a cura di Cornelio Galas
- documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
Via Rasella
L’altra faccia delle Fosse Ardeatine
INCONTRO CON
MATTEO MATTEOTTI
PARTIGIANO, FIGLIO DI GIACOMO
LE INTERVISTE
DOPO MEZZO SECOLO
L’INCONTRO
CON
I PROTAGONISTI
(1994)
di Enzo Antonio Cicchino
Trascrizione integrale dell’intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull’azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.
Lei in quel marzo del 1944 cosa faceva a Roma e cosa può raccontare dell’azione di via Rasella?
Ma io ero da poco stato nominato segretario della Federazione Giovanile Socialista per suggerimento e per decisione di Sandro Pertini, che era membro della segreteria del partito in quell’epoca. Avevamo organizzato una… chiamiamola brigata, anche se era un gruppo armato che era comandato da Eugenio Colorni che poi è stato assassinato alla vigilia della liberazione di Roma.
E quindi di via Rasella non è che so più di quello che Pertini ci disse quando lo ritrovammo in Alta Italia dopo la liberazione. Affermò che lui non era stato favorevole ad un’azione militare di gappisti contro un reparto militare perché temeva che ci fossero delle rappresaglie sproporzionate rispetto all’efficacia dell’azione.
Però rimase in minoranza nel (…) romano e prevalse la tesi di Giorgio Amendola, che era convinto della necessità di dare una dimostrazione di forza, di coraggio e che bisognava, quindi, condurre a fondo un’operazione. Fu scelta la colonna di…
Del Bozen.
… dei soldati altoatesini che ogni giorno passava da via Rasella. Anch’io son convinto che fu un’azione che non ebbe il senso e la dimensione delle azioni che devono avere in guerra anche gli atti di offesa al nemico, quando poi le conseguenze sono quelle che si riflettono sulla popolazione. Io ne ebbi le conseguenze indirette perché quando mi fu detto “Anche voi eravate favorevoli”, io dovetti dire che il nostro membro della segreteria Pertini non era stato favorevole a quella azione.
Lei poc’anzi mi diceva di una affermazione di Giorgio Amendola a proposito del coraggio di uccidere i tedeschi…
Ma io adesso non ricordo perché ho la memoria un po’ allentata dal complesso di vicende. Io son convinto che Giorgio Amendola non fu, dopo l’esito delle Fosse Ardeatine, ancora convinto che la sua fosse stata un’azione giusta, anche perché gli fu detto, nel partito, che in fondo erano reparti che non avevano niente a che fare con le rappresaglie, gli orrori che venivano perpetrati nei confronti dei partigiani e della popolazione.
Si trattava appunto di un reparto di soldati di scarso rilievo bellico e aggressivo. E ho l’impressione però che gli sia rimasto un qualche cosa che gli abbia probabilmente turbato la coscienza, anche se non me l’ha mai detto.
Sì, però in quel 23 marzo del ’44, che come sappiamo era l’anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento, si stava ancora combattendo la terza battaglia di Cassino e i GAP probabilmente pensavano che, almeno questa volta, gli Alleati avrebbero vinto e sarebbero giunti a momenti a Roma. Quindi cercavano di attuare delle azioni di guerriglia, in modo da acquisire prestigio dinanzi a loro. Forse Giorgio Amendola pensava a questo…
Io non lo so. So che Pertini era invece favorevole ad una manifestazione davanti al Messaggero contro la prospettiva che Roma diventasse teatro di guerra e voleva che il coraggio della gente si potesse manifestare con una chiara protesta contro le truppe occupanti, ma con l’intento di non arrivare ad uno scontro armato.
I capi partigiani non ritenevano che, in modo conforme a tutte le altre rappresaglie feroci, i tedeschi potessero atuarne anche a Roma?
La cosa che fa ritenere che ci sia stata una forzatura, è che poi, subito dopo l’attentato, uno degli attentatori se ne fuggì in Jugoslavia, rientrato dopo la fine della guerra, ora a molti anni dopo la Liberazione, ancora se ne vanta.
Subito dopo l’attentato, diciamo… in quei giorni, lei ha incontrato per caso qualcuno dei protagonisti dell’attentato di via Rasella?
No, no, no. Io ho conosciuto solo Carla Capponi quando fu nominata deputato nella prima legislatura. C’era la Costituente, se ben ricordo. Furono nominati lei e Moscatelli come espressione della Resistenza attiva.
Subito dopo l’attentato non sa dove si sono rifugiati i gappisti che hanno partecipato?
No, perché io ero semplicemente un gappista di una formazione minore che era comandata da Eugenio Colorni, che fu ucciso il 3 di giugno da un agente della banda Pollastrini.
Ma i GAP romani da chi ricevevano ordini?
E’ difficile che io possa ricordare perché noi ordini li ricevevamo dal nostro… chiamiamolo “comandante militare” che era Giuliano Vassalli e degli altri non avevamo la minima informazione.