a cura di Cornelio Galas
Vi propongo subito, in questa quinta puntata sull’eccidio di Schio, un’intervista fatta (nel novembre 1994) da Brunella Lanaro e Osvaldo Croci a John Valentino, Agente CID V Armata nel 1945, ad Altoona – Pennsylvania.
Il documento in lingua inglese si trova sul sito ww.larchivio.com dell’amico Enzo Antonio Cicchino che ci ha concesso anche le foto del carcere di Schio. Le foto in questione – che riportiamo nella gallery in fondo all’articolo – appartengono alla Biblioteca Comunale di Schio: furono consegnate a Cicchino nel 1994 in occasione della ricostruzione filmata dell’episodio.
Premessa
Il nome di John Valentino scomparve dalla memoria della gente di Schio subito dopo il primo processo contro gli autori della strage, tenutosi a Vicenza nel 1945. Per oltre mezzo secolo di lui non si è saputo più nulla. Siamo riusciti a contattarlo tramite un annuncio pubblicato sui giornali dei reduci americani della Seconda Guerra Mondiale.
John Valentino:
Mi chiamo John Valentino. Nel luglio 1945 mi trovavo a circa 160 km da Vicenza. L’11 luglio il mio comandante mi incaricò di andare a Vicenza e di presentarmi al colonnello Lollar per un’inchiesta sul massacro di Schio.
Il 12 luglio giunsi a Vicenza e mi presentai al colonnello Lollar, tra il 12 e il 29 luglio, insieme all’agente Snyder, lavorai alle indagini e agli interrogatori- parlammo con molte persone che si trovavano in prigione al momento del massacro, con i feriti, con alcuni superstiti ed anche con i loro genitori e parenti.
Sulla scorta delle informazioni raccolte, e dopo una serie di viaggi a Schio effettuati in incognito insieme all’agente Snyder, organizzammo una retata di massa.
In occasione di questi viaggi avevamo parlato con molta gente per la strada, nei mercati, incontrando sempre grandi difficoltà ad ottenere risposte soddisfacenti dalle persone con le quali parlavamo. Talvolta ci servivamo di un piccolo stratagemma.
L’agente Snyder era molto scuro di carnagione, aveva gli occhi e i capelli neri e sembrava proprio un italiano. Io invece, che ero italiano, ero biondo, avevo gli occhi azzurri e avevo una carnagione molto chiara. Avvicinavamo qualcuno e iniziavamo a fare domande, il più delle volte senza grandi risultati.
A quel punto l’agente Snyder si allontanava e io restavo nei paraggi. In tal modo riuscivamo a raccogliere informazioni preziose solo ascoltando perché nessuno avrebbe immaginato che io capivo l’italiano.
Dopo aver verificato e confrontato tutte le informazioni raccolte, decidemmo di effettuare una retata con la partecipazione dell’esercito americano. Questa fu eseguita il 29 luglio tra la mezzanotte e le prime ore del mattino e portò all’arresto di circa 66 sospetti.
Furono tutti interrogati. Alcuni vennero rilasciati, altri trattenuti più a lungo. Di queste 66 persone una si rivelò il vero… uno di quelli che poi furono rinviati a giudizio.
Nel mese di agosto procedemmo a molti altri blitz meno imponenti e ad altri arresti. Verso il 4 agosto abbiamo acquisito nuove informazioni da Franceschini Renzo, rinchiuso in prigione.
Nel corso delle mie numerose visite in carcere, si instaurò tra noi una certa familiarità che ci consentì di apprendere importanti particolari in merito alla partecipazione sua e di altre persone all’eccidio di Schio.
Questo ci ha permesso di andare avanti con le indagini, gli arresti, le retate, che si protrassero per tutto il mese di agosto e si conclusero con il rinvio a giudizio di sette persone.Il processo si tenne all’inizio di settembre.
Delle persone arrestate, due furono riconosciute non colpevoli, tre furono condannate a morte e due all’ergastolo. – Poco dopo la fine del processo, venni assegnato a Firenze dove c’era il colonnello McMillan. Rimasi a Firenze fino alla fine di novembre dopo di che ebbi l’ordine di tornare in America.
Quando ero agli ordini del colonnello McMillan, questi propose di inviare una lettera al governo italiano allo scopo di ottenere qualche riconoscimento per me e per l’agente Snyder in virtù del lavoro svolto durante le indagini sul massacro di Schio. A tutt’oggi però non mi risulta che il governo italiano abbia espresso alcun segno di ringraziamento.
Lei ha detto che il 29 luglio avete organizzato il primo raid nel quale vennero arrestate 66 persone, Sulla base di quali indizi avete proceduto al loro arresto?
Erano indizi forniti da diverse persone: da coloro che si trovavano in carcere durante il massacro, da alcuni feriti, da parenti e da qualche civile, anche se in minima parte da questi ultimi. Gran parte delle informazioni provenivano dai prigionieri che erano sopravvissuti a quella notte. Noi abbiamo avuto moltissimi indizi tramite loro.
Dalla documentazione d’archivio relativa all’indagine si legge che fu una testimonianza a dare il via all’inchiesta. Ma si ha l’impressione che vi siete trovati ad operare in un ambiente poco collaborativo se non addirittura apertamente ostile …
Bisogna tener presente che la guerra era appena finita, la gente aveva dovuto affrontare ogni sorta di problemi: sotto il fascismo c’erano state denunce, torture, subito dopo eravamo arrivati noi e la popolazione era diffidente. Non credo che avessero una grande fiducia in noi e per questo non era facile ottenere la loro piena collaborazione.
Ma per il fatto che eravate americani?
Certo. lo mi riferisco a me e all’agente Snyder.
Quando fu inviato a Vicenza dal colonnello Lollar, che tipo di incarico le era stato affidato? In cosa consisteva la sua missione?
L’incarico principale riguardava le indagini su un massacro avvenuto tra italiani nel quale non erano coinvolti in alcun modo né americani né inglesi. In sostanza noi dovevamo investigare, interrogare e portare in tribunale i maggiori indiziati.
Può dirci qualcosa sul processo che si tenne a Vicenza una volta che l’istruttoria fu conclusa
Il processo suscitò grande interesse. Vennero molte persone dai paesi vicini, specie da Schio. Nella prima fase del dibattimento, essendo io parte in causa, non potevo partecipare né assistere alle udienze fino a quando non fossi stato chiamato a deporre. Ma la situazione era tranquilla.
A giudicare erano giudici militari americani? Si trattava di un tribunale militare?
Era un tribunale militare e avevamo un interprete che provvedeva alle traduzioni.
Prima ha detto che le indagini subirono una svolta …
Franceschini era un ragazzo… sperava un giorno di poter venire a vivere in America. Di conseguenza ogni volta che andavo a trovarlo facevamo lunghe chiacchierate e si finiva immancabilmente di parlare dell’America, delle opportunità che il nostro Paese offriva e del fatto che magari un giorno anche lui avrebbe potuto godere di queste opportunità.
Così, pian piano si è creata una certa confidenza e a quel punto gli chiesi: “Adesso dimmi la verità, Franceschino: che parte hai avuto nel massacro di Schio?”. Fu allora che lui iniziò a parlare e a confessare qualcosa delle sue responsabilità. Questo avvenne verso il 4 agosto.
Quando interrogavate tutte quelle persone che cosa dicevano?
Parlando con tutte quelle persone, con gli arrestati, molti di loro dicevano di aver ricevuto degli ordini, di aver portato a termine un incarico che prevedeva una strage; ripetevano che avevano seguito gli ordini e, in quel momento particolare, seguire gli ordini era per loro la cosa giusta da fare, Non c’erano grandi rimorsi per quei disgraziati rimasti uccisi o feriti.
La popolazione, in generale, si schierò in qualche modo?
All’inizio gli abitanti di Schio erano molto freddi e poco inclini a collaborare. Tuttavia, dopo il primo raid del 29 luglio, quando videro che avevamo chiamato i soldati americani, molti si sentirono coinvolti.
La retata aveva fatto grande impressione per le sue proporzioni e la gente iniziò a rendersi conto che gli americani facevano sul serio, che qualcosa si sarebbe mosso. A quel punto molti decisero di collaborare un po’ di più
Avete avuto collaborazione da parte dei carabinieri di Schio?
I rapporti con i carabinieri di Schio non erano dei migliori. Eravamo a Vicenza e ricordo che una sera ricevemmo una telefonata da Schio. Ci mettemmo subito in contatto con i carabinieri chiedendo loro di arrestare quell’uomo e dicendo che noi saremmo arrivati al più presto.
Ma una volta arrivati constatammo che i carabinieri non avevano fatto un bel niente e che ovviamente Attila era scomparso. I 13 indiziati, per circa sette dei quali fu poi confermato l’arresto e deciso il rinvio a giudizio, mostravano di sentirsi al sicuro, erano convinti di restare impuniti. Almeno fino a quando non iniziammo le retate.
Ma anche dopo il primo raid del 29 luglio, continuarono a restare in zona. Alcuni erano ben nascosti, altri si rifugiavano presso i parenti, altri ancora andavano a nascondersi nei cunicoli quando ci vedevano arrivare. Tuttavia, grazie alle informazioni in nostro possesso, riuscimmo a catturare due di questi indiziati nascosti nei sotterranei.
Ritiene che chi è riuscito a scappare abbia usufruito di qualche protezione?
Non sono sicuro al cento per cento se qualcuno li abbia aiutati economicamente o in altro modo a scappare e a stare alla larga il più a lungo possibile.
Gli organizzatori erano tre e venimmo a sapere di loro dagli interrogatori degli arrestati. Sapevamo chi fossero ma non riuscimmo a prenderli.
I detenuti, sia uomini che donne, ci dissero che vennero alcuni partigiani già determinati sul da farsi. C’era comunque una grande confusione. Vennero formati diversi gruppi: credo che le donne furono messe al secondo piano e gli uomini al primo.
Alcuni detenuti, molto amici dei partigiani, loro “compari”, furono tolti dal mucchio e salvati dal massacro, anche se il piano era di ammazzare tutti: donne e uomini, giovani e anziani. I killer avevano stabilito un momento preciso per sparare perché le fucilazioni iniziarono nello stesso momento sia al primo che al secondo piano. Dovevano avere un segnale convenzionale …
Come si comportò successivamente con lei la popolazione di Schio …
Durante le indagini non ho mai ricevuto minacce di morte. Ho collaborato con alcuni abitanti di Schio e sono diventato loro amico. Una volta mi invitarono persino ad un picnic fuori città.
Ricordo che al ritorno bucai una ruota, che mi impedì di tornare a Vicenza. Il colonnello Lollar era preoccupato perché non mi vedeva arrivare e venne a Schio insieme ad un gruppo di soldati americani. Temevano che mi fosse accaduto qualcosa ma in nessun momento la mia incolumità è stata messa in pericolo né ho mai ricevuto minacce.
Cosa accadde alla fine del Processo di Vicenza?
Gli imputati furono condannati dopo che io me n’ero già andato da Vicenza e mi trovavo a Firenze. Fino a poco fa non sapevo se ci fosse stato un altro processo o se gli imputati fossero stati messi in libertà.
Non ne avevo idea. Adesso so che dopo c’è stato un processo a Milano, ma io non ne sapevo niente. Non avevo mantenuto rapporti con gente di Schio né con il governo italiano. Ovviamente il processo di Milano è stato fatto dopo il nostro congedo ed il ritorno in America. Per quanto mi riguarda, non sono mai stato interpellato né convocato a testimoniare a questo processo.
Come mai le autorità americane non ascoltarono le richieste da parte dei prigionieri di ottenere maggior protezione alla carceri di Schio?
Gli americani non ritenevano che la sorveglianza della prigione rientrasse tra le loro competenze. Era un problema italiano, gli italiani dovevano pensare ad una migliore protezione.
Nelle nostre discussioni non è mai emerso il problema del perché gli americani non avessero contribuito alla protezione dei detenuti. Era un problema degli italiani, i quali avevano i carabinieri, avevano una loro vigilanza. Se avessero impiegato più persone sarebbe stato possibile agire con maggior celerità.
In quel carcere c’erano delle persone che non dovevano assolutamente trovarsi lì, gente che avrebbe dovuto essere liberata da molto tempo e che si è ritrovata in quel gruppo; e così come risultato molti di loro sono morti o sono rimasti feriti.
Ed ora veniamo al contesto storico nel quale avvenne quel massacro. Schio, nella provincia di Vicenza, aveva pagato cara l’opposizione al fascismo da parte di molti suoi abitanti durante la Seconda guerra mondiale.
In quella zona, gli occupanti nazisti e i loro alleati fedeli a Mussolini repressero l’antifascismo in modo particolarmente feroce. Inoltre, la zona divenne un punto di raccolta di truppe tedesche verso la fine del conflitto, provocando fortissime tensioni con la popolazione ed innumerevoli violenze.
Il 14 aprile 1945, le Brigate Nere arrestarono il partigiano scledense Giacomo Bogotto, lo torturarono, gli cavarono gli occhi e forse lo seppellirono ancora vivo.
La sua salma sarà riesumata il giorno dopo la Liberazione di Schio, il 30 aprile, davanti agli occhi di una popolazione sconvolta ed inferocita. A maggio arrivano le notizie della strage di Pedescala: 82 civili innocenti uccisi dai tedeschi in ritirata, come rappresaglia di un attacco effettuato dai partigiani mentre i tedeschi fuggivano. Gli abitanti della zona tentano di farsi giustizia da soli e solo l’intervento del comando alleato limita le vittime fasciste a pochi individui.
Il 27 giugno William Pierdicchi, unico sopravvissuto dei 14 antifascisti di Schio deportati a Mauthausen-Gusen e Dachau a causa delle delazioni degli aderenti scledensi allaRepubblica Sociale Italiana, rientrò in città in uno stato miserabile, ridotto al peso di 38 chili, suscitando un forte moto di rabbia popolare: il giorno dopo un’enorme folla si radunò nella piazza principale del paese chiedendo giustizia.
Vi erano nel carcere mandamentale di Schio, persone fermate per indagini su eventuali loro corresponsabilità col regime fascista e con la RSI o per testimoniare nelle indagini in corso.
Il capitano Chambers, responsabile alleato dell’ordine cittadino, accese ulteriormente gli animi annunciando che, se non fossero state presentate denunce circostanziate entro cinque giorni, le persone arrestate senza denuncia sarebbero state liberate. In questo clima maturò l’eccidio del 6 luglio.
Nella zona di Schio durante la Resistenza era stata attiva la Divisione Garibaldi “Ateo Garemi”, di orientamento prevalentemente comunista. Alla fine della guerra le formazioni partigiane ebbero l’ordine di consegnare le armi e di smobilitare: la maggior parte dei partigiani eseguirono l’ordine ma alcuni di essi, che avevano lottato non solo per cacciare lo straniero ma anche per arrivare ad un nuovo ordine sociale, mostrarono molta reticenza.
A Schio nel maggio del 1945 il potere civile era tenuto dal locale CLN e dal nuovo consiglio comunale da esso nominato: sindaco era il comunista Domenico Baron. Il potere militare era detenuto dall’esercito alleato, da reparti dell’esercito Italiano, da pochi Carabinieri della locale stazione e da uomini delle ex-Brigate Garibaldi ingaggiati nella Polizia ausiliaria partigiana per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Le vittime dell’eccidio
Morti sul posto
- Teresa Alcaro, anni 45, segretaria del Fascio Repubblicano Femminile di Torrebelvicino, operaia tessile
- Michele Arlotta, anni 62, membro del Direttorio del Fascio Repubblicano di Schio, primario dell’ospedale di Schio
- Irma Baldi, anni 20, iscritta al Fascio Repubblicano di Schio, casalinga
- Quinta Bernardi, anni 28, operaia tessile
- Umberto Bettini, anni 40, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, impiegato
- Giuseppe Bicci, anni 20, della Milizia stradale della G.N.R., impiegato
- Ettore Calvi, anni 46, legionario fiumano, commissario del Fascio di Torrebelvicino e di Valli del Pasubio, tipografo
- Livio Ceccato, anni 37, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio, brigadiere della G.N.R., impiegato
- Maria Teresa Dal Collo, anni 56, casalinga
- Irma Dal Cucco, anni 19, casalinga, di Valli del Pasubio
- Anna Dal Dosso, anni 19, operaia
- Antonio Dal Santo, anni 37, iscritto al Fascio Repubblicano, caporalmaggiore della G.N.R., operaio
- Francesco De Lai, anni 42, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, operaio tessile
- Settimio Fadin, anni 49, squadrista antemarcia, comandante la squadra fascista La Disperata, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio, commerciante
- Mario Faggion, anni 27, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, milite della G.N.R., autista
- Severino Fasson, anni 20, milite della G.N.R., calzolaio
- Fernanda Franchini, anni 39, iscritta al Fascio Repubblicano di Schio, casalinga
- Silvio Govoni, anni 55, membro del Comando della Brigata Nera di Schio, impiegato
- Adone Lovise, anni 40, impiegato
- Angela Irma Lovise, anni 44, iscritta al Fascio Repubblicano di Schio, casalinga
- Blandina Lovise, anni 33, ausiliaria della R.S.I., impiegata
- Lidia Magnabosco, anni 18, prestò servizio presso i tedeschi, casalinga
- Roberto Mantovani, anni 44, commissario prefettizio di Tretto
- Isidoro Dorino Marchioro, anni 35, segretario del Fascio di Schio e di San Vito di Leguzzano, commerciante
- Alfredo Menegardi, anni 37, milite della Brigata Nera di Thiene, capostazione
- Egidio Miazzon, anni 44, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio, membro del Direttorio, impiegato
- Giambattista Mignani, anni 25, milite della G.N.R
- Luigi Nardello, anni 35, brigadiere della G.N.R., cuoco
- Teresa Omedio Ciscato, anni 41, operaia tessile
- Giovanna Pangrazio, anni 31, ausiliaria della R.S.I., impiegata al Fascio Repubblicano di Torrebelvicino
