OLTRESARCA, LA STORIA – 1

 

 

LA COMUNITÀ DI OLTRESARCA

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a cura di Cornelio Galas

Le origini

Nell’area trentina lo sfruttamento collettivo delle risorse naturali, che in quanto zona di montagna costituì il fondamento dell’organizzazione delle locali comunità di villaggio, è probabile risalisse a tempi antichi, non essendo cessato interamente neppure in età romana e avendo ricevuto un nuovo impulso in età longobarda. Incerta appare invece nell’ambito italiano più generale l’origine delle comunità di villaggio, sulla quale è stato a lungo dibattuto nelle diverse stagioni storiografiche. La fase di transizione da più antiche forme comunitarie alla comunità rurale vera e propria, dotata delle forme istituzionali che poi ne accompagnarono l’esistenza attraverso il medioevo e l’età moderna, fu assai diversificata da luogo a luogo e si estese all’incirca dall’XI al XIII secolo. Le comunità rurali trentine (una realtà non sempre uniforme) assunsero il nome di regole, mentre carte di regola erano detti gli statuti che, originati da antiche consuetudini fissate per iscritto a partire dal XIII secolo, normavano lo sfruttamento dei beni collettivi, prescrivendo inoltre modi e termini del governo delle comunità.

L’organizzazione in regole caratterizzò, con mutamenti poco percettibili e di lungo periodo, la vita delle vallate della regione durante tutta l’età medievale e l’antico regime. Solo verso la fine del Settecento il governo asburgico, e in parte anche quelli vescovili di Trento e Bressanone per le comunità trentine che erano a essi sottoposte, operarono per ricondurre tali forme di autogoverno entro l’alveo dell’amministrazione statale in via di consolidamento.

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L’istituzione in Tirolo degli Uffici circolari (Kreisämter) nel 1754, regnante l’imperatrice Maria Teresa, determinò nel Circolo ai Confini d’Italia – con capoluogo Rovereto e comprendente gran parte dei territori dell’attuale provincia di Trento facenti capo alla contea del Tirolo – un maggior controllo da parte del Capitano di Circolo anche nei confronti delle comunità.

Mediante ordinanza del 10 maggio 1787, sotto l’imperatore Giuseppe II, le adunanze regoliere collettive nei feudi trentino-tirolesi (Circolo ai Confini d’Italia) furono sottoposte ad autorizzazione dell’autorità superiore. Il 5 gennaio 1805, dopo la secolarizzazione del principato vescovile, detta norma venne estesa anche al resto del territorio. Altre limitazioni (soppressione delle regolanie maggiori e minori) giunsero da parte del governo bavarese il 4 gennaio 1807.

Con l’editto del 24 luglio 1808, in concomitanza con la ristrutturazione del regno di Baviera sulla base dell’esperienza istituzionale francese, pur rimanendo formalmente ancora in vigore le carte di regola, quelle che erano ormai definite ‘le comuni’ furono interamente sottomesse alle autorità statali.

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Gli atti finali dell’esistenza delle antiche comunità rurali si compirono sotto il Regno italico. Nel Regio Decreto del 24 luglio 1810, che stabiliva la ristrutturazione amministrativa operata nel neoistituito Dipartimento dell’Alto Adige sulla base di quella vigente nel Regno, venivano anche proposte (e poi realizzate con l’attivazione del Dipartimento il 1 settembre 1810) le aggregazioni delle molte comunità sparse sul territorio in un numero fortemente ridotto di comuni amministrativi, posti sotto un diretto e rigido controllo da parte delle autorità statali.

