, di pubblico dominio.
Tanto più se i capitali che furono in essa investiti sono stati ripagati ad un tasso che si può definire le mille volte usuraio. Noi non chiediamo questo. Ma vogliamo fermamente che le tariffe del Canale siano sottoposte ad una revisione e che i tassi siano equi ed onesti. Tutti i Paesi interessati ai traffici verso l’Oriente non potranno che condividere il nostro punto di vista e la nostra giusta richiesta.
Ti scrivo queste cose, caro Dino, non solo perché tu sia informato di quelle che sono per l’avvenire le direttrici di marcia della nostra politica estera, ma perché fin da ora chiedo il contributo della tua collaborazione. Il Duce desidera che tu, nella forma che riterrai del caso e con l’abilità tua personalissima, cominci a far intendere agli inglesi che questi problemi per noi esistono e che nessuno dovrà sorprendersi se ad un certo momento li porteremo nettamente in discussione. Non si tratta di fare un “passo”. Basta lasciar cadere la parola al momento opportuno.
Far sentire che qualche cosa deve avvenire in tal senso. Predisporre, se non è addirittura possibile preparare, l’opinione inglese a tali richieste. Non posso adesso dirti quando e come tutto ciò avverrà: lo vedremo nello sviluppo degli eventi. Ma è certo che il Duce ormai si è prefisso queste mete e ciò basta per dire che saranno anch’esse conseguite. Ti abbraccio.
DICEMBRE 1938
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DI FRANCIA
Roma, 2 dicembre 1938 – XVII
L’Ambasciatore François-Poncet mi ha detto di avere ricevuto istruzioni dal suo Governo di intrattenermi su due punti in relazione alle dimostrazioni antifrancesi prodottesi avantieri alla Camera dei Deputati.
1. Egli faceva rilevare che nei corso di una seduta, numerosi Deputati prendevano lo spunto da una frase, d’altra parte ineccepibile, nel discorso pronunciato dal Ministro degli Esteri e richiedevano ad alta voce la cessione all’Italia di numerosi territori che fanno parte della Repubblica francese, delle sue colonie e dei suoi protettorati.
Il Governo francese mentre esprimeva il suo rammarico per tali dimostrazioni, doveva aggiungere che tale rammarico era reso più intenso dal fatto che il Capo del Governo e i Ministri presenti non avevano fatto niente per dissociarsi dai Deputati manifestanti. Desiderava pertanto sapere se le grida dei Deputati potevano rappresentare le direttive della politica estera italiana.
2. Il Governo francese ricordava al Governo italiano l’esistenza degli Accordi del 1935 che regolavano tra l’altro la questione tunisina, accordi che non sono mai stati messi in esecuzione, benché ratificati, unicamente perché connessi alla redazione di un regolamento che non ha maí avuto luogo.
In relazione a quanto si è prodotto avantieri, il Governo francese desiderava conoscere dal Governo italiano se considera tuttora in vigore tali Patti e se ritiene di poter servirsi di essi quale base delle relazioni francoitaliane.
Il signor François-Poncet ha diluito queste sue domande fondamentali in un lungo discorso tendente a dimostrare l’assoluta necessità di riportare su un piano di cordialità i rapporti tra l’Italia e la Francia, “cioè tra due Paesi che possono farsi del bene e che possono anche farsi reciprocamente il più grande male”. Debbo aggiungere che il signor Poncet ha tenuto a dare alla conversazione un tono cordiale e a togliere al suo passo ogni carattere di protesta.
Ho risposto al signor Poncet, per quanto concerneva la prima richiesta, che il Governo non può prendere la responsabilità di grida lanciate da fascisti, siano esse state lanciate nell’aula parlamentare o nelle pubbliche piazze.
Si limita a prenderne atto come indizio preciso dello stato d’animo del popolo italiano, poiché è da tener presente che, contrariamente a quanto la stampa francese ha asserito, nessuna dimostrazione era stata precedentemente organizzata: non è consuetudine del Governo di compiere alla Camera nessun gesto per sconfessare eventuali interruttori: la disciplina nell’aula è tenuta dal Presidente della Camera il quale, come lo stesso signor Poncet ha visto, ha suonato più volte il campanello per richiamare al silenzio gli interruttori.
La sola manifestazione responsabile del Governo fascista era rappresentata dal testo del mio discorso: in esso nessuno potrebbe riconoscere alcunché destinato ad offendere la Francia.
Per quanto concerneva la seconda richiesta, ho detto al signor Poncet che la questione che mi aveva posta era d’importanza troppo precisa perché io potessi senz’altro assumere la responsabilità di una risposta e che quindi avrei dovuto prendere ordini dal mio Capo.
Però, a titolo preliminare e personale, dovevo far presente che gli accordi del 1935 erano stati realizzati con dei presupposti che non hanno poi trovato nella pratica la loro conferma: in primo luogo l’atteggiamento non amichevole della Francia durante la campagna etiopica. Perciò mi domandavo se tutta la questione non dovesse venire ulteriormente esaminata sotto una nuova luce.