a cura di Cornelio Galas
La Corte d’assise straordinaria di Padova, convocata il 25 settembre 1945, giudicò 19 componenti la banda, tra cui le figlie di Carità Elisa di 17 anni e Franca di 20.
Dal processo uscirono 4 condanne a morte per numerosi delitti e in particolare per l’omicidio del comandante della brigata Garibaldina Franco Sabatucci (ammazzato su ordine del maggiore Carità il 19 dicembre 1944 in via IV novembre vicino a palazzo Esedra).
Il brigadiere Antonio Coradeschi(27 anni) ritenuto uno dei carnefici più terribili fu l’unico ad essere giustiziato, il 26 aprile 1946 nel poligono di tiro padovano di via Goito; gli altri principali imputati Mario Chiarotto (27 anni) e Ferdinando Falugnani (30 anni), ottennero nel 1951 la libertà condizionale e nel 1964 l’estinzione dei reati commessi.
La figlia Franca subì la condanna a 16 anni, mentre Elisa fu assolta. Nel processo d’appello le 3 condanne a morte rimanenti furono commutate e alla fine, nel 1955, erano già tutti liberi.
Un altro processo si celebrò a Lucca il 23 aprile 1951 per 204 elementi della Banda Carità (9 latitanti): in questo caso nessuna condanna a morte, ma 20 ergastoli convertiti poi in 30 anni; 28 furono assolti o amnistiati. A tutti furono confiscati i beni.
Dopo la guerra padre Epaminonda Troya fuggì in Argentina, tornando in Italia per farsi processare. Condannato a 28 anni di carcere, ne scontò 7 uscendo con un’amnistia nel 1953; morì da uomo libero nel 1984.
In quest’ultima puntata riporto integralmente la sentenza del processo di Padova. Chiedo scusa per i dati di riferimento di protocollo tra parentesi che possono dar fastidio. Ma c’è chi ha definite “fantasiose” le ricostruzioni delle atrocità della banda Carità. No, ci sono precise testimonianze, confessioni, dichiarazioni a verbale, risultati di indagini, perizie.
In questa pagina c’è poi solo una foto, di repertorio. Per non spezzare troppo la sentenza, da leggere come tutti gli atti giudiziari, nella sua evoluzione fino al dispositivo finale, cui allego anche i vari ricorsi in Cassazione da parte degli imputati.
Ringrazio infine quanti hanno seguito – e sono stati tanti – questa bruttissima pagina della nostra storia.
Padova: sentenza contro la banda Carità
In nome di Sua A. R.Umberto di Savoia, l’anno 1945 il giorno 3 del mese di ottobre in Padova, la Corte Straordinaria di Assise di Padova; composta dai Signori:
- Dott. Cav. Uff. Ovidio Carlini, Presidente
- Signor Rovatti Attilio, Giudice Popolare
- Signor Baldan Gino, Giudice Popolare
- Prof. Zanovello Duilio, Giudice Popolare
- Dott. Zanon Federico, Giudice Popolare
con l’intervento del Pubblico Ministero rappresentato dal Dott. Aldo Fais e con l’assistenza del Cancelliere Umberto Monaco, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa penale contro:
- CORRADESCHI ANTONIO di Amedeo e di Barbucci Eva, nato il 28.7.1918 a Siena, detenuto a Padova;
- FALUGIANI FERDINANDO fu Luigi e fu Silvia Rorti, nato il 17.11.1915, residente a Firenze;
- MASSAI ROMOLO fu Benvenuto e fu Baron Serafìna, nato a Campi S. Bisenzio (Firenze) il 20.9.1873;
- SIMONIN Pier GIOVANNI di Felice, nato a Firenze il 7 .1913, residente a Firenze;
- CASTALDELLt GIOVANNI di Artide e di Greiner Caterina, nato a Bergantino (Rovigo) il 16.12.1915;
- TECCA CORRADO di Ermenegildo e di Pia Moreschi, nato il 2.2.1920 a L’Aquila;
- CARITÀ FRANCA fu Mario e fu Pescari Marta, nata il 12.7.1925 a Milano:
- CARITÀ ISA fu Mario e fu Marta Pescati, nata il 20.5.1926 a Milano;
- CHIAROTTO VALENTINO di Alessandro e di Cireri Valentina, nato il 24.8.1910 a Firenze;
- GONELLI GIULIANO fu Emilio e fu Fei Italia, nato il 9.10.1900 a Firenze;
- LINARI GIOVANNI fu Cosmo e di Candolfo Adriana, nato il 9.3.1905 a Genova;
- MANCUSO MARGHERITA fu Paolo e di Dora Perricone, nata il 18.1.1925 a S. Pretello (Messina), residente a Firenze;
- NOTTI ADRIANO fu Gaetano e fu Cini Romelia, nato a Bagno di Ripoli (Firenze) il 2.11.1898, detenuto;
- CECCHI ELIO di Bernardo e di Argia Cireti, nato il 6.2.1897 a Firenze;
- BERNASCONI GIUSEPPE di Paolo e di Guggiani Teresa, nato a Firenze il 16.5.1899, residente a Firenze;
- MASI ARRIGO di Gino e di Dolfi Vivetta, nato il 3.1921 a Firenze, ivi residente;
- GRAMIGNI UBALDO di Gioacchino e di Casati Elena, nato il 25.4.1895 a Fiesole, residente a Firenze;
- PIANI TORQUATO fu Angelo e di Mannucci Isolina, nato il 20.1.1904 a Pontassieve (Firenze), residente a Firenze;
- SOTTILI ALBERTO fu Pietro e di Aida Bavigiglia, nato il 31.8. 1902 a Firenze, ivi residente;
- CHIAROTTO MARIO di Aldemaro e di Valentina Cianni, nato il 31.12.1918 a Firenze, ivi residente.
