GALAS (SO), antenati, diavoli e saccheggi – 2

a cura di Cornelio Galas

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Seconda ed ultima puntata sul mio (presunto) antenato: Mattia Galasso. Questa volta – oltre a completare i riferimenti storici, genealogici alla mia famiglia – parlerò soprattutto di Palazzo Galasso a Trento e dei misteri, delle leggende che aleggiano su quell’edificio. Prima, solo un’integrazione: Galas (Gallas) diventò, nel periodo fascista, in funzione dell’italianizzazione del Tirolo, Galasi, Galassi, Galasso. Oppure fu storpiato in Galesso, Gallesi ad esempio.

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Palazzo Galasso, uno dei più notevoli edifici di Trento, in stile classico romano, fu eretto al principio del ‘600 su disegno del bresciano Pietro Maria Bagnadore, da un ricco banchiere di Augusta stabilitosi a Trento, Giorgio Fugger, per farne dimora di Elena Madruzzo, sua promessa sposa.

Acquistato nel 1642 dal generale trentino Mattia Galasso- da cui il nome- comandante in capo dell’esercito di Ferdinando II e, come abbiamo visto, uno dei protagonisti del sacco di Mantova – fu poi del cardinale Guidobaldo di Thun (1667) per passare in proprietà nel 1819 del cav. Giacomo Zambelli, che lo fece restaurare nel pieno rispetto del suo carattere originario e successivamente del Barone Rung.

Elena Madruzzo

Elena Madruzzo

Il palazzo sorto come si è detto nel 1602 (sebbene alcune fonti propendano per il 1581) e portato a termine rapidamente nel giro di un solo anno, venne chiamato “del Diavolo” per via della leggenda, tuttora viva nel folclore trentino e nelle memorie locali, che qui brevemente riassumiamo.

Narra dunque la leggenda come il ricco banchiere Fugger, aspirando alla mano di una bellissima fanciulla, fosse da questa costretto, in cambio delle auspicate nozze, a offrirle per il giorno seguente un palazzo degno di lei e che per realizzare l’impossibile capriccio della promessa sposa si trovasse obbligato a rivolgersi al Demonio e a venire a patti con lui.

Giorgio Fugger

Giorgio Fugger

Il palazzo sorse infatti, miracolosamente, nella notte; tuttavia quando Mefistofele, l’indomani mattina, si presentò al Fugger col documento pronto per la firma si ebbe questa insolita controproposta: lui, Fugger, avrebbe fatto onore ai patti a condizione che il Diavolo raccogliesse tutti i chicchi di grano di uno staio sparsi per il palazzo.

Una bazzecola per Belzebù, da non discutersi più che tanto, invece fatale per lui che ne usci alla fine ingannato e beffato. Il diabolico – è proprio il caso di dire – inganno del Fugger riuscì perché Mefistofele evitò i grani sparsi ai piedi di una Croce, simbolo come si sa, del Cristo.

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Mefistofele

Sconfitto e umiliato, il Diavolo allora ruppe con il piede caprino il pavimento del salone sparendo tra le fiamme e il fumo che annerirono e sbrecciarono un muro del palazzo. Questo muro annerito è tuttora visibile; tuttavia, più realisticamente, si può congetturare che si tratti dei resti di una costruzione medievale incorporata nell’edificio.

Il famoso muro annerito

Il famoso muro annerito

Giorgio Fugger, ricco banchiere d’Augusta trasferitosi a Trento, era un discendente della nobile famiglia che nel Cinquecento fornì prestiti in denaro a papi e imperatori. A parte la leggenda, in realtà il Palazzo Fugger, poi soprannominato come detto Palazzo del Diavolo, venne comunque edificato in un solo anno, il 1602, da Paolo Carneri da Tierno di Mori su disegno del bresciano Pietro Maria Bagnadore.

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Il Fugger lo contrassegnò con le sue insegne araldiche rappresentate dal giglio (ceppo di provenienza), dalla dama (possesso della contea di Kirchberg) e dai tre corni di postiglione (dominio sulla città di Weissenhorn) ben individuabili sui pesanti battenti in legno istoriato con corazze e armature del maestoso portale bugnato, fiancheggiato da colonne.

