MUSSOLINI E IL TRENTINO – 8

Confini e gruppi linguistici

Benito Mussolini, nel periodo in cui vive e lavora, come giornalista, in Trentino (1909), analizza – e poi riporterà nel libro “Il Trentino veduto da un socialista” – anche la differenza linguistica tra Trentino e Alto Adige. Fa una campagna contro il cosiddetto “pangermanesimo”. Che più tardi striderà, in maniera evidente, col suo “patto” con Hitler. E soprattutto con le leggi razziali approvate anche dal suo regime.

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a cura di Cornelio Galas

Scrive Mussolini: “Prima di parlare della lotta linguistica nel Trentino, non sarà inopportuno determinare il più esattamente possibile il campo nel quale essa si svolge. Quel territorio che nel linguaggio burocratico dell’ impero austriaco si chiama SúdTirol si può dividere dal punto di vista linguistico in due parti : il Trentino propriamente detto, unilingue e italiano — l’Alto Adige, bilingue: tedesco e italiano. Salorno, paesello a una trentina di chilometri al nord di Trento — lungo la valle d’Adige — è il confine convenzionale poiché anche al di là di Salorno vi sono paesi, specie nel Bolzanino, nei quali gli italiani costituiscono la maggioranza o la totalità della popolazione e parlano fra di loro il dialetto delle vallate trentine.

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I confini linguistici di un popolo non sono mai nettamente determinati, anche quando siano accompagnati da particolarità naturali — montagne, laghi, corsi d’acqua — che rendono più possibile e più rapida la delimitazione dei linguaggi. V’è sempre una più o meno vasta zona bilingue o mistilingue  in cui gli idiomi cozzano e cercano di sopraffarsi. Nel nostro caso questa zona è formata dai territori al nord di Salorno e dalle valli che sboccano — sempre al nord di Salorno — nella valle maggiore dell’Adige.

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Mentre il Trentino raccoglie il 90 per cento degli italiani e su 352.425 cittadini austriaci non ha che 8970 tedeschi — compresi i soldati delle guarnigioni — nella parte meridionale del Tirolo tedesco (zona bilingue) contro 220.102 tedeschi stanno 23.263 italiani così divisi : 5710 abitano i distretti prettamente italiani di Ampezzo e Livinallongo, 5178 la Badia Ladina (distretto di Enneberg), 3729 la Gardena parimenti ladina (distretto di Castelrut), circa 6000 lungo l’Adige nella città di Bolzano coi limitrofi comuni di Zwólfmalgreien e Leifers e nei distretti di Caldaro e di Egna — particolarmente numerosi in quest’ultimo dove, malgrado una recente statistica che li fa diminuiti di numero, rappresentano il 25 per cento della popolazione totale. E in questa zona che la lotta fra le due lingue è più aspra, e con risultati non favorevoli all’elemento italiano. Difatti mentre Ampezzo e Livinallongo si mantengono italiani, nella Ladinia si insegna, si corrisponde fra uffici in tedesco. Solo l’ insegnamento religioso viene impartito in latino o in italiano. Si domandò una scuola italiana. Il Consiglio provinciale scolastico che siede ad Innsbruck e si compone di anti-italiani concesse un’ora al giorno di insegnamento in lingua nostra ma l’incarico fu affidato a …  un maestro tedesco che non sapeva una parola d’ italiano.

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In Gardena il processo d’ intedescamento è ancora più avanzato. Attorno a Bolzano, nei comuni di Zwólfmalgreien e Leifers, nei distretti di Egna e Caldaro la situazione degli italiani è critica. Nessuna manifestazione pubblica è permessa nella lingua italiana. A Salorno — per esempio — i volksbundisti impedirono ai parenti di un giovane italiano defunto di porre una ghirlanda sul feretro, perché la ghirlanda era mandata dal Circolo di Lettura italiano e perché la scritta era italiana. Di simili e peggiori episodi della lotta linguistica abbondano le cronache antiche e recenti. Tuttavia questi 23.000 italiani disseminati oltre Salorno sono utili alla causa italiana in primo luogo perché turbano l’unità linguistica dell’elemento tedesco e secondariamente perché oppongono — magari per sola forza di inerzia — una prima diga alla prima invasione pangermanista che tende al sud. In questi zona bilingue si pubblica una rivista italiana — Archivio dell’Alto Adige — diretta dal prof. Tolomei — cordialmente detestato dai volksbundisti. A Bressanone esce da parecchi mesi una rivista bilingue allo scopo di affratellare nella pratica del vicendevole rispetto italiani e tedeschi. In tutti i centri maggiori e minori gli italiani hanno fondato società politiche, economiche, ricreative dove si leggono giornali italiani e si tengono conferenze in italiano.