imputati
(a) tutti di collaborazione col tedesco invasore ai sensi dell’art. 1 DLL 22.4.1945 n. 142, in relazione dell’art. 5 DLL 27.7.1944 159,51,54 C.P.M.G. 110 CP. per avere in Firenze, Bergantino e Padova dall’8.9.1943 al 26.4.1945 collaborato in concorso tra di loro con il tedesco invasore prestando ad esso aiuto ed assistenza e favorendo i disegni politici e militari con procedere al sequestro di patrioti e capi partigiani consegnandoli al nemico per la deportazione in Germania e seviziandoli ed ostacolando con le loro persecuzioni i moti cospiratori per la liberazione della Patria;
(b) Corradeschi, Falugiani e Chiarotto Mario: di omicidio aggravato art. 110, 575, 576 n. 2 in relazione all’art . 61 n. 2 CP. per avere in Padova il 19.12.1944 in concorso fra loro cagionato la morte mediante colpi di arma da fuoco del comandante della Brigata Garibaldina Franco Sabatucci detto Cirillo allo scopo di favorire i disegni politici e militari del nemico;
(c) Corradeschi: di omicidio aggravato art. 110, 575, 576 n. 2 in relazione all’art. 61 n. 2 CP per avere in Padova il 7 gennaio 1943 in concorso con altri cagionato la morte mediante colpi d’arma da fuoco dell’Ing. Renato Pighin allo scopo di favorire i disegni politici del nemico;
(d) Corradeschi e Cecchi : del delitto di cui agli artt . 11 2 n. 1, 605 CP per avere in Firenze, in concorso fra di loro e di altri non identificati, privato della libertà personale Caraviello Rocco, Caraviello Bartolomeo, Savoli Edgardo, Martelli Franco, Tenna Maria in Caraviello, Rox Maria e Vannini Vincenzo;
(e) Corradeschi: del delitto di cui agli artt. 112 n. 1 575, 576 2 577 n. 4, 61 n. 2, 4 per avere in Firenze il 19 e 20 giugno 1944, in concorso con altri cagionato la morte con colpi d’arma da fuoco di Caraviello Bartolomeo, Savoli Edgardo, Martelli Franco, Tenna Maria in Caraviello e Rox Maria dopo aver ad essi usato sevizie e al fine di favorire i disegni politici del nemico;
(f) Corradeschi, Massai e Cecchi: del delitto di cui agli artt. 112, 1, 164, 62 nn. l , 6 U.p. 61 n. 5, 81 cpv PC per essersi in Firenze, nelle circostanze di cui sopra nella abitazione di Rox Maria ed altrove profittando di circostanze tali da ostacolare la privata difesa, impossessati per trarne profitto di lire 20.000 in danno di Caraviello Rocco; L. 40.000 in danno di Caraviello Bartolomeo; di L. 50.000 in danno Rox, Maria;
(g) Bernasconi, Masi, Cecchi, Gramigni: (1) del delitto di cui agli artt. 110, 605 CP per avere in concorso tra di loro e di altri non identificati in Peretola il 30.4.1944 privato della libertà personale Cecchi Bruno; (2) del delitto di cui agli artt. 110, 575, 578 n. 2 CP per avere in concorso tra di loro e di altri non identificati in Carmignano il 30.4.1944 cagionato la morte di Cecchi Bruno, mediante colpi di arma da fuoco al fine di favorire i disegni politici;
(h) Cecchi e Sottili: (1) del delitto di cui agli artt. 110, 605 CP per avere in Sesto Fiorentino il 30.4.1944 in concorso tra di loro e di altri rimasti sconosciuti privato della libertà personale Cenni Gino; (2) del delitto di cui agli artt. 110, 55, 575 CP per avere nelle circostanze di tempo, di luogo di cui sopra, al fine di uccidere, esploso un colpo di arma da fuoco contro Cenni Gino colpendolo alla regione carotidica destra e cagionandogli lesioni guarite in giorni 180 e che determinarono pericolo di vita;
(i) Corradeschi, Castaldelli, Tecca, Gonelli, Linari, Cecchi, Piani e Chiarotto Mario: di sequestro di persona continuato art. 110, 605, 112 n. 1, 61 nn. 1,2,5 cpv CP per avere in Padova dal novembre 1944 all’aprile 1945, con più atti esecutivi dello stesso disegno criminoso al fine di favorire i disegni politici e militari del nemico e concorrendo nel reato in numero di cinque e più persone, privato della libertà personale un rilevante numero imprecisato di persone tra cui i Proff. Meneghetti, Zamboni, Palmieri, Volpato, Casarotto, i partigiani Gombia, Gruppioni, Berion, il parroco Don Luigi Panarotto, la signora Destro e Marotta ed altri. Commettendo cosi il reato in circostanze di tempo tali da ostacolare la privata difesa e agendo per motivi abbietti;
(l) Corradeschi, Castaldelli, Tecca, Chiarotto Valentino, Linari, Cecchi, Piani e Chiarotto Mario: di concorso nel reato di lesioni personali aggravate ai sensi degli rttt. 110, 582, 112 n. 1, 61 nn. l, 2, 5, 81 cpv PC in danno di un rilevante numero imprecisato di persone, lesioni personali dalle quali derivavano malattie nel corpo guarite in termine superiore ai 10 gg. Commettendo il fatto in circostanze di tempo tali da ostacolare la privata difesa e per motivi abbietti;
(m) Corradeschi, Linari, Castaldelli, Tecca, Carità Franca e Cecchi: di concorso nel reato di lesioni gravi ed aggravate ai sensi degli artt. 110, 582, 583 n. 1, 61 nn. l , 2, 5, 81 pv CP per avere nelle circostanze di luogo e tempo di cui sopra con il concorso di cinque o più persone per l’abbietto fine di favorire i disegni politici e militari del nemico, cagionando lesioni personali gravi ad Avossa Umberto da cui derivò malattia del capo per 60 giorni e l’indebolimento permanente dell’organo auditivo a Madalosso Gastone, con l’impedimento permanente dell’organo della masticazione al Dr. Sotti con conseguente malattia per giorni 60 ed indebolimento della funzione della prensione, deambulazione, vista, udito ed equilibrio e con presumibile pericolo di vita;
(n) Cecchi Elio ed altri rimasti ignoti: di rapina aggravata art. 628 cpv n. l , 61 nn. 1, 5, 7 CP per essersi in Padova, in concorso di altri rimasti sconosciuti al fine di procurare a sé ed altri un profitto con violenza alle persone, impossessato di mobili, legname da costruzione, oggetti vari casalinghi e indumenti personali vari, di valore rilevante e imprecisato ai danni di Berion Mario, Giuseppe, Teresa, Giuseppina e Tieghi Virginia, sottraendoli ai medesimi ed arrecando agli stessi un danno patrimoniale di rilevante gravità. Commettendo il fatto per motivi abbietti e futili ed in circostanze di tempo tali da ostacolare la pubblica e privata difesa.
