L’ALTRA FACCIA DELLE FOSSE ARDEATINE – 7

a cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

Via Rasella
L’altra faccia delle Fosse Ardeatine
intervista con
ALDO ALESSIANI
medico legale

Enzo Antonio Cicchino

di Enzo Cicchino
(1994)

Adattamento personalizzato dell’intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull’azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.

Aldo Alessiani con la moglie


Cosa le fu raccontato su Via Rasella?

Che… Appena dopo l’esplosione della bomba per i soldati tedeschi e gli ufficiali tedeschi che sopravvennero immediatamente appena sentito dell’avvenimento si presentò una visione apocalittica. Molti soldati tedeschi erano letteralmente a pezzi. I corpi vennero ricomposti su un marciapiede, 32 per l’esattezza. Si portò via il trentatreesimo che morì durante la notte successiva.

Ma ci furono anche morti italiani. Sul posto morirono un vecchio ed un ragazzo di 8-10 anni. Nella settimana successiva l’Agenzia Stefani comunicò a tutti i giornali che altri cinque civili italiani erano morti in conseguenza dell’esplosione, e il numero che si raggiunge è sette.

Effettivamente è uno fenomeni delle grandi esplosioni il morire a distanza di giorni, quando tutto sembra svolgersi bene per il leso, poi improvvisamente interviene il decesso. E’ una caratteristica dell’esplosione.

Pietro Caruso (Maddaloni 1899 – Roma 1944), militare e ufficiale di polizia italiano; questore di Roma durante l’occupazione tedesca.

A questi sette dobbiamo aggiungere l’ottavo, l’autista di Caruso. Anche lui raggiunse Via Rasella dopo lo scoppio. L’autista di Caruso fu ucciso dagli stessi Tedeschi che, in preda a furia reattiva, si misero follemente a sparare contro le finestre delle case di Via Rasella pensando in un primo tempo che l’esplosione fosse attribuibile a bombe buttate dalle finestre delle case vicine.

Una pallottola vagante raggiunse anche l’autista, appunto, di Caruso che morì sulla strada. Per cui i morti sulla strada furono 35, 32 tedeschi e tre italiani. I processi di ricomposizione furono imponenti…

E riguardo alle Fosse Ardeatine?

Quando fu scoperto il massacro delle Ardeatine, la procedura per l’identificazione dei corpi fu difficilissima e richiese parecchio tempo. Più che la riconoscibilità dei corpi, la riconoscibilità avvenne attraverso oggetti o indumenti che si trovarono addosso alle salme.

Molte salme erano addirittura senza testa per lo scoppio determinato dal colpo alla nuca e poi per l’ampia natura destruente dovuta ai roditori di cui le cave Ardeatine erano ricchissime, quindi è assolutamente verosimile che diversi corpi non siamo stati identificati.

Quanto ai cinque corpi trovati in più, si disse anche che appartenevano a dei disertori ufficiali tedeschi, e che erano stati portati alle Fosse Ardeatine per l’esecuzione. Ma durante il processo Kappler questo non fu confermato, i Tedeschi non avrebbero mai ammesso che dei loro soldati, dei loro ufficiali fossero dei disertori.

KAPPLER, 1943

Probabilmente sapevano benissimo a chi appartenevano quei corpi, ma tacevano proprio per questa ragione. E’ difficile che dei tedeschi si siano sbagliati sul conto totale degli esecutandi per confusione del momento, così passò la conclusione della sentenza. Lo ripeto, è poco probabile che, data la metodicità germanica, si sia sbagliato con cinque corpi in più.

L’errore pare sia nato da una confusione di Caruso, tant’è che Kappler…

L’errore del primo computo certo è da imputare a Caruso, che -di prigionieri- ne prese cinquantacinque invece di cinquanta. Ma non fu Caruso l’esecutore dell’uccisione dei 335, furono i Tedeschi, che malamente tennero il conto degli esecutandi che passavano per le loro mani. Anche se confusionario l’elenco di Caruso, resta sempre poco credibile che non si fosse tenuto conto dell’errore.

Il questore Caruso durante il processo a suo carico

Come mai si siano esecutati lo stesso i cinque dopo che se ne sono accorti? Sicuramente quei cinque li hanno ammazzati per evitare testimoni ingombranti. E questo ancora non butta buona luce su quel terribile episodio.

