L’OLIVO, L’OLIO NELL’ALTO GARDA

OLIVICOLTURA NELL’ALTO GARDA

IERI, OGGI E DOMANI

di Cornelio Galas

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Sugli “scandali” di questi giorni (novembre 2015) che coinvolgono i maggiori produttori di olio d’oliva italiani e che tanti danni stanno procurando al nostro “oro verde”, occorre far piena luce. Innanzitutto per accertare eventuali responsabilità (la presunta vendita di olio extravergine che di extra sembra non aver nulla) e nel contempo per separare i “furbi” da quelli che invece da decenni fanno il loro lavoro, magari di nicchia, senza grossi fatturati.

Insomma l’olio buono, dop, vero extravergine, deve a questo punto essere difeso con la spada della verità. A tutti i costi. Di qui l’idea di fare un servizio sull’olio dell’Alto Garda. Con la collaborazione, importante, di Ivo Bertamini, titolare di un frantoio a Vignole di Arco (Trentino) che proprio quest’anno taglia l’importante traguardo dei 55 anni di attività.

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Il frantoio Ivo Bertamini: nel 2015 ha superato i 55 anni di attività

Proprio nel 1960, infatti, la famiglia Bertamini ebbe l’idea di realizzare un frantoio, a Vignole di Arco, che diventò subito il punto di riferimento per i contadini e piccoli produttori che coltivavano l’ulivo e producevano olio destinato prevalentemente all’auto consumo. L’Olio extravergine del Garda, vanta eccellenti caratteristiche organolettiche, a tavola si caratterizza per la straordinaria leggerezza, la facile digeribilità, i delicati toni fruttati. Il colore varia dal verde intenso al giallo con riflessi dorati, il profumo ricorda le nocciole, mentre il sapore è spiccatamente fruttato e fragrante con una percezione erbacea, leggermente piccante ma mai invadente, con un retrogusto di mandorla dolce.

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Piazza S. Valentino a Vignole di Arco: il frantoio Bertamini ha 55 anni

Recentemente l’azienda ha ottenuto la certificazione per la produzione di olio biologico. Accanto alla produzione tradizionale di olio, si è avviata la produzione di prodotti di profumeria, i risultati sono stati così incoraggianti che è stata creata un’apposita linea di prodotti, tutti rigorosamente ricavati con il pregiato Olio del Garda.

L’OLIVO NELLA “BUSA” DEL BASSO SARCA

La presenza dell’olivo nelle fasce pedemontane della Valle del Sarca caratterizza da sempre l’economia delle aziende agricole e il paesaggio della Valle. Attualmente la coltivazione dell’olivo investe circa 500 ha di superficie in forma specializzata, dove dimorano circa 70-80.000 piante adulte. A queste vanno aggiunte altre 20-30.000 piante sparse sul territorio comprensoriale (nei giardini, in coltura Olivi – Vincent Van Goghpromiscua, lungo i viali). Dunque il patrimonio olivicolo dell’Alto Garda Trentino consiste in circa 100.000 piante adulte.

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I500 ettari di olivaia tradizionale sono prevalentemente disposti in situazioni di temi giacitura difficili (in pendio, terrazzamenti, ecc.), tali da rendere difficoltosa ed onerosa la loro coltivazione. Per il 25% circa di questa superficie è inoltre disagevole, se non impossibile l’accesso con i mezzi agricoli data la viabilità carente. A questa precarietà conseguente all’orografia del territorio si aggiunga una certa variabilità della produttività dell’oliveto dovuta sia alla predisposizione genetica dell’olivo e alla sua alternanza di produzione (pasciona), sia alla ristrettezza delle condizioni di vita delle piante.

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Ciò nonostante la coltivazione delle olivaie continua a perpetuarsi, ed ogni anno si producono da 500 a 750 tonnellate di olive dalle quali si spremono, nei due oleifici della zona, 80-120 tonnellate di olio. Dal punto di vista economico la «convenienza» della coltivazione dell’olivo si basa su tre aspetti principali: 1. Lo scarso impegno finanziario per la coltivazione; 2. La concentrazione delle ore di lavoro (soprattutto per raccolta e potatura) in momenti di disponibilità presso l’azienda e suscettibili elasticità di impegno per gli olivicoltori part-time; 3. Il valore dell’olio in termini monetari che costituisce pur sempre un’entità importante nel bilancio familiare di molti olivicoltori, ed il suo valore qualitativo che spinge molti alla produzione di olio per l’autoconsumo.