Linari inoltre: di violenza carnale, ai sensi degli artt. 519, 61 n. 5 CP per avere in Padova, in Palazzo Giusti verso il 2 o 3 dicembre 1944 costretto con violenza [. .. ] a congiungersi carnalmente con lui, commettendo il fatto in circostanze di tempo tali da ostacolare la privata difesa.
Chiarotto Mario: di concorso in lesioni gravi ed aggravate, artt.. 110, 582, 583 nn. l , 2, 112 n. 1, 61 n. l, 2, 5, 81 cpv CP per avere nelle stesse circostanze di luogo e di tempo con il concorso di 5 e più persone e per l’abbietto fine di favorire i disegni militari e politici del nemico, cagionato lesioni gravi a Tieghi Virginia e al partigiano Martignoni.
Fatto
I fatti che formano l’oggetto del presente processo ebbero inizio la mattina del 30 aprile 1944 in Firenze, quando, verso le ore 8.30 Cenni Gino, da poco uscito da casa, in Lungarno del Pignone venne tratto in arresto e fatto salire da due uomini armati su di un’auto, che si diresse seguita a breve distanza e per breve tempo, in bicicletta dal genero del Cenni, Quadri Renato, verso una località denominata « Canonica ».
Ivi giunti la macchina si fermò ed il Cenni, il quale durante il tragitto era stato interrogato sull’omicidio di due tedeschi ebbe appena il tempo di scendere, col permesso degli sconosciuti per soddisfare ad una sua occorrenza, che fu investito da un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo: ferendolo al collo; il Cenni svenne e rimase steso al suolo; la macchina riprese la sua corsa.
Non molto dopo, la sera del 19 giugno 1944, quattro uomini armati si introdussero nell’abitazione, in Firenze, via dei Tavolini 12, della professoressa Rox Maria, dove poco prima si erano dati convegno il sottotenente Vannini Vincenzo, Martelli Franco Caraviello Rocco e Savoli Edgardo, procedendo ad una perquisizione ed al sequestro di danaro e di documenti: durante la perquisizione con un capitano due tenenti e quattro o cinque militi anch’essi armati, sopraggiunse il maggiore Carità.
La Rox e tutti i partecipanti al convegno furono arrestati ed ucciso il Caraviello Rocco, trovato la mattina successiva cadavere sulla pubblica via, Chiasso del Buco, gli altri furono trasportati in via Bolognese, dove il Carità esercitava le sue funzioni di comando. Interrogati e sottoposti a torture, il Savoli svelò lo scopo del convegno, che si era proposto di stabilire le modalità opportune per liberare dei patrioti nell’Ospedale Militare di Firenze e impossessarsi di armi: nella stessa notte furono tratti in arresto altresì Tenna Maria e Caraviello Bartolomeo.
Tutti il 21 giugno, di notte vennero trucidati : il Martelli, il Savoli ed il Caraviello nei pressi del Campo di Marte, la Tenna e la Rox in Terzolina: solo il Vannini, condotto con le due misere donne sul luogo dell’eccidio, poté con la fuga sottrarsi alla strage.
Le armate alleate incalzando, il Carità ed il suo reparto, organo della polizia tedesca si portarono verso il Nord, stabilendo la loro sede, prima in Bergantino, poi, qui in Padova e la permanenza del reparto in Padova fu accompagnata da nuove gesta criminose.
Preso in un’imboscata ed arrestato, cadde «Cirillo» Franco Sabatucci, comandante delle Brigate Garibaldine «Mazzini il 19 dicembre 1944, in piazza S. Croce, sopraffatto da colpi di pistola sparatigli alle spalle ed il 7 gennaio 1945, in prossimità del Ponte Bargarigo, una raffica di mitra stroncò l’esistenza di Pighin Otello Renato, ingegnere e capo partigiano.
Tradotte nel Palazzo Giusti, che il Carità ed i suoi collaboratori avevano prescelto. quale sede delle loro imprese, innumerevoli persone appartenenti alle più svariate categorie sociali ed ai più diversi partiti politici, tutte però avverse al regime fasci ta repubblicano e partecipi del moto insurrezionale. subirono tormenti senza nome, tra i più raffinati e crudeli, nulla venne rispettato nemmeno il pudore delle donne, violentemente denudate, taluno dei componenti il reparto comandato dal Carità su di esse osò proprio sfogare le proprie brame turpi ed oscene.
Compiuta l’istruttoria sommaria, il Corradeschi e il Falugiani,il Massai ed il Simonin, il Castaldelli ed il Tecca, la Carità Franca e la Carità Isa, il Chiarotto Valentino, il Gonelli, il Linari la Mancuso,, il Notti, il Cecchi, il Bernasconi, il Masi, il Gramigni, il Piani, il Sottili ed il Chiarotto Mario vennero deferiti a questa Corte d’Assise Straordinaria, come imputati dei delitti più sopra specificati in epigrafe.
Motivi
Il reparto comandato dal Carità era un organo della polizia al servizio del nemico: la prova ne è data dall’intestazione della carta per lettere usata dal reparto nelle relazioni d’Ufficio: la dicitura: “Il Comando Supremo P S e servizio segreto in Italia” – Reparto Speciale italiano – era infatti preceduta dall’originale in tedesco; le lettere erano poi sottoscritte da un ufficiale delle SS e recavano un timbro della SSN; anche la data conteneva lettere tedesche (fol. 4 – vol. 2°- rapporto della polizia giudiz. presso la Corte d’Assise Straord. e test. Vaccari – fol. 20 verb. dibatt. voI. 2° buste intest. doc. Presentati all’udienza del PM): “Sturmbannführer ” firmava il Carità (test. Prof. Adolfo Zamboni . fol. 99 e 95 vol. 3° – esame test. e fol. 67 in principio verb. dibatt.).
Scopo del reparto era di soffocare, in collaborazione perfetta col nemico il movimento patriottico e partigiano con l’imprigionamento dei capi e degli elementi più fattivi ed operosi: mezzo per giungere a conoscere nei particolari l’organizzazione insurrezionale gli interrogatori estenuanti, cui talvolta assisteva un maresciallo tedesco (fol. 39 retro – verb. dibatt.), le sevizie, i tormenti, le torture.