Tuttavia Kappler fu condannato per i cinque in più. Se lui avesse dimostrato che erano soldati tedeschi probabilmente non ci sarebbe stato motivo di condanna.

Non ci sarebbe stata questa ragione di condanna, ma per un ufficiale tedesco ammettere,  ripeto,  che degli ufficiali – si parlò di ufficiali tedeschi disertori che poi erano stati rintracciati e come disertori in tempo di guerra non potevano non essere condannati a morte – immaginare che un ufficiale tedesco venga ad ammettere che quei cinque fossero i disertori tedeschi è poco pensabile, è più ammissibile accumulare su di sé il conto di una colposità di cinque individui per sbaglio, tanto lui aveva perfettamente intuito a priori che sarebbe stato comunque condannato all’ergastolo.

I cinque omicidi colposi in più oramai non spostavano di molto quella che sarebbe stata la condanna.

C’è perfino una macabra curiosità intorno alla vicenda…

Sì, appena riaperta la penetrabilità delle Fosse Ardeatine fu trovato un altro cadavere all’inizio che probabilmente era stato deposto in epoca posteriore e che non era attribuibile a nessuno… nemmeno ai Tedeschi stessi. Di chi si trattava non si è saputo mai. Probabilmente un omicidio comune.

Quindi il numero esatto degli esecutati, 335, è dovuto all’omicidio volontario aggravato e continuato, così come si cita nella sentenza militare contro Kappler. Per il resto fu conteggiato anche il famoso “oro di Roma” considerando che l’oro preteso dagli Ebrei fosse stato una sua iniziativa.

Rastrellamenti intorno a Via Rasella subito dopo l’attentato

Via Rasella
L’altra faccia delle Fosse Ardeatine
INCONTRO CON
Giorgio Rossi
SCRITTORE
di Enzo Cicchino
(1994)

Libero adattamento dell’intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull’azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.


VERSIONE 1

Oggi la bicicletta serve soltanto per fare delle gite o delle gare ma nel 1944, a Roma, la bicicletta è stata una delle armi principali dei gappisti romani, nel senso che per fare i loro attentati, arrivavano in bicicletta di gran carriera, tiravano le bombe e fuggivano.

Tant’è vero che a un certo momento i tedeschi proibirono a Roma l’uso delle biciclette, e allora i gappisti si inventarono di metterci la terza rotellina, come alle biciclette per bambini, in modo che diventavano dei tricicli.

23 marzo 1944: l’attacco gappista a via Rasella annienta il battaglione Bozen.

Però, per quanto riguarda via Rasella, le biciclette non vennero usate allora, salvo che in un caso. Adesso, a via Rasella ormai si conoscono praticamente tutti i nomi dei principali personaggi che parteciparono a quell’azione, ma non tutti i nomi, perché a via Rasella parteciparono non 5-6 persone, ma alcune decine di gappisti, che erano dislocati chi in via Rasella, chi nelle stradine limitrofe, per intervenire, dopo l’esplosione, con bombe, con raffiche di mitra.

Fra i personaggi che non sono praticamente mai stati nominati, salvo di straforo, c’era Toto Rezza. Toto Rezza era lo zio di mia moglie e partecipò all’azione di via Rasella, soltanto che questa figura è rimasta sempre in ombra; è rimasta in ombra perché alcuni ricordano la sua presenza lì, alcuni dei comandanti gappisti, altri invece no e tutta questa figura è però avvolta in una specie di mistero: chi lo ricorda, chi non lo ricorda, chi dice che era in via Rasella, chi dice che non c’era, anche perché allora i partecipanti all’azione di via Rasella mica sapevano i nomi di tutti quelli che partecipavano e spesso nemmeno si conoscevano.

Roma, Vi delle Quattro Fontane, 23 marzo 1944. Militi della “Decima Mas” e del “Bozen” sorvegliano un gruppo di civili rastrellati in via Rasella

Questo, comunque, per quanto mi riguarda, è un episodio affascinante proprio perché questo personaggio, che era un proletario, forse perfino un sottoproletario, che amava le corse, amava le donne, era un comunista, bè, lui dopo, quando Roma venne liberata, si arruolò nell’esercito regolare italiano che combatteva contro i tedeschi.

