HANS, HEINZ, RUDOLF … PARTIGIANI TEDESCHI IN ITALIA

a cura di Cornelio Galas

Nell’anno 2009 il Parlamento di Berlino ha votato una legge che cancella tutte le sentenze dei tribunali militari, concedendo la riabilitazione a disertori e “traditori” di guerra, cioè ai soldati della Wehrmacht che si ribellarono o mostrarono soltanto qualche dubbio sulla guerra del Terzo Reich, con il suo seguito di assassini, stragi, deportazioni.

Un ufficiale, Johann Lukaschitz, venne fucilato insieme a 76 soldati perché colpevole di organizzare riunioni in stile sovietico! Ma anche i civili potevano essere accusati di “Kriegsverrat”, cioè di tradimento, se solo aiutavano un ebreo, o confidavano a un amico che le cose andavano male.

Furono circa 100.000 le condanne ai lavori forzati, corrispondenti a circa l’1% dei militari tedeschi arruolati; e furono circa 20.000 le condanne a morte eseguite. Il Parlamento ha sancito che quelle sentenze furono ingiuste e ha restituito l’onore a quei militari. Almeno quello, così tardi…

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Anche in Italia – spiega il prof. Giancarlo Restelli, storico, autore di numerosi saggi su questo ed altri argomenti – ci sono stati casi di militari tedeschi che si unirono alla Resistenza: nella Zona libera della Carnia si formò un intero battaglione, il Freies Deutchland Batallion, che si unì alle divisioni garibaldine “Carnia” e “Val But” e alla fine della guerra aiutò gli Alleati a ritrovare dei criminali di guerra nazisti fra la folla di soldati tedeschi che si dirigevano verso l’Austria.

A La Spezia il capitano di Marina Rudolf Jacob si unì alla Brigata Garibaldi “Ugo Muccini” e ad Albinea, in Emilia, il maresciallo Hans Schmidt con altri quattro commilitoni scelse di aiutare i partigiani. Tutti quanti furono uccisi.

Nella Germania postbellica, per decenni, i disertori e i “traditori” sono stati considerati dei “criminali” non solo di fronte alla legge ma anche di fronte all’opinione pubblica: molti di loro, che avevano passato anni nei lager ed erano sopravvissuti con il fisico distrutto da privazioni e malattie, hanno condotto una vita da reietti, resa più difficile dal fatto che molti lavori erano loro preclusi, imponendo indirettamente un destino di povertà, aggravata da insulti e malevolenza.

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Negli anni novanta in Germania finalmente il vento cambia: secondo i sondaggi allora realizzati, il 90% dei tedeschi ritiene di dover “perdonare” quegli uomini, disertori e oppositori del regime nazista. Dovevano però passare ancora parecchi anni perché si addivenisse alla legge del 2009, che ha reso giustizia a chi volle restare dalla parte del giusto.

Già, tra i protagonisti dimenticati c’è un capitolo, del tutto ignorato finora dalla storiografia italiana oppure fortemente sottovalutato: la presenza nella Resistenza italiana di disertori tedeschi.

L’unico storico che finora ha parlato di questo fenomeno è stato Roberto Battaglia in un testo del 1960 scritto in tedesco e pubblicato in Austria e mai tradotto in Italia: il titolo è “Deutsche partisanen in der italienischen Widerstandsbewegung” (“Partigiani tedeschi nella Resistenza italiana”).

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In esso Battaglia sostiene che (citazione) «la partecipazione di partigiani stranieri alla resistenza italiana, sia di singoli che di gruppi, è stata forte e significativa»: oltre ai prigionieri di guerra russi, jugoslavi, inglesi, francesi, austriaci, cecoslovacchi e di altre nazionalità – continua Battaglia – fuggiti dai campi di prigionia o dalla squadre di lavoratori forzati, c’erano anche quelli «che stavano dall’altra parte», nella Wehrmacht, ma che avevano disertato per passare con i partigiani italiani.

