LA RESISTENZA IN TRENTINO – 28

a cura di Cornelio Galas

Eravamo rimasti, nella puntata precedente, al primo maggio 1945. Quel giorno si combatté una vera e propria battaglia campale nel Bellunese, con aerei in picchiata su Feltre e la strada Arten-Arsié. Ci furono molti caduti da entrambe le parti. E cadde tra gli altri, valorosamente, anche Edoardo de Bortoli “Carducci”, comandante della brigata partigiana “Monte Grappa”.

Edoardo de Bortoli "Carducci" di Aune (Sovramonte), Capo di stato maggiore della "Gramsci"

Edoardo de Bortoli “Carducci” di Aune (Sovramonte)

Gli Alleati erano arrivati a Selva di Grigno e gli uomini del “Gherlenda”, sapendo quanto fosse stata difficile l’avanzata sino ad allora, anche a causa della distruzione dei ponti da parte dei tedeschi, si misero in contatto telefonico con il Comando: l’ordine ricevuto fu di salvare i ponti di Strigno e Borgo Valsugana. Nella notte del primo maggio i partigiani della “Garibaldi” scesero dal Tesino e la mattina successiva si diressero verso Borgo divisi in tre compagnie: la centrale, lungo la nazionale, comandata da Celestino Marighetto; la laterale destra, con il compito di aggiramento, comandata da Alberto Ognibeni; la laterale sinistra composta da uomini di Cinte Tesino.

Celestino Marighetto “Renata”, fratello di Ancilla “Ora”, in divisa della Flak a Bolzano nel maggio del 1944. Dopo aver disertato, fu tra i primi partigiani del “Gherlenda” e, quale comandante, rimase in montagna durante tutto l’inverno del ’44 con la sorella e altri cinque compagni. “Ebbe un ruolo fondamentale si nella fase iniziale (data la sua conoscenza dei luoghi e delle persone), sia dopo la morte di “Fumo” (date le sue doti di combattente tenace e coraggioso)”, dichiarò in seguito Paride Brunetti “Bruno”

Celestino Marighetto “Renata”,

Alle sette e quindici i partigiani attaccarono contemporaneamente Borgo per liberare il paese dai guastatori tedeschi della retroguardia. Fu la compagnia centrale a dover sostenere gli scontri più duri per il controllo della strada da Castelnuovo a Borgo. Si ebbero alcuni feriti leggeri e solamente Livio Balduzzo, ex Cst, dovette essere ricoverato all’ospedale di Vicenza.

La compagnia di destra, giunta ai piedi del castello di Borgo, ebbe uno scontro a fuoco con pattuglie tedesche e ci furono feriti, uno dei quali, Luigi Bortolon, fu pure trasportato all’ospedale di Vicenza. La laterale sinistra aveva avuto l’ordine di puntare su Castelnuovo e proteggere la linea ferroviaria. Alle sette e trenta, nonostante i tedeschi sparassero da Borgo, venne raggiunto il ponte ferroviario sul Ceggio.

Russland-Süd, deutsche Soldaten in Schützenlinie

I primi reparti giunsero nei pressi dell’ospedale di Borgo ma furono costretti a ritirarsi perché in forze insufficienti. Verso le dieci arrivò una camionetta americana, seguita da quattro carri armati che snidarono a colpi di mitraglia e di artiglieria gli ultimi tedeschi che, nella tarda mattinata, avevano già fatto saltare il ponte sul Brenta, presso l’Ufficio Postale e la casa di Pietro Romani. Quel giorno l’unica vittima dei tedeschi fu Carlo Bortolotti che era uscito a vedere quanto stava succedendo.

Intanto la squadra di Ognibeni aveva messo fuori combattimento 17 tedeschi senza subire gravi perdite. Il giorno seguente, protetti da tiri di sbarramento degli americani, i partigiani giunsero a Roncegno e poi a Novaledo. Fin qui la relazione lasciata da “Leo” e “Renata”.

Alberto Ognibeni

Alberto Ognibeni

In casa Rampelotto, in località Fontane (Roncegno), sulla riva destra del Brenta, negli ultimi giorni di aprile era giunta da Borgo una squadra di tedeschi, a piedi e con le sole armi individuali. Portava con sé alcuni civili borghesani, quasi tutti figli negozianti, per scavare delle piccole trincee: un’estrema quanto inutile “Linea gotica” in formato ridotto.

Nei giorni successivi, il movimento dei soldati nei pressi della casa venne notato dal primo carro armato alleato che transitava sulla statale che sparò alcuni colpi di artiglieria aprendo una breccia nelle pareti della cucina, della stanza da letto e sventrando i muri dalla stalla accanto. I proprietari si erano rifugiati in cantina e non ci furono danni alle persone.

Il palazzo delle Terme di Roncegno, sede del Comando tedesco della lotta antipartigiana sia in Valsugana che in Veneto

Il palazzo delle Terme di Roncegno, sede del Comando tedesco della lotta antipartigiana sia in Valsugana che in Veneto

Il fatto più assurdo lo osservò Pierina Moggio dall’altura di Sartei, nel territorio di Borgo Valsugana. I tedeschi appostato in località Fontane non avevano visto e non potevano vedere che, da Roncegno, scendeva un bel gruppo di loro camerati sventolando vistosamente bandiera bianca: da una parte della valle si sentivano ancora in guerra mentre dall’altra non ne volevano più sapere.

Prima di arrendersi, però, i tedeschi di Roncegno avevano sparato sui mezzi corazzati americani e per tutta risposta ne era seguito un intenso cannoneggiamento che provocò cinque morti e vari feriti tra i civili, mentre a Marter caddero due tedeschi e Giuseppe Iseppi tra i civili. Nella frazione, il 29 aprile era morto, in circostanze diverse, anche Celestino Frainer.

carri

Mentre il fuoco americano sulla zona di Roncegno era intenso, una donna, già nota per aver aiutato i partigiani del “Gherlenda”, si fece carico di parlamentare con gli Alleati: “Si narra che il bombardamento cessò per l’intervento della signorina Kitty Astuto (la madre era americana e il padre era il Conte Astuto di Lucchese: la famiglia era proprietaria di Villa Gerlach). Fu lei a recarsi a parlamentare con il comandante delle truppe americane in avanzata, riuscendo a convincerlo a far cessare il fuoco. I due poi si sposarono”.

I tedeschi in rotta avevano in precedenza distrutto il ponte sulla Larganza. In seguito all’incendio del deposito di munizioni collocato nel palazzo del Municipio di Roncegno, scomparve tra le fiamme l’archivio comunale al completo. Non è dato sapere se la distruzione dell’archivio fu casuale o provocata dagli stessi tedeschi: a Roncegno erano ubicati i centri di comando di varie formazioni poliziesche e militari e l’archivio sarebbe stato una fonte importante di documenti relativi al periodo dell’occupazione.

Roncegno

Roncegno

E’ noto infatti che nell’Italia settentrionale molti archivi furono distrutti dai tedeschi in fuga proprio per eliminare quanto di compromettente in essi contenuto. Illuminante, a questo proposito, la lettera con cui il parroco di Marter, don Antonio Potrich, rispose in data 14 maggio 1945 al Commissario di Roncegno che gli aveva chiesto informazioni anagrafiche:

“Le partecipo che tutti i libri canonicali concernenti il movimento della popolazione, da oltre tre settimane furono requisiti dalla Commissione germanica per la fotograzione (sic); quando potrò averli risponderò di buon grado alla domanda indirizzatami”.

Case in fiamme a Roncegno

Case in fiamme a Roncegno

I nazisti, ritirandosi, seminarono stragi e vendette. Razziarono come si sa anche musei e pinacoteche. Vediamo cosa successe in Trentino, nel Bellunese proprio nei giorni della Liberazione. Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, il 25 aprile aveva dato ordine di non ostacolare il subentro dei partigiani nel controllo della situazione e lo stesso ministro della guerra della repubblica sociale di Salò, Rodolfo Graziani, aveva manifestato il desiderio che le forze fasciste italiane si arrendessero.

KARL WOLFF

KARL WOLFF

L’ordine, specie quello impartito alle disciplinate forze armate tedesche, fu rispettato in pochissimi casi. E’ da ricordare che Wolff, come altri alti ufficiali tedeschi, aveva capito già da alcuni mesi che ormai anche l’arma segreta promessa da Hitler, non sarebbe più arrivata dopo la messa fuori gioco delle V1 e delle V2, e nel febbraio aveva iniziato dietro le quinte i negoziati per la resa con Allen W. Dulles, capo dell’OSS americano in Svizzera, inizialmente tramite intermediari, poi in prima persona.

Allen Dulles

Allen Dulles

Voleva sventare, tra l’altro, il progetto di Hitler di fare, o meglio di far fare, delle Alpi una specie di ridotta nella quale tenere un’ultima resistenza. I colloqui, però, furono interrotti dalla nomina di Heinrich von Vietinghoff a comandante in capo al posto di Kesserling. Poi, all’inizio di aprile, tutto fu congelato da Heinrich Himmler.

HIMMLER

HIMMLER

Il generale americano Mark Clark, subentrato ad Alexander al comando delle forze alleate in Italia, aveva inviato un messaggio al comando della divisione “Nino Nannetti”, poi esteso al comando di zona e a tutte le brigate dipendenti, in cui si chiedeva di aiutare a “Impedire al massimo il passaggio di piccoli gruppi che avessero tentato di sfuggire alle loro responsabilità o alla cattura, a organizzare severi posti di blocco per controllare il movimento dei prevenuti e dei sospetti, e annullare con opportuna organizzazione le ultime operazioni tedesche tendenti a danneggiare gli alleati nella loro avanzata”.

Il generale Mark Clark

Il generale Mark Clark

Ciò, contrariamente al detto “a nemico che fugge, ponti d’oro”, ma a ragion veduta, tuttavia, perché le truppe tedesche che avrebbero dovuto risalire la penisola disarmate, in realtà stavano seminando stragi ovunque e portavano via opere d’arte e tesori vari. Fin dai primi mesi del 1944 anche Franz Hofer aveva iniziato “sistematiche spoliazioni” di musei artistici e storici del Trentino. L’allora Sovrintendente alle Belle Arti di Trento, ingegnere Antonio Rusconi, aveva informato di questo Mussolini che protestò presso il Ministro degli Esteri del Reich von Ribbentrop.

IL GAULEITER FRANZ HOFER

IL GAULEITER FRANZ HOFER

Per tutta risposta il Commissario Supremo aveva rimosso dal suo ufficio Rusconi che fu costretto a lasciare la città. Probabilmente Hofer aveva preso sul serio il motto del Duce: “Preferisco un Paese con meno opere d’arte e con più bandiere strappate al nemico”. Rimane il fatto che mentre egli ordinava ai suoi subalterni di strappare le bandiere alla Resistenza, si dava da fare per strappare le tele dalle pareti dei musei e non risulta a questo proposito che i carabinieri di de Finis abbiano almeno cercato di impedirlo.

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A Feltre l’ordine di fermare i piccoli gruppi di fuggitivi, nei quali di solito si trovavano gli ufficiali responsabili di eccidi e rappresaglie, compreso l’assassinio dei sei detenuti nel carcere del Seminario, fu impartito dal partigiano Mario Turrin, che aveva adottato quale nome di battaglia la formula grezza dell’acido solforico: H2SO4.

A Vigolo Vattaro, allora comune unico con Vattaro e a Bosentino, accadde un altro fatto di gratuita spietatezza in quella primavera del ’45. Il 4 maggio, una trentina di partigiani di Asiago della brigata “Sette Comuni£ stava accompagnando un reparto corazzato alleato verso Trento. Due ufficiali tedeschi e un militare con fascia bianca al braccia si fecero incontro in motocarrozzella dichiarando di volersi consegnare ai partigiani assieme ad altri soldati rimasti a Vattaro.

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Una pattuglia si recò a controllare la situazione e riferì che tutto era normale. In prossimità del paese, però, i partigiani furono attaccati da tre autoblindo uscite da una curva che si misero a sparare uccidendone sette. Alcuni riuscirono a guadagnare i campi, altri furono selvaggiamente picchiati e tutto ebbe termine con l’arrivo degli alleati. Radio Londra aveva annunciato l’armistizio e la resa incondizionata per le ore 18 del 2 maggio, ma in Trentino i nazisti compirono una tremenda rappresaglia a guerra terminata: praticamente ’ultima strage nazista in Europa.

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Il 3 maggio, alle tredici e trenta, saliva da Cembra a Miravalle di Capriana una Volkswagen della Croce Rossa. A bordo c’erano tre nazisti armati di mitragliera. Due partigiani a bordo di una motocicletta, Carlo Tonini e Franz Colmann, quest’ultimo disertore tedesco, incrociarono la “Croce Rossa” tedesca dalla quale partì una raffica che uccise Colmann. Tonini rispose al fuoco da dietro la moto rovesciata a terra. Restarono sul terreno due tedeschi morti e uno ferito. Altri camion tedeschi giunsero poco dopo dalla Valle di Cembra e con l’arrivo di altri partigiani iniziò la battaglia.

Nello scontro cadde Raimondo Braito mentre Achille Rella, con altri della brigata “Cesare Battisti”, fece prigionieri cinquanta tedeschi che vennero portati a Stramentizzo. Il giorno seguente, tedeschi provenienti da Lavis, dove erano già arrivati gli americani, attaccarono – come abbiamo già scritto in una precedente puntata – i partigiani di Stramentizzo dirigendosi poi su Molina di Fiemme. Nella strage che seguì caddero ventotto persone.

Case di Stramentizzo in preda alle fiamme

Case di Stramentizzo in preda alle fiamme

Tra Molina e Stramentizzo – ne abbiamo riferito ampiamente in precedenti puntate – fu data alle fiamme una trentina di case, proprio mentre a Trento era già uscito il primo numero di “Liberazione Nazionale”. A condurre l’inchiesta sull’accaduto, come abbiamo già scritto, fu inviato in Val di Fiemme Herbert Kappler che trovò tutto regolare. Verrà in seguito condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.

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Ma non finiscono qui i tragici eventi di quei giorni subito dopo la Liberazione. Già il 2 maggio a Castello di Fiemme i tedeschi avevano ucciso tre ragazzi innocenti. Intorno alle tre del pomeriggio di quel giorno, alcuni partigiani, probabilmente appartenenti alla Brigata autonoma Benacense, attaccarono la sede di un reparto della Todt sopraffacendo il presidio e disarmandolo: un soldato tedesco, ferito, riuscì a dare l’allarme e, da Cavalese, giunse un camion di militari della Speer in assetto da combattimento.

molina

Nel corso del rastrellamento effettuato nell’abitato, i militari uccisero Amerigo Seeber sulla porta di casa e prelevarono i giovani Ciro Corradini e Vittorio Betta che, accompagnati presso l’albergo Castello, furono passati per le armi e i loro corpi abbandonati nei pressi. Un’ora dopo questi fatti, a Cavalese, «in seguito a sospettato attacco di partigiani», un gruppo di militari tedeschi (elementi delle SS non meglio identificati) bloccarono il paese sparando a casaccio sugli edifici che si affacciavano sulla strada principale.

Una pallottola colpì l’avv. Ernesto Ringler che si era affacciato sulla porta di casa per vedere cosa succedeva: trasportato d’urgenza presso l’ospedale civile di Tesero, morì il giorno successivo (3 maggio). A Castello, il mattino successivo (3 maggio), i tedeschi arrestarono quattro persone che, prese in ostaggio, furono condotte nel carcere di Cavalese e lì detenute fino all’arrivo degli americani.

Zentralbild II. Weltkrieg 1939-45 Das letzte Aufgebot der faschistischen Deutschland, 1944. Die Ersatz-Brigade "Großdeutschland" bildet in Lehrgängen Volkssturm-Zugführer aus. U.B'z: Ausbildung an der Maschinenpistole 1812-44

 Anche in questo caso, come in altri della ritirata tedesca attraverso le valli trentine, risulta impossibile identificare i reparti responsabili: unità della Todt, della Speer e delle SS si mescolano e si sovrappongono in un arco di tempo concentrato e in uno spazio geograficamente limitato. Tribunale competente dell’inchiesta fu sempre la  Procura militare della Repubblica di Verona.

Le vittime:

  •  BETTA, Vittorio
    Castello di Fiemme, 16 giugno 1927-2 maggio 1945. Operaio. Nel dopoguerra, la Commissione patrioti gli riconobbe la qualifica di patriota e un assegno di 20 mila lire ai familiari.
  • CORRADINI, Ciro
    Castello di Fiemme, 23 luglio 1926-2 maggio 1945. Operaio. Nel dopoguerra, la Commissione patrioti gli riconobbe la qualifica di patriota e un assegno di 20 mila lire ai familiari.
  • SEEBER, Amerigo
    Castello di Fiemme, 19 febbraio 1908-2 maggio 1945. Falegname, sposato con due figli. Nel dopoguerra, la Commissione patrioti gli riconobbe la qualifica di patriota e un assegno di 20 mila lire ai familiari.
  • RINGLER, Ernesto

il ripiegamento tedesco e l’ormai imminente conclusione del conflitto spinsero partigiani, ex militi del CST e civili ad azioni avventate contro le colonne tedesche in ritirata, come nel caso di Ziano di Fiemme.

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Qui, l’annuncio della conclusione delle ostilità nel tardo pomeriggio del 2 maggio fu accolto con manifestazioni di gioia tanto che il parroco dispose di suonare le campane a festa: quasi immediatamente, però, intervennero i partigiani del GAP di Ziano, inquadrato nella Brigata autonoma Benacense, che organizzarono un posto di blocco per fermare i mezzi e i soldati tedeschi che attraversavano il paese in direzione di Predazzo. Coadiuvati da diversi civili (o «partigiani dell’ultima ora»), i patrioti cominciarono a disarmare i militari germanici che, rapidamente, raggiunsero il numero di 200.

Autunno 1943 La banda partigiana di Bosco Martese comandata da Armando Ammazzalorso

L’azione dei «ribelli» fu ben presto interrotta, però, dall’arrivo di un autoblindo che, proveniente da Cavalese, cominciò a sparare verso l’interno dell’abitato: durante questa prima sparatoria, rimasero feriti due soldati tedeschi e tre italiani, mentre il partigiano Raffaele Vanzetta e un civile, Battista Zorzi, rimasero uccisi. Intorno alle 21, giunse sempre da Cavalese un reparto misto paracadutisti/SS che si dispose per un vero e proprio assalto al centro abitato secondo modalità collaudate: fuoco di sbarramento su porte e finestre degli edifici, rastrellamento degli uomini e loro eventuale soppressione.

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In occasione di questo secondo conflitto a fuoco, i partigiani non erano più presenti, pertanto i soldati tedeschi scatenarono la loro rabbia contro i civili, un’operazione che si svolse su due livelli: catturare un certo numero di ostaggi (donne e bambini) e individuare e distruggere gli edifici da cui si presumeva avessero sparato i patrioti. Nel corso di questo secondo assalto, persero la vita sette civili mentre altri 11 rimasero feriti: l’azione militare germanica si concluse intorno alle 22.30-23.00 della sera.

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Il giorno dopo, 3 maggio, tra le 9.00-9.30 del mattino, una nuova colonna di soldati, accompagnata da autoblindo armate con cannoni antiaerei da 20 mm, giunse sempre da Cavalese: i militari rastrellarono le autorità civili e religiose e gli uomini del paese.

Accusati di aver partecipato agli scontri del giorno prima, furono messi tutti al muro del cimitero sotto minaccia di fucilazione, mentre un ufficiale medico, accompagnato dal parroco e dal segretario comunale, ispezionava il borgo alla ricerca di partigiani e di depositi d’armi. Allo stesso tempo, i soldati approfittarono della situazione terrorizzando la popolazione e saccheggiandone le abitazioni.

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Il 3 maggio si contarono altre tre vittime. Alla fine, i tedeschi imposero il coprifuoco e lasciarono una guarnigione di un centinaio di militari che rimase fino alle 22 della sera, ripristinando la sicurezza e la viabilità di un importante via di transito in direzione di Predazzo.

Nelle sue diverse fasi, il paese di Ziano fu investito da reparti misti composti da SS e paracadutisti provenienti da Cavalese. Si deve presumere che i militari di queste unità dipendessero dalle due scuole d’addestramento che le autorità germaniche avevano organizzato nelle caserme abbandonate dalla Guardia di finanza di Predazzo all’indomani dell’8 settembre 1943: dal luglio 1944, i locali precedentemente occupati dai militari italiani furono presi in consegna dai tedeschi e assegnati alla Scuola di guerra alpina delle Waffen-SS (Gebirgskampfschule der Waffen-SS) frequentata dal Gruppo di combattimento (Kampfgruppe) Schintlholzer.

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Secondo quanto riportato da Carlo Gentile nel suo elenco delle truppe tedesche presenti in Italia tra il 1943 e il 1945, nell’aprile 1945, gli alloggi militari di Predazzo ospitavano anche il 2. Gruppo addestrativo paracadutisti (Lehrgruppe 2.) presso la Scuola d’alta montagna Predazzo (SS-Hochgebirgsschule Predazzo).

Nel caos delle giornate conclusive del conflitto, con le strade intasate da militari appartenenti alle più diverse Armi e Corpi, nonché di diversa nazionalità, resta ancora un margine d’incertezza sui responsabili dei fatti avvenuti a Ziano di Fiemme il 2-3 maggio 1945.

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La memoria divisa (o meglio segmentata) di Ziano, sin dall’inizio, contrappose i partigiani ai civili sopravvissuti. In qualche modo, però, anche il parroco e il segretario comunale furono ritenuti responsabili di non aver impedito l’azione di disarmo a danno dei tedeschi e di aver fornito agli ufficiali nazisti l’elenco di coloro che poi furono messi al muro come ostaggi (3 maggio): anzi, nei mesi successivi, le accuse maggiori furono rivolte proprio contro di loro.

Nei ricordi dei testimoni, ancora oggi le responsabilità non solo dei tedeschi ma degli stessi civili, che parteciparono all’azione del 2 maggio, sono più sfumate e meno rilevanti rispetto a quelle dei patrioti e delle autorità del paese. Una parte della popolazione e lo stesso segretario comunale furono poi concordi nell’accusare i partigiani, non solo per l’azione del 2 maggio, ma per averla compiuta sulla spinta di interessi personali, cioè quello di recuperare gli automezzi tedeschi per poi riutilizzarli nelle loro attività imprenditoriali del dopoguerra.

3. Il rastrellamento del 2 luglio

Le vittime:

  •  VANZETTA, Francesco
    Ziano di Fiemme, 31 dicembre 1861-2 maggio 1945. Contadino. Morì per infarto durante l’azione compiuta dai tedeschi a Ziano.
  • .VANZETTA, Francesco
    Ziano di Fiemme, 7 settembre 1884-3 maggio 1945. Messo comunale, sposato con quattro figli. Inviato a comunicare alla cittadinanza la tregua che si era stabilita in paese, fu ucciso da una sventagliata di colpi esplosi da una mitragliatrice tedesca. Nel dopoguerra, ottenne la qualifica di patriota.
  • ZORZI, Antonio
    Ziano di Fiemme, 5 agosto 1875-2 maggio 1945. Fabbro, sposato con una figlia. Ucciso dai soldati tedeschi durante l’attacco a Ziano, mentre cercava di liberare il bestiame dalla stalla dov’erano custoditi per paura di un incendio.
  • ZORZI, Battista
    Ziano di Fiemme, 27 gennaio 1900-2 maggio 1945. Ferroviere. Rimase ucciso durante la sparatoria svoltasi tra patrioti e tedeschi nel centro di Ziano.
  • ZORZI, Benedetto
    Ziano di Fiemme, 3 giugno 1892-2 maggio 1945. Pescatore, sposato con quattro figli. Il 2 maggio fu trascinato fuori dalla propria abitazione assieme al figlio Tarcisio e giustiziato.
  • ZORZI, Giulia
    Ziano di Fiemme, 13 gennaio 1877-2 maggio 1945. Casalinga. Rimase uccisa durante l’azione di rastrellamento germanica mentre si affacciava alla finestra della sua abitazione per rendersi conto di ciò che accadeva in strada.
  • ZORZI, Margherita
    Ziano di Fiemme, 3 febbraio 1867-2 maggio 1945. Casalinga, vedova con una figlia. Durante l’attacco tedesco del 2 maggio, rimase uccisa mentre chiudeva una delle finestre della sua abitazione.
  • FONTANA, Egidio
    Rovereto, 28 ottobre 1922-Ziano di Fiemme, 3 maggio 1945. Operaio. Renitente alla leva, era stato arrestato dalla polizia germanica nel luglio 1944 e deportato in un campo di concentramento in Germania, facendo ritorno a Ziano nei momenti finali del conflitto. Durante l’occupazione tedesca del paese, fu ucciso senza motivo apparente in seguito a una raffica di mitra sparata a casaccio dai militari tedeschi. Nel dopoguerra, il padre ottenne che gli fosse riconosciuta la qualifica di patriota.
  • GIACOMUZZI, Antonio
    Ziano di Fiemme, 20 dicembre 1923-3 maggio 1945. Operaio. Incappato nel rastrellamento tedesco del 3 maggio, fu inserito in un gruppo di ostaggi e tenuto prigioniero sotto minaccia di fucilazione per diverse ore: nella tarda serata, furono tutti liberati tranne Antonio che fu condotto fuori dal paese, fucilato e abbandonato in una fossa antimitragliamento. Nel dopoguerra, ottenne la qualifica di patriota.
  • SIEFF, Vito
    Ziano di Fiemme, 13 ottobre 1916-4 maggio 1945. Segantino. Soldato nella 5. Sezione sussistenza della Divisione di fanteria Acqui, partecipò alle operazioni belliche sul fronte occidentale, sul fronte greco-albanese e sull’isola di Cefalonia. Sbandato dopo l’armistizio dell’8 settembre, rientrò fortunosamente a Ziano. Dal giugno 1944 al maggio 1945, partecipò all’attività resistenziale inquadrato nella Brigata autonoma Benacense. Morì in seguito alle ferite riportate nello scontro con le truppe tedesche.
  • VANZETTA, Raffaele
    Ziano di Fiemme, 10 settembre 1920-2 maggio 1945. Insegnante elementare. Membro del GAP di Ziano, nell’organico della Brigata autonoma Benacense, fu ferito a morte durante la sparatoria tra patrioti e tedeschi.
  • ZORZI, Tarcisio
    Ziano di Fiemme, 29 novembre 1925-2 maggio 1945. Operaio. Il giovane era rientrato a casa dopo aver prestato servizio nel Corpo di sicurezza trentino (CST). Il 2 maggio fu trascinato fuori dalla sua abitazione assieme al padre e ucciso. Il comandante del GAP di Ziano attestò la sua appartenenza alla formazione di patrioti.
  • ZORZI, Valentino
    Ziano di Fiemme, 20 febbraio 1920-2 maggio 1945. Operaio, sposato. Membro del GAP di Ziano, fu ferito mortalmente durante lo scontro con i militari tedeschi.

Molto spesso, le colonne in ritirata tedesche attraversarono i paesi sventagliando raffiche di mitragliatrice e di fucileria: si trattava di un’azione preventiva che mirava a terrorizzare la popolazione e dissuadere eventuali attacchi da parte di partigiani e patrioti, presumibilmente nascosti negli edifici.

Telve Valsugana

Telve Valsugana

Intorno alle 7 del mattino del 2 maggio 1945, Riccardo Trentin fu ucciso a Telve Valsugana «senza alcun motivo da militari tedeschi in ritirata»; un’ora dopo, la stessa sorte toccò alla diciottenne Bianca Maria Dallebaste mentre si trovava nella frazione Fratte di Telve Valsugana. Durante la permanenza a Telve, alcuni civili furono derubati dai soldati tedeschi.

Nel corso della prima mattinata del 2 maggio, intorno alle 6 del mattino, il reparto responsabile dell’uccisione dei due civili fu probabilmente protagonista del furto e del saccheggio a danno di alcuni civili. 1) DENICCOLÒ, Leopoldo Castelnuovo Valsugana, 8 aprile 1905. 2) SARTORI (e non SASTORI), Pietro Nove di Bassano (Vicenza), 8 giugno 1909.

Stramentizzo. Il corpo di Francesco Marchetti, un soldato di Tesero arruolato nelle ferrovie germaniche, e che era riuscito a fuggire ai tedeschi. Lo hanno ucciso mentre entrava nel bosco

le vittime:

  • DALLEBASTE, Bianca Maria
    Telve Valsugana, 29 maggio 1927-Fratte di Telve Valsugana, 2 maggio 1945. Casalinga.
  • TRENTIN, Riccardo
    Telve Valsugana, 11 ottobre 1890-2 maggio 1945.

Nel primo pomeriggio del 2 maggio, Andrea Laiolo (Amedeo Lajolo) stava giocando con alcuni amici lanciando sassi da un dirupo nei pressi del paese di Trambileno quando un’improvvisa raffica di mitragliatrice, sparata da un soldato di un reparto SS presente nella zona, lo uccise ferendo altri due bambini.

Stramentizzo. Il partigiano Silvio Largher di Molina di Fiemme

La vittima:

  • LAIOLO (LAJOLO), Andrea (Amedeo)
    Torino, 23 giugno 1936, Spino di Trambileno, 2 maggio 1945. Sfollato con la famiglia a Vanza di Trambileno, paese natale della madre, fu ucciso senza motivo da un soldato SS di un reparto presente in zona. Alla richiesta di risarcimento presentata dalla madre alla Commissione patrioti è allegata una dichiarazione dell’ANPI, che attribuisce al bambino il ruolo di staffetta portaordini.

 

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1 risposta a LA RESISTENZA IN TRENTINO – 28

  1. Chris scrive:

    FONTANA, Egidio
    Rovereto, 28 ottobre 1922-Ziano di Fiemme, 3 maggio 1945. Operaio. Renitente alla leva, era stato arrestato dalla polizia germanica nel luglio 1944 e deportato in un campo di concentramento in Germania, facendo ritorno a Ziano nei momenti finali del conflitto. Durante l’occupazione tedesca del paese, fu ucciso senza motivo apparente in seguito a una raffica di mitra sparata a casaccio dai militari tedeschi. Nel dopoguerra, il padre ottenne che gli fosse riconosciuta la qualifica di patriota.

    …mi ha colpito personalmente leggere questa tragedia, che poteva succedere pure me se fossi stato piu’ vecchio di qualche anno.

    Nato da madre italiana in provincia di BS e di padre apolide, fui considerato anche io apolide. A due anni di eta’, senza passaporto (rifiutato) ci trasferimmo in America a NY,
    ” without passport (WOP)” dove a 8 anni con il resto della famiglia ottengo la cittadinanza Americana.

    Dopo anni, la famiglia ritorna in Italia come cittadini stranieri (decisione stupida) , e a 18 anni mi decido di arruolarmi nel esercito Americano piuttosto che rimanere in un paese che non ha mai riconosciuto la cittadinanza di mia madre (e anche lei e’ diventata apolide quando ha sposato mio padre).

    A 18 anni e sei mesi vengo considerato renitente alla leva italiana con condanna di arresto immediato. Questo duro’ per ben 6 anni, con il mio nome registrato nel comune come un criminale. Per fortuna era il periodo dopo la guerra e i maledetti fascisti e nazisti non c’erano piu’.

    Oggi mia figlia, nata in America, cittadina Americana, potrebbe richiedere tramite il consolato italiano, cittadinanza italiana perche’ sua nonna era italiana (???!!!), perche’ nata in italia. E’ ovvio quello che le ho suggerito di fare, o meglio di non fare.

    Gli italiani sono sempre state persone esemplari dovunque emigrati, ma in italia le leggi e il governo rimangono un disastro continuo.

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