Mediante un decreto successivo, datato 23 agosto 1810, veniva esteso al Dipartimento l’ordinamento amministrativo dei comuni del Regno italico. La comunità di Oltresarca risulta attestata nel 1395. Non esiste un abitato denominato Oltresarca, è solo il nome del paese costituito dalle frazioni di Bolognano, Caneve, Massone, Mogno, S.Martino e Vignole, inserito nella contea d’Arco. Prime notizie di una località ben definita sul territorio di Oltresarca si ritrovano in un documento che porta la data del 25 settembre 771. Infatti in una permuta di terre che avvenivano fra istituzioni religiose e pubbliche con proprietari di terreni, si legge che un tale Andrea Clericus, abitante a Gosenago, località sul territorio di Sirmione, in cambio di alcuni beni, cede ad Anselperga, badessa del monastero di San Salvatore in Brescia, una casa in “vicus Bononius” (Bolognano). Circa due secoli dopo, in un diploma del 13 gennaio 958 spunta il nome di “Vinioles” (Vignole). Tale località è ripetuta in successive conferme. Nell’anno 1335 si trovano accenni e testimonianze di “Villa Mugni” (Mogno). In forza del decreto vice-reale del 24 luglio 1810 la comunità di Oltresarca venne soppressa ed aggregata al comune di Arco, con effetto dal 21 settembre 1810.

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Condizione giuridica

L’antica organizzazione regoliera si fondava su un patrimonio consuetudinario che solo in tempi successivi venne codificato in forma scritta nelle cosiddette carte di regola. Esse costituirono il fondamentale strumento legislativo dell’organizzazione comunitaria e garantirono alla stessa l’esercizio autonomo di una sorta di bassa giurisdizione riguardo ai contenziosi di natura economica e nell’uso dei beni comuni che si sviluppavano con frequenza all’interno delle comunità. Dal punto di vista normativo la materia regoliera si situava al livello più basso di un contesto statutario assai composito, sia dal punto di vista della gerarchia delle fonti, che da quello della varietà degli esempi locali, ai cui vertici stavano gli statuti per la materia civile e “criminale” (penale). Caratteristiche comuni agli statuti regolieri, pur all’interno di un panorama assai vario fatto di adattamenti alle esigenze e alle realtà dei singoli villaggi, furono una stesura (così come eventuali riforme e aggiunte) scaturita da esigenze e decisioni collettive e la necessità dell’approvazione da parte dell’autorità superiore competente per territorio: il principe vescovo, il conte del Tirolo, il dinasta feudale, gli organismi preposti all’amministrazione delle due preture cittadine di Trento e Rovereto. Oltre alle carte di regola, negli archivi comunali si rinvengono spesso normative accessorie per gli ambiti economici più diversi (acque, incendi, vettovaglie e così via), insieme ad altri atti di carattere amministrativo. Per ricostruire la vita delle antiche comunità si deve dunque fare riferimento a una documentazione complessiva assai composita.

La comunità di Oltresarca si dotò di una prima carta di regola nel 1522, articolata in 155 capitoli confermati dai conti d’Arco Geronimo, Nicolò e Paolo. Ulteriori aggiunte di capitoli furono apportate dal 1555 al 1557; nel 1679 viene elaborata una riforma della carta di regola, con aggiunte e modifiche successive fino al 1754. Nel civile e nel criminale si applicava lo statuto della contea d’Arco, che per queste due parti rispettava quello di Trento.

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Funzioni, occupazioni e attività

L’organizzazione in regole delle comunità rurali era diffusa su tutto il territorio trentino, indipendentemente dal contesto politico di appartenenza (vescovile o tirolese) dei diversi villaggi e dal tipo di vincolo degli stessi nei confronti delle due superiorità: diretto – talvolta mitigato da privilegi – o mediato dall’investitura concessa a favore di qualche casato nobiliare). Scopo dell’amministrazione regoliera era provvedere all’organizzazione interna di ogni comunità, secondo moduli improntati all’autogoverno, e inoltre disciplinare lo sfruttamento dei beni comuni e tutelare gli ambiti di possesso familiari, nonché dirimere i relativi frequenti contenziosi che ne derivavano, punendo le altrettanto numerose infrazioni che venivano commesse.

