Il perché di una tragedia
La verità del bombardamento di Sant’Ilario del 13 settembre 1944 – Seconda parte.
Clicca qui sotto per vedere la prima parte:
di Maurizio Panizza
A seguito dell’intervista a Valentino Rosi, accurate ricerche effettuate presso gli archivi militari degli Stati Uniti hanno svelato, incredibilmente, come avvenne il disastro e chi fosse al comando del B-24 americano che sganciò le bombe in aperta campagna uccidendo 18 persone.
Alcuni giorni dopo l’intervista fatta a Valentino, il suo racconto continuava a girarmi ostinatamente in testa a tal punto che a forza di cercare in internet riuscii a scoprire qualcosa di molto interessante.
Nell’«USAAF Combat Chronology of the Us Army Air Forces in Italy» (l’archivio dell’Aviazione americana contenente documenti un tempo top-secret) trovo una pagina in cui c’è scritto: «Settembre 1944. Operazioni Strategiche 15ª Air Force – Il 13 di settembre 1944 in Italia, B-24 Liberator bombardano il viadotto Avisio e i ponti ferroviari di Ora e Mezzocorona».
Un brivido mi corre immediatamente lungo la schiena: quello è lo stesso giorno del bombardamento a Sant’Ilario e le località citate si trovano a poche decine di chilometri più a nord.
Sento che quegli aerei americani – proprio i quadrimotori B-24 provenienti dal Sud Italia per fermare i rifornimenti dalla Germania – potrebbero essere gli stessi visti da Valentino mentre rientravano dalla missione.
Nei giorni seguenti, poi, ho un altro colpo di fortuna: riesco a mettermi in contatto con il Gruppo di ricerca «Aerei Perduti», in provincia di Ravenna, in particolare con Enzo Lanconelli che da anni collabora con un organismo federale americano per dare un nome ai piloti USA caduti sul territorio italiano e per ricercare il luogo e ricostruire le fasi del loro abbattimento.
Sapendosi destreggiare negli archivi statunitensi, i componenti del Gruppo mi forniscono in pochi giorni una notevole quantità di documenti al riguardo. E con essi arriva, incredibilmente, la ricostruzione degli avvenimenti di quel 13 settembre 1944.
L’attenzione degli esperti di Aerei Perduti si è appuntata sul 98° Gruppo Bombardieri di stanza a Lecce. Sono 28 aerei, raggruppati in 4 Squadron (squadriglie) da sette bombardieri ciascuno.
La mattina del 13 erano decollati alle 7.45 per una missione contraddistinta con il nr. 300. La rotta prevista: «San Vito dei Normanni – Mare Adriatico – Foce del Piave – Fiera di Primiero – Castello di Fiemme – Viadotto Avisio (obbiettivo del bombardamento) – Rovereto – Conegliano Veneto – Lecce».
Tuttavia, l’interesse dei ricercatori è nei confronti di un aereo in particolare, quello comandato dal tenente W. B. Wall il quale, a missione conclusa, scrive fra l’altro nel suo rapporto: «Rotta di rientro. Osservazioni: B-24 Red P esce dalla formazione e sgancia pulendo la stiva bombe».
Ma che significa? Perché dare tanta importanza a questa frase? Per capire è necessario fare un passo indietro e cioè rileggere il report di Wall nelle parti precedenti.
Prima di tutto è da dire che «Red P» è il nome di uno dei bombardieri della squadriglia di Wall. Poi quello che è essenziale alla nostra ricostruzione è seguire il rapporto della missione nelle fasi del bombardamento che si consumano in pochi minuti, subito dopo mezzogiorno.
Scrive Wall a riguardo:
1) 12:02 – Su target a 20,500 piedi [su obbiettivo a circa 6.000 metri di quota – NdR] con rotta di 238 gradi seguendo l’aereo leader. Sganciate 6 bombe da 1.000 libbre con intervallo di 25”. Buona concentrazione sul target.
2) 12:03 – AA [sta per contraerea in azione – NdR] – tiri moderati, accurati, tesi.
3) 12:32 – Ancora contraerea, leggera, accurata, tesa.
4) 12:03 – E/A [significa enemy aircraft, aerei nemici – NdR] – Viene segnalata la presenza di 3 caccia non identificati.
5) 12:07 – Rotta di rientro – Osservazioni. «Red P» esce dalla formazione e sgancia pulendo la stiva bombe. Nessun danno all’aereo e all’equipaggio.
Ecco, dunque, al punto 5) quella annotazione che ha destato l’interesse dei nostri ricercatori. Il fatto, cioè, che cinque minuti dopo il sorvolo dell’obbiettivo (il viadotto dell’Avisio o Pont dei Vodi com’è chiamato a Trento) in fase di rientro uno degli aerei della squadriglia sia uscito stranamente dalla formazione – si sia, cioè, allontanato – e abbia sganciato una o più bombe «pulendo la stiva».
Il rapporto del tenente Wall.
Ma perché allontanato? Perché non bombardare l’obbiettivo prestabilito? Le mie domande trovano nell’esperto una risposta immediata.
«È probabile – dice Lanconelli – che il bombardiere Red P non abbia sganciato sul target a causa, per esempio, degli intensi fumogeni che impedivano la vista dell’obbiettivo, oppure per via di un inceppamento del sistema, riuscendo solo più tardi a liberarsi del pericoloso carico, essendo le bombe ormai innescate e quindi pericolose da tenere a bordo. Non era cosa affatto rara.»
Colpito da questo particolare, faccio un’altra domanda.
Conoscendo la rotta di rientro lungo la valle dell’Adige e sapendo che questo bombardamento anomalo è avvenuto 5 minuti dopo il passaggio da Lavis, dove poteva essere l’aereo in quel momento?
Calcoli alla mano, Lanconelli mi conferma che «il bombardiere alle 12.07 si trovava sulla verticale di Rovereto».
È il primo, straordinario indizio che Red P potrebbe essere proprio l’aereo che stiamo cercando, quello che confermerebbe così la testimonianza di Valentino.
La ricerca continua anche nei giorni successivi e grazie ad altri documenti scopriamo in tal modo che il comandante pilota del Red P si chiamava Richard Gilbert Barrow e che lui e gli altri 9 componenti l’equipaggio riuscirono quel giorno a raggiungere incolumi la base americana di Lecce.
E il fumo che usciva dall’aereo? Nulla si è riusciti a scoprire in proposito, perché nell’archivio Usa non è rintracciabile il rapporto di Barrow, quello che avrebbe potuto spiegare molte cose. Tuttavia è evidente, a questo punto, che il problema non fu tale da pregiudicare il rientro del quadrimotore alla base.
La ricerca, comunque, non si ferma ancora e i giorni seguenti Lanconelli mi chiama, esultante, dicendomi di aver trovato negli archivi americani nientemeno che il filmato originale proprio di quella missione.
In più, mi trasmette anche lo stato di servizio di Richard Barrow e pure le foto del cimitero in cui si trova la sua tomba.
«Tenente pilota nel 1944 – leggiamo nella sua scheda personale – anni dopo prese parte anche alla guerra di Corea e poi venne promosso al grado di tenente colonnello. Morì in tempo di pace, nel 1978, a soli 56 anni d’età e venne sepolto in un piccolo cimitero di Portland, in Oregon».
Arrivati alla fine della ricerca, nonostante i numerosi indizi, non possiamo affermare con sicurezza matematica che sia dipeso proprio da lui il bombardamento di Sant’Ilario.
Certo è che se fu proprio Barrow a premere quel bottone, pare evidente che lo fece in maniera inconsapevole di causare con quell’azione una tragedia di tali dimensioni. Da quell’altezza, infatti, non sarebbe stato possibile distinguere delle persone riparate nei campi.
È la guerra, purtroppo, che vede sempre l’opporsi di due destini diversi, due punti di vista crudeli, perché se da una parte per quella piccola comunità fu una tragedia incommensurabile, per l’equipaggio che sganciò quelle bombe fu semplicemente il tentativo di salvare la pelle.
E alla conclusione di questa storia mi fermo a riflettere su come il ricostruire la verità a volte può essere più semplice del previsto. Un conto però è la verità, un altro conto è la memoria.
Torno allora con la mente a Valentino, al suo racconto, e non posso che ringraziarlo in cuor mio per avere contribuito a distanza di così tanti anni a riportare finalmente luce su quel tragico avvenimento e memoria su quei morti innocenti.
E il mio pensiero non può fare a meno di volare anche al comandante di quel B-24 che ora ha un nome.
Immagino a quante tragedie, poco più che ventenne, fu costretto ad assistere e a quanti suoi compagni non tornarono più dalle missioni. E penso anche a quante famiglie attesero invano il ritorno di quei giovani soldati, perché anche loro avevano certamente una madre, una moglie, magari dei figli che li stavano aspettando.
Per questo, al di là delle divise che possono avere indossato in guerra, accomunare tutte le vittime – militari o civili che siano – in un’unica pietosa preghiera è il minimo che oggi possiamo fare in tempo di pace.
Lo dobbiamo a loro, per non dimenticare, per non ripetere ancora una volta gli stessi errori. Lo dobbiamo alla verità, la quale, nel nostro caso, dopo ben 72 anni finalmente ha trovato riconciliazione con la Storia.
Fine
Maurizio Panizza
©Cronista della Storia
maurizio@panizza.tn
Un ringraziamento particolare al Gruppo Aerei Perduti ( www.aereiperduti.net ), senza il quale non sarebbe stato possibile realizzare questa ricerca.
Cliccando, sotto (VIDEO) si apre il filmato originale della missione oggetto della ricerca.
Titolo: «Il 98th Bomb Group prima e durante il decollo dall’aeroporto di Lecce il 13 settembre 1944». Fonte: Dipartimento della Guerra. Army Air Force. (1941/06/20 – 1947/09/26). Motion Picture, audio e video Records Sezione Archives Media Services Division, College Park, MD.