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Gli operai organizzati non rinnegano la propria nazionalità. Ne sia prova l’esempio seguente. I falegnami italiani di Balzano — uniti nel gruppo locale coi tedeschi — domandarono di potere esprimersi in italiano nelle assemblee professionali. La direzione della società composta in maggioranza di tedeschi — non accettò la domanda e allora gli italiani costituirono un proprio gruppo autonomo — motivando la separazione dai tedeschi con un ordine del giorno che meriterebbe di essere riportato per intero,

In esso gli operai italiani rivendicavano il diritto di parlare in italiano poichè l’internazionale proletaria, non esclude, ne opprime, ma protegge tutte le nazionalitet. Bella lezione per certi liberali nazionali che in tempi di elezioni pubblicano a Trieste i manifesti in slavo e a Trento in tedesco ! Da osservazioni personali posso affermare che degli operai italiani dimoranti in terra tedesca i più facili ad imbastardirsi sono gli incoscienti, i crumiri, mentre gli organizzati — socialisti o no — si mantengono fedeli alla nazionalità cui appartengono.

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La zona unilingue

E’ formata dal Trentino propriamente detto, territorio che confina con la Lombardia, la Venezia, il Tirolo. La sua superficie è di 6330 km.q., la sua popolazione è di 360.000 abitanti. Questa zona è unilingue, cioè prettamente italiana, e i gruppi linguistici diversi che vi si trovano non possono turbarne l’omogeneità linguistica, come l’unità linguistica del regno d’ Italia non può ritenersi alterata dai gruppi che nell’altopiano dei VII e XIII Comuni parlano il tedesco, da quelli che parlano il francese, come in Val d’Aosta, o dagli albanesi del distretto di Castrovillari. Vi sono nel Trentino oltre agli italiani, i ladini e poche migliaia di tedeschi disseminati nelle cosiddette « oasi » delle quali la più importante è quella dei mócheni precisamente nelle vallate abitate dai ladini, che il pangermanismo dispiega tutte le sue energie di propaganda e di conquista. Per i professori del Volksbund, capitanati nel Tirolo dal dottor Rohmeder, i parlari ladini linguisticamente sono i residui della favella di antiche popolazioni retiche. In uno dei rapporti annuali del Volksbund si legge che «l’associazione si occupò con instancabile attività anche del secondo suo compito : la conservazione dei due antichi popoli tirolesi, il ladino e il tedesco. In centinaia di discorsi e di articoli di giornali la nostra associazione ha diffuso la giusta idea che i ladini non sono italiani, ma un popolo a sé e molto più antico di quelli».

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Ora la « giusta idea » del dott. Rohmeder non resiste al più elementare esame fatto in base allo studio comparativo degli idiomi. Gli studi dell’Ascoli hanno dimostrato che il ladino appartiene alle parlate romanze delle popolazioni alpine, — confinanti al nord col tedesco — al sud con l’italiano del Lombardo-veneto. Il dottor Carlo Battisti — insegnante di lingue neo-latine all’ Università di Vienna — in una conferenza su « il dialetto trentino » tenuta alla Pro-Cultura di Trento nel gennaio dell’ altro anno — si è occupato del ladino in un brano che vai la pena di riportare integralmente. «Le parlate ladine non sono essenzialmente diverse nei loro tratti originali dagli attigui dialetti italiani antichi. Esse si svolsero però molto più lentamente delle italiane, mantenendo certi caratteri che questi perdettero da secoli e svolgendone degli altri che nelle seconde rimasero soffocate fin dai primordi. E ciò avvenne perchè ai ladini mancarono quei centri di cultura ai quali (per es. nell’ Italia settentrionale) devono il loro sviluppo i dialetti milanese e veneziano.