Il territorio delle antiche comunità trentine, in origine indivisibile e inalienabile, era costituito: in misura minore da beni cosiddetti “divisi”, poderi situati nei pressi dell’abitato assegnati ai diversi nuclei famigliari (fuochi) e nel corso del tempo divenuti simili a proprietà private, benché in parte ancora sottoposti a vincoli collettivi; in questo caso la normativa tutelava diritti individuali: rispetto dei confini, protezione da furti e da danni di vario genere, prescrizioni per la vendemmia, lo sfalcio dei prati e così via, secondo una normativa nutrita e legata alla realtà economica specifica delle diverse comunità. La diffusione dell’istituzione regoliera avveniva a diversi livelli. Nei casi più frequenti si trattava di singole regole autonome costituite da un villaggio (a volte formato da più nuclei abitati), fino a forme organizzative composte da più di una comunità (comunità di valle, vicinie e altre forme aggregative).

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Le comunità di villaggio trentine seguirono linee evolutive e processi di mutamento misurabili solo nel lungo periodo, mantenendo sempre una propria marcata autonomia riguardo all’uso del proprio territorio (fatte salve le prerogative di natura feudale), nonostante qualche intervento correttivo apportato nel corso dell’età moderna dagli apparati politici superiori. La crisi delle regole sopraggiunse solo nel tardo Settecento, con le riforme introdotte dai sovrani illuminati di casa d’Austria e dagli ultimi vescovi tridentini, volte al consolidamento dell’apparato amministrativo e alla riconduzione entro l’alveo statale delle fino ad allora numerose forme di autogoverno periferiche.

Struttura amministrativa

Difficile, a causa della molteplicità della casistica rappresentata, è riassumere in maniera schematica i moduli amministrativi secondo i quali si reggevano le antiche comunità di villaggio trentine. Prescindendo dalle infinite varianti determinate dalla necessità di adattare le norme e l’organizzazione alle esigenze particolari di ogni comunità (dipendenti dal livello altimetrico e dall’economia praticata, nonché dal grado di autogoverno goduto), l’amministrazione regoliera presenta comunque un’intelaiatura che fu comune a tutti i villaggi trentini. Supremo organo deliberativo era l’assemblea plenaria dei vicini ( denominata in vario modo: regola generale, regola grande, regola piena …), che si riuniva almeno una volta all’anno per rinnovare l’apparato amministrativo e per prendere altre risoluzioni determinanti per la vita della comunità (rinnovo degli statuti, rendiconto annuale degli amministratori, vendita di beni comuni e così via). Essa era formata da tutti i capifamiglia del villaggio e costituiva il momento partecipativo sul quale si fondava l’essenza della vita della regola. L’ordinaria amministrazione era solitamente affidata a una sorta di consiglio (esso pure variamente denominato) costituito dagli ufficiali posti ai vertici del governo regoliero. L’apparato amministrativo, scelto su votazione o col sistema della rotazione, era spesso complesso e appesantito dall’obiettivo di rendere compartecipe un grande numero di soggetti. Se ne possono riassumere le figure principali, che nel caso di comunità ridotte non erano tutte presenti, mentre negli esempi più complessi si moltiplicavano fino a costituire un ingranaggio farraginoso.

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Cariche preminenti

– il sindaco (o sindico), con compiti (più o meno estesi) di supervisione nell’amministrazione e di tutore degli interessi della regola in occasione di vertenze della stessa con l’autorità superiore, con altre comunità, con privati.

– il regolano, dotato spesso di vari compiti, ma soprattutto di una bassa potestà giudiziaria relativamente alle infrazioni statutarie (sostituito nelle vallate meridionali da un console o un massaro).

– i giurati, consiglieri investiti di rilevanti incarichi amministrativi e in qualche più raro caso dotati delle competenze giudiziarie proprie del regolano.

– i saltari, con funzioni paragonabili a quelle degli odierni ufficiali giudiziari, messi comunali, vigili urbani, erano però innanzi tutto guardie forestali e campestri.