Continua Battaglia: «il passaggio di tedeschi nelle file del movimento di resistenza italiano non si è limitato a singoli casi ma ha raggiunto dimensioni considerevoli […] ed è chiaramente dimostrata in tutte le zone del Nord Italia, senza eccezione, la presenza di tedeschi nelle principali bande partigiane e nei luoghi degli scontri più duri».

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Anche solo uno sguardo alla numerosa memorialistica conferma la presenza di tedeschi in molte formazioni partigiane. Si trovano infatti testimonianze anche in Toscana, Umbria, Trentino, Friuli, Lombardia, ma molti di loro sono rimasti senza nome, caduti o passati per le armi nel corso dei combattimenti.

Dopo Roberto Battaglia a narrare quest’altra espressione della resistenza tedesca sono stati  due storici di Friburgo, Wolfram Wette e Detlef Vogel, “Das letzte tabu” (“L’ultimo tabù”).

Secondo i due studiosi durante la Seconda guerra mondiale sono stati ben centomila i soldati tedeschi disertori,ventimila dei quali sono stati condannati a morte e più della metà fucilati, impiccati, garrotati o ghigliottinati, e tra questi “disertori” ci sono anche quelli passati con la resistenza italiana.

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Dei centomila disertori molti erano comunisti, socialisti, democratici e provenivano dalle file del proletariato.

Secondo il settimanale “Der Spiegel”, il libro di Wette e Vogel è l’unico libro uscito finora in Germania sull’argomento, scoprendo un «tabù» che durava dalla fine della guerra. In Germania, infatti, dopo il ’45 nessuno aveva mai parlato dei disertori tedeschi.

Solo nel 2002 il parlamento ha riabilitato una parte dei condannati per reati minori: non i kriegsverräter (traditori in guerra), tra i quali molti disertori passati dalla parte della resistenza nei vari paesi occupati.

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La presenza di partigiani tedeschi è visibile un po’ in tutti i movimenti di resistenza europei: in Grecia, Polonia, Russia, Italia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Francia, Norvegia, ecc. I due ricercatori parlano di 1.000 combattenti tedeschi in Francia, 600 in Jugoslavia, 600 in Grecia e 100 in Polonia.

Difficile calcolare il numero di disertori tedeschi nelle fila dei partigiani italiani. Dal 1943 al 1945 l’esercito tedesco schierava in quel momento dai 10 ai 12 milioni di uomini in Europa.

Assumendo quindi il dato ufficiale di 100.000 disertori tedeschi, si tratta grosso modo dell’1%. Dato che in Italia in quel momento erano schierate 27 divisioni, circa 330.000 soldati, se vale la regola dell’1% parliamo di almeno 3.000 persone, di cui una parte si rese disponibile a combattere con i partigiani italiani.

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Anche se fossero stati solo 1000 combattenti saremmo davanti a un fenomeno significativo e simbolicamente importante.

Tra le maggiori unità combattenti potremmo ricordare il il Freies Deutchland  Bataillon – composto da disertori tedeschi, austriaci, cecoslovacchi – formarono  unità di guerriglia che combatterono contro le forze armate germaniche. Il Freies Deutchland Bataillon operò  assieme ai garibaldini delle divisioni Carnia e Val But a ridosso del confine con l’ Austria, in Alto Adige e nel Bellunese.

Un altro esempio di presenza di disertori tedeschi in Italia è un rapporto della polizia segreta tedesca la quale  segnala ad esempio che solo a Civitella, in provincia di Arezzo, si verifica nel luglio 1944 la diserzione di ben 721 soldati tedeschi. Probabilmente il motivo fu la strage degli abitanti di Civitella di pochi giorni prima (244 vittime).

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Tra i singoli combattenti In Italia val la pena ricordare due figure: Hans Schmidt e Rudolf Jacob.

Hans Schmidt era componente di una formazione politica comunista spazzata via da Hitler nel momento della presa del potere nel ‘33. Di professione impiegato durante la guerra è soldato nella Wehrmacht e impegnato in provincia di Reggio Emilia.

Forma un gruppo clandestino di soldati tedeschi e prende contatto con partigiani italiani per catturare ufficiali del suo esercito. Viene scoperto e fucilato con altri quattro suoi compagni.

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Rudolf Jacob è nato a Brema nel 1914 e per molti anni è ufficiale della marina mercantile. Chiamato sotto le armi, è capitano nella Marina tedesca dal 1938. Dall’autunno 1943  nell’Italia  occupata dai nazifascisti, è impegnato, dai primi del ’44,  a realizzare gli apprestamenti difensivi lungo la costa da La Spezia a Genova.

Prima ancora della diserzione sappiamo che Jacob fornì la popolazione della Spezia di viveri per aiutare molte persone che erano letteralmente affamate. A spingerlo più avanti alla diserzione sono probabilmente le efferatezze naziste in Italia che vede quotidianamente. Massacri e crudeltà ai danni della popolazione e dei partigiani. Entrò a far parte di una banda delle “Garibaldi”.

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Morì il 3 novembre del ’44 in una sfortunata azione di liberazione di alcuni partigiani italiani. Fu ucciso da reparti repubblichini a Sarzana.

A dimostrare il carattere spesso internazionale della Resistenza italiana è la composizione della squadra guidata da Jacob: l’azione è condotta da dieci uomini: Jakob, il suo attendente tedesco, un ex militare russo,uno jugoslavo e sei italiani.

Finita la guerra Jacob ebbe una medaglia d’argento al valore militare e a Sarzana una lapide nel luogo della sua uccisione ricorda il suo nome.

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Meritano  di essere ricordate le parole della lapide:

“Illuminato dalla dea Giustizia  Riscattato dalla soggezione al bestiale furore teutonico  Non defezione ma eroica rivolta portò il capitano della marina germanica Rudolf Jacob prima nelle file dei partigiani sarzanesi a immolarsi per l’Italia  per la libertà patria ideale  il 3 novembre 1944”.

Nella lapide si vede Jacob che uccide una piovra che giace ai suoi piedi. La piovra nazista.

La lapide fu voluta dall’amministrazione comunale di Sarzana nel 1953 in un momento non favorevole alle relazioni tra Italia e Germania se pensiamo che il maggiore SS Reder fu condannato all’ergastolo nel ’51 e il feldmaresciallo Kesselring fu prima condannato all’ergastolo in Italia nel ’48 e poi liberato nel ’52 per decisione della magistratura italiana.

Era facile in quel periodo odiare i tedeschi per quello che avevano fatto in Italia (stragi naziste) invece l’amministrazione di Sarzana si comportò diversamente.

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Johann Lukaschitz

Non è finita. Su Jacob abbiamo un libro di Luigi Faccini, “L’uomo che nacque morendo” del 2006 e un film con lo stesso titolo.

Anche la storia di Jakob è un’altra pagina nascosta della Resistenza tedesca e dopo tanti decenni queste vicende meritano di essere conosciute e divulgate.

Nella seconda guerra mondiale oltre 100 000 soldati tedeschi hanno disertato. Contro i disertori catturati la giustizia della Wehrmacht ha agito con spietata durezza : 22.750 cosiddetti disertori sono stati condannati a morte. Molti sono stati uccisi negli ultimi giorni di guerra.

Alla base della volontà di perseguire i disertori c’era anche l’immagine social-darwinista del disertore « pregiudizio per laWehrmacht ». Secondo un testo del giurista del diritto penale militare Erich Schwinge, di Marburgo, che prese posizione in seguito contro la riabilitazione dei disertori nella Repubblica federale tedesca, “I disertori sarebbero in gran parte minorati psicopatici”.

E cosi’ dettero la caccia ai disertori, fino agli ultimo giorni di guerra, la Wehrmacht, le SS e i civili. Ancora il 13 maggio 1945, in un campo di prigionieri degli Alleati nei pressi di Amsterdam, due disertori furono giustiziati dai loro compagni.

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Il numero dei soldati disertati in Italia aveva raggiunto dimensioni notevoli gà nell’estate 1944. Secondo un rapporto della polizia segreta del luglio 1944, nella zona di Civitella disertarono 721 soldati. Ci sono solo singoli documenti sulla frequenza delle diserzioni in Italia. Non esistono cifre attendibili circa le dimensioni della presenza di disertori tedeschi a fianco dei partigiani.

Uno dei disertori più noti in Italia è stato lo scrittore Alfred Andersch, che lascio’ la sua unità nell’aprile del 1944 e si fece arrestare dai partigiani nei pressi di Roma. Di questa decisione di disertare, delle sue riflessioni e delle sue paure egli riferisce nel suo libro « Le ciliege della libertà », apparso solo nel 1952.

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Dopo la sua diserzione fini’ prigioniero di guerra degli americani, arrivo’ in un campo per « Considered Anti-Nazis » e da li’ si impegno’ contro la Germania nazista. Nella sua inchiesta fra ex partigiani Battaglia arrivo’ a concludere: «che il passaggio di tedeschi nelle file del movimento di resistenza italiano non si limito’ a casi singoli ma raggiunse notevoli proporzioni».

«In tutte le regioni dell’Italia del nord, senza eccezioni, la presenza di tedeschi nelle principali formazioni partigiane è dimostrata (…) « Il partigiano Alberto Qualierni racconto’ a Battaglia : « Non ricordo più i loro nomi. Per quanto riguarda il motivo della loro diserzione, ricordo che raccontavano, quando avevano voglia di dire qualcosa, che la separazione (…) o la rovina della loro famiglia sotto le bombe li aveva convinti che questa situazione insopportabile, questa guerra (…) doveva finire ».

Altri, come l’attivista dei GAP con il nome di battaglia Enz, nato a Berlino, venivano da ambienti antifascisti. Enz, la cui famiglia era stata assassinata in campi di concentramento tedeschi, fini’ nelle grinfie delle SS e fu torturato a morte senza aver rivelato l’ubicazione delle posizioni dei partigiani.

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Primo Levi

A La Spezia il capitano della Marina da guerra Rudolf Jacobs aveva deciso di collaborare con i partigiani in seguito ai massacri pepetrati da truppe tedesche. Forniva informazioni già prima di passare alla Resistenza.

Nella tarda estate del 1944 si traferi’ nei pressi di Lerici, ma cadde già nel novembre dello stesso anno in combattimento con dei fascisti italiani. Il comune di Sarzana gli ha conferito la cittadinanza onoraria, la sua storia è stata documentata in libri e simposi e resa accessibile all’opinione pubblica italiana.

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Rudolf Jacobs

In Germania, invece, Jacobs è generalmente sconosciuto. Heinz Riedt (nato nel 1919) trovo’ il modo di sottrarsi al servizio nella Wehrmacht. Convinse un medico militare a riformarlo. Quindi si iscrisse all’università di Padova. Si uni’ al gruppo di partigiani di Otello Pilghin, vicino a Giustizia e Libertà (Gl), col nome di battaglia Marino.

Non prese parte a combattimenti ma raccolse informazioni e preparo’ lo scambio di prigionieri, continuando a fare, di giorno, lo studente. Le SS, che lo cercavano, conoscevano solo il suo nome di battaglia.50 anni dopo la fine della guerra, Riedt si definiva un tedesco anormale, nel senso che non era stato un nazionalista. Riguardo alle sue attività per i partigiani, considera il suo comportamento naturale.

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Da sinistra: Johann Lukaschitz, Werner Spenn e Hugo Ruf

Riedt divenne noto dopo aver tradotto il libro di Primo Levi « Se questo è un uomo ». Levi vi racconta come ha sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz. Lo stesso Levi era attivo in una formazione partigiana quando era stato arrestato e deportato.

Nel 1995 Riedt, in un’intervista al giornale italiano “La Stampa” ha parlato per la prima volta pubblicamente del periodo in cui era partigiano. In Germania tuttavia Riedt avrebbe sperimentato che era meglio tacere: “Li avevo addosso”.

Divise questa esperienza con molti altri disertori e resistenti tedeschi.La conseguenza fu che, fino ad oggi, i disertori tengono per loro la loro storia. Gli uni non vogliono svelare il loro nome, gli altri raccontano solo contro voglia e casualmente le loro esperienze.

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In un piccolo comune del Piemonte, almeno tutti i più vecchi sanno ancora oggi che Carlo (il nome è stato cambiato, M.B.) ha disertato dalla Wehrmacht. Incontrati i partigiani, si è unito loro. Da un’altra unità partigiana sarebbe stato quasi fucilato. Non volle più toccare un’arma : aiutava in cucina.

Dopo la guerra, Carlo resto’ in Italia. Hans Schmidt, di Berlino, era stato membro della gioventù operaia socialista ed aveva scontato alcuni mesi nel campo di concentramento di Columbia presso Berlino. Nel 1944, come radiotelegrafista,  dipendeva dalla Luftwaffe ad Albinea (Reggio Emilia).

Da mesi Schmidt era in contatto con i partigiani. Insieme ad Oddino Cattini progetto’ la fondazione di un’unità partigiana che avrebbe dovuto accogliere disertori tedeschi. Schmidt voleva dare il radiotelegrafo ai partigiani e consegnare due ufficiali della Luftwaffe, che avevano dato ordini criminali.

Altri militari della Wehrmacht – Erwin Bucher, Erwin Schlunder, Karl-Heunz Schrever e Martin Koch –  lo appoggiavano. L’azione era già in corso quando un aereo alleato lancio’ un bengala e provoco’ l’allarme nella postazione.

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Hans Schmidt

Oppose resistenza all’arresto e venne fucilato. Bucher fu fucilato mentre fuggiva, gli altri tre giustiziati. Oggi Schmidt è cittadino onorario della città di Albinea.Fra rifiuto e resistenzaNon si puo’ affermare con certezza che i disertori con una solida volontà di resistere siano la maggioranza.

Fernando Cavazzini, nome di battaglia Toni, era partigiano nell’Appennino emiliano. Anche nella sua unità c’erano dei disertori : « Quelli che erano con noi erano tutti ex soldati della Wehrmacht, non nazisti convinti. Gente che non aveva più voglia di guerra. Per questo la maggior parte di loro non voleva prendere parte ad azioni armate contro unità tedesche della Wehrmacht.

Li conoscevano, fino a poco tempo prima erano stati loro commilitoni e volevano tenersene fuori. Hanno lavorato con noi, erano un sostegno importante ma spesso non volevano prender parte alle azioni armate dirette. Forso sarebbe stato diverso se avessimo dovuto attaccare delle unità naziste speciali».

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Molti disertori furono fatti passare dai partigiani dall’altro lato del fronte, dove si arresero e furono fatti prigionieri dagli Alleati. Delle staffette mostravano la via ai disertori. Talvolta i partigiani aiutavano attivamente la diserzione.

Dei disertori furono influenzati nella loro decisione mediante l’attività di agitazione di forze antifasciste nelle loro file, della Resistenza o degli Alleati ; in parte ebbero un ruolo importante il fascino del paese, la conoscenza della lingua, i contatti con uomini e donne del luogo o i contatti con i partigiani.

Se la decisione di disertare fu presa per un atto di resistenza, per la presa di coscienza dell’insensatezza o del carattere criminale della guerra tedesca di annientamento o per ragioni personali appare di secondaria importanza.

Tutti coloro che hanno rifiutato l’ingiustizia di questa guerra meritano, a modo loro, un riconoscimento.Interpretazioni opportunistiche e ricordi confusi della guerra hanno provocato nella società tedesca del dopoguerra un disprezzo dei disertori.

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Fino agli anni 90 alle loro vedove è stata rifiutata la pensione. I governi federali hanno aspettato il 2002 per riabilitare i disertori. Tuttavia, coloro che si unirono ai partigiani restano esclusi dalla riabilitazione come « traditori ».

Passare dalla parte di quanti combattono il nazionalsocialismo continua ad essere un delitto. (Matthias Brieger. Traduzione dal tedesco di Giustiniano Rossi)

Nel quadro delle iniziative per I 50 anni dalla Liberazione, ad Hans Schmidt, Erwin Bucher, Erwin Schlunder, Karl-Heunz Schrever e Martin Koch è stata conferita la cittadinanza onoraria dalla città di Albinea (Reggio Emilia).

La figlia di Hans Schmidt, Eva Watchkow, partecipo’ alla cerimonia e prese i primi contatti con Albinea, sfociati nel 1997/98 in un gemellaggio fra Albinea e Treptow/Köpenick (Berlino), dove Hans Schmidt era nato.Hans Schmidt era nato il 17 settembre 1914 ad Adlershof (quartiere di Berlino che fa parte della circoscrizione Treptow/Köpenick) ed è stato assassinato il 26 agosto 1944.

E’ sepolto nel grande cimitero militare di Costermano (Lago di Garda).

I disertori tedeschi che aderirono alla Resistenza

di Massimo Rendina

Ci sono molti vuoti  da riempire nella storia della Guerra di Liberazione in Italia. Uno di questi riguarda  la ricostruzione , oltremodo difficile, delle diserzioni di militari della Wehrmacht, soprattutto da parte   di soldati e ufficiali che si unirono alle forze partigiane o, come accadde per il Freies Deutchland  Bataillon -composto da disertori tedeschi, austriaci, cecoslovacchi-, formarono   unità di guerriglia che combatterono contro le forze armate germaniche. (Il Freies Deutchland Bataillon operò  assieme ai garibaldini delle divisioni Carnia e Val But a ridosso del confine con l’ Austria in Alto Adige e nel Bellunese.

Aveva la base logistica nei pressi del Passo del Giramondo e quando, ai primi di maggio 1945, l’armata tedesca ultimò la ritirata dall’ Italia, premuta dagli Alleati e impegnata dai partigiani,  prendendo la strada del Brennero, si spinse all’ interno della Carinzia cooperando con i servizi segreti britannici alla cattura di criminali nazisti.)  La difficoltà delle ricerche deriva soprattutto dal fatto che chi partecipava alla guerra partigiana celava la propria identità, assumendo un nome fittizio (di “battaglia”), regola  dovuta al fondato timore delle rappresaglie nei confronti dei famigliari. Per i disertori della Wehrmacht c’è inoltre da considerare la loro situazione particolare che investiva l’onore del reparto di appartenenza, per via di un tradimento inconcepibile nella tradizione militare,   ragione che induceva i loro superiori a registrare la scomparsa come se fosse stata causata da fattori bellici.

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Quando ad esempio Rudolf  Jacob -capitano della Marina del Reich- lascia il comando delle batterie costiere di La Spezia per far parte della brigata Garibaldi ” Ugo Muccini” (eroe della Guerra di Spagna), che ha il comando vicino a Sarzana, viene segnalato come disperso, non come disertore.

La stessa famiglia, caduto lui eroicamente nel corso di un’ azione partigiana, terrà nascosto il fatto per alcuni anni, accettandone il significato soltanto quando questo venne riconosciuto emblematico della Resistenza non solo italiana ma tedesca ed europea, e quindi tuttaltro che infamante, visto che la città natale di Jacobs, Brema, gli dedicherà una mostra documentaria , inaugurata il 9 febbraio 1990 nel centro civico “Gustav Heinemann” di Vegesack.

D’ altra parte la moglie di Jacob venne a sapere  il 17 febbraio 1957, dopo quasi vent’anni come era morto, e per quale causa,   rintracciato il suo’ indirizzo ad Amburgo dall’allora sindaco di Sarzana (oggi presidente dell’ ANPI della città) Paolino Ranieri, già commissario politico della brigata “Muccini”, nella quale appunto era l’ ufficiale tedesco, comandante di un distaccamento.

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Figura davvero emblematica questa di Rudolf Jacob (rievocata nel 1985 da un lungo filmato di Ansano Giannarelli, per la RAI, sepolto nella cineteca e meritevole di riedizione). Nato a Brema il 26 aprile 1914, ufficiale della marina mercantile, era stato imbarcato per alcuni anni su navi da trasporto che collegavano tra loro i porti dell’ Oceano Indiano.

Rientrato in Germania nel 1938 si laurea in ingegneria diventando un esperto di fortificazioni costiere.

Chiamato sotto le armi, è capitano della Marina militare (più precisamente del Genio della Marina), dall’ autunno 1943  nell’ Italia  occupata dai nazifascisti,  impegnato, dai primi del ’44,  a realizzare gli apprestamenti difensivi lungo la costa da La Spezia a Genova.( Kesserling  temeva che in quella zona potessero avvenire sbarchi da parte degli angloamericani, nonostante le difficili condizioni orografiche e la scarsa dotazione di mezzi anfibi da parte del nemico, quasi tutti trasferiti dagli Alleati in Inghilterra per le operazioni in Normandia.)

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L’ opposizione al nazismo è in Jacobs maturata da tempo. A causa di reazioni emotive, secondo noi, dovute più a motivazioni morali che politiche.

Gli ripugnano le persecuzioni  razziali (in Germania gli riuscì di mettere in salvo un ebreo che la Gestapo stava per arrestare), non sopporta il regime oppressivo, condanna le guerre di aggressione di Hitler. Secondo Pietro Galantini, “Federico”, comandante della “Muccini”, l’ufficiale tedesco che con il suo attendente gli chiese di essere arruolato tra i partigiani, il 3 settembre 1944, era un “militante comunista”.

Secondo altri era solo un patriota, combattente per la libertà, senza connotazioni ideologiche, spinto a contrastare con ogni mezzo la brutalità dell’ occupazione nazista e dei collaborazionisti, loro emuli in quanto a ferocia, i  “marò” della X Mas  – con una presenza consistente a La Spezia e nei comuni vicini- e i militi della Brigata Nera e della Guardia Nazionale Repoubblicana, acquartierati, questi,  nell’ ex albergo Laurina di Sarzana.

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La diserzione di Jacob era stata preceduta da suoi contatti con esponenti del CLN di La Spezia e da una serie di atti caritatevoli disapprovati dai suoi diretti superiori, per sfamare la popolazione civile. Aveva , inoltre, scoperto imbrogli da parte di collaboratori dell’ organizzazione Tot, preposta al reclutamento di lavoratori da adibire alle fortificazioni, e aveva denunciato i malfattori.

Una volta entrato a far parte dell’ unità partigiana  con il nome di battaglia “Primo”, Jacobs partecipa ad alcune azioni di contrasto al rastrellamento nazifascista sulle alture di Sarzana,  condurrà l’ interrogatorio di un sottufficiale germanico caduto prigioniero, porterà a buon fine il trasferimento nella brigata di un gruppo di ex militari russi fuggiti da una campo di concentramento, organizzerà il colpo di mano contro i militi fascisti di Sarzana che gli costerà la vita.

Con lui, l’ attendente, Paul, di cui non si conosce il vero nome (ferito, riuscirà a salvarsi, passate le linee finirà in un campo di prigionia dell’ esercito alleato, trattato alla pari di un nemico).

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Singolari vicende quelle che contraddistinguono la guerra partigiana a Sarzana (ma simili ad altre svoltesi allo stesso modo in altri teatri della guerriglia). Militari tedeschi e militi fascisti si  travestono da partigiani per ingannare e sopraffare i presidii dei patrioti, questi indossano i panni di fascisti e tedeschi per assaltare posti di blocco e apprestamenti nemici.

Lorenzo Vincenti ha ricostruito l’episodio in cui cadde Jacobs, mettendo anche a confronto il rapporto scritto sull’ episodio dal comandante del distaccamento fascista (conservato nell’ Archivio di Stato della Spezia) e  la relazione del commissario politico della “Muccini” ( consultabile presso l’ istituto Beghi).

Nel primo si afferma che tra i morti  (due militi e un partigiano, in effetti i militi morti furono tre) era stato rinvenuto il cadavere di uno “sconosciuto”, nella seconda  è scritto:” in questa audacissima azione cadeva da eroe   il tenente (grado corrispondente a comandante di distaccamento) Rudolf Jacob, capo pattuglia e nostro ottimo patriota”.

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Il fatto si era svolto il 3  novembre (1944). Jacobs aveva progettato il colpo di mano per l’ ora in cui i militi si sarebbero riuniti per il pasto serale. Aveva personalmente scelto gli uomini: l’ attendente, un ex militare russo,uno jugoslavo, sei italiani, tutti in uniforme tedesca, lui vestito da sottufficiale, la machine-pistole  spianata.

Chiesto al piantone di parlare con il comandante del presidio, e presentatosi questo (era il vice comandante, l’ altro a rapporto al comando della Guardia Repubblicana a La Spezia)  appena fuori dalla porta d’ ingresso,  Jacobs lo colpì con una raffica, ma gli si inceppò l’ arma. La reazione fu immediata.

E’ certo -dalla descrizione- che non vi fu la sorpresa su cui si era contato. I partigiani dovettero ripiegare sotto il fuoco. Alcuni erano feriti, tra questi, come abbiamo detto l’attendente Paul. Ma lo sganciamento potè avere successo per la copertura di altri partigiani, che avevano tale compito.

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La lapide di Sarzana

Il capitano della Marina germanica Rufolf Jacob, se fosse vissuto qualche mese ancora, sino alla Liberazione, avrebbe compiuto, il 26 aprile, trentun anni.

Jacobs era figlio del noto architetto di Brema Rudolf Heinrich Jacobs. Questo gli permise, alla fine degli studi superiori nel 1932, di entrare nella Marina Mercantile dove poté restare al riparo dal montare del Nazionalsocialismo.

Fino al 1938 Jacobs viaggiò per mare – fra l’altro, anche sulla nave scuola Deutschland– e acquisì la patente di ufficiale. Nel 1936 si sposò. Dal 1938 studiò a Brema, nel Braunschweig e ad Hannover. Conseguì la laurea in Ingegneria nel 1940.

Nel 1939 Jacobs fu arruolato. All’inizio fu inviato nella zona di Amburgo-Altona, in seguito fu assegnato al gruppo di costruzione della Barriera Ovest Saarburg (Lothringen/Lorena). Nell’autunno 1943 fu mandato col grado di Capitano nel corpo di ingegneria della Marina da Guerra presso La Spezia, dove comandò una postazione di artiglieria fra Punta Bianca e Bocca di Magra.

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In Italia Jacobs si adoperò perché gli alimentari sequestrati fossero venduti sul mercato nero a prezzi fissi. Inoltre procurò generi alimentari per la popolazione a spese dell’esercito tedesco.

Nel 1943 sua moglie e i suoi due figli furono erroneamente dati per morti. Jacobs e il suo attendente caporalmaggiore Johann Fritz, dopo aver caricato un autocarro di fusti di benzina e di armi, abbandonarono la base e si unirono ai partigiani italiani della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini”, con i quali combatterono per oltre un anno.

Il 3 ottobre 1944 Jacobs si distinse in combattimento contro soldati tedeschi e fascisti. In seguito a questo assunse il nome di battaglia “Primo”. Una successiva azione fu da lui guidata il 3 novembre – Jacobs, Fritz, tre russi e cinque italiani attaccarono un hotel a Sarzana (“La Laurina”), che era usato come caserma dei fascisti, facendosi passare per un distaccamento tedesco al comando di Jacobs. L’attacco di sorpresa fallì e Jacobs, la cui arma si inceppò, fu ucciso.

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La sua famiglia fu informata della sua morte solo nel febbraio 1957, quando fu rintracciata da Paolino Ranieri, comandante della Brigata Muccini e successivamente sindaco di Sarzana per 25 anni.

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