a cura di Cornelio Galas
Siamo all’ultima puntata. Ricordo da dove siamo partiti …
Milano, gennaio 1945; le trattorie e i ristoranti sono trasformati in mensa di guerra.
Un posto di ristoro presso la casa di ricovero San Giovanni e Paolo a Venezia. In realtà la situazione non era tanto rosea. L’inverno del 1944 fu freddissimo. La razione di pane era scesa a 100 grammi al giorno.
“Il podestà di Milano aveva fatto obbligo a tutti di denunciare il possesso di galline ovaiole”, racconta Miriam Mafai. “C’erano galline ovunque, sui balconi, sui terrazzini. Si seminava il grano sui prati davanti alla Stazione Centrale e chi aveva un pezzetto anche microscopico di terreno, anche un vaso sul balcone, tentava di farci crescere qualcosa di utile, due zucchine o un pomodoro”.
In Val d’Aosta sorge un villaggio per sfollati. La didascalia dell’Istituto Luce commenta: “Secondo i voleri del Duce è sorto un villaggio per alleviare per quanto possibile le sofferenze delle famiglie colpite nei beni dalla violenza dei bombardamenti anglo-americani”.
La propaganda fascista ha ignorato del tutto la lotta partigiana e le sue conseguenze. Non esiste alcuna testimonianza delle atrocità che furono commesse in quel periodo. Questa fotografia mostra l’interrogatorio di alcuni partigiani presi dai legionari del Reggimento San Marco. Pur essendo intuibile la loro fine, essa non è stata documentata.
Una casa crivellata di pallottole e abbandonata nella campagna ferrarese.
Il volto di un legionario della Brigata Tagliamento. Questa Brigata ebbe pessima fama: fucilò prigionieri, massacrò ostaggi, torturò selvaggiamente, incendiò villaggi. Alla liberazione questi militi verranno anch’essi spietatamente fucilati dalla popolazione estenuata.
Alcune scritte murali ad opera dei repubblichini. Da notare in una delle foto la frase in dialetto lombardo, che significa: “Che vada, come vuole, male che vada, va sempre bene”.
Altre scritte murali. La frase “Fosse anche la mia testa, purché l’Italia viva”, che si legge, è quella con cui terminò l’arringa del Pubblico Ministero al processo di Ciano.
Ottobre 1944; si ricostruisce la Scala bombardata nell’agosto 1943. Mostrare i lavori di restauro o di protezione delle chiese o dei luoghi emblematici, come appunto la Scala, era l’ultima carta che la propaganda poteva giocare per infondere ottimismo alla popolazione stremata.
La lapide del Castello Sforzesco, anch’esso “vittima della barbarie dei “Liberatori””, nel famoso bombardamento dell’agosto 1943.
Lavori di restauro a Santa Maria delle Grazie a Milano, ottobre 1944.
Padova, Cappella degli Scrovegni. Lavori di protezione degli affreschi di Giotto.
Anche se negli ultimi mesi i bombardamenti furono pochi, la situazione reale del paese era quella che mostrano queste fotografie: Parma, distruzione dello storico palazzo della Pilotta, sede dell’Archivio di Stato e del Teatro Farnese, bombardato il 13 maggio 1944.
Un esempio di casa privata bombardata a Bologna nell’agosto 1944.
Un incendio all’albergo Bonvecchiati di Venezia distrugge la sede dell’Istituto Luce, nel luglio 1944.
Il teatro comunale di Alessandria bombardato nell’aprile 1944.
E ancora: la chiesa del Carmine a Padova distrutta nel marzo 1944.
Una delle 50 statue del Duomo “danneggiate in modo irreparabile” dal bombardamento anglo-americano dell’agosto 1944.
Un’altra chiesa di Padova bombardata nel marzo 1944.
Piazzale Loreto, 29 aprile 1945. Dopo l’incontro all’arcivescovado con Schuster e alcuni capi della Resistenza e la notizia che i reparti tedeschi operanti a Milano avevano già deciso di arrendersi, Mussolini decide di fuggire.
A Como scrisse una lettera alla moglie: “Eccomi giunto all’ultima tappa della mia vita, all’ultima pagina del mio libro. Forse non ci rivedremo più, perciò ti scrivo per chiederti perdono di tutto il male che involontariamente ti ho fatto …”.
Il 27 aprile fu arrestato a Dongo, rinchiuso in una cascina con Claretta Petacci e l’indomani, verso le quattro del pomeriggio, la sua condanna a morte fu eseguita da Valerio, nome di battaglia del ragionier Walter Audisio. Il 29 aprile i corpi di Mussolini e della Petacci, con quelli di altri grandi gerarchi, tra cui Farinacci, furono portati a Milano e appesi a testa in giù alla tettoia di un distributore di benzina.
I corpi di Mussolini e della Petacci a Piazzale Loreto, appena scaricati dal camion che li aveva portati lì.
I corpi appesi al traliccio. Da notare che la gonna della Petacci è stata legata in modo che non le ricadesse sul viso. Per un senso di pudore o per evitare che la sua faccia venisse coperta?
I corpi martoriati dopo essere stati tirati giù dal traliccio. Filmati mostrano alcune delle sevizie che furono inferte ai cadaveri. Nel verbale di necroscopia eseguita il 30 aprile 1945 si legge: “La salma è preparata sul tavolo anatomico priva di indumenti. Pesa 72 kg. La statura non può misurarsi che per approssimazione in m. 1,55 data la cospicua trasformazione traumatica del corpo. Il volto è sfigurato da complesse lezioni di arma da fuoco e contusive che rendono pressoché irriconoscibili i tratti fisionomici”. Risulta inoltre che il corpo fu crivellato di ferite da arma da fuoco inferte dopo la morte, e contusioni varie.
Manifestazione milanese a Porta Venezia. E’ riconoscibile Sandro Pertini.
Alla notizia dell’arresto di Mussolini, l’Istituto Luce abbandonò Venezia. Rimasero tuttavia alcuni operatori che si erano sistemati in città. Furono loro a scattare queste fotografie, per la maggior parte in posa, che ritraggono l’ingresso dei partigiani e delle truppe alleate in città e il rastrellamento dei fascisti.
In diversi punti della città, fra cui Piazza San Marco e Riva degli Schiavoni, fu impiccata una sagoma del Duce.
Alcune scene della liberazione di Venezia.
Un esempio delle numerose esecuzioni di tedeschi o di repubblichini alla liberazione. Qui di tratta di un processo del popolo organizzato dalla Brigata Garibaldi a Mestre, il 29 aprile 1945. Vengono processati e fucilati un tedesco e un italiano.
Una donna legge un manifesto del Partito Democratico affisso a Venezia pochi giorni dopo la Liberazione.
Una locandina del Comitato di Liberazione della Provincia di Venezia che invita la popolazione a insorgere “compatta e decisa contro le forse nazi-fasciste e a prestare ogni appoggio alle formazioni volontarie dei combattenti per la libertà”.
La sfilata dei patrioti sulla riva degli Schiavoni.