DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO ? – 11

a cura di Cornelio Galas

Il ruolo delle assicurazioni svizzere

Ancora poche settimane prima che finisse la guerra le autorità svizzere erano disposte ad acquistare oro dalla Germania; questo comportamento, difficilmente immaginabile in un’ottica odierna, diventa più comprensibile se si analizzano gli interessi specifici dei gruppi di creditori che premevano perché fossero saldate le loro richieste nei confronti di debitori tedeschi. Una delle forze trainanti in questo gruppo era costituita dalle compagnie assicurative svizzere, che erano anche fra i maggiori creditori dei debiti fondiari in franchi.

Poco prima del termine del conflitto, quando con la soppressione del «libero surplus-divise» della Reichsbank il traffico dei pagamenti assicurativi crollò, le compagnie coinvolte cercarono in trattative separate, particolarmente intense, di salvare il salvabile all’ultimo minuto, ma anche di crearsi una posizione di rilancio il più favorevole possibile per il dopoguerra. Affinché il Terzo Reich potesse onorare comunque secondo contratto i suoi impegni nel traffico dei pagamenti assicurativi, saliti a 13 milioni di franchi, esse furono disposte ad accettare oro e ad aggirare accordi vincolanti interstatali.

In questa puntata cercheremo di chiarire più in dettaglio gli obiettivi e le pretese delle assicurazioni ma anche i mezzi e i canali da loro usati, negli ultimi mesi del conflitto, per ottenere il trasferimento in Svizzera dei loro averi bloccati in Germania.

Situazione degli archivi

Quanto segue si basa in gran parte su fonti storiche di compagnie assicurative svizzere. Gli
archivi delle ditte contattate dalla Commissione in una prima fase (dal giugno 1997) si presentano in condizioni diversissime; in linea di massima si può costatare che la situazione documentaria è notevolmente migliore di quanto si pensasse in origine. Va però notato, al riguardo, che attualmente le ricerche sono rese ardue, e in misura non irrilevante, da un’organizzazione archivistica talvolta carente e dalla mancanza di elenchi.

Un’inventariazione completa degli atti storici è stata effettuata solo dalla Compagnia Svizzera di Riassicurazioni (CSR). Buoni inventari parziali esistono presso la Rentenanstalt Swiss Life e presso la Zurigo; in quest’ultima l’inventariazione è ancora in corso, così come nella Basilese, nell’Union Rückversicherung (frattanto integrata nella CSR) e nella Winterthur. Sforzi analoghi non sono stati ancora ritenuti necessari nella Nazionale Svizzera e nella Associazione svizzera d’assicurazioni (ASA).

Anche nell’organizzazione degli archivi c’è un notevole ritardo: l’unica professionale è quella della Zurigo, mentre archivi ben organizzati, ma limitati a un periodo storico circoscritto, sono quelli della Rentenanstalt e della CSR. Nell’ASA e nelle altre ditte ora citate la situazione va definita precaria. Alcune aziende, di propria iniziativa, hanno setacciato i loro fondi e talvolta avviato ricerche di vasto respiro; da citare nuovamente la Zurigo, che ha presentato i suoi risultati alla Commissione.

Fra le altre aziende che compiono propri studi c’è la CSR; anche sulle sue conclusioni la Commissione può fare assegnamento. Diversa, fra l’altro, è la disponibilità a evadere i quesiti della Commissione, soprattutto per quanto riguarda le ricerche in società affiliate all’estero; particolarmente zelante, finora, si è mostrata solo la Rentenanstalt. Per amore di completezza, infine, va segnalato che anche gli archivi di parecchie altre compagnie assicurative svizzere, non ancora studiati dalla Commissione e perciò qui neppure commentati, saranno rilevanti per le indagini ulteriori.

Posizione internazionale delle assicurazioni svizzere

L’importanza economica delle assicurazioni elvetiche aumentò notevolmente fin dall’inizio
degli anni Venti. In Svizzera la quota di mercato delle società straniere, dominanti prima della Grande Guerra, subì un forte regresso; contemporaneamente le attività assicurative si svilupparono fino a diventare un «prodotto» trainante d’esportazione, che proprio in un
periodo di difficoltà per la politica commerciale come gli anni 1930–1945 ebbe effetti positivi sulla bilancia svizzera dei pagamenti.