E poi morì, in circostanze misteriose, sulla linea del fronte, ad Alfonsine. Ad Alfonsine c’è ancora un monumento ai caduti della lotta di Liberazione dove è ricordato anche il suo nome. Però di lui non si sa niente, le sue spoglie non stanno in quel cimitero, non si sa chi ritirò il corpo o comunque ciò che aveva indosso lui, anche perché ormai è passato tanto tempo e tutte quelle persone o sono morte o non ricordano più.

Le vittime dell’attentato di via Rasella

VERSIONE  2

Su uno dei gappisti romani io ho scritto un libro; ho scritto un libro perché questo gappista era uno zio di mia moglie, dalla vita abbastanza misteriosa e che ha avuto una morte anche abbastanza misteriosa.

Si chiamava Toto Rezza; era un vecchio comunista fin da ragazzo, nell’Italia fascista, e come tale entrò nello schieramento militare, nell’organizzazione militare del partito comunista, e partecipò a via Rasella.

Su questo ho scritto un libro. Perché? Perché non si sa bene nulla di quest’uomo: è passato molto tempo, i testimoni di una volta o sono morti o non ricordano più, è passato mezzo secolo. Ma Toto Rezza stava, secondo le testimonianze più credibili, a via Rasella.

Faceva parte di un gruppo di partigiani che doveva fare azione di complemento, diciamo così, rispetto alla grande esplosione e quindi era acquattato, insieme con altri 4 o 5 gappisti, in una stradina laterale che incrocia via Rasella, dalla parte di via dei Giardini.

Lì, dopo l’esplosione, questo gruppo doveva intervenire tirando bombe a mano, sparando mitra, eccetera. Dopo di che questo personaggio, una volta che Roma venne liberata, cominciò a fare – come dire? – l’ufficiale di collegamento per il partito comunista fra il partito comunista, la direzione del partito comunista dell’Italia liberata, che stava a Roma, e la direzione del partito comunista dell’Italia ancora non liberata, che stava a Milano.

In questa sua vita, di cui pochissimo si sa, lui ebbe tutta una serie di vicissitudini e di avventure. Inoltre, lui, quasi contemporaneamente, si arruolò nell’esercito regolare italiano che combatteva a fianco degli Alleati, e morì poi sulla linea del fronte, durante la battaglia di Alfonsine, e anche la sua morte tutto sommato era, direi, abbastanza avvolta nel mistero. Era uno di quegli individui che non spiccano mai ma di cui la storia spesso si serve in modo molto importante.


LA SIGNORA ROSSI, MOGLIE DI GIORGIO ROSSI

Toto Rezza era mio zio. Io avevo 6 anni e credo di  aver partecipato – involontariamente – a via Rasella perché mi ricordo di essere stata lasciata all’angolo… nei pressi di via Rasella da mio zio, credo di aver sentito questo boato enorme, di aver visto gente che correva, una grandissima confusione, il fumo, e di aver visto riemergere da questa confusione, che io ovviamente mi ricordo così, in questo modo, mio zio velocissimo che mi ha caricato sulla canna di una bicicletta e siccome ero spaventata e chiedevo evidentemente delle spiegazioni, mi ricordo che mi ha messo a tacere, mi ha detto: “Stai zitta, stai zitta. Adesso dobbiamo correre via!”

E ha cominciato a correre fortissimo, mi ha caricato sulla canna della bicicletta, che immagino si fosse portato… immagino che mi avesse portato sulla sua bicicletta proprio per copertura, per copertura a un’azione partigiana, a un’azione gappista, per non destare sospetti e per poter usare la bicicletta in un periodo in cui oggi so che le biciclette non si potevano usare, erano state proibite dalle SS naziste perché i gappisti romani ci avevano fatto moltissime azioni, e quindi immagino che mio zio mi abbia usato come copertura per riuscire ad arrivare nel posto dove doveva andare e per poter scappare il più velocemente possibile non destando sospetti, perché appunto con una bambina sulla canna di una bicicletta.

