a cura di Cornelio Galas
Paride Brunetti “Bruno” aveva dotato la brigata “Gramsci” di un’organizzazione burocratica imponente, con varie sezioni operative, scuola allievi comandanti, perfetti collegamenti anche telefonici, addestramento militare impeccabile, come constatò anche Mario Bernardo “Radiosa Aurora”. A Pietena si pubblicava un periodico ciclostilato: “Fazzoletto Rosso”.
I villaggi della zona pedemontana facevano pervenire tutti i giorni, a turno, il pane necessario. La “Gramsci” era la più grossa brigata d’Italia con un migliaio di partigiani e con ben 89 staffette. Fu anche l’unica formazione che combatté direttamente contro i tedeschi.
Nella relazione al Comando di Padova, riguardo a “Bruno”, Tilman scrisse nel giugno del 1945:
“Il suddetto comandava la brigata partigiana Gramsci quando lo incontrai nel 1944. La mia missione inglese rimase con la brigata per un mese fino al 30 settembre, quando la brigata venne dispersa da un’azione tedesca. Durante questo periodo egli ci dette tutta l’assistenza e l’aiuto di cui era capace.
L’organizzazione della brigata di cui era comandante era eccellente e benché lavorasse in condizioni difficilissime, i metodi impiegati dal suo Quartier Generale erano da paragonarsi a quelli di una regolare formazione dell’Esercito. Era evidente che “Bruno” era molto rispettato dai suo uomini quale capo e amico. Sotto il suo comando era la compagnia “Churchill” formata da una dozzina di prigionieri britannici evasi e anche loro esprimevano grande rispetto per “Bruno”.
Durante l’azione tedesca la brigata si trovò in grandi difficoltà data la mancanza di armi e munizioni. “Bruno” tentò una resistenza sulla cima della montagna su cui si trovava e si dimostrò di grande coraggio dinanzi al nemico.
Benché il suo tentativo fosse frustrato, fu ugualmente di grande valore, ritardando l’effetto dell’azione e dando perciò la possibilità alla brigata di sganciarsi da una difficile posizione, A mio parere è un ottimo ufficiale con un buon senso militare. Dopo il 4 ottobre 1944 “Bruno” assunse un altro incarico con un Comando Partigiano Superiore e non avemmo altri contatti con lui”.
“Bruno” non aveva certo appreso gli elementi della guerriglia all’accademia di Torino, ma seppe subito fare proprie tutte le nuove forme di lotta per addestrare le sue truppe contro un imponente esercito sempre ben fornito e bene armato. Nell’autunno 1943 era stato incaricato di portare in salvo Concetto Marchesi, il grande latinista, rettore dell’Università di Padova, al quale veniva data una caccia spietata dopo il famoso proclama ai suoi studenti contro il nazifascismo.
Tra mille peripezie, eludendo continui controlli, “Bruno” lo aveva accompagnato a Milano consegnandolo nelle mani di Ezio Franceschini, insegnante e poi rettore dell’Università Cattolica. In quella occasione era stata presentata al futuro comandante della “Gramsci” una giovane, Sandra Malaman, allieva appena laureata del professor Marchesi. Dopo la guerra Sandra diverrà la moglie di “Bruno” e Concetto Marchesi verrà eletto deputato all’Assemblea Costituente nelle fila del Pci.
Nell’ottobre del 1944 il comando della “Gramsci” si trasferì in Val Canzoi. Le capacità del comandante “Bruno” sono dimostrate dal rapporto fra perdite subite e inflitte. Durante il rastrellamento del settembre nella sua brigata ci furono solo due caduti. Bruno trasferì nella lotta partigiana l’esperienza della campagna di Russia: a Kantermirowka era riuscito a portare in salvo tutta la sua batteria contraerea, e per questo gli venne conferita la Medaglia di Bronzo. Per la sua attività nella Resistenza ebbe poi quella d’Argento.
Raggiunse la “Gramsci” anche un gruppo di emiliani con i quali i rapporti non furono idilliaci. Questi rinfacciavano a “Bruno” di essere stato a combattere contro la Russia a fianco dei nazisti. Edoardo de Bortoli “Carducci”, invece, cattolico e democristiano, che combatté tra i garibaldini e fu comandante del battaglione, poi brigata “Monte Grappa”, negli ultimi mesi di guerra dovette respingere le accuse, da parte dei suoi compagni di partito, di essere “democristiano assoggettato ai comunisti”.
“La notte del 9 maggio 1944 – scrisse “Carducci” in una lettera dell’aprile ’45 – i tedeschi mi catturarono e mi imprigionarono nelle carceri di Belluno. Ma la notte del 15 giugno i “Fazzoletti Rossi” fecero irruzione nelle carceri e mi liberarono. Vi preciso che in quella notte i garibaldini non selezionarono i partiti, ma ci liberarono tutti: eravamo in 74. Andiamo oltre. L’allora brigata “Garibaldi” trasferì in Pietena il distaccamento “Boscarin”: lo raggiunsi.
Lassù c’erano “Bruno” e “Cimatti”, Salvatore Ferretto, commissario politico, con pochi uomini. Quando vidi quel nucleo di uomini retti e coraggiosi, mi sentii attratto a loro, sentii che in quel gruppo avrei trovata comprensione e lealtà”.
“Carducci” non potrà seguire le polemiche, ancora più accese, sorte tra i vari partiti a guerra finita: morirà il primo maggio 1945, ad Arsié, combattendo contro i nazisti. Era nato ad Aune (Sovramonte) nel 1915. A lui saranno intitolate tutte le formazioni che si riorganizzarono in quei giorni e lo stesso battaglione “Monte Grappa”.
Durante il mese di giugno 1944 anche alcuni ex militari del Tesino si misero in contatto con il comandante “Bruno” per avere distaccata una compagnia in Trentino. C’era bisogno di tenere uniti i reduci, i renitenti e i “disertori” sempre più numerosi.
Fra il Tesino e le Vette Feltrine avevano fatto la spola il presidente del Cln di Castello Tesino, Riccardo Fattore “Lina” e Alberto Ognibeni “Leda”, ufficiali degli Alpini, come pure Celestino Marighetto “Renata” e Rodolfo Menguzzato “Menefrego”. Furono loro a indicare Costabrunella quale sede del Comando.
Molti Alpini reduci dai vari fronti (Montenegro, Grecia, Jugoslavia e specialmente Russia), si ritrovarono a combattere contro i nazisti. Furono la struttura portante della Resistenza anche perché avevano avuto modo di conoscere d vicino la “lealtà” nazista.
Gli “alleati” tedeschi, durante la drammatica ritirata dal fronte russo, si erano rivelati per quello che erano. “Negarono sempre agli italiani ogni aiuti, s’impadronirono degli autocarri disponibili a abbandonarono perfino i nostri feriti senza mezzi di trasporto, senza viveri e senza le indispensabili cure”, si legge in una relazione dello Stato Maggiore italiano.
Lo scrittore Nuto Revelli, ufficiale degli Alpini sul Don, confessò: “Senza l’esperienza in Russia, all’8 settembre mi sarei forse nascosto come un cane malato”. C’erano tre strade da seguire: scappare e tornarsene a casa, combattere a fianco dei tedeschi o scegliere di lottare con quella parte d’Europa che da anni combatteva contro il nazismo”, affermò Paride Brunetti.
Gigi Doriguzzi in un’intervista rilasciata a Ferruccio Vendramini ebbe a dichiarare: “La Resistenza per me è stato un fatto risorgimentale, una continuazione della lotta patriottica. Se ombre ci furono, furono dovute all’entusiasmo giovanile di taluni”. E concluse: “Per i giovani d’oggi, che non hanno conosciuto il clima d’oppressione fascista, non è semplice comprendere i valori che allora ci animavano.
E’ sbagliato anche che le varie forze politiche tentino di monopolizzare la Resistenza, che invece appartiene a tutto il popolo, per lo meno alla parte migliore di esso”.
I giovani del Tesino che chiedevano una formazione della “Gramsci” sul loro territorio furono ben presto accontentati, anche perché a Pietena avevano bisogno di espandersi: procurare viveri, vestiario e armi per un migliaio di persone cominciava a diventare un problema. Dopo circa un mese di addestramento e di studio della zona, la nuova compagnia era pronta a partire al comando di Isidoro Giacomin “Fumo”. Fu intitolata a Giorgio Gherlenda “Piuma”.
Questi era nato a Loreggia (Padova) nel 1920. Dopo aver frequentato le scuole a Camposantiero, Este, Padova e Torino, nel 1941 era stato spedito in Russia con il Csir (Corpo Spedizione Italiana in Russia) al comando del generale Giovanni Messe. Si comportò da valoroso, tanto da meritarsi la promozione ad Aiutante Maggiore.
Pur ferito, passò da un fronte all’altro sul Volga, sul Mar Nero e sul Baltico. Al ritorno scelse la lotta armata nella Resistenza ed entrò nella “Gramsci” sulle Vette Feltrine. Partecipò a varie azioni a Fonzaso e il 15 luglio 1944, con Paride Brunetti “Bruno” e altri partigiani, mise fuori uso il trasformatore elettrico della Metallurgica di Feltre, dove, oltre a pezzi di ricambio per aerei da caccia “Messerschmitt”, venivano costruiti gli involucri delle V1 e delle V2. Il 2 agosto, stava rientrando da una missione nel Primiero.
La missione aveva l’obiettivo di liberare la moglie di un generale tedesco che aveva partecipato alla congiura per l’attentato del 20 luglio precedente a Hitler e stabilire contatti con il Cln locale.
Va detto che la signora in questione era una baronessa, sembra, di origine polacca, piantonata dai tedeschi in un albergo di S. Martino di Castrozza. “Piuma”, “Nazzari” e “Cristallo” riuscirono a contattarla, ma lei non volle seguirli ed essere liberata per solidarietà con il consorte. “Bruno” in quell’occasione, fu intercettato dai tedeschi assieme ad Alvaro Bari “Cristallo” e a Gastone Velo “Nazzari”.
Dopo essere stato torturato alla caserma Zannettelli di Feltre, venne fucilato con Alvaro Bari sul ponte di Cesana (Lentiai) il 5 agosto 1944. Ricorda la signora Angelina Cibien, che abita in prossimità del ponte sulla sinistra del Piave, che le due salme furono viste affiorare da alcuni ragazzi il giorno seguente. Vennero i parenti a portarsi via i corpi dei congiunti.
Severino Bottegal “Scaglia” (nato nel 1925 a Cergnai, Santa Giustina) partecipò a varie azioni con Giorgio Gherlenda. Fu lui a segnalare un documento depositato in fotocopia presso gli archivi: “Niedermayer Guglielmo chiamato Willy (…) imputato del delitto di omicidio aggravato e continuato (…) per avere in correità con altri (…) il 5 agosto 1944, agendo con crudeltà verso le persone arrestate, concorso all’uccisione dei Partigiani Bari Alvaro e Gherlenda Giorgio (…).
Dalla sentenza penale del procedimento contro Guglielmo Niedermayer della Sezione Speciale della Corte d’Assise di Belluno, Presidente dott. Giuseppe Girotto.
Niedermayer fu accusato inoltre di collaborazionismo, di saccheggio, di omicidio, di sevizie crudeli verso arrestati e di furto. Molte furono le denunce a suo carico. Quale prigioniero e criminale di guerra venne internato in un campo di concentramento di Rimini dal quale riuscì a fuggire.
Il Tribunale di Belluno non poté emettere alcuna sentenza, pur in contumacia dell’imputato, perché avendo il Niedermayer nel 1939 optato per la Germania “era da considerare cittadino tedesco “invasore” e quindi non perseguibile da un Truibunale civile. Le carte furono trasmesse al Procuratore militare di Venezia. Niedermayer era un albergatore di Appiano (Bolzano), nato nel 1913.
Dei tre catturati nel Primiero, in località Pontét, presso Imer, solo “Nazari” riuscì a fuggire scardinando la porta della sua cella nella notte tra il 4 e il 5; cercò le celle dei due compagni ma erano vuote. Egli porterà le conseguenze delle torture e percosse subite per quasi tre mesi, cioè fino alla morte.
Al comando della nuova compagnia era candidato anche Giancarlo Zadra “Riga”, ma alla fine la scelta cadde su “Fumo”, sottotenente del 7° reggimento Alpini battaglione “Feltre” con esperienze di comando, avendo frequentato la Scuola Militare Alpina di Aosta, anche perché era di due anni più anziano. Aveva conseguito il diploma magistrale a Rovigo, ospite di uno zio.
La compagnia partì avvantaggiata dal fatto di aver precedentemente predisposto una rete di collaboratori e di informatori sul posto. Partirono la domenica pomeriggio del 21 agosto 1944, mentre era in arrivo un furioso temporale. Il comandante “Bruno” abbracciò “Fumo” e salutò tutti uno a uno gli altri ventotto. “La partenza fu come una festa: i compagni che rimanevano ci invidiavano; saluti, abbracci e auguri erano il nostro viatico”, scrisse “Fumo” nella sua relazione su quei quattro giorni di marcia di trasferimento.
Questi i ventinove in partenza:
Gli ultimi sei non sono identificabili: spesso i ruolini e le schede personali venivano distrutti, specie in caso di rastrellamenti, per evitare che tutto cadesse in mano ai tedeschi. Per ragioni di sicurezza, nelle varie formazioni i partigiani si dovevano chiamare esclusivamente con il nome di battaglia, anche se si conoscevano personalmente.
Era guardato con sospetto chi cercava di indagare sul nome e cognome o su altri dati riguardanti i compagni. Inesistenti o rarissime anche le fotografie, naturalmente.
Da notare che anche nella formazione “Gherlenda” furono adottati nomi femminili, per camuffarsi ulteriormente. E che il nome di battaglia poteva cambiare, a volte, nel passaggio da un raggruppamento all’altro. I comuni della zona operativa della nuova compagnia saranno Primiero, Canal San Bovo, Tesino, Strigno, Grigno, Borgo Valsugana e Roncegno, con qualche puntata su Pergine e la Valle dei Mocheni.
A quel tempo, stando ai dati dei residenti nel 1936, gli abitanti compresi nel territorio della compagnia erano circa 38 mila. Vari comuni erano stati aggregati dal fascismo negli anni 1927 – 1928: tra il 1946 e il 1947 torneranno alle loro autonomie. Al Comune di Borgo erano stati aggregati Carzano, Castelnuovo, Telve, Telve di Sopra, Torcegno e Ronchi per un totale di 9.597 abitanti (mentre al 31 gennaio 1943 erano 10.130).
A Strigno erano stati aggregati Ivano Fracena, Samone, Scurelle, Spera e Villa Agnedo: contava complessivamente 4.701 abitanti. Grigno con Ospedaletto 3.766; Roncegno 3.201, Novaledo 905, Castello Tesino 2.643, comprese le frazioni di Cainari, Coronini, Lissa, Molini, Roa e Franza.
A Pieve Tesino, che comprendeva già la frazione di Pradellano, erano stati aggregati i comuni di Bieno e Cinte Tesino per un totale di 2.595 abitanti. Mezzano, con le frazioni di Molaren e Lozen, assieme a Imer con le frazioni di Masi, Pontét (o Monte Croce), Casa Bianca, Sass Maor e Giare, aveva 2.505 abitanti. Il Comune di Primiero 4.542, con Siror, Fiera di Primiero, Sagron Mis, Tonadico, Transacqua, San Martino di Castrozza.
Canal San Bovo rimase con tutte le sue frazioni: Caoria, Canale, Gobbera, Ronco-Chiesa, Zortea con Mureri, Cicona, Prade, Filippi, Fosse, Gasperi, Lausen, Revedea e Pugnai. Complessivamente 3.217 abitanti. Troveranno rifugio e viveri nella Valle del Vanoi alcuni combattenti e gruppi di inglesi fuggiti dai campi di concentramento dopo l’8 settembre o sfuggiti dai rastrellamenti del Monte Grappa e delle Vette Feltrine.
Stante la mancanza di statistiche precise in questo senso, risulta impossibile risalire all’estrazione sociale dei membri del “Gherlenda”. Si può però presumere che la ricerca effettuata sulla brigata “Gramsci” (operai 430, contadini 110, studenti 50, artigiani 55, impiegati 50, commercianti 30, intellettuali 10, casalinghe 6, incerti 43) possano essere consideranti probanti per la realtà degli altri battaglioni, compreso il “Gherlenda”.
C’erano naturalmente anche “perteganti”, ossia venditori porta a porta in terre lontane, della zona del Tesino, e “cròmeri”, venditori ambulanti, e pastori specialmente della zona di Lanon. Nel 1943, anno precedente alla sua partecipazione alla lotta armata, Ancilla Marighetto “Ora”, come abbiamo visto nelle prime puntate, ad appena sedici anni era andata a Mortara (Pavia) a lavorare nelle risaie con la sorella Giacomina e altre ragazze di Castello Tesino. All’occasione ragazzi e ragazze del Tesino erano ingaggiati dalla Guardia Forestale per lavori di rimboschimento.
La compagnia “Gherlenda”, elevata al rango di battaglione nella seconda metà del settembre 1944 per meriti sul campo, fu la formazione della “Gramsci” che ebbe il più grande numero di caduti e deportati nei campi di sterminio. Considerando il numero ridotto dei militanti il suo contributo di sangue dato alla lotta di Liberazione fu altissimo.