“Se talvolta ho seviziato l’ho fatto sempre leggermente e solo allo scopo di avere dei nomi”, ha dichiarato il Castaldelli (cfr. fol. 94, retro, verb. dibatt.); e partigiani e cospiratori o aderenti al movimento di liberazione furono le innumeri vittime, anche per confessione degli stessi imputati, contro le quali si esercitò la violenza omicida, la crudeltà e la ferocia di costoro, congiunte al disprezzo d’ogni sentimento umano (cfr. in particolare, int. Castaldelli, dinanzi alla polizia giud. fol. 10 e 7, in principio fasc. int. e 9, in principio verb. dibatt., int. Chiarotto Mario, fol. 19 verb. dibatt., in principio e 49, 48 processo fasc. int.).
Apparteneva al reparto Carità il Corradeschi e ne tradusse in atto il programma criminoso. Se qualche dubbio è possibile sulla partecipazione alla strage del 21 giugno 1944 in Terzolina (lettera e dell’imputazione), sebbene il testimone Vannini abbia riconosciuto nel Corradeschi uno di coloro che accompagnarono lui, la Tenna e la Rox sul luogo dell’eccidio (fol. 34 verb. dibatt.).
Invero il Vannini, in una ricognizione di persona compiuta per mezzo di fotografie, aveva già, in precedenza, avvertito una rassomiglianza tra una delle persone che lo avevano condotto sul luogo del delitto e l’immagine fotografica del Corradeschi (fol. 30 verb. Dibatt. Test- Vannini); sussiste perciò perciò la possibilità che il Vannini nel dichiarare oggi, posto in presenza dell’imputato, di riconoscere nel Corradeschi chi lo accompagnava in Terzolina, abbia inconsapevolmente ceduto all’influenza perturbatrice del ricordo di quella rassomiglianza; se dubbi possono sorgere altresì circa la partecipazione del Corradeschi all’uccisione,
il 7 gennaio 1945 in Padova, presso il Ponte Bargarigo, di Otello Renato Pighin (lettera c dell’imputazione) per quanto testimone, certo insospettabile, il Casilli, confermando al dibattimento una relazione sul proprio arresto da lui dimessa nel corso dell’istruttoria abbia affermato che, in seguito ad una sua precisa domanda, lostesso Corradeschi gli aveva dato la notizia di aver soltanto ferito e non ucciso il Pighin: il Casilli, commosso e turbato per la sorte dell’amico, può non aver bene inteso interpretato· le parole del Corradeschi (test. Casilli fol. 37 verb. Dibatt.e fo l. 125 fasc. dell’istruttoria): incertezze e perplessità non avrebbero però ragione d’essere quanto alla partecipazione del Corradeschi, insieme al Falugiani ed al Chiarotto Mario nell’uccisione di Cirillo”, Franco Sabatucci (lettera b dell’imputazione).
«Il Corradeschi sparò verso terra il primo colpo, quando si apprestò a spa.rare dì .nuovo, facemmo fuoco anche noi”. “Sparammo noi tre, il Faluglant, lo Scopetari ed io, quando come ho detto, il Corradeschi si apprestava a sparare di nuovo io (int Chiarotto Mario fol. 19 verb dibatt).
L’attestazione del Chiarotto Mario, degna di fede, in quanto il Chiarotto accusa anche se stesso, collima nella parte sostanziale col racconto che dell’uccisione del Franco Sabatucci ha fatto lo stesso Corradeschi, presente il Maddalosso (fol. 204 processo, fol. 47 in fine, retro verb, dibatt.); “Lo presi di mira con la rivoltella ma non partì il colpo”; il Corradeschi erasi dunque apprestato a sparare: e, pertanto, la predetta attestazione vale a stabilire il concorso in ogni suo elemento obiettivo e psicologico, del Corradeschi, del Falugiani e del Chiarotto Mario nell’omicidio del Sabatucci.
Ma ben più che da una volontà omicida la nota dominante della personalità criminosa del Corradeschi ed altresì di quella del Castaldelli, del Tecca e del Linari è data dall’opera loro di seviziare le vittime, le più illustri e le più oscure; hanno fatto sia nel corso dell’istruttoria che al pubblico dibattimento, il racconto delle sofferenze loro inflitte fisiche e morali; ed il racconto deve giudicarsi veritiero: prima di essere tradotte nel luogo di tortura, la massima parte di esse non conserva degli imputati neppure il nome (cfr. test.za Avossa, fol 21; Gombia fol. 24 . Ponti fol. 36 . Casilli fol. 37 – Sotti fol. 39 – Pellegrini fol. 41 – Martignoni fol. 42 – Geremia fol. 46 e Madalosso faI. 47 verb. dibatt.); e d’altra parte, ogni qualvolta dei patimenti subiti sono rimaste tracce idonee a fornire oggetto di un controllo medico legale, il giudizio del perito ha riconosciuto esatta la dichiarazione del testimone (cfr.fasc. 150 verb. di perizia medico-legale).
Interrogatori esasperanti, che si protraevano per ore ed ore venivano preceduti ed accompagnati da schiaffi e da pugni, da colpi di bastone e perfino da spranche di ferro: e pugni e schiaffi e colpi di mazza abbero il prof. Cestari ed il prof. Ponti ad opera del Corradeschi, il quale non esitò neppure ad alzare la mano su di un fanciullo dodicenne, il figlio del. Prof. Ponti tratto in arresto insieme al padre (test. Cestari fol. 52 verb. dibatt.e test. Ponti fol. 36 verbo dibatt).
Dal Corradeschi per circa due ore, fu percosso il Dr. Sotti anche mediante un’asta di ferro e quando, stremato di forza, il disgraziato cadeva a terra, il Corradeschi e i suoi compagni gli davano dei calci e lo risollevavano, ora l’uno ora l’altro, prendendolo per i capelli (fol. 39 verb.dibatt. test. Sotti): segno incancellabile delle sevizie rimase al Sotti l’indebolimento della funzione prensile, deambulatoria, visiva, auditiva e della funzione dell’equilibrio (cfr. verb. perizia medico-legale fol. 10 fasc. IV).
Non pago di aver percosso il Pellegrini anche prima dell’arresto, il Corradeschi gli applicò anche la corrente elettrica (test., Pellegrini fol. 41 verb. dibatt.) ed ebbe altresì una parte preminente nei maltrattamenti d’ogni sorta usati verso l’ing. Martignoni (fol. 42 verb. dibatt. test. Martignoni).
Dopo che il Prof. Apolloni venne posto a contatto coi fili della corrente elettrica, il Corradeschi ne azionava il generatore; ed allo stesso supplizio nelle parti più delicate del corpo, egli sottopose ancora il Madalosso ed il Contin (test. Apolloni – fol. 43 verb. dibatt .test. Madalosso fol 47 id, id: Contin fol 50 id).