Caratterizzati dall’araldica sono pure i portoni che, dalla corte interna ingentilita dal pozzo centrale e dalla barchessa ad arcate, danno accesso alle scale per i piani nobili; suggestivo risulta qui il tratto di muro annerito dai secoli e con pietre a vista originali, testimone di una preesistente torre medioevale. Prima della rettifica del corso dell’Adige, il cortile del palazzo si affacciava sul fiume: un’indubbia magnificenza scenografica.

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Un autentico gioiello barocco (visitabile in particolari occasioni) è la cappella del palazzo dedicata ai santi martiri anauniesi Sisinio, Martirio e Alessandro; anche qui, tra i bianchi stucchi di Davide Reti e i dipinti del Bagnadore, compare lo stemma Fugger con i tre corni di postiglione della città di Weissenhorn presso Ulma sul Danubio.

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Augsburg (Augusta), capoluogo amministrativo della Svevia (Germania), si espanse economicamente nei secoli del Rinascimento proprio anche grazie ai banchieri Welser e Fugger, questi ultimi riconoscibili nella Fuggerei, un pittoresco quartiere di casette bifamiliari fatte costruire da Jacob Fugger agli inizi del Cinquecento per ospitarvi il ceto meno abbiente della città.

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Nella chiesa barocca di Sant’Anna è godibile l’artistica Fuggerkapelle, frutto sempre della generosa committenza di questa famiglia fedele alla Chiesa di Roma.

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Negli ultimi anni dell’800 e nei primi del ‘900 Trento conobbe un periodo di grande fervore patriottico e culturale: si diffusero nuove riviste, giornali e nacquero diverse Associazioni. Una di queste, (che esiste ancora oggi) fu la Pro Cultura, fondata nel 1900 e la prima riunione della nuova associazione si tenne proprio nel Palazzo Galasso.

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L’edificio era ormai divenuto proprietà di Giovanni de Peisser , che aveva sposato la vedova del precedente proprietario Giacomo Zambelli. Nel Palazzo nacquero i due figli Ernesto e Giovanni che, durante la prima guerra mondiale, fuggirono in Italia per potersi arruolare nell’esercito italiano e così combattere valorosamente contro gli austriaci.

Nel corso del tempo il prestigioso edificio, che aveva perso la sua originaria funzione, venne adibito ad usi diversi: nel 1936, ad esempio, parte del Palazzo fu adibita a sede degli uffici dell’Unione Pubblicità Italiana. Fu inoltre la prima sede della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

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Ai giorni nostri Palazzo Fugger-Galasso, in via Manci (l’antica Via Lunga) ha cambiato ancora proprietari (dai de Langer, ai Parteli fino agli attuali proprietari Dal Rì) e i locali sono ora adibiti ad abitazione o ad uffici.

Tornando al 1600, quindi al Galasso, va detto che il conte Mattia individuò una serie di casupole lungo quella via, nel centro cittadino: voleva un palazzo sfarzoso, degno del suo rango e del suo mecenatismo.

Mattia Galasso

Mattia Galasso

Una piccola “corte” per artisti, studiosi, letterati, simile a tanti palazzi che aveva potuto ammirare nelle più grandi città d’Italia. Il 9 maggio fu stipulato il contratto tra Giorgio Fugger ed il costruttore-lapicida trentino Paolo Carneri, il quale doveva eseguire i lavori della facciata secondo il disegno predisposto dall’artista bresciano.

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Sulla facciata dovevano essere realizzate ventisei finestre disposte in nove corsi verticali, separate da lesene in stile corinzio, ovvero tre per ogni corso, eccetto quello centrale, dove, al di sopra della porta principale, ne erano previste solamente due.

L’opera doveva concludersi entro il termine di un anno ed il palazzo fu infatti portato a termine entro la scadenza. Ma non grazie all’aiuto di demoni, evidentemente. In realtà, infatti, la velocità di costruzione è da individuarsi nel rivestimento esterno delle preesistenti murature con grandi lastre di pietra ancorate con grappe metalliche.

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Sconsiderate operazioni finanziarie seguite da una lunga vertenza giudiziaria portarono Giorgio Fugger, nel 1614, all’arresto e successivamente anche al carcere e tale situazione fu il presupposto per l’inizio del tracollo economico della famiglia.

Nicolò, unico figlio maschio, per far fronte alle insolvenze paterne fu costretto a mettere in vendita il palazzo che venne acquistato, nel 1632, unitamente ai debiti contratti, dal generale Mattia Galasso.

Mattia Galasso

Mattia Galasso

Il generale fece modificare il portale d’ingresso della facciata principale del palazzo, che fu sovrastato da un nuovo poggiolo lapideo sostenuto da quattro colonne binate e al primo piano la finestra venne sostituita in una porta.

Nel 1668 il palazzo fu venduto al cardinale Guidobaldo Thun. Durante il periodo napoleonico, alla fine del settecento, palazzo e cappella subirono numerosi danni e spogli. All’inizio dell’ottocento l’immobile era ridotto in uno stato tanto deplorevole che i Thun lo misero in vendita.

Guidobaldo Thun

Guidobaldo Thun

Il palazzo fu venduto al cavalier Giacomo Zambelli che, con ingenti sforzi economici, riuscì a ridargli l’antico splendore e decoro. Tra gli spazi che caratterizzano il palazzo merita dover di cronaca la cappella dedicata ai tre Santi Martiri anauniensi, Sisinio, Martirio ed Alessandro, portata a termine nel 1607.

Giacomo Zambelli

Giacomo Zambelli

La cappella presenta un aspetto esterno sobrio e una ricchezza degli interni, data dagli stucchi plastici realizzati sulla volta dallo scultore lombardo Davide Reti. La volta è delimitata da un fregio finemente decorato da putti e fogliami, tra i quali emergono i simboli araldici e monogrammi della nobile famiglia Fugger.

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Sui misteri di questo edificio di Trento Riccardo Fox, nel 2012, ha scritto anche un romanzo: “Il palazzo del diavolo” (Curcu & Genovese).

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Il contenuto del libro. Durante alcuni lavori di ristrutturazione in un edificio nella città di Trento, noto come «Palazzo del Diavolo», viene fatta una scoperta straordinaria: un pozzo piuttosto profondo, chiuso da secoli, attraverso una stretta galleria conduce in una segreta medievale, allestita come un tribunale dell’Inquisizione risalente alla metà del ‘500.

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Nel corso degli studi, Matteo e Clara scoprono che la celebrazione dei processi si è protratta, quasi ininterrottamente, fino al 1870, epoca in cui quei riti avrebbero dovuto essere terminati da tempo. Nonostante non avessero fatto parola con nessuno della scoperta, un oscuro cardinale si presenta chiedendo la consegna di alcuni antichi manoscritti. I due rifiutano e proseguono le ricerche, scoprendo che il cognome del prelato ricorre molto spesso in quei manoscritti.

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Prima però di riuscire ad approfondire la questione vengono sepolti vivi nella sala, dalla quale riusciranno a scappare solo dopo molte ore e alcune disavventure. Appena fuori, scoprono che la chiusura del pozzo, incredibilmente, è stata fatta dai carabinieri, che stanno indagando sul cardinale: questi, infatti, sembra essere a capo di una sconosciuta e pericolosa setta.

Ed ecco l’interessante recensione del romanzo fatta su “L’Adigetto” dal direttore Guido de Mozzi:

“Desidero precisare che il sottoscritto ha vissuto e lavorato nel Palazzo del Diavolo fin dal lontano 1971, per cui conosce bene storie e leggende che hanno accompagnato il Palazzo Fugger-Galasso nei secoli.

Guido de Mozzi

Guido de Mozzi

Non nascondo che anch’io avevo pensato di scrivere un romanzo ambientato nel Palazzo, che effettivamente rappresenta una fonte inesauribile di sorprese. Poi non l’ho mai cominciato perché, vivendoci, mi era difficile uscire dalla realtà. Anche la mia impostazione, peraltro, partiva dalla leggenda per cui il castello e i palazzi della città di Trento sarebbero collegati da cunicoli segreti scavati in profondità.

La diceria, peraltro, non è mai stata verificata e pare addirittura improbabile che potessero esistere tali collegamenti, perché la città è percorsa da tante rogge che renderebbero pericoloso ogni scavo. Inoltre, quando sono stati effettuati gli scavi per il rinnovo dell’arredo urbano cittadino non è apparso nulla che potesse far pensare a passaggi segreti.