Altre cariche istituite con una certa frequenza erano quelle di segretario o attuario, degli stimadori dei danni, dei controllori di pesi e misure, degli scossori delle “steure” (da Steuer, tassa) e delle “colte” (o “collette”), dei soprastanti (alle acque, al fuoco, alle vettovaglie), dei pastori (che conducevano il bestiame dei vicini al pascolo e all’alpeggio), del malgaro (che sovrintendeva alla lavorazione e alla distribuzione all’interno della comunità dei prodotti lattiero-caseari). Nel corso del tempo presso le diverse comunità l’organizzazione amministrativa fu sottoposta a correttivi, apportati sia dall’interno (per avvenuti mutamenti economici e demografici), che da parte della autorità superiori. Ma la sostanza di una gestione svincolata da un effettivo controllo centrale permase fino agli sconvolgimenti introdotti nel tardo Settecento, i quali segnarono il declino dell’antico regime e dell’autogoverno comunitativo, preparando il passaggio verso il comune ottocentesco.

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Per quanto riguarda la comunità di Oltresarca le cariche amministrative erano le seguenti: – il sindaco, che aveva il compito di far rispettare le regole, definire liti e cause, definire i confini della comunità, pagare il salario ai Conti. Veniva eletto nella domenica precedente le festività pasquali; assieme ai consiglieri eleggeva sei uomini: due fra i più ricchi, due fra i mezzani e due fra i più poveri per comporre il nuovo consiglio. Per compenso al sindaco spettava il godimento del “pra del Corno”, le “vaneze della Maza e del Merizo”, la “posa del Salon”, inoltre le ammende di coloro che disubbidivano alla regola. – i consiglieri, nel numero di quattro, con funzioni consultive nei confronti del sindaco; – i giurati, nel numero di dodici, venivano scelti tra gli uomini di buona fama e condizione, svolgevano incarichi amministrativi: vendite, compere, permute, alienazioni e qualsiasi tipo di contratto; – il “degano”, che svolgeva le mansioni dell’attuale messo comunale; – gli estimatori, nel numero di due, che avevano il compito di stimare i fondi e danni; – i massari, due funzionari, che amministravano tutte le entrate della comunità e riscuotevano gli affitti, le multe e i pegni; – lo scrittore che veniva scelto dai massari tra i notai ed era obbligato a conoscere tutti gli affari della comunità; – i saltari, nel numero di sette, venivano eletti il primo gennaio di ogni anno, svolgevano funzioni di vigilanza e custodia delle campagne e dei boschi; venivano eletti in ordine e a rotazione tra gli uomini di tutte le ville della comunità; il “saltero della Maza” vigilava sul territorio in località “Col dela Maza”; nella riforma della carta di regola del 1679 il numero dei saltari verrà aumentato fino ad arrivare a quindici (n. 5 “saltari dalla campagna, n. 2 “saltari dei castagnari”, n. 8 “saltari dei monti”).– il “misuratore”, che verificava gli strumenti di misura dell’olio, del vino e del sale; – i capi della malga, nel numero di due, che gestivano la malga del comune e sceglievano i pastori per la custodia degli animali; inoltre dovevano scegliere un “partidor” del formaggio che si occupava della divisione dei prodotti lattiero-caseari e uno scrittore per l’ordinaria amministrazione della malga.

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Altre cariche di funzionari esecutivi della comunità vengono stabilite nella riforma della carta di regola del 1679: – “capi di quartier”, nel numero di quattro, svolgevano funzioni di vigilanza sulle strade della comunità; – “soprastanti le acque”, nel numero di due, controllavano l’irrigazione delle campagne; – “sopraintendenti alle grezive”, nel numero di due, provvedevano alla manutenzione dei canali d’irrigazione; – uomini “sopra la bestemmia”, nel numero di due, che avevano il compito di denunciare chi bestemmiasse.