Nessuno si sottraeva alla ferocia e alla crudeltà del Corradeschi; come i fanciulli (cfr. test. Martignoni fol. 42 retro verb. dibatt.) neppure le donne: la D’Este, prima denudata dal Corradeschi, che ne aveva appreso l’appartenenza al partito democratico cristiano venne poi con cinghie percossa sulla schiena (test. D’este fol 59 verb. dibatt.); ed a sorte non troppo diversa andarono incontro la Bilato (fol.. 48 verb. dibatt. ) e la Tieghi (fol. 57 verb. dibatt.).
Appartennero pure, come il Corradeschi, al reparto, comandato dal Carità il Castaldelli e, per più breve tempo, il Tecca, superiori per grado, per intelligenza e per cultura, ma pari entrambi all’altro nella crudeltà e nella ferocia.
Il Castaldelli, particolarmente indicato, data anche la sua conoscenza della lingua tedesca (cfr. test. Zambom fol. 68 in fine verb. dibatt.), a compiere le mansioni assegnate all’ufficio di collegamento, di cui, col grado di tenente, faceva parte (fasc.. interrogatori, fol. 13 int. pol. giud. e 9 in principio verb. dibatt.) aveva altresì funzioni istruttorie (fasc.. int. id, id e fol. 9 verb. dibatt.) ed appunto nell’esercizio di quest’ultime funzioni, vero e proprio alter ego del Carità, anche secondo la testimonianza del Prof. Zamboni, che pure credé talvolta di sorprendere nel Castaldelli qualche, sia pur timido e fuggevole, accenno ad un risveglio della coscienza morale, dava disposizioni per le sevizie; e, così, ordinate le fustigazioni, ne contava i colpi (cfr. test. Zamboni foI. 47 verb. Dibatt. – memoriale Prof. Meneghetti fol. 47 fasc.. 3° test. e 77 retro verb. dibatt. e denuncia Berion fol. 25 voI. 3° e 56 verb. dibatt.).
Ma il Castaldelli non rifuggiva, quando se ne offriva l’opportunità e l’occasione, anche dal rendersi esecutore materiale dei tormenti: interrogò e percosse il Gruppioni (fol. 169·170-171 processo vol. 3° e 25 in principio verb. dibatt.); intervenne con l’applicazione ai polsi e agli orecchi, della corrente elettrica a render ancora più atroci le sofferenze del Gombia (fol. 159 vol. 3° e 24 verb. dibatt. test. Gombia) accompagnando talvolta le sue operazioni di tortura con espressioni d’insultante ironia (test. Zamboni fol. 103 voI. 3°processo e 67 retro, in principio, verb. dibatt.).
Ufficiale effettivo d’aviazione, giunse il Tecca più tardi del Corradeschi e del Castaldelli nel reparto Carità, ma seppe ben presto mettersi alla pari dei più anziani .
Oltre a percuotere con pugni e con schiaffi gli arrestati, tanto da farsi perfino male alle mani (test. Rettore fol. 85, vol. 3°- 55 verb. Dibatt. test. Dal Degano, fol. 71 verb. Dibatt. – Contin fol. 50 retro verb. Dibatt. test. Parnigotto fol. 72 verb. dibatt.), assumeva gli interrogatori, munito di staffile (cfr. ancora test. Dal Degano, fol. 71 verb. dibatt.) per ben tre ore venne il Berion Mario interrogato dal Tecca, il quale accompagnava ogni parola con un colpo d. frusta (test. Berion Mario fol. 25 vol. 3° e 56 verb. dibatt. in principio).
Entrato poi una mattina, verso le ore 4, ubriaco fradicio, nella stanza, ove trovavasi il Gomiero, il quale già era stato in vari modi seviziato, spinse il Tecca la crudeltà al punto di mettere un mazzo di chiavi nella bocca del disgraziato, strofinandogliele contro i denti, non senza minacciare altresì il Gomiero di spogliarlo e di appenderlo nudo al lampadario; solo uno svenimento della vittima poté momentaneamente interrompere le torture (test. Gomiero fol. 166 processo vol 3° e 61 verb. dibatt.).
Più volte venne interrogato il Benato e sempre dové subire, fino dal suo primo ingresso a Palazzo Giusti, percosse e violenze del Tecca (test. Benato fol. 74 verb. dibatt.).
Destinato a regolare l’andamento delle carceri il Linati trattava sempre in modo volgare ed umiliante i detenut (test. Sotti fol. 95 voI. 3° e fol. 39 verb. dibatt.), disponendo perfino che i detenuti venissero impediti a soddisfare le loro occorrenze (fol. 25 processo, voI. 3° fol. 20 id, id in principio e 56 verb. dibatt. test. Berion).
La sorveglianza delle carceri era però il compito prevalente assegnato al Linati, non il solo; il Linari coadiuvava altresì gli altri nell’infliggere sevizie durante gli interrogatori, ora predisponendo i mezzi a tale effetto opportuni (test. Zamboni fol.. 101 vol. 3° processo e 67 retro, in principio, verb. dibatt.), ora traducendo in atto i tormenti (test. Martignoni fol. 12 retro, in principio verb. dibatt.).
Ma particolarmente odioso fu il comportamento del Linari verso le donne, facendole prima denudare per poi seviziarle (fol. 48 verb. dibatt. e 123 processo, vol. 3° test. Bilato) e, talvolta, assoggettandole alla sua brutale concupiscenza, dopo che con minacce, percosse e maltrattamenti d’ogni specie, fisici e morali , erano state ridotte nella impossibilità di opporre una qualsiasi resistenza (test. [ … ] fol. 176 processo – voI. 3° e 32 verb. dibatto in principio e in fine ).
Addetto anche lui alle carceri, non fu meno crudele del Linari il Gonelli (test. Martignoni fol. 42 retro – verb. Dibatt. e fol. 209, in fine, processo vol. 3° e test. Zamboni fol. 105 vol. 3° e 67 verb. dibatt. ) il quale alle doloranti vittime delle sevizie giunse al punto di rifiutare anche la visita medica (test. Sotti vol. 3° processo e 39 retro verb. dibatt.) ed altresì l’acqua e le coperte (test. Sotti verb. dibatt. fol. 40 retro).