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Il Palazzo invece ne ha e tanti. Senza svelare segreti che potrebbero intaccare la privacy di chi ci vive e lavora, ci sono molti corridoi nascosti nelle mura portanti della costruzione, voluti ufficialmente per consentire alla servitù di alimentare le stufe a olle senza infastidire i padroni di casa. Cogliamo l’occasione per precisare che gli scalini delle rampe sono bassi perché chi l’ha fatto costruire voleva salire ai piani superiori a cavallo.

Il Palazzo è sorto sull’argine dell’Adige che scorreva nel lato nord, sul quale era sorto con un progetto da Fondaco veneziano. Il cancello, da dove oggi si entra con le auto, allora portava al fiume.

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Il fondo era dunque cedevole, tanto vero che le cantine (che, contrariamente a quanto versato dall’autore Fox per motivi di narrativa, esistono in tutto il perimetro e hanno una profondità di 11 metri) dimostrano che già in fase di costruzione il palazzo ha cominciato a cedere.

Chi ha la fortuna di accedervi, può notare che le colonne portanti sono inclinate verso via Torre Verde (dove c’era il fiume, appunto), ma sono controbilanciate da altrettante colonne messe fin da allora in posizione uguale contraria.

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Come dice l’autore, la presenza delle cantine sarebbe stata pericolosa per via del vicino scorrere del fiume Adige. In effetti, a ogni piena l’acqua ha invaso le cantine. Sulla parte nord, esiste una targhetta che riporta la data e il livello raggiunto dall’acqua in una piena di fine Ottocento. Posso affermare che nell’alluvione del 1966 l’acqua arrivò alla stessa altezza. E, in entrambi i casi, le cantine vennero allagate.

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Il pozzo che sorge a ridosso del porticato è profondo una decina di metri e sicuramente raccoglieva l’acqua filtrata del fiume. I soffitti del palazzo sono alti sei metri, cioè il doppio di un palazzo normale. Le mansarde, dove viveva la servitù, hanno la parte più bassa di tre metri e la più altra di sei.

Il Salone delle Feste è alto due piani (e quindi 12 metri), lungo una quindicina di metri e largo 11. Forse è il più bel salone della città. I portoni sono istoriati di altorilievi che raccontano le gesta del capitano di ventura Galasso. Sopra all’ingresso principale è collocata una scultura portata via nel Sacco di Ferrara. D’altronde, sappiamo che il condottiero Mattia Galasso comandava una formazione dei Lanzichenecchi.

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La leggenda vuole che sia stato costruito in una notte, grazie a un contratto stipulato da Georg Fugger con il diavolo. I genitori della futura moglie avrebbero concesso le nozze allo straniero a patto che avesse disposto subito una giusta dimora, all’altezza della famiglia Madruzzo.

Pur di averlo per tempo (in una notte), il banchiere si era impegnato per iscritto col diavolo a consegnargli l’anima al momento del trapasso. Con un trucco inserito nelle clausole vessatorie del contratto (il diavolo doveva raccogliere il numero esatto di chicchi di riso, uno dei quali era troppo vicino a un crocefisso), Fugger riuscì a non consegnare l’anima al Diavolo.

L'ingresso del Palazzo del Diavolo: secondo la leggenda Giorgio Fugger, nobile banchiere, nel 1602 fece un patto con il diavolo che, in cambio dell'anima, in una notte gli costru“ un sontuoso palazzo. In realtˆ Palazzo Galasso fu realizzato su disegno del bresciano Pietro Maria Bagnadore (foto Alamy)

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Il quale, inferocito per lo smacco subito, sprofondò nell’inferno, annerendo un muro. La morale della leggenda è «mai fidarsi dei banchieri, anche se firmano un contratto con cintura e bretelle». Ma il muro annerito esiste veramente. Il giroscale dell’ala est del palazzo ha la parete nera.

Noi sappiamo che si tratta dello spaccato delle mura medievali della città, che i costruttori avevano tagliato per far posto al palazzo. Tutte le antiche mura cittadine tendono ad annerire col tempo. Probabilmente si ossidano, come si può vedere nel piano interrato dei magazzini Nicolodi a Trento (sotto la Conad).