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Mentre dal sud venivano a noi a larghi fiotti vita e cultura italiana e stampavano la loro impronta sui dialetti trentini, i parlari ladini, segregati da invincibili barriere geografiche dai dialetti fratelli e dalla cultura italiana, assumevano uno sviluppo individuale, svolgendo di secolo in secolo caratteri speciali. La parlata ladina è sorella della nostra, sorta con lei e come lei dal gran ceppo latino e svoltasi in circostanze più tristi, ma simili. Anche nel nostro paese essa sta come barriera secolare tra noi e il tedesco. » Questa barriera accenna però a scomparire poiché il processo d’ italianizzazione dell’elemento ladino, è ogni giorno, più visibile. Infatti, il dott. Battisti nella già citata conferenza ci dice che « una volta il ladino era molto più esteso verso mezzogiorno. Al di là di Val d’Adige l’ alta Aunania è ancora o fu per lo meno fino a pochi decenni fa semiladina. Attraverso il fiorente piano di Caldaro e il tratto atesino il fassano si allacciava all’ anauniese in un’unità, interrotta solo al principio dell’evo moderno da un’invasione tedesca, sicché per le tre valli dell’Avisio, dell’Adige e della Novella il ladino si spingeva a mezzogiorno per lungo tratto.

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I processi contro le streghe della Val di Fiemme, nei primi decenni del 500 e un inventario delle Giudicarie anteriore della fine del 300 ci presentano fenomeni ladini in queste due valli ». Al giorno d’oggi solo la Vai di Passa, secondo la classificazione dell’Ascoli è ladina. Epperò anche qui si trova il processo dell’ italianizzazione. Per cui da Alba e Penia dove il ladino centrale risuona quasi purissimo, a Vigo e Moena, dove l’ italiano è ormai vittorioso, a Predazzo, primo borgo ufficialmente riconosciuto per non ladino c fin giù a Cembra, la cui parlata è quasi uguale a quella dei dintorni di Trento il ladino perde continuamente terreno e finirà per essere sostituito dall’ italiano, Anche la Val di Fassa presenta fenomeni d’italianizzazione. I volksbundisti ne sono desolati, incolpano di ciò il clero fassano — non so con quanta ragione — e chiedono la separazione della valle dalla diocesi di Trento e l’annessione morale a quella di Bressanone. I rappresentanti politici dei volksbundisti si sono opposti e si oppongono con tenacia teutonica a tutte le iniziative destinate a. rendere piu rapide le comunicazioni materiali e spirituali delle valli ladine con Trento. I volksbundisti non vogliono che « i fratelli ladini siano denaturalizzati da quelle poche migliaia di usurpatori parlanti italiano dei quali solo una minima parte è italiana nel senso di razza, cioè pertinente al popolo italiano in riguardo storico ed etnico». Ma tutte le disinteressate premure dei germanizzatori, non impediranno l’italianizzazione dell’elemento ladino, elemento che non modifica — per quanto ho esposto — l’uniti linguistica del Trentino.

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Né questa unità linguistica può ritenersi modificata dalle cosiddette « oasi tedesche ». Da una conferenza di Antonio Tambosi, presidente della Legione Tridentina della Lega Nazionale, si rileva che su 366 comuni del Trentino, solo 10 godono la frescura delle « oasi tedesche » e sono i 4 comuni della Valle di Non con 1525 abitanti, Trodeno e Anterivo in Valle di Flemme con 1033, la Valle dei mòcheni, coi comuni di Frassilongo, Fierozzo, Palù con 1685 e Luserna — divenuta la Mecca dei pangermanisti grazie all’ opera di un rinnegato italiano Simone Nicolussi — sull’altopiano di Lavarone con 783 abitanti. Si tratta di 5000 abitanti sui 360.000 che popolano il Trentino. E anche in queste « oasi » è stata la scuola tedesca che ha creato i tedeschi. Il gruppo linguistico più compatto e numeroso è quello dei mòcheni o tedeschi della valle del Fersina. Il prof. Baragiola dott. Aristide ha pubblicato un opuscolo interessante sui mòcheni, dal quale stralcio le notizie che seguono. I mòcheni abitano la Val Fierozza, detta anche Valle del Fersina, amena valle che sale a nord-est da Per-gine. Questa valle comincia col villaggio di Canezza ed è solcata dal torrente Fersina. Nei villaggi posti sul declivio a sinistra del Fersina si parla tedesco-mòcheno; in quelli a destra da tempo immemorabile italiano. Gli italiani vivono raggruppati in villaggi (Serso, Viarago, Mala e St. Orsola) mentre i tedeschi, come gli antichi germani, vivono in piccoli casali o in capanne appartate, disseminate tra i boschi. Non si sa bene perché si chiamano «mòcheni ».