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È inoltre da rimarcare che negli ultimi anni si assiste ad un ritorno di intesse per la coltivazione dell’olivo da parte di “hobbisti” desiderosi di passare il tempo libero in una attività sana in un ambiente ameno e sereno come quello delle olivaie. In questa situazione di luci ed ombre si denota una buona vivacità del settore e la caparbia e orgogliosa volontà di proseguire nella coltivazione dell’olivo, che esprime anche nella voglia di sapere e imparare, che si è avuto modo di conoscere in occasione degli incontri tecnici svoltisi nel recente passato.

STORIA DELL’OLIVICOLTURA

DELL’ALTO GARDA TRENTINO

di Ivo Bertamini (1997)

Ivo Bertamini

Ivo Bertamini

L’olivo di olio nella storia sono stati e sono tuttora in stretto rapporto materiale e spirituale, religioso e medicamentoso con l’uomo. U luogo di origine di questo albero è la Fenicia. Da questo paese; a partire dal IX sec. av. Cristo, si diffuse in tutte le località bagnate dal Mediterraneo, Intorno al lago di Garda il ritrovamento più antico di noccioli di olive è stato scoperto presso la palizzata di Peschiera all’epoca del bronzo. Nell’Alto Garda Trentino la prima testimonianza dell’uso dell’olio di oliva è data dal ritrovamento di una lucerna ad olio del tipo Firmalampen durante gli scavi archeologici presso il Municipio di Arco e risalente al II-III° sec. dopo Cristo.

Mentre il ritrovamento di noccioli di olive più antico è stato rinvenuto a Nago in loc. “a quaiz” in un pozzo dell’epoca romana e si presume possano risalire al IV-V secolo d.C. I primi documenti attestanti l’olivicoltura gardesana sono del 771 e solo per quanto riguarda la sponda meridionale. II documento, che attesta la coltivazione dell’olivo nell’Alto Garda, è un “Adbrevatio” del monastero di Bobbio dell’anno 862. Questo monastero nel “Summo Lago” aveva una corte dove si produceva olio: “fit ibi per bonum tempus oleo libras duo milia CCCCXXX”, cioè 2430 libbre, una quantità considerevole. Intorno al lago erano presenti altri monasteri con le loro corti, “domusculte” e sorti, come S. Zeno e S. Maria in Organo di Verona, il monastero di Nonantola, il monastero di Leno, il monastero di S. Martino di Tours. Inoltre intorno al lago abati, Vescovi e chierici avevano dei possedimenti. Certamente prima del 1000 l’interesse dei predetti soggetti verso l’olivicoltura è notevole.

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La chiesa di S. Valentino, a Vignole di Arco (Trento)

Interesse chiaramente “nobiliare”, come è dimostrato dagli utenti del prodotto delle olive. Gli ecclesiastici che utilizzano l’olio di oliva per le esigenze del culto e delle “luminaria” nonché per il valore economico, ed in secondo luogo per il valore alimentare. Nell’alto medioevo la documentazione è assai scarsa. I pochi contratti di livello esistenti hanno caratteristiche comuni, come l’obbligo per il coltivatore di “oblivos coltarare”, nonché “dividere debeatis preditos olivos per medium”. Gli ulivi esistenti sui terreni privati o su quelli appartenenti alle comunità sono molto scarsi. Prima del 1000 la realtà olivicola alto gardesana non si presenta diversa da quella intorno al lago. Un documento importante per la conoscenza dell’olivicoltura del Sommolago è una pergamena conservata presso l’archivio comunale di Riva del Garda; porta la data del 19 giugno 1106 e attesta una donazione fatta da tre chierici di Riva, Serverto, Ulverardo e Vito, alla pieve di Riva, consistente in sette olivi appartenenti alla varietà “raza” posti sul monte Brione. Due piante sono poste in località “nuvillari”, tre in”olivedo” in localita “supra bracum” e altre due, sempre sul Brione, in località “subtus Begasi”. In questo atto veniva inoltre specificato che gli olivi venivano donati “cum ablaciatura”. Il termine deriva dal verbo latino “ablaqueare” e secondo gli autori latini Columella e Catone indica lo «scalzamento» del terreno intorno all’olivo.