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Che sia stato costruito in una notte, gli architetti che ne seguono la manutenzione del palazzo non hanno dubbi: sì, è stato costruito in una notte, «e si vede». Costruito con materiale inerte e di riporto, il palazzo è stato realizzato nell’ottica di fare presto. Le pietre che si vedono alla base del palazzo sono solo dei rivestimenti: usarle come pietre portanti avrebbe portato via troppo tempo.

Resta il fatto che il palazzo è durato nei secoli, alle alluvioni, agli incendi e ai terremoti. Ciò premesso, devo dire che – pur avendolo letto con occhio prevenuto e critico – il romanzo non solo mi ha avvinto, ma mi è anche piaciuto molto.

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Il romanzo è stato scritto in maniera felice, con precisione narrativa, senza punti morti o sfasature. Ogni frase richiama quella successiva, ogni capitolo ti invita a passare a quello dopo. Insomma, come si dice, lo si può leggere tutto d’un fiato.

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I personaggi che ha creato, compresi quelli storici realmente esistiti, hanno una loro corretta connotazione, un ruolo preciso e il loro comportamento è coerente. Il personaggio principale e il suo comprimario (Matteo Ranzi e Clara Stella) sono persone di cultura credibili, al punto che credi a tutti gli avvenimenti narrati.

I due caratteri sono mantenuti con maestria per tutto il racconto e articolati con grande capacità narrativa. La suspance è attivata all’inizio e si smorza solo alla fine. Il passato storico si intreccia con il presente in modo piacevole e senza imporre al lettore un cambio di attenzione.

Non sappiamo perché l’autore Riccardo Fox abbia collocato la nascita del palazzo nel 1602, quando la targa apposta sulla parete che dà su via Manci indica il 1581. Però ha declinato in maniera decisamente corretta tutti gli avvenimenti storici così bene, che tutto il resto scompare in secondo piano.

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Ha articolato le lunghe sospensioni del Concilio di Trento in modo più che credibile, ma la misteriosa morte di Sigismondo Thun è un capolavoro: deceduto effettivamente in un incendio scoppiato nella settimana santa del 1569, a causa di una gotta che gli impediva ci scappare, Sigismondo sarebbe stato ucciso per ragion di stato.

L’autore cita pure (in appendice) le colubrine acquistate da Sigismondo a difesa del castello di Thun. La Provincia è riuscita ad acquistarne due di originali. Noi avremmo aggiunto che tale armamento, assunto in pieno Concilio di Trento, la spiegava lunga sul clima che si respirava in quel tempo.
Fox non ha citato Bernardo Clesio, o meglio lo ha solo citato.

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Riccardo Fox

Nella sua vicenda non aveva ruoli, ma sarebbe stato simpatico ricordare che il Concilio di Trento l’aveva preparato lui, anche dal punto di vista urbanistico e logistico, ma che purtroppo morì anzitempo ucciso dal morbo gallico. Anche la città subì un grande influsso grazie al Concilio, che traghettò il Trentino dal Medioevo al Rinascimento.

Fox ha dimostrato di conoscere la storia, intrecciando fantasia e realtà in maniera così credibile da sentirsi in dovere di separare in appendice il vero dal falso. Un particolare stuzzicante, equilibrato quanto realistico, parla di «peli che sfrigolavano». Attirerà indubbiamente le ire dei bempensanti, ma secondo noi è risucito così a rispondere correttamente a un’aspettativa che aveva caricato fin lì.

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In realtà, però, ci pare impossibile esprimere altri giudizi senza violare la necessaria riservatezza sulla portante del romanzo. Sarebbe come dire al’inizio di è l’assassino. Però dovete crederci se vi invitiamo a leggerlo senza timore di annoiarvi.

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Riccardo Fox sa scrivere e certamente leggeremo altre opere uscite dalla sua tastiera. Creatività che nasce comunque da un basamento culturale non da poco. Ha dimostrato di conoscere bene la storia del nostro Trentino e del Paese, al punto di manipolarla come portante utile alla sua storia. I nostri complimenti, con l’augurio, appunto, di leggerlo ancora”.

La ricerca degli studenti della Scuola media “Giacomo Bresadola”

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