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Alcuni vogliono che l’ appellativo derivi dall’uso frequente ch’essi fanno del verbo mochen (machen — fare), altri credono che mochen significhi minatore e il verbo mochen lavorare nelle miniere. Anche le loro origini etniche non sono bene accertate. Comunque, sta il fatto che i mòcheni « sono rimasti tedeschi non solo quanto allo spirito eminentemente conservatore, ma anche nei loro tratti esterni, nelle loro foggie, nei loro costumi. Nella loro lingua predomina l’elemento baiuvaro-tirolese — base della parlata che per l’isolamento della valle, ha potuto conservare l’ impronta antica tanto nel sistema fonetico, quanto nella formazione delle parole e nella costruzione. Sebbene la parlata dei mòcheni non sia stata ancora filo¬logicamente studiata, pure è lecito affermare che i mòcheni «sono rimasugli del cosiddetto germanesimo cimbro che ancora nel secolo passato si estendeva, In una continuità quasi non interrotta, dalle valli di Fiemme (Fleims) e Cembra (Zimmersi), per quelle di Pinè (Paneid) e del Fersiva, nella Valsugana superiore, nel verdeggiante altipiano di Lavarone (Lafraun) e Folgaria (Folgareit), nella Valle Lagarina (Lagerthal) nel veronese (XIII comuni) e nel vicentino (VII comuni). Nelle scuole dei mòcheni la lingua d’ insegnamento è la tedesca, e i pangermanisti hanno molto lavorato in questi ultimi tempi per conservare il tedeschismo della valle. Malgrado tutto l’elemento italiano avanza irresistibilmente conquistatore.

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Già ne abbiamo i sintomi, afferma il Baragiola, poiché i mòcheni tutti — non sempre però le donne — parlano anche il dialetto italiano dei loro vicini; non solo, ma nei casolari e nelle capanne più a valle di Frassilongo e Roveda, specie a mezzo di matrimoni misti, va man mano infiltrandosi un elemento prettamente italiano, che ha le sue sentinelle avanzate anche negli altri paesi più alti, sicché dall’ultimo censimento del 1900 risulta che di 1811 abitanti, 173 sono di lingua italiana. Da questa infiltrazione nasce un certo ibridismo in parole e costrutti che hanno dell’italiano e del tedesco o nell’uso di parole prettamente italiane nel bel mezzo di frasi, proposizioni e periodi alla tedesca. Le canzoni cantate nella valle sono per lo più italiane. I pochi lieder tedeschi che vi si odono sono di recente importazione e dovuti specialmente alla scuola tedesca. Per concludere « la parlata tedesca dei mòcheni è un cimelio linguistico, che simile alle consorelle che ancora si odono nella zona italica, fornisce un materiale interessante per gli studiosi: i quali vi trovano ancora traccie preziose del!’ antica lingua teutonica ».

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Ma come il ladino, anche le oasi tedesche non resisteranno al processo d’italianizzazione. Già a S. Sebastiano e in Folgaria il tedesco si è spento e così avverrà per gli altri luoghi. Le inalazioni d’ossigeno dei volksbundisti, potranno prolungare l’agonia di questi gruppi linguistici, ma la loro fine è certa. Un autore tedesco ha scritto giustamente che «il viandante tedesco s’imbatte spesso nelle pietre sepolcrali della sua nazionalità”.

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