PRECISAZIONE STORICA DI
ROSARIO BENTIVEGNA

Rosario Bentivegna (Roma, 22 giugno 1922 – Roma, 2 aprile 2012)

Affermo senza dubbio di smentita che Toto Rezza non ha partecipato all’azione di via Rasella: in quel momento non faceva parte nemmeno dei GAP centrali. Per di più, la cosa che viene raccontata dell’uso della bicicletta e della bambina è assolutamente incomprensibile, primo perché le biciclette erano proibite a Roma in quel periodo, e secondo perché nessuno dei comandanti partigiani che hanno preparato e organizzato l’azione di via Rasella avrebbe accettato che ci venisse con una bambina di 5 anni.

Lettera di Giorgio Amendola
a Leone Cattani
sulle vicende di via Rasella

Giorgio Amendola nel 1979

Caro Leone,

ho letto con molto ritardo l’intervista che hai concesso alla rivista ‘Capitolium’ per il numero speciale su ‘Roma città aperta’. In quel fascicolo è compresa anche una mia intervista.

La morte di Togliatti non mi ha permesso di scriverti subito dopo aver letto l’intervista. Lo faccio ora, sebbene sia passato molto tempo, ma non desidero lasciar passare senza una rettifica quanto tu hai scritto sulla riunione della Giunta militare che si tenne dopo l’attentato di Via Rasella. Del resto tu precisi che le informazioni da te ora riportate le avevi ricevute da Brosio, che rappresentava il PLI nella Giunta.

È la tua, quindi, una testimonianza indiretta. Ora è ben noto che memorie, ricordi, testimonianze sono tra le fonti storiche più ingannevoli. Uno stesso fatto è ricordato in modo diverso dalle persone che vi hanno partecipato. Ciò rende difficile la storia della Resistenza, perché ancora affidata in grande parte ai ricordi dei protagonisti, per la scarsezza di dati obiettivi, documenti, ecc.

Da sinistra: Alcide De Gasperi, Leone Cattani, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti

Di quella riunione della Giunta militare manca, ad esempio, un verbale autentico. Non voglio quindi pretendere che i miei ricordi facciano testo. Ti prego soltanto di tenerne conto, come di una “fonte” che non può essere trascurata accanto alle altre, alle informazioni che ti diede Brosio, o, meglio, al ricordo che ora hai di quelle informazioni.

Data della riunione. – Il giorno in cui ebbe luogo la riunione della Giunta non fu ‘immediatamente’ dopo l’attentato, ma piú tardi, nel pomeriggio del 26 marzo, del giorno in cui si ebbe la notizia della strage compiuta dalle SS. Il comunicato tedesco, che annuncia la rappresaglia porta la data del 25, ma fu pubblicato sul ‘Messaggero’ del 26. La riunione ebbe luogo nel pomeriggio del giorno nel quale il ‘Messaggero’ pubblicò l’annuncio. Questo dato può essere facilmente controllato.

Leone Cattani

Luogo della riunione. -La riunione si tenne vicino a Piazza Mazzini, nella casa dell’avv. Chiri (?)

Partecipanti. – Parteciparono alla riunione:

Giuseppe Spataro

Giuseppe Spataro

per la D.C

Chi era Giuseppe Spataro?

Manlio Brosio

Manlio Brosio

per il P.L.I.

Chi era Giuseppe Manlio Brosio?

Sandro Pertini

Sandro Pertini

per il P.S.I.

Chi era Giuseppe Sandro Pertini?

Riccardo Bauer

Riccardo Bauer

per il P.d’A.

Chi era Giuseppe Riccardo Bauer?

Amendola

Giorgio Amendola

per il P.C.I.

Chi era Giorgio Amendola?

Doveva esserci, ma non ne sono sicuro, anche Cevolotto per la Democrazia del Lavoro. La discussione. – Fu proposto da Spataro un comunicato che richiamava le formazioni partigiane aderenti al Corpo Volontari della Libertà a comunicare preventivamente alla Giunta le azioni progettate, onde riceverne l’approvazione.

Mario Cevolotto

Chi era Mario Cevelotto?