Da un maresciallo tedesco e dal Cecchi venne tratto in arresto il Berion (foI. 25 processo voI. 3° e .56, in principio, verb. dibatt.): il Cecchi fu pure tra coloro che arrestarono il Parnigotto (verb. Dibatt. fol. 72) ed il prof. Apolloni (fol. 43 verb. dibatt.) e che inflissero ai detenuti torture fisiche e morali (foI. 119 processo vol. 3° e 93 verb. dibatt.o test. Boscardin): lo stesso Cecchi ammise di aver dato un colpo o due al Gomiero (foI. .51 retro verb. dibatt.).
Indubbia è poi la partecipazione del Cecchi. Oltre al Cenni, anche il Quadri e la figlia del Cenni hanno riconosciuto, durante il dibattimento, nel Cecchi una delle due persone che procedettero all’arresto del primo (fol. 60-62-61 verb. dibatt.).
E più circostanze rendono attendibile il riconoscimento; innanzi tutto, mai, prima dell’’arresto del Cecchi, il Cenni, il Quadri e la Cenni Lorena avevano visto il Cecchi, né lo hanno veduto nello spazio di tempo tra l’arresto e l’atto di ricognizione (fol. 60-61 e 61 retro verbo dibatt): secondo la Cenni Imena ebbe modo, la mattina dell’arresto, di vedere il Cecchi a breve distanza ed in faccia (fol. 60-61 retro . verb. dibatt.): il Cenni infine, alla Gori Fiammetta, con lui convivente, disse quasi subito dopo il fatto, che uno di coloro che lo avevano arrestato e poi ferito aveva dalla parte sinistra dei denti di acciaio (fol. 66 verb. dibatt.) ed il Cecchi presenta appunto dalla parte sinistra della dentatura un gancetto di metallo bianco, residuo di un apparecchio preesistente (foI. 62 verb. dibatt.).
Ma con ciò viene a cadere l’alibi tentato dal Cecchi (cfr. test. Bellincioni verb. dibatt., fol. 70 retro). Il Cecchi era visibilmente armato di pistola (foI. 63 verb. dibatt. test. Cenni); e pertanto la sua cooperazione nell’arresto del Cenni; la traduzione di quest’ultimo in auto nella località, ove il Cenni fu ferito, la fermata in tale località dell’auto (test. Cenni vol. 9° in rosso, fol 1° e seg.) tutto il contegno, prima e dopo l’arresto, del Cecchi e del suo compagno rimasto sconosciuto, i quali si allontanavano rapidamente, lasciando il Cenni disteso a terra; insieme alla natura micidiale dell’arma adoperata ed alla breve distanza da cui venne sparato il colpo feritore (test. Cenni id. id.) provano il concorso del Cecchi nel tentativo di omicidio, il cui movente deve indubbiamente ricercarsi nel fatto che il Cenni era sospettato di antifascismo (fol. 63 retro verb. dibatt. particolarmente in fine).
Oltreché nell’omicidio, in persona del Franco Sabarucci (cfr. più sopra), ebbe certo parte anche negli arresti e nelle sevizie il Chiarotto Mario (test. Casilli fol. 37 retro, verb. dibatt.), il quale sottopose al tormento della corrente elettrica la Tieghi (fol. 57 verb. dibatt.).
Non mancò nel tetro e fosco ambiente di Palazzo Giusti un qualche raggio di gentile pietà e fu, particolarmente, ad opera di una donna (cfr. test. Giacomelli fol. 157 in fine vol. 3° processo e 45 in principio verb. dibatt): non però della Franca Carità, la maggiore delle due figlie del Carità, che anzi rinnegando la più nobile tendenza dell’anima femminile non solo voleva presenziare gli interrogatori, scherzando e ridendo e fumando sigarette durante le torture degli interrogati e spesso manifestando di godere delle sofferenze di costoro (test. Banchieri fol. 25 verb. dibatt.; test. Avossa fol. 21 verb. dibatt.; test. Gombia fol. 24 verb. dibatt.; test. Gruppioni fol. 25 verb. dibatt.; test. Gomiero foI. 51 retro, verb. dibatt.), ma con arroganza insisteva perché i detenuti parlassero, svelando i segreti dell’organizzazione partigiana (test. Banchieri Carla fol. 27 verb. Dibatt. e Benato foI. 74 retro) e praticava tormenti (test. Gomiero fol. 51 verb. dibatt.) e talora ne rendeva più cruda la sofferenza, come quando gettava la cenere della sigaretta sulle ferite aperte dalle torture (test. Banchieri Giuseppe fol. 26 verb. dibatt.).
Cooperarono, in varia guisa, a render possibile l’esistenza e il funzionamento del reparto Carità, il Massai, il Piani, il Notti, il Chiarotto e il Simonin. Il Massai, usciere di Carità, si rese anche autore di percosse in pregiudizio del Banchieri (fol. 26 retro verb. dibatt.); autista, il Piani, trasportava con la macchina gli agenti che andavano ad arrestare le persone sospette o denunciate (fol. 40 processo int. degli imputati e 18 in principio verb. dibatt.), pur essendo consapevole dei metodi polizieschi del reparto (fol. 18 verb. dibatt.) senza contare che pure il Piani percosse un arrestato (cfr. verb. Dibatt. foI. 18 retro e test. Pellegrini fol. 41 retro verb. dibatt.).
Prosegui nei suoi servizi a favore del reparto il Notti, anche dopo aver appreso che le persone arrestate venivano percosse e torturate coi mezzi più raffinati e più crudeli (int. Notti fol. 37 e seg. processo voI. 5°); né le particolareggiate dichiarazioni del Notti in proposito, poi confermate dinanzi al PM (cfr. fol. 36 vol. 5°), possono ascriversi, come vorrebbe il Notti (cfr. fol. 16 verb. dibatt.), solo alla fantasia del verbalizzante.
Pure a conoscenza delle sevizie e delle torture inflitte ai detenuti era il Chiarotto Valentino (cfr. int. Chiarotto foI. 21 vol. 5° e 12 verb. dibatt.), il quale ciononostante continuò, anche in qualità d’autista, a coadiuvare i componenti del reparto nel compimento delle loro operazioni (int. Chiarotto Valentino id.).