Contesto generale

Il territorio entro il quale si erano sviluppati gli ambiti comunitativi era politicamente e amministrativamente complesso e disomogeneo: spiritualmente non tutto l’odierno Trentino apparteneva alla diocesi tridentina (ne erano escluse la Val di Fassa, la Valsugana e altre località minori situate nella parte sudorientale della regione), che si estendeva invece su una parte dell’odierno Sudtirolo- Alto Adige. Politicamente alcune zone del territorio trentino a partire dal XIII secolo passarono al conte del Tirolo e poi di casa d’Austria (in Val d’Adige a nord di Trento, in Val di Non, in Val di Cembra, in Val di Fiemme, in alta Valsugana, in Vallagarina, verso il lago di Garda), altre non appartennero mai al vescovo di Trento (il Primiero, la bassa Valsugana e la Val di Fassa).

Amministrativamente il territorio trentino era governato in parte direttamente dal principe vescovo (in particolare le Valli Giudicarie e la gran parte delle Valli di Non e Sole); per un’altra parte da famiglie nobili vassalle dello stesso; la pretura di Trento (vescovile) dal magistrato consolare; una parte da famiglie nobili vassalle del conte del Tirolo; la pretura di Rovereto (tirolese) da provveditori; la Val di Fassa dal principe vescovo di Bressanone.

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L’organizzazione dei territori vescovili (suddivisi in gastaldie, scarie e deganie, sotto la supervisione di un vicedomino) quale si presentava nei primi secoli di vita del potere temporale tridentino, con gli inizi dell’età moderna si assestò su forme amministrative rimaste in vita sostanzialmente fino alla fine dell’antico regime. Le figure più diffuse sul territorio (oltre ad assessori, commissari, massari), dotate di competenze amministrative e giudiziarie erano: – i vicari (giudici in prima istanza); – i capitani (a volte detti luogotenenti – giudici in seconda istanza). Le unità amministrative distribuite sul territorio erano le giudicature (o giurisdizioni), rette appunto da capitani, vicari o altri ufficiali. Le giudicature che il principe territoriale (il vescovo o il conte del Tirolo) concedeva in amministrazione a terzi erano dette giurisdizioni patrimoniali: la pretura di Rovereto (di dipendenza tirolese); le giurisdizioni infeudate alla nobiltà, dette più precisamente giurisdizioni dinastiali, poiché un dinasta deteneva una serie ampia di prerogative, tra cui la potestà giudiziaria nei suoi primi livelli.

Il diritto di regolanato maggiore, in origine detenuto dal vescovo e poi spesso ceduto alla nobiltà, permetteva a coloro che ne erano investiti un controllo diretto anche nella sfera economica delle comunità (presiedendo le riunioni di regola ed esercitando in appello la potestà giudiziaria rispetto alle sentenze pronunciate dai regolani delle ville).

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Gerarchia politica nel principato

– principe vescovo: la massima autorità (anche nella materia spirituale nell’ambito però della diocesi).

– capitolo della cattedrale: diritto al governo in periodo di sede vacante e diritto di elezione del vescovo.

– consiglio aulico: come organo politico costituito da membri laici (giurisperiti) e da canonici, presieduto dal vescovo, con la partecipazione del capitano tirolese della città di Trento;  anchemassimo tribunale del principato costituito solo da membri laici (tribunale di terza istanza dopo le sentenze dei fori locali / di seconda per le cause di valore molto elevato, che in ultima istanza giungevano ai tribunali dell’impero di Spira e Wetzlar.

Nei luoghi del principato dipendenti direttamente dal vescovo vi erano organi propri, preposti all’amministrazione economica, politica e giudiziaria del proprio ambito territoriale. Altrettanto in quelli dipendenti dalla contea del Tirolo. Le cause provenienti dalle zone del territorio trentino di pertinenza tirolese, dopo i pronunciamenti da parte dei fori locali, passavano al Tribunale d’Appello di Innsbruck.

Fonti statutarie

Landesordnung: fonte preminente per il Tirolo (in uso solo per pochi territori trentini annessi alla contea, in altri rimane lo Statuto di Trento, in altri ancora statuti propri ); Statuto di Trento: fonte preminente nel principato vescovile; Statuti locali (di valle, dinastiali, di città e borgate ecc.): vigenza limitata e purché non in contrasto con lo Statuto di Trento; carte di regola: normativa per l’organizzazione economica e civile delle comunità di villaggio.