Io mi dichiarai subito contrario a questa proposta e per due motivi:

1. –
il comunicato avrebbe significato deplorazione di un’azione di guerra compiuta dai G.A.P., in attuazione di una direttiva lanciata dalla Giunta di ‘attaccare il nemico ovunque si trovasse e con ogni mezzo’. Annunciai anche che se la Giunta non intendeva essa assumersi la responsabilità dell’attentato di Via Rasella di fronte al nemico e alla cittadinanza, questa responsabilità sarebbe stata assunta pubblicamente dal comando delle Brigate Garibaldi, dal quale dipendeva la formazione GAP che aveva eseguito l’azione.

2. –
Fino a quel momento ogni formazione partigiana aveva mantenuto piena autonomia di iniziativa operativa. Ciò era necessario per ragioni di sicurezza cospirativa, e per avere possibilità d’intervenire con prontezza contro il nemico. Le occasioni d’intervento andavano colte immediatamente. La richiesta avanzata da Spataro che ogni azione progettata fosse preventivamente comunicata alla Giunta significava praticamente arrestare ogni attività armata contro il nemico, proprio quando la strage delle Ardeatine imponeva uno sviluppo e non un arresto dell’azione partigiana, per rispondere al nemico colpo su colpo.

La Giunta militare del C.L.N. era, in realtà, un comitato organizzativo di coordinamento e non un Comando operativo unico. Il P.C.I. non avrebbe mai accettato che prevalesse una posizione praticamente attesista. La direttiva data dal CLN era di colpire il nemico ovunque si trovasse. Se non si rispettava questa linea di azione, venivano meno le basi dell’accordo costituito tra i partiti antifascisti, ed il PCI sarebbe stato costretto a rivedere le ragioni della partecipazione del CLN. Questa la linea del mio intervento.

Montezemolo

Fui appoggiato da Pertini e da Bauer che respinsero la proposta di Spataro. Brosio pronunciò parole molto responsabili ed equilibrate. Brosio era stato incaricato dalla Giunta di tenere i collegamenti col Comando militare, praticamente con il colonnello Montezemolo, fino al momento del suo arresto. (Anche io ebbi contatti personali con Montezemolo che incontrai a Palazzo Taverna nei locali dell’Associazione per il Mezzogiorno.

Col Montezemolo concordammo alcune misure pratiche per i due attentati del 26 dicembre alle linee ferroviarie per Cassino e per Formia). Ora Brosio disse che non avendo dirette responsabilità di comando – non avendo il P.L.I. formazioni partigiane di partito, ma sostenendo principalmente le formazioni ‘autonome’ collegate col ‘comando militare’ – egli non si sentiva di rendere piú pesanti le responsabilità di chi aveva, invece, funzioni di comando operativo, responsabilità già in quelle condizioni molto gravose.

IVANOE BONOMI

Perciò la riunione si concluse senza decisioni, ciò che avveniva spesso perché – come tu ricorderai – le regole di base del C.L.N. erano la ‘pariteticità’ e la ‘unanimità’. Spataro non insistette per l’approvazione del comunicato proposto, io non insistetti nella richiesta di un comunicato nel quale la Giunta si assumesse la responsabilità politica dell’attentato di Via Rasella. “l’Unità” clandestina pubblicò, poi, il comunicato del comando dei GAP.

In quel momento il C.L.N. era in crisi per le dimissioni di Bonomi, ed il PCI non voleva aggravare la crisi, ma lavorava per risolverla positivamente. (Dopo pochi giorni la notizia dell’arrivo di Togliatti a Napoli e della sua iniziativa avrebbe permesso, dopo infuocate polemiche, di superare la crisi anche a Roma).

Io non avrei, mai, nemmeno per un istante potuto dare la mia approvazione ad un comunicato di deplorazione, anche perché ero direttamente e personalmente impegnato nell’azione di Via Rasella. Non posso, quindi, essermi mai potuto dichiarare favorevole alla pubblicazione di un comunicato che sarebbe stato, praticamente, di deplorazione dell’attentato.

Gappisti romani

La piú grossa responsabilità morale che abbiamo dovuto assumere nella guerra partigiana è quella dei sacrifici che si provocano, non soltanto i compagni di lotta che si inviano incontro alla morte – essi hanno scelto liberamente quella strada – ma gli ignari che possono essere colpiti dalle rappresaglie. Se non si supera questo tremendo problema non si può condurre la lotta partigiana.