Uno sviluppo straordinario fu specialmente quello delle attività riassicurative: la CSR, giunta nel 1923 ai vertici del mercato mondiale, negli anni di guerra fu al primo posto nel settore non soltanto in Svizzera ma anche in Gran Bretagna, con un ruolo di punta anche negli Stati Uniti.

Fin dall’inizio le compagnie elvetiche ebbero un orientamento internazionale; alla fine della guerra, nel 1945, in territorio tedesco ce n’erano 16 (quasi la metà di tutte le assicurazioni dirette svizzere), oltre a una serie di società di riassicurazione. Queste aziende si costruirono in Germania «nel corso dei decenni, talvolta già dalla metà del secolo scorso, un’organizzazione costosa, eccellente, e un’attività molto considerevole, comprendente tutti i rami assicurativi»; alla fine del 1944 i loro investimenti nel Reich ammontavano complessivamente, stando a dati dell’Ufficio federale delle assicurazioni, a circa 570 milioni di marchi (983,25 milioni di franchi).

L’importanza del mercato tedesco per le ditte del settore era cospicua. Nel 1943 gli assicuratori sulla vita incassavano in Germania poco più dei due terzi dei loro premi all’estero, il che corrispondeva al 27% di tutti i loro introiti da premi. Anche alle attività riassicurative, in cui regolarmente circa il 90% degli introiti da premi era conseguito all’estero, la Germania dava un forte contributo: sul mercato tedesco la CSR, che assorbiva oltre il 90% del volume di premi conseguito dalle società elvetiche, negli anni 1939–1943 ottenne in media un buon quinto dei suoi introiti da premi e poco più di un quarto dei profitti.

Le cose andavano un po’ diversamente per le assicurazioni sui danni materiali: qui nel 1943 la quota delle attività estere era del 59% e i premi in Germania costituivano il 20%, mentre il 40% dei premi incassati all’estero proveniva dall’America. Come mostra la seguente tabella, anche durante la guerra i mercati stranieri conservarono un’importanza fondamentale per il ramo assicurativo svizzero, contribuendo infatti a circa il 55% degli introiti.

Non c’era, in tutto il mondo, un altro Stato in cui le attività estere delle compagnie assicurative e riassicurative raggiungessero una quota così alta rispetto a quelle interne; anche in cifre assolute le assicurazioni svizzere possedevano un portafoglio estero fra i più cospicui. La forte presenza di queste ditte elvetiche in Germania subito dopo la fine del conflitto riflette la grande importanza che aveva per loro il mercato tedesco prima e durante la seconda guerra mondiale: delle 16 ditte estere operanti a Berlino, non meno di 11 avevano la loro sede principale in Svizzera.

La tabella XVIII mostra che la parte del leone, nei premi assicurativi incassati sul mercato tedesco, spettava a cinque gruppi; chiaramente in testa erano i quattro operanti nel ramo delle assicurazioni sulla vita. Un altro settore notevole, quello riassicurativo, qui non è considerato.

La posizione delle assicurazioni svizzere nel clearing tedesco-elvetico

Il traffico assicurativo e riassicurativo tedesco-elvetico e gli interessi sui debiti fondiari in franchi (ma non gli utili risultanti dalle attività aziendali) erano da sempre esclusi espressamente dal clearing generale fra Svizzera e Germania. Ciò significava che quei trasferimenti, negli anni di guerra, potevano svolgersi «in termini assai favorevoli per noi»:
«Lo potete misurare, meglio che dalle parole, dal fatto che nel periodo dal 1° luglio 1937 al 30 giugno 1944 … [è risultato] un trasferimento netto dalla Germania alla Svizzera … poco superiore ai 100 milioni di franchi. Sono molto lieto di comunicarvi questo importo imponente, che è stato benefico e fecondo per la nostra economia nazionale: è un’ulteriore prova che gli anni di sforzi svizzeri in questi due settori non sono stati del tutto vani.»

Al Dipartimento politico federale, invece, venne fatto notare che le «possibilità di trasferimenti per le assicurazioni svizzere … sono state molto ridotte sotto l’influsso delle condizioni belliche», per ottenere al ramo assