a cura di Cornelio Galas
- documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
Via Rasella
L’altra faccia delle Fosse Ardeatine
INCONTRO CON
GIORGIO
ANGELOZZI GARIBOLDI
IL DIFENSORE DELLA MEMORIA DEL PAPA PIO XII
LE INTERVISTE
di Enzo Cicchino
DOPO MEZZO SECOLO
L’INCONTRO
CON
I PROTAGONISTI
(1994)
Adattamento ed elaborazione dall’intervista originale realizzata dal regista Enzo Cicchino nel corso della sua inchiesta sull’azione partigiana di Via Rasella e andata in onda per il programma della RAI TV- MIXER di Giovanni Minoli.
di Enzo Antonio Cicchino
Giorgio Angelozzi Gariboldi, vaticanista, autore di molti volumi sulla storia della città di Roma durante l’ultimo conflitto mondiale e pubblicati dall’editore Mursia. Uomo affabile, fermo però nelle sue certezze, nate tutte da una ampia e veridica documentazione, ottenuta intervistando testimoni oculari germanici, come Eugen Dollman, e uomini della Santa Sede. L’ho intervistato nel suo studio dinanzi ad un immenso quadro dell’ottocento.
A quale corpo militare appartenevano i soldati germanici coinvolti nell’attentato di Via Rasella? Erano SS?
L’11esima Compagnia del Bozen SS coinvolta nell’attentato di Via Rasella non erano affatto SS. L’undicesima, la Nona e la Decima Compagnia facevano parte di un Reggimento di Polizia Territoriale di altoatesini. Per lo più artigiani e contadini dell’Alto Adige, delle province di Belluno, di Trento e di Bolzano.
Quando i tedeschi dopo l’8 settembre ’43 occuparono l’Alto Adige questi uomini furono richiamati – richiamati è un eufemismo per dire: furono costretti – ad arruolarsi in questo Reggimento di Polizia Territoriale detto Bozen Polizei Regiment. Erano perlopiù uomini anziani, non abituati né ad uccidere, ma neanche esercitati alle armi.
Dopo una breve permanenza a Bolzano e un trasferimento a Colle Isarco il 7 febbraio del 1944 furono trasferiti a Roma. La Nona Compagnia ebbe compiti di vigilanza dei Palazzi del Vaticano. La Decima Compagnia fu trasferita a vigilanza di depositi e di fortificazioni a sud di Roma, e l’11esima Compagnia che alloggiava nel Ministero degli Interni.
La definizione che fossero SS è incongrua… perché non avevano la divisa grigia delle SS, una divisa con le mostrine delle SS nel bavero, ma una divisa verde vivace, e quel giorno (marzo 23), come del resto tutti i giorni, tornavano da un’esercitazione di tiro presso l’allora Foro Mussolini (il Foro Italico di oggi).
Gli ufficiali e sottufficiali, questi sì che erano di Germania e di Austria; disprezzavano questi tirolesi sia perché erano antinazisti, questo era intuito dagli ufficiali, sia perché non erano addestrati alle armi, e sia perché – e questo mi pare anche interessante sottolineare – erano ferventi cattolici, tanto è vero che quando stavano a Bolzano se venivano trovati nelle chiese, ed era proibito allora entrare nelle chiese, venivano obbligati a tornare in caserma sulle ginocchia.
Dunque questi del Bozen con le SS non avevano nulla a che fare.
D’altra parte dopo gli anni che seguirono a questa tragica vicenda dell’uccisione dei loro commilitoni a Via Rasella questi uomini…. quelli che sono rimasti di quel Battaglione, ormai anziani hanno commemorato sia i loro commilitoni, sia le vittime di Via Rasella, dove morirono anche sei civili e un bambino.
Dopo una breve permanenza a Colle Isarco, il 7 febbraio furono trasferiti a Roma. Erano tre compagnie di 156 uomini ognuna. La Nona era a disposizione del Comando Tedesco per la vigilanza dei Palazzi Vaticani, la Decima dislocata a sud di Roma a guardia di fortificazioni, e l’11esima di cui parliamo era alloggiata nelle soffitte del Ministero degli Interni, di cui era preposta anche alla vigilanza.
Veniamo a quel 23 marzo…
Quel 23 marzo il Battaglione Bozen tornava come gli altri giorni, anzi, quel giorno terminava, le esercitazioni di tiro, e non era affatto addestrato alla guerriglia.
Questi erano degli uomini perlopiù quarantenni o quarantacinquenni tutt’altro che militari, come volevano i loro ufficiali, e proprio per dare loro un aspetto più marziale, durante la marcia li obbligavano a cantare.