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L’amministrazione ecclesiastica si intersecava con quella politica, cellule fondamentali dell’organizzazione diocesana erano le pievi, nate ancor prima dell’anno 1000, le quali influirono poi sull’articolazione politica del territorio. Lungo tutto l’antico regime nei territori asburgici fu assai forte il potere dei ceti o stati, gli Stände, cioè le componenti sociali del paese dotate di rilevanza politica, con le quali il principe territoriale condivideva la gestione del territorio. La dieta tirolese, il Landtag, una sorta di antico parlamento, era l’organo entro il quale periodicamente si riuniva la rappresentanza dei quattro ceti della contea (nobiltà, clero, città, contadini) per prendere decisioni soprattutto in merito alla materia fiscale. La dieta era dotata della facoltà di accogliere o meno le richieste fiscali inoltrate dal principe e dal diritto di organizzare all’interno della contea il prelievo. Le giurisdizioni del territorio (e quindi indirettamente le comunità rurali che vi facevano parte) partecipavano alla dieta all’interno della componente contadina. Con questo sistema furono rappresentate alle diete tirolesi anche alcune giurisdizioni appartenenti alla contea del Tirolo situate in territorio trentino.

Il principato vescovile di Trento e quello di Bressanone presenziavano alle diete tirolesi in qualità di membri aggiunti, al solo scopo di versare i contributi loro spettanti per la difesa comune del territorio, onere cui furono tenuti stabilmente a partire dal 1511. Le giurisdizioni trentine vescovili e le comunità che vi facevano parte non avevano alcuna relazione con la dieta tirolese, essendo il territorio del principato rappresentato solo dal vescovo e dal capitolo. Verso la fine del Settecento, con le riforme attuate nella stagione dell’assolutismo illuminato, i ceti della contea furono gradualmente esautorati di molte prerogative.

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Nell’età riformista anche gli ambiti di autogoverno delle comunità furono maggiormente sottoposti agli uffici dello stato e regole iniziarono a essere subordinate agli organismi politici insediati sul territorio. Negli anni dal 1796 al 1801 sul territorio trentino si succedettero governi francesi e amministrazione austriaca, la quale aveva posto il principato vescovile sotto sequestro. Dopo la secolarizzazione dello stesso nel 1803 e la sua annessione alla contea del Tirolo, l’intera regione nel 1805 passò al regno di Baviera. La parte italiana del Tirolo, all’inizio diviso ancora nei due Circoli di Trento e Rovereto, nel 1808 venne riunita nel Circolo all’Adige, con capoluogo Trento. Il territorio fu diviso in giudizi distrettuali, con compiti di controllo anche sui giudizi patrimoniali e dinastiali loro annessi (cui rimase solo la giurisdizione in materia civile). La rivolta di Andreas Hofer del 1809 pose fine alla permanenza bavarese nel territorio trentino, il quale, con l’aggiunta della zona di Bolzano e privo del Primiero, nel 1810, dopo la sconfitta degli insorti, fu aggregato al Regno italico.

La comunità di Oltresarca, faceva parte della contea d’Arco, che comprendeva le città di Arco e le comunità di Romarzolo, Dro e Ceniga, Drena e Troiana. Le comunità della contea d’Arco provvedevano in comune alla gestione e manutenzione di opere di interesse comune quali i ponti sul fiume Sarca e sul torrente Perosina, la chiesa Collegiata, le strade e per l’amministrazione dei dazi, l’acquisto di cereali, ecc. A questo scopo si tenevano, nella casa comunale di Arco, delle regole cosiddette “alla generale”, alle quali partecipavano i rappresentanti delle diverse comunità, per assumere le decisioni in merito; questi si riunivano periodicamente anche per stendere il rendiconto o “saldo delle spese sostenute”.

Per quanto riguarda il contesto ecclesiastico la comunità di Oltresarca faceva parte della Pieve di S. Maria di Arco.

Fonti archivistiche e bibliografia: Archivio comunale di Oltresarca.

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