E certo sapeva, alla pari di tutti gli altri, delle gesta del reparto chi ne era l’approvvigionatore, il Simonin, che ben conosceva coloro che del reparto erano i componenti (cfr. int. foI. 52 retro in fine vol. 5° e fol. 8 verb. dibatt.). Non è per contro rimasta sufficientemente provata nella durata e nelle modalità l’appartenenza al reparto del Sottili ed anche quanto al delitto generico di collaborazione, del Falugiani, come pure per quel che concerne il furto, il sequestro di persona e l’omicidio in persona del Caraviello Rocco, del Caraviello Bartolomeo del Savoli, del Martelli, della Tenna e della Rox, non è provata la colpevolezza del Corradeschi, del Massai, del Cenni e del Simonin.
Concorrono nei fatti suesposti provati: a carico del Corradeschi del Linari, del Castaldelli, del Tecca, del Cecchi, del.Chiarotto, del Falugiani e della Carità Franca e del Gonelli, tutti gli elementi, obiettivi e psicologici, dei delitti pure ascritti e, particolarmente, quello del delitto di collaborazione contemplato negli artt. l del DLL 22.4.1945 n. 142 n. 5 DLL 27.7.1944 n. 159,51 e 54 CPMG.
Tutti infatti ebbero l’intento di paralizzare e distruggere l’organizzazione insurrezionale e partigiana che operava in collegamento con. gli eserciti alleati; e tale intento, politico e ad un tempo militare, fu contemporaneamente almeno raggiunto (test. Prof. Zamboni vol. 3° processo).
Il reparto poliziesco che agiva sotto il comando del Carità in.effetti, era null’altro che una associazione per delinquere, e quindi il Massai, il Piani ed il Chiarotto Valentino, il Notti ed il Simonin debbono rispondere, sia pure in grado minore degli altri, e cioè a termini dell’art 58 del CPMG, e sebbene il Chiarotto Valentino, il Notti ed il Simonin non abbiano avuto parte alcuna nei maltrattamenti, di collaborazione perché, consapevoli dei fini criminosi dell’associazione, cooperarono in varia misura ed assicurazione, in modo continuativo; le condizioni d’esistenza e d’azione.
Tutti agirono con piena capacità d’intendere e di volere, compreso il Corradeschi, che, aitante nella persona, pronto nella parola, precisa ed appropriata, risoluto nel portamento e nel gesto, mai, e particolarmente dopo il suo ricovero in ospedale, consta aver dato il minimo segno della più lieve perturbazione mentale.
Quanto alla pena non esistono a favore del Corradeschi, del Linari, del Castaldelli e del Tecca attenuanti di sorta, data la natura, gli effetti e lo molteplicità delle loro azioni criminose; in particolare non può costituire una attenuante e tanto meno in rapporto all’art. 7 del luog. 27 luglio 1944 n. 159, il fatto di non avere commesso ulteriori delitti, astenendosi dall’uccidere ostaggi, né l’altro di averne mercanteggiato, quando ormai si era già delineato il crollo della Germania e del regime fascista repubblicano, la liberazione, chiedendo come prezzo la consegna di 5 ettolitri di benzina necessari per fuggire verso il Nord (test. Orso fol. 88 retro, verb. dibatt.).
Più attenuanti debbono invece riconoscersi a favore della Carità Franca; essa, è vero, se fu costretta con la minaccia di essere deportata in Germania a rimanere col padre (test. Pascali Iride e Pascali Pietro, fol. 84, 85 verb. dibatt.), non subì però coazione alcuna fisica o morale nel cooperare ad infliggere sevizie, godendo anzi delle sofferenze altrui e talvolta di sua iniziativa rendendole più crude, ma certo essa di giovanissima età e vissuta in ambiente profondamente corrotto soggiacque nella sua opera delittuosa all’autorità ed all’esempio del padre e quindi nelle condizioni psichiche contemplate dalla legge nel combinato disposto dagli artt. 114 up, e 112 n. 2 e 3 CP Com.
Debbono inoltre, avuto specialmente riguardo all’età, concedersi alla Carità le attenuanti generiche. Le attenuanti generiche, tenuto conto del grado di importanza dell’attività delittuosa, sia in se stesso sia in relazione all’opera criminosa degli altri imputati, debbono concedersi al Chiarotto Mario ed al Cecchi, al Falugiani ed al Gonelli, al Chiarotto Valentino, al Notti ed al Simonin. Le pene che la Corte stima da applicarsi a ciascuno dei predetti imputati sono pertanto le seguenti: per il Corradeschi, il Tecca, il Castaldelli ed il Linari la pena di morte mediante fucilazione nella schiena, rimanendo così assorbite le pene, quanto al Corradeschi della reclusione che a termini dell’art. 575 CP può fissarsi nella durata di anni 23 per l’omicidio in persona di Sabatucci.
Quanto al Corradeschi e al Castaldelli, al Tecca ed al Linari la pena per il delitto di lesioni, considerato come un solo reato continuato aggr. a termini degli art. 582, 583 CP Com., pena che si stabilisce nella durata di anni 12; quanto al Corradeschi, al Tecca, al Castaldelli ed al Linari la pena di anni 10 per il delitto di sequestro di persona continuato art. 605 e 81 CP Com.
Quanto al Linari la pena di anni 8 di reclusione per il delitto di violenza carnale (art. 519,542 n. 2 CP): per il Cecchi Elio e per il Chiarotto Mario, colpevoli di collaborazioni generiche, a mente degli art 51, .54 del CPMG ed altresì di tentativo di omicidio in persona del Cenni Gino, il primo, d’omicidio in persona del Sabatucci, il secondo, tentativo di omicidio ed omicidio che costituiscono di per sé anche un fatto specifico gravissimo di collaborazione (art. 81 pp. CPP) da aggiungersi agli altri di cui, a titolo di collaborazione generica il Cecchi ed il Chiarotto Mario debbono rispondere, la pena dell’ergastolo (art. 65 n. 1 73 pp); al Cecchi, la pena di anni 15 per il tentativo di omicidio, di anni 10 per lesioni aggr. continuate e di anni 10 per il sequestro di persona: quanto al Chiarotto Mario la pena di anni 23 per omicidio: per il Falugiani, la pena della reclusione nella durata di anni 30 stabilendosi per i due delitti di collaborazione gravissima e di omicidio a termini del diritto comune (art. 81 pp CP Com.) la pena di anni 30 di reclusione per il primo e di anni 23 per il secondo, pena quest’ultima che rimane assorbita nell’altra (art. 78 n. 1 CP Com.): per il Gonelli la pena di anni 30 di reclusione: per la Carità Franca la pena della reclusione per anni 16; per il Piani e per il Massai la pena, per ciascuno, della reclusione della durata di anni 15, per il Notti, il Chiarotto Valentino ed il Simonin la pena della reclusione per anni 6 e mesi 8 con ogni conseguenza di legge.
Quanto alla Carità Isa, maggiore degli anni 14 e minore degli anni 18, ebbe parte negli interrogatori dei detenuti (test. Gruppioni fol 25~ retro verb. del dibatt., test. Banchieri Giuseppe fol. 26 verb. del dibatt.), assumendo anch’essa, per quanto in grado minore della sorella, un arrogante contegno (test. Banchieri Carla fol. 27 del dibatt) e standosene talvolta in atteggiamento amoroso con gli ufficiali del reparto indifferente alle sofferenze altrui (test. Avossa, fol. 21 retro verb. del dibatt. ), non risulta sufficientemente provato il presupposto prima della responsabilità penale, la capacità d’intendere e di volere e pertanto deve provvedersi al suo ricovero in un riformatorio giudiziale (art. 98 e 219 up CP).
E’infine da prosciogliersi la Mancuso perché il fatto non costituisce reato: invero si addebita alla Mancuso di aver cercato, chiedendo al Prof. Zamboni, poi arrestato e tradotto a Palazzo Giusti per motivi politici, di impartirle delle lezioni private, di mettersi in relazione col predetto e giungere così a conoscere chi ne frequentasse la casa: ma l’opera disegnata di delazione non portò alcun risulta to; e nulla contrasta con l’avento difensivo della Mancuso, di aver cioè essa medesima impedito, consapevole delle norme e delle consuetudini scolastiche, che il Professore accettasse la proposta di darle lezioni col qualificarsi studentessa di quell’Istituto e di quella classe di cui lo Zamboni era insegnante.
Manca quindi nel caso il dolo, proprio del delitto di collaborazione. Quanto al Bernasconi tratto in arresto e non ancora tradotto a Padova e quindi anche per quel ché riguarda il Gramigni, il Masi ed il Cecchi (sequestro di persona ed omicidio in persona di Cecchi Bruno) deve disporsi la separazione del processo.
p.q.m.
dichiara:
Corradeschi Antonio, Castaldelli Giovanni, Tecca Corrado, Linari Giovanni e Chiarotto Mario, Cecchi Elio, Falugiani Ferdinando, Gonelli Giovanni, Carità Franca, Piani Torquato, Massai Romolo, Chiarotto Valentino, Notti Adriano e Simonin Pier Giovanni colpevoli dei delitti di cui in motivazione, e come tali
condanna:
- Corradeschi Antonio, Castaldelli Giovanni, Tecca Corrado e Linari Giovanni alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena; Chiarotto Mario e Cecchi Elio, in concorso di attenuanti generiche, alla pena dell’ergastolo;
- Falugiani Ferdinando e Gonelli Giovanni, in concorso di attenuanti generiche alla pena della reclusione per anni 30;
- Carità Franca alla reclusione per anni 16, concesse le attenuanti generiche e l’attenuante specifica di cui nell’art. 114 uh. p. CP;
- Piani Torquato e Massai Romolo ad anni 15 di reclusione per ciascuno;
- Chiarotto Valentino, Notti Adriano e Simonini Pier Giovanni in concorso di attenuanti generiche, ad anni 6 e mesi 8 di reclusione, per tutti con ogni conseguenza di legge.
Assolve Sottili Alberto per insufficienza di prove; assolve Carità Isa, perché non punibile per mancanza di capacità d’intendere e di volere e ne ordina il ricovero in un riformatorio giudiziario per un tempo non inferiore ad anni tre; assolve Mancuso Margherita, perché il fatto non costituisce reato e ne dispone l’immediata scarcerazione, se non detenuta per altra causa; ordina la restituzione degli atti al PM per il procedimento di legge contro Bernasconi Giuseppe, Masi Arrigo, Gramigni Baldo e Cecchi Elio; dispone che la sentenza nei riguardi dei condannati alla pena estrema venga affissa per estratto nei Comuni designati dalla legge e pubblicata, per estratto, e per una sola volta nei giornali: «L’Ora del Popolo» e «Libera Tribuna»; ordina la confisca dei beni appartenenti ai condannati alla pena capitale, all’ergastolo e alla reclusione per 30 anni;
ordina il sequestro dei preziosi appartenenti a Carità Franca, di cui in separato verbale.
Il Cancelliere Monaco – Padova, ottobre 1945
Depositata in Cancelleria addì 5.11.1945
Il Presidente Carlini
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Addì 5.10.1945 Corradeschi Antonio, Castaldelli Giovanni, Linari Giovanni, Chiarotto Mario, Cecchi Elio, Falugiani Ferdinando, Gonelli Giuliano, Piani Torquato, Massai Romolo, Chiarotto Valentino, Simonini Pier Giovanni, addì 6.10.1945 tutti gli altri, ad eccezione di Sottili e Mancuso, ricorrono per Cassazione.
Il Cancelliere Crivellari
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La Suprema Corte con sentenza 8 gennaio 1946 ha dichiarato inammissibile il ricorso di Isa Carità, ha annullato per Castaldelli con estensione al Tecca, per difetto di motivazione in ordine alla circostanza attenuante di cui all’art. 7 lett. B del DLL 27.7 .1944 159 alle circostanze attenuanti generiche ed alla confisca per Piani, Massai e Linari per difetto di motivazione sulle attenuanti generiche; per Chiarotto Mario, Cecchi per illegalità della pena, ha rinviato pel nuovo giudizio alla Corte d’Assise, Sezione Speciale dI Venezia; ha annullato senza rinvio per Notti, Chiarotto Valentino e Simonini perché il fatto non costituisce reato.
Il Cancelliere Crivellari
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La Corte Suprema di Cassazione con sentenza 27.5.1947 rigetta il ricorso della Franca Carità che aveva chiesto l’amnistia addì 22.6.1946 n. 6.
Il Cancelliere Babolin
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La Corte di Assise Sezione Speciale con ordinanza 7.2.1947, ordina la confisca per 1/3 del patrimonio di Carità Franca, Piani Torquato, Massai Romolo, Chiarotto Valentino, Notti Adriano Simonin Pier Giovanni.
Il Cancelliere Babolin
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La Corte di Assise di Padova con ordinanza 1.8.1946 dichiara nei confronti di Falugiani, Gonelli e Franca Carità condonati anni 10 di reclusione per i primi due ed anni 5 e mesi 4 per la Franca Carità.
Il Cancelliere Babolin