Quindi i canti militari di questo Battaglione non erano affatto per provocare la popolazione o altro, erano imposti dai loro ufficiali che, come dicevo prima, li disprezzavano, anzi, li chiamavano teste di legno dell’Alto Adige, bastardi! o altri insulti di questo genere. Tornavano dalle ultime esercitazioni di tiro presso il Foro Mussolini, ripeto non si trattava di addestramento alla guerriglia partigiana.
Quel 23 marzo l’11esima Compagnia giunse a Via Rasella da Piazza di Spagna per recarsi a Via Quattro Fontane, e da Via Quattro Fontane al Ministero degli Interni dove era alloggiata. uando ci fu questo attentato, dieci chili di tritolo nel carretto della mondezza, maggiori furono le conseguenze, più devastanti, perché costoro portavano alla cintola delle bombe a mano.
Dopo la deflagrazione, 26 caddero a terra uccisi, altri morirono all’ospedale….. Subito dopo venne il Generale Mätzler Comandante della Città di Roma detto il Re di Roma, venne il Colonnello Dollmann che era l’Ufficiale di Collegamento tra il Generale Karl Wolff delle SS e il Feldmaresciallo Kesselring e intervenne anche il Console a Roma Möllhausen.
Il Generale Mätzler voleva far saltare tutte le case di Via Rasella e del quartiere, con tutti gli occupanti dentro: “Faccio saltare tutti per aria”, e stava per far eseguire questo suo disegno folle quando venne fermato e dal Colonnello delle SS Dollmann, e dal Console Möllhausen.
Il Console Möllhausen a Roma fu redarguito da Mätzler che gli disse “Lei non si deve occupare di queste cose”, e allora il Console Möllhausen prese la macchina e corse all’Ambasciata per cercare di avvertire il Maresciallo Kesselring.
Il Colonnello Dollmann invece più coraggiosamente disse al Generale Mätzler: “Questo Signor Generale Lei non può… non lo può fare. Deve sentire gli ordini del Feldmaresciallo Kesselring”.
Allora Mätzler cominciò un po’ a calmarsi. Tutti i fermati davanti a Palazzo Barberini, un centinaio di persone, furono portati al Ministero degli Interni. Fra questi c’era il nipote del Maresciallo Graziani, che si fece riconoscere e fu subito liberato e condotto alla sua abitazione proprio da una macchina tedesca.
Il Vaticano come venne a sapere della possibile rappresaglia?
Questa informazione giunse in Vaticano la mattina del 24 marzo, dove nelle prime ore, alle dieci e un quarto, un tale qualificatosi per Ingegner Ferrero del Governatorato telefonò, non venne, telefonò in Vaticano dicendo che a Via Rasella erano stati uccisi 26 tedeschi, che erano rimasti uccisi 6 italiani civili, che non si sapeva ancora delle contromisure tedesche, ma che era prevedibile, questa era una ipotesi, una previsione che ormai era sulla bocca di tutti, date le precedenti rappresaglie naziste- era prevedibile una rappresaglia da uno a dieci.
In un primo momento Hitler ordinò alle ore 17.00 di giorno 23, non appena informato una rappresaglia da uno a cinquanta. Alle ore 23.00 venne dal Comando Generale di Hitler nella Prussia orientale l’ordine definitivo da uno a dieci, e si riuscì a mitigare questa misura per l’intervento del Maresciallo Kesselring.
E’ vero pure che il Generale della 14esima Armata chiamò in segreto il Colonnello Kappler, quando ancora non c’era l’ordine a Kappler che avrebbe dovuto lui eseguire la rappresaglia, e gli disse: “Se l’ordine verrà impartito a me io fucilerò un numero inferiore di questi della rappresaglia ordinata da Hitler, un numero inferiore e solo i condannati a morte”.
Kappler rimase un po’ perplesso e disse: “Per me sta bene, Signor Generale, però il rapporto sull’esecuzione della rappresaglia dovrà essere firmato da Lei, perché io non lo firmo”, e questo accordo rimase segreto, si seppe poi alla fine della guerra di questo accordo fra Von Mackensen e Kappler. Si saprà poi -attraverso il processo- che l’ordine a Kappler di eseguire la rappresaglia venne la mattina del 24 marzo alle ore 12.00.
Kappler chiamò gli ufficiali delle SS perché gli ufficiali del Battaglione Bozen e i loro sottoposti militari si rifiutarono di eseguire quest’ordine. Il Maggiore Dobrick disse: “Questi uomini non hanno mai sparato, non hanno mai sparato in campo di battaglia, figuriamoci se potrebbero essere capaci di sparare così, a sangue freddo”, e allora l’ordine definitivo da Mätzler venne dato a Kappler come Comandante delle SS responsabile della Sicurezza a Roma.
Kappler chiamò i suoi ufficiali e sottufficiali e disse loro: “Dovremo eseguire la rappresaglia da uno a dieci, e l’ordine è del Führer. Chiunque dovesse obiettare o rifiutare sarà deferito al Tribunale delle SS e vi posso anticipare quello che già sapete, che la sentenza sarà di condanna a morte”.
Il colonnello Dollmann, nelle sue memorie, afferma che aveva cercato di attuare un suo piano per impedire la strage delle Ardeatine… piano che non fu accolto.
Dollmann mi ha raccontato questo piano ma che pecca di ingenuità, in quanto figuriamoci se un ordine di Hitler per un evento così grave, con quelle tragiche conseguenze per i militari tedeschi, poteva essere sospeso!
Dollmann, e me l’ha raccontato, questo piano prevedeva una processione, un funerale per le vie di Roma delle vittime di via Rasella con i loro familiari, che dovevano essere trasportati dall’Alto Adige a Roma. Quattrocento chiese di Roma dovevano suonare le campane; alle ore 12 il maresciallo Kesserling doveva fare un discorso, ai romani, di pacificazione dopo, appunto, il funerale delle vittime di via Rasella.
Il papa si doveva affacciare a S.Pietro e invitare alla pacificazione. Tutto questo mi sembra un buon proposito ma, raccontato alla fine della guerra come proposito di Dollmann, pecca di ingenuità in quanto difficilmente, anzi, direi che era impossibile che un ordine di Hitler fosse procrastinato. Mi pare che vittima dell Fosse Ardeatine fu anche qualche religioso…
Anche un sacerdote morì alle Fosse Ardeatine: don Pappagallo.
Era detenuto a via Tasso. Fu chiamato quella mattina dai tedeschi per essere portato alle Fosse Ardeatine con le mani legate a un altro detenuto di via Tasso che era un disertore austriaco: Joseph Reder.
Durante il tragitto il sacerdote pregava e inspiegabilmente, prima di entrare nelle Fosse Ardeatine, riuscì a slegarsi e allora tutti gli vennero intorno: “Ci benedica, padre”, e ci fu un momento di grande confusione di questi poveretti, trattenuti a stento dalle SS, e anche le SS rimasero un po’ sbigottite di questa situazione, e Reder riuscì a fuggire.
Fu di nuovo preso dalle SS e riportato a via Tasso. E si salvò. In quel momento i tedeschi chiesero a… più che chiesero, misero da parte don Pappagallo, don Pietro Pappagallo, ma don Pappagallo disse che avrebbe voluto morire con i suoi compagni. E fu fucilato alle Fosse Ardeatine.
Che rapporto c’era tra la popolazione romana e gli occupanti tedeschi?
La popolazione romana viveva l’incubo dell’occupazione nazista. Odiava i tedeschi! Forse odiava più i fascisti che i tedeschi.
La popolazione romana era stremata per la mancanza dei generi alimentari, viveva l’incubo delle retate improvvise nelle strade, retate intese a prendere gli uomini validi per il lavoro e trasportarli in Germania, e d’altra parte Hitler aveva detto: l’Italia poteva pure rompere l’alleanza ma doveva avvisare l’alleato, e la venuta di Mussolini, cioè il ritorno di Mussolini, e del governo della Repubblica Sociale di Salò servì a evitare maggiori tragedie e maggiori disastri, maggiore crudezza all’occupazione tedesca dell’Italia e anche di Roma.
E Goebbels aveva detto: “Finché non c’era Mussolini avremmo potuto fare dell’Italia tabula rasa”. Questa era la situazione della Roma nazista.
Poteva esserci un qualche progetto recondito negli attentatori di Via Rasella?
Io ritengo che l’obiettivo degli attentatori di via Rasella fosse quello di provocare la reazione della popolazione romana, ma conseguente a una rappresaglia tedesca perché sennò non avrebbe avuto senso.
La popolazione romana non dico che fosse indifferente, ma aveva problemi di alimentazione, paure per questi tedeschi che per le vie di Roma potevano da un momento all’altro, senza avvertire, trasportare in Germania uomini adatti al lavoro, e comunque la popolazione romana era stanca della guerra, non vedeva l’ora che arrivassero a Roma gli Alleati, non vedeva l’ora che finisse la guerra e quindi, nei confronti dei tedeschi, degli occupanti tedeschi, aveva un atteggiamento se non di tolleranza, neanche di forte insofferenza.