- Alfredo Perazzolo, anni 29, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, meccanico
- Vito Ponzo, anni 57, commerciante
- Giuseppe Pozzolo, anni 45, impiegato
- Giselda Rinacchia, anni 24, iscritta al Fascio Repubblicano di Schio, operaia
- Ruggero Rizzoli, anni 51, maggiore, della segreteria del Duce, diresse l’Ufficio Dispersi della RSI a Gargnano
- Leonetto Rossi, anni 20, studente, della Milizia stradale della G.N.R
- Antonio Sella, anni 60, ex podestà di Valli del Pasubio, del Direttorio del Fascio Repubblicano di Schio, farmacista
- Antonio Slivar, anni 65, commissario prefettizio e segretario del Fascio Repubblicano di Malo, pensionato
- Luigi Spinato, anni 36, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, portiere
- Giuseppe Stefani, anni 63, Podestà di Valdastico, impresario
- Elisa Stella, anni 68, casalinga
- Carlo Tadiello, anni 22, studente, ufficiale G.N.R
- Sante Tommasi, anni 53, fiduciario del commissario del Fascio di Schio ,capitano alpini collaborazionisti, impiegato
- Luigi Tonti, anni 48, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, commerciante
- Francesco Trentin, anni 56, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, delatore, invalido, operaio tessile
- Ultimo Zigliotto, anni 38, Iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, commissario comunale dell’Opera Nazionale Balilla, impiegato
- Oddone Zinzolini, anni 40, squadrista antemarcia, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, rappresentante
Deceduti nei giorni successivi per le ferite riportate
- Giovanni Baù, anni 44, commerciante
- Settima Bernardi, anni 21, operaia
- Arturo De Munari, anni 43, tessitore
- Giuseppe Fistarol, anni 47, maggiore genio
- Mario Plebani, anni 49, squadrista antemarcia comandante di coorte, reggente del Fascio Repubblicano di Schio, commerciante
- Carlo Sandonà, anni 74, membro della Milizia, pensionato ex-barbiere
- Giulio Vescovi, anni 35, commissario prefettizio (capitano della divisione corazzata ARIETE, pluridecorato al valor militare)
Sopravvissuti
Feriti ma non uccisi
- Luigi Bigon, anni 42, rappresentante
- Antonio Borghesan, anni 19, iscritto al Fascio Repubblicano, della Brigata Nera di Schio, elettricista
- Giuseppe Cortiana, anni 53, ex podestà di Torrebelvicino
- Maria Dall’Alba, anni 23, casalinga
- Anselmo Dal Zotto, anni 25, milite della Polizia Ausiliaria Repubblicana
- Guido Facchini, anni 25, milite della Brigata Nera di Schio
- Giuseppe Faggion, anni 36, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio, gestore della mensa della G.N.R.
- Mario Fantini, anni 24, milite della G.N.R.
- Anna Maria Franco, anni 16
- Emilia Gavasso, anni 49
- Carlo Gentilini, anni 38, ingegnere
- Emilio Ghezzo, anni 47, meccanico
- Olga Pavesi (Clamer), anni 41, segretaria del Fascio Repubblicano Femminile di Schio, casalinga
- Calcedonio Pillitteri, anni 30, reduce dalla Russia, interprete per i tedeschi all’officina ILMA
- Arturo Perin, anni 34, ufficiale istruttore della Milizia Stradale della G.N.R. di Piovene Rocchette
- Rino Tadiello, anni 55, fondatore e commissario del Fascio Repubblicano di Schio
- Rosa Tisato, anni 35
Illesi
Non colpiti:
- Giovanni Alcaro, segretario del Fascio Repubblicano di Torrebelvicino
- Bruno Busato, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio.
- Giuseppe Bastianello
- Pietro Calgaro, squadrista antemarcia, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio.
- Rosa Canale
- Diego Capozzo, ex vicecommissario prefettizio fascista
- Augusto Cecchin, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio, sergente della Milizia.
- Alessandro Federle, membro della Milizia della R.S.I.
- Vittorio Federle
- Agostino Micheletti, maggiore della G.N.R.
- Umberto Perazzolo, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio, Istruttore premilitare della G.I.L.
- Caterina Sartori
- Ferry Slivar, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio
- Alfredo Tommasi, iscritto al Fascio Repubblicano di Schio.
- Basilio Trombetta, fondatore del Fascio Repubblicano di Schio.
Salvati dai partigiani:
- Carlo Albrizio
- Antonio Antoniazzi
- Massimo Carozzi
- Bruno Maron
- Irma Dechino
- Lucia Santacaterina
In totale 21 illesi, come da relazione del Capitano Chambers.
LE FOTO DEL CARCERE DI SCHIO