Noi del C.L.N., tutti, anche se nella pratica con maggiore o minore convinzione, sapemmo superare questo problema, e prenderci le necessarie responsabilità. Soltanto dei pavidi o degli ipocriti potevano fare finta di non comprendere le conseguenze che derivavano dalla posizione assunta. Affrontammo il rischio nell’unico modo possibile: non farci arrestare dal ricatto delle rappresaglie e, in ogni caso, rispondere al nemico colpo su colpo e continuare la lotta.

L’annuncio della strage delle Ardeatine fu dato il 26 marzo (o 25 che fosse) a esecuzione compiuta, senza che nessun appello fosse stato lanciato ai responsabili dell’attentato perché si presentassero al comando tedesco o alla polizia fascista. Ma io non mi sono mai trincerato dietro questo dato di fatto, di fronte alla campagna condotta contro di noi da parte fascista con tutti i mezzi e anche in sede giudiziaria.

Ho invece piú volte dichiarato che, anche se l’appello fosse stato lanciato dal comando germanico, noi responsabili del comando GAP, e gli eroici combattenti che avevano attuato l’ardita operazione di guerra, non avevamo in alcun caso il diritto di presentarci, di consegnare, cioè, al nemico un comando partigiano ed un reparto d’assalto. A parte ogni motivazione personale, non avevamo il diritto di decapitare il movimento partigiano e di mettere in pericolo la sicurezza del movimento clandestino.

Dell’attentato di Via Rasella mi sono assunto – in diverse sedi – piena e personale responsabilità, non solo come comandante delle Brigate Garibaldi per Roma e per l’Italia centrale, e come tale membro della Giunta militare del C.L.N., ma perché fui io personalmente che, andando piú volte in Piazza di Spagna, in casa di Sergio Amidei – dove c’era in quel momento la sede clandestina della redazione de “l’Unità” – ebbi occasione di vedere passare ogni pomeriggio un reparto di gendarmeria tedesca in pieno assetto di guerra, ciò che era aperta e provocatoria violazione dello statuto di città aperta.

Formazione partigiana in movimento durante la Resistenza

Avevo segnalato perciò al comando dei GAP questo reparto perché fosse oggetto di un attacco, lasciando poi – come sempre avveniva – al comando assoluta libertà d’iniziativa, e di preparare l’operazione con le modalità ritenute piú opportune.

Il 23 marzo era prevista, in occasione della Fondazione dei Fasci, un’adunata repubblichina all’Adriano, ed un corteo fino a Via Veneto, al palazzo del Ministero delle Corporazioni. Concordammo con Pertini un’azione combinata di attacco armato al corteo (con lancio di bombe) del reparto GAP della Garibaldi e di un reparto della Matteotti. All’ultimo momento il comando tedesco impedí ai repubblichini di tenere l’adunata e di fare il corteo. Ma il comando GAP aveva anche contemporaneamente preparato l’azione contro il reparto tedesco, azione che si svolse secondo il piano progettato.

Da sinistra: De Gasperi, Nenni, Togliatti

Io mi trovavo alle ore 16 a S. Andrea delle Fratte, dove avevo appuntamento con Sergio Fenoaltea, per andare assieme da De Gasperi che si trovava nel palazzo di Propaganda Fidae. La mattina aveva avuto luogo in Via Cernaia, presso Monsignor Barbieri, una riunione – De Gasperi, Ruini e Casati – per esaminare la situazione di crisi in cui si trovava il C.L.N. Aspettando Fenoaltea vidi passare per Via Due Macelli il reparto tedesco e poco dopo, mentre arrivava Sergio, sentii il rumore delle esplosioni.”

Che cosa è? – mi chiese Fenoaltea. – Deve essere un’azione gappista”, risposi, senza precisare, com’era costume clandestino. Ed egli non insistette. Anche De Gasperi mi chiese se sapevo che cosa significava quell’esplosione. Risposi che non lo sapevo, senza insistere, come a ricordare che era un segreto cospirativo. Ed egli, sorridente ed ammirativo: “Ne avrete combinata un’altra delle vostre. Non state mai fermi, voi comunisti, una ne pensate e cento ne fate”.

Sergio Fenoaltea

E poi si parlò della situazione del C.L.N. e De Gasperi ci pregò di intervenire presso Nenni perché recedesse dalla posizione assunta. Ho piú volte già ricordato queste parole di De Gasperi per sottolineare come, prima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, non v’erano dissensi sulla necessità di attaccare i tedeschi.

La situazione degli alleati sul fronte di Anzio era pericolosa, e gli agenti inglesi e americani presenti a Roma ci invitavano a intensificare le azioni offensive, per impedire che i tedeschi utilizzassero tranquillamente Roma come piazza di raccolta e di smistamento delle riserve e dei rifornimenti per i fronti di Cassino e di Anzio. Il 12 febbraio avevamo attaccato, con una azione dei GAP, un corteo fascista in Via Tomacelli, e avevamo ricevuto molte congratulazioni per l’audacia dei gappisti, e nessuna critica o riserva.

Ci trattenemmo a lungo a parlare con De Gasperi. Uscimmo da Propaganda Fidae alle 18 (il coprifuoco doveva essere alle 19). Ma io non avevo preveduto le conseguenze dell’azione compiuta: le precedenti azioni dei GAP non erano state seguite da rappresaglie immediate. Invece questa volta s’era scatenato l’inferno. In Piazza di Spagna si sparava, si vedevano gruppi di soldati tedeschi coi mitra. Ci buttammo per Via della Vite, attraversammo il Corso presso Via in Lucina, ci avviammo verso Campo Marzio e lí ci separammo.

Avemmo subito la notizia degli arrestati, dei passanti fermati in Via Quattro Fontane e poi arrestati. Ma soltanto due giorni dopo, il 25 mattina, avendo appuntamento con Giuliana Benzoni nell’ufficio di Mattioli a Palazzo Colonna, ebbi da Giuliana la notizia dell’eccidio. Piú volte con Giuliana e Mattioli abbiamo rievocato quel momento terribile.

Quanto ho scritto smentisce che io possa in un primo momento aver deplorato, in riunione o anche in conversazioni, l’attentato di Via Rasella. Posso aver detto che non sapevo chi erano i responsabili, per precauzione cospirativa, perché era buona regola non fare conoscere mai, anche a cose fatte, chi erano i responsabili delle azioni compiute, per non facilitare le ricerche della polizia tedesca e fascista, e per non aggravare la sorte dei partigiani in caso di arresto.

Luigi Longo “Italo”, il comandante generale delle Brigate Garibaldi.

Infatti come comando Garibaldi assumendoci la responsabilità dell’azione di Via Rasella violammo, per ragioni politiche, una norma cospirativa. Prima di prendere quella decisione, io non potevo che ostacolare col silenzio e la reticenza l’identificazione dei responsabili. Può essere che questo iniziale silenzio possa essere stato interpretato da Brosio come deplorazione.

Certo è che io mai, in nessun momento, nemmeno in un primo momento, potevo deplorare un’azione di cui ero stato il promotore, di cui mi sentivo responsabile, e che aveva recato in pieno cuore di Roma un tale colpo alla sicurezza e tracotanza del nemico.

Ho prima ricordato la nostra comune posizione di principio sul problema delle rappresaglie. Ma l’avere assunto una posizione che si ritiene giusta, come ancora la ritengo, non vuol dire superare con facilità ogni altro problema. Io ho sempre sentito fortemente la responsabilità di quella tragedia. Ritengo che l’azione di Via Rasella abbia avuto una grande importanza, e abbia contribuito efficace­mente alla salvezza di Roma, facendo comprendere ai tedeschi il rischio di una battaglia combattuta ad oltranza in una città, nella quale le forze della Resistenza dimostravano tale audacia ed efficacia cospirativa.

Ma questa convinzione non diminuisce il dolore e la commozione davanti al prezzo pagato, il sangue versato dai trucidati delle Ardeatine. Sentivo, dunque, fortemente quella responsabilità. Di fronte ai caduti delle Ardeatine avevo un solo dovere, combattere con tutte le mie energie contro il nemico.

Fu questo uno dei motivi che mi spinse ad accettare con prontezza l’invito del mio Partito a portarmi al Nord, prima della Liberazione di Roma, per continuarvi l’attività di combattente della Resistenza. Cosí fui a Milano, in Emilia, nel Veneto, ed infine a Torino, dove ebbi la gioia di partecipare alla direzione dell’insurrezione del 25 aprile…

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