Via Rasella potrebbe essere stata pensata quindi per spezzare questo strano equilibrio?
Probabilmente gli attentatori speravano, dopo la bomba a via Rasella, di provocare una reazione violenta della popolazione romana. Ma fu tuttavia un calcolo sbagliato. Difficilmente la popolazione avrebbe potuto ribellarsi alla violenza dell’occupante nazista, non avendo né gli strumenti, né i mezzi militari.
Dollmann disse che dopo l’attentato di via Rasella e la rappresaglia delle Ardeatine, l’odio a Roma si poteva tagliare col coltello.
Mah, sicuramente dopo l’esecuzione feroce delle Fosse Ardeatine di 335 italiani, l’atteggiamento della popolazione romana nei confronti dei tedeschi doveva essere diverso ma non si può escludere, non posso escludere, anche delle critiche agli attentatori stessi di via Rasella, come abbiamo del resto poi appreso nei momenti successivi, anche dopo la Liberazione, delle polemiche scatenate da questo attentato di via Rasella, il problema se si dovevano presentare o meno, gli attentatori, se avessero avuto il coraggio di presentarsi, se i tedeschi avevano avvisato della rappresaglia, se l’avevano avvisato la notte e la mattina del 24 per radio, come è risultato dalle deposizioni del colonnello Dollmann e di un altro maggiore tedesco delle SS imputato con Kappler per questa strage delle Fosse Ardeatine.
Questi poi sono i problemi che sono venuti dopo, le considerazioni che sono venute dopo; le opinioni, le polemiche sul riconoscimento di atti di valore e di coraggio agli attentatori di via Rasella. Questo fa parte del dopo: in quel momento la popolazione romana desiderava la pace, la pace anche con i tedeschi in attesa dell’arrivo degli Alleati a Roma.
Problemi, come dicevo, di alimentazione, paure per la possibilità delle retate per le strade: questa era la Roma del 1944 e quindi l’odio verso i tedeschi, certo, ma forse ancora di più l’odio verso i fascisti.
Torniamo ora in Vaticano… a quella fatidica mattina del 24 marzo…
Il 24 marzo 1944, la mattina, alle ore dieci e un quarto, un tale ingegner Ferrero non meglio identificato, del Governatorato di Roma, telefonò in Vaticano informando che ci sarebbe stata la rappresaglia per via Rasella, che erano morti 26 militari tedeschi e 6 civili italiani; che non erano previste le contromisure dei tedeschi; si poteva prevedere una rappresaglia da 1 a 10.
Che cosa fece il Vaticano?
La Segreteria di Stato prese contatto immediatamente con l’Ambasciata di Germania presso la Santa Sede per attingere qualche informazione. Von Kessel, il ministro consigliere dell’Ambasciata, rispose in maniera elusiva, o perché non sapeva, o perché l’ordine della rappresaglia veniva da Hitler e quindi era un ordine ristretto al segreto delle alte gerarchie militari tedesche.
Che la rappresaglia fosse non scontata, ma certamente prevedibile era un fatto; quindi anche il Vaticano si mosse per sapere, secondo i canali che aveva a disposizione. L’unico canale in quel momento efficiente era padre Pancrazio Pfeiffer il quale, essendo stato compagno di scuola del generale Melzer comandante la città di Roma, aveva la possibilità di avere qualche informazione sulla eventualità di una rappresaglia.
Ma quella mattina del 24 marzo, tutti gli uffici e i comandi tedeschi erano chiusi ed erano chiusi pure a padre Pancrazio, il quale aveva da presentare al colonnello Kappler la domanda di grazia per il generale Simoni e non poté presentarla.
Anche Giulio Andreotti domandava notizie, quel giorno e il giorno precedente, notizie di un sarto, Gaetano Sepe, che poi fu ucciso alle Fosse Ardeatine. Niente trapelò della rappresaglia nazista.
Kappler aveva dato ordine che quella mattina i familiari, che in genere portavano il mangiare ai loro parenti detenuti a via Tasso e a Regina Coeli, quella mattina non potettero comunicare con questi poveretti detenuti proprio per evitare qualsiasi possibilità di comunicazione dei detenuti con l’esterno, qualsiasi possibilità di fuga di notizie.
Rimane l’interrogativo: che cosa avrebbe potuto fare il Vaticano – interrogativo di carattere storico – a cui (che ho fatto un processo di natura storica in difesa proprio della memoria di papa Pio XII, proprio per questa vicenda delle Fosse Ardeatine) credo di poter rispondere con sicurezza.
Se il papa Pio XII avesse saputo, sarebbe potuto intervenire?
Rispondo: le possibilità del papa, le possibilità di Pio XII erano ridotte a zero. In altri momenti il papa si era adoperato, tramite padre Pancrazio, per salvare vite umane, presso i comandi tedeschi, anche presso Kappler.
Ma in questo caso l’ordine definitivo della necessità della rappresaglia, che venne da Hitler il 23 marzo alle ore 23, era legge, sentenza e giustizia, secondo il principio hitleriano, quindi il papa non aveva nessuna possibilità. Difatti, un mese prima, tentò di salvare un parroco di Berlino che era stato condannato a morte per disfattismo, perché aveva parlato male della Wehrmacht.
Il papa si attivò subito presso l’Ambasciata tedesca, presso il nunzio apostolico a Berlino e fece arrivare questo suo intervento direttamente presso Hitler tramite monsignor Orsenigo, nunzio a Berlino. Ma Hitler ordinò la fucilazione di questo sacerdote.
Alcuni giorni dopo le Fosse Ardeatine e questo è un episodio che mi consta personalmente per aver parlato con il cardinale Traglia, decano del Sacro Collegio e in quel periodo reggente di Roma…. Don Morosini doveva essere fucilato, come fu fucilato, a Forte Bravetta. Il papa fece l’impossibile per salvare la vita di don Morosini l’11 aprile, e si attivò tramite padre Pancrazio presso il maresciallo Kesserling, il maresciallo Kesserling telefonò a Hitler personalmente per informarlo di questo intervento di papa Pio XII per salvare don Morosini. Hitler, come seppe dell’intervento del pontefice, ordinò che fosse anticipata l’esecuzione di don Morosini.
Quindi: possibilità ridotte a zero.
Possibilità ridotte a zero anche per l’odio di Hitler verso la Chiesa cattolica, inconciliabile, la religione cattolica, la religione cristiana, con l’idea e con l’ideologia del nazionalsocialismo. Hitler aveva progettato l’invasione del Vaticano; Kappler aveva predisposto un piano, il 20 dicembre, di invasione del Vaticano, dove erano nascosti non solo gli ebrei ma anche uomini politici che poi vennero alla ribalta dopo la guerra.
Probabilmente Kappler aspettava un ordine da Hitler; forse avrebbe agito di sua volontà, come si seppe da un colloquio con un ufficiale del controspionaggio militare italiano con Kappler stesso, che disse a questo ufficiale: “Io vado dentro il Vaticano, poi quello che è una disobbedienza diventa un premio, per Hitler, in questo caso”.
Il 20 dicembre 43, il comando germanico aveva apprestato ingenti riserve di gas nervini, probabilmente da usare contro la popolazione, che certamente solo in questo caso, forse in questo caso sicuramente, si sarebbe ribellata all’invasione del Vaticano.
Un mese prima, padre Pancrazio, nella sua indagine infaticabile e generosa e coraggiosa presso i comandi tedeschi, un mese prima ebbe un colloquio con l’aiutante di del tenente colonnello Kappler, il tenente Erik Priebke, per sapere se le SS stavano per invadere gli istituti religiosi e anche il Vaticano; Priebke naturalmente negò questo, ma disse: “Sappiamo che in Vaticano sono nascosti anche gli ebrei. Lo dica al papa”.
E padre Pfeiffer, il 10 novembre 1943, ebbe un colloquio con papa Pio XII per riferire di questo avvertimento del tenente Priebke.
Quale era il ricatto a cui Hitler sottoponeva il Vaticano?
Hitler aveva progettato l’invasione del Vaticano, le SS avevano una riserva ingente di gas nervini. Non è da escludere, anzi, è da ipotizzare che un’eventuale invasione del Vaticano e una rivolta della popolazione romana a difesa della Chiesa cattolica e del papa, avrebbe provocato una strage di proporzioni gigantesche, di una drammaticità impensabile.
Quindi il papa non aveva nessuna possibilità di intervenire, ammesso che avesse potuto sapere prima della rappresaglia, circostanza che un succesivo processo durato 7 anni, processo che ci ha portato ad interrogare gli ultimi personaggi del regime nazista, come Dollmann, come Kappler e altri, ha escluso nella maniera più assoluta che il papa fosse venuto a conoscenza con certezza della rappresaglia nazista, che si è svolta nell’arco di tempo di 24 ore, in un arco di tempo imprevedibile per le stesse autorità tedesche, perché Hitler dal comando generale sollecitava continuamente il comando della 14ma Armata per avere notizie che la rappresaglia fosse stata eseguita.