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L’Alto Garda Trentino

Tale lavorazione è praticata in parte anche oggi e viene descritto con il termine dialettale: “pila”. Questo scalzamento, sempre secondo l’atto notarile; poteva effettuarsi “de pedes quinque”. Questa misura (m 1,5 circa di raggio intorno al tronco) comparirà in seguito stabilita negli Statuti di Oltresarca del 1522 a dimostrazione che vi era un uso abbastanza diffuso di questa pratica di coltivazione. In seguito tale misura sarà considerata nell’uso civico delle piante che si trovavano sul terreno comunale; nell’alto medioevo l’oliveto (come nel caso del Brione) nasce di frequente al margine o all’interno di una zona boscosa.

Altra caratteristica comune, dell’epoca romana e dell’epoca medioevale fino a tutto il 1500 è l’abbinamento dell’olivo con altre colture. Questo abbinamento poteva avvenire sia con la vite sia con i cereali. Infatti in un documento appartenente alla Pieve di Arco, documento del 27 ottobre 1286, si ha un’investitura “de tribus peciis terre aratorie cum olivas” ed in una “locatio perpetua” l’Arciprete di Arco affitta perpetuamente “un dosso iacente ad Petram Volpinam advineas et olivo”; la località è nei pressi di Dro e il documento porta la data 7 gennaio 1288.

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L’importanza dell’olivo e dell’olio già nel 1200, in Riva e nel suo circondario, era molto sentita. Infatti gli Statuti di Riva del 1274. prevedono una serie di capitoli a tutela dell’olivicoltura e del suo prodotto. Veniva messo in guardia chi vendeva l’olio con misure false (capp. 14 e 15), si puniva con ammende il furto delle olive (cap. 34), il taglio di piante di olivo o di parti di esse (capp. 41 e 42) e veniva sancito il divieto di raccogliere le olive prima delle festività di Ognissanti. A differenza di Riva, l’importanza dell’ olivicoltura nel circondario di Arco, nel 1200, era mena sentita: negli Statuti di Arco (della fine del 1200) solo in un capitolo, il tredicesimo, si afferma il divieto di rubare olive. Nel XIII secolo la Pieve di Arco possedeva un numero considerevole di olivi. In un documento del 6 maggio 1208 troviamo che la Pieve di Arco possedeva 20 olivi sul Brione. Da un documento del 12 luglio 1282, nel quale vengono elencati i beni, i possessi, i fitti e le decime si deduce ancora che la Pieve di Arco possedeva nel romarzollese almeno una trentina di piante.

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Ma la parte preponderante della produzione di oliva faceva capo all’episcopato trentino. Infatti nel 1225 il Vescovo di Trento, nel circondario di Riva, dà una investitura per 60 “galete” di olio all’anno e nel 1278 gli abitanti di Tenno dovevano corrispondergli 68 “galete” di olio. Tra le località in cui, nel 1200, viene citata la presenza dell’olivo abbiamo “ad Vivarium”, oggi Vignai presso Padaro; “ad Vallem supra Claranum”, “ad Molinam” sopra Vigne, dove nasce il Bordellino, ed altre di difficile localizzazione, a Riva sul Brione. Sulla fascia pedemontana nel circondario di Riva, nel basso tennese, nel territorio di Arco, in quello di Oltresarca, di Dro e di Nago, anche se dai documenti non compaiono le località si deduce comunque la presenza dell’olivo. In un documento del 28 febbraio 1291 risulta che la Pieve di Arco possedeva un torchio: “in Arco, ante torculum plebis Sancte Marie de Arco”.

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Nei contratti di locazione l’affittuario generalmente doveva corrispondere la metà del prodotto “ad medietatem tocius oIIive”; raramente con un terzo, oppure con una certa quantità di olio “boni et pulcri olei ad rectam mensuram”. Altri obblighi dell’affittuario potevano essere “alias plantare, gubernare, studere”, “allevare, omni tercio anno lotare, defendere, guarentare”. Nel 1300 la proprietà ecclesiastica intorno al lago entra in crisi a vantaggio dei proprietari locali. Nell’Alto Garda comunque la presenza ecclesiastica rimane forte, infatti nel 1395 il monastero di S. Michele di Trento era proprietario di 135 piante di olivo nel tennese.

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Crescendo l’interesse e l’importanza dell’olivo e dell’olio nell’ambito dell’economia alto gardesana si ha nel 1490 un aumento delle aree coltivate ad olivi. I terreni appartenenti alle comunità vengono suddivisi tra i fuochi. Ognuno, sul terreno della comunità, può piantare degli olivi. Interessanti in questo senso sono gli Statuti di Oltresarca del 1522. Le piante di olivo presenti sul territorio del comune erano soggette ad un canone annuo che doveva essere pagato in due rate: a febbraio nel giorno di S. Maria Ceriola e a giugno a S. Giovanni. Da tale pagamento erano esenti quelle piante di età inferiore agli otto anni. Certamente allora questo era un incentivo a piantare olivi. Ne 1400-1500 tra le varietà presenti di olivo abbiamo oltre la “raza”, il “treppo”, il “selivo” il “nebbio” e il “foppa”.

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Da un documento del 21 aprile 1507 esistente presso l’Archivio di Arco risulta che nei tempi addietro “…li homeni della terra d’Archo senza alchuno impedimento poterant (avevano potuto) a suo beneplacito li sue olive far fora et cavar di quelli l’oglio over come si dice far… senza che andassero alli torchi dilli Siori over senza pagar cosa alcuna …”. Da questo documento risulta chiaramente l’obbligo da parte degli uomini del contado di Arco di usare i frantoi dei Conti, dietro il pagamento di 4 denari piccoli trentini per ogni “galeta” di oliva “masnada o torchiada”.

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La sansa, “nochi”[1] e le acque vegetali potevano essere lasciate al torchio o portate via liberamente. Inoltre i torchi dovevano essere attrezzati di “paroli, tinilli[2] , di sacchi abundanti”. I frantoi si trovavano sui canali (fitte) o sui torrenti. La macina, mossa dall’acqua, schiacciava l’oliva che una volta macinata veniva posta nei sacchi di canapa. A loro volta, i sacchi venivano posti sotto il torchio per essere spremuti. Il liquido della spremitura veniva fatto cadere nei tini e l’olio dopo un periodo di decantazione veniva raccolto con dei mestoli per sfioramento. Il diritto di macina ai Conti d’Arco rimase fino all’avvento del periodo napoleonico.

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Nel circondario di Riva verso la fine del 1400 nel libro degli Estimi, vengono elencati 6 torchi, 23 aree coltivate ad oliveto, 95 in cui l’olivo è abbinato alla coltivazione dei cereali, 36 in cui è consociato alla coltivazione della vite e all’arativo. Tra le località coltivate ad olivo abbiamo il Brione, Dom, Pasina. Nel circondario di Arco sono coltivate ad olivo le località di Fontanele, Costa, S. Apollinare; nel romarzollese Nomego e terreni sopra Chiarano; in Oltresarca sul dosso di S. Lorenzo e sopra S. Martino; nel tennese terreni presso Gavazzo e Cologna.

Quando l’olio diventa una fonte alimentare di primaria importanza, tale da sostituire il grasso nei condimenti, la coltivazione dell’olivo si diffonde sui terreni che oggi in linea di massima si identificano nell’areale storico. In occasione di questa diffusione le terre soggette a coltivazione erano in gran parte soggette ad uso civico ossia di proprietà della Comunità.

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L’occupazione di questi terreni da parte delle famiglie (fuochi) della comunità ha consentito di sfruttare non solo una fonte alimentare ma anche economica. Ogni famiglia aveva un certo numero di olivi che venivano ereditati per via paterna. La tecnica di coltivazione nella storia non subisce profonde modifiche e si riallaccia alla tecnica dell’epoca romana. La riproduzione avviene per talea (pangoni) e su questa venivano innestate le varietà più gentili. Lo scalzamento del terreno intorno alla pianta (pila) era già una pratica eseguita dai romani. L’olivo e l’olio per la loro importanza economica non potevano sfuggire alla tassazione da parte di governi o autorità locali. Con la nascita del Catasto le aree coltivate ad olivo vengono considerate orto (come tuttora) per cui i redditi catastali domenicali e agrari restano in assoluto i più alti. Il paesaggio delle aree olivicole intorno al Basso Sarca con la seconda metà del 1800 diventa un veicolo di promozione del clima e della salubrità del posto da offrire al turista mitteleuropeo. Con il passaggio del Trentino al Regno d’Italia vengono introdotte nuove varietà di olivi (frantoio) e con la legge di liquidazione degli usi civici nel 1937 vengono affrancate parecchie aree a oliveto. Ossia i proprietari delle piante diventarono proprietari del terreno, mentre su quelle non affrancate rimane il rapporto enfiteutico; tutt’oggi ancora in vigore.

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In una economia nazionale dove l’ agricoltura ha il ruolo maggiore non poteva non esserci una tutela giuridica della coltivazione dell’olivo. Infatti nel 1945 in base al d.lgs. n° 475 veniva introdotto il divieto di abbattimento di alberi di olivo (attualmente ancora in vigore). L’olivicoltura fino all’ avvento del boom economico degli anni sessanta rimane una voce importante dell’agricoltura locale nazionale.

Negli anni successivi al dopoguerra erano presenti nel Basso Sarca ben 7 frantoi (Zanfranceschi, Trenti, Sega, Calzà, Guarnati, Togni, Benini) contro i due attuali. Inoltre i frantoi vengono rinnovati con impianti moderni mossi dall’energia elettrica.

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Con gli anni sessanta la coltivazione locale subisce un declino, sia perché parte della forza lavoro si trasferisce dalla campagna alla fabbrica sia perché vengono immessi sul mercato olii derivati da semi a costi e a prezzi molto inferiori dell’olio d’oliva. Si assiste così all’abbandono delle aree coltivate ad olivo, questo abbandono continua fino al 1985/1986 nella cui annata la gelata invernale pone un macigno sul futuro di questa coltivazione.

I frantoi da sette che erano nel 1950 passano a due. La produzione di oliva si riduce a poco più di 90 tonnellate, parte del patrimonio olivicolo viene distrutto. Nonostante gli aiuti delle CEE all’olivicoltura fino al 1986 il declino di questa coltivazione è progressivo. A seguito della gelata la Provincia Autonoma di Trento interviene per salvaguardare questa coltivazione. Inserisce le aree ad olivo in zone svantaggiate; finanzia le infrastrutture, il rinnovo degli impianti e tramite la CEE dà un sussidio ai produttori di olive per il mantenimento delle aree olivicole con una superficie superiore a 3.000 metti quadrati; l’ESAT (Ente per lo Sviluppo Agricolo Trentino) inizia ad essere un valido supporto di consulenza.

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Con il rifiorire della coltivazione si sono abbandonate tecniche colturali ormai obsolete. Sono state introdotte nuove varietà, si è iniziato ad introdurre nuove tecniche colturali, si sono costruite nuove infrastrutture (strade e irrigazioni), si è riscoperto l’olio di oliva come prodotto salutistico. Attualmente la superficie coltivata ad olio nel Basso Sarca si aggira sui 500 ettari con a dimora circa 80.000 piante. I fattori che hanno contribuito ad una minore produzione di oliva sono da indicarsi nel recupero di aree abbandonate, di nuovi impianti, una riconsiderazione dell’olio sotto l’aspetto gastronomico e salutistico e l’introduzione di nuove tecniche colturali. La differenza delle rese in olio sono dovute al concentramento nel tempo della raccolta delle olive. Se fino al 1988 la raccolta si allungava fino a febbraio a partire dopo la metà di novembre, oggi invece si tende ad iniziare ai primi di novembre e finire, al più tardi, alla metà di gennaio.

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La raccolta anticipata e concentrata ha permesso di produrre un olio qualitativamente superiore al passato; in linea con i parametri sotto esposti del regolamento comunitario, seppur con minor rese in percentuale. Nel 1997 la Comunità Europea approvava il Regolamento (2325/97 – 24.11.1997) che istituisce l’origine protetta dell’olio extravergine del Garda con la sottozona Trentino. Questo riconoscimento è molto importante. Apre anche dal punto di vista economico nuove prospettive.

Le caratteristiche dell’olio extravergine del Garda Trentino

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– Acidità massima (Acido Oleico) inferiore a 0.7 % .

– Numero Perossidi inferiore a 10 (meq. 0 /kg) 2

– Esame spettrofotometrico:    E 232 (k232) inferiore 1500

E 270 (k270) inferiore 0.160

Delta E (K) inferiore 0,005

– Totale assenza di residui di prodotti di sintesi.

Dal punto di vista organolettico l’OLIO DEL GARDA TRENTINO assume, grazie all’influenza ambientale molto particolare, per le difficoltà climatiche ove si produce, caratteri di finezza difficilmente riscontrabili in altro olii.

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I caratteri organolettici che tipicizzano l’olio sono:

COLORE: verde pallido, limpido;

ODORE: caratteristico, fruttato;

SAPORE: caratteristico, sapido, delicatamente fruttato;

GUSTO: perfettamente irreprensibile ed esente da difetti.

Note:

[1]- Nochi: dal latino nucleus – osso di frutto – termine dialettale oggi in uso “noci” eguale sansam[2]- Tinilli: diminutivo dal latino volgare tinum – termine dialettale oggi in uso “tinel” – contenitore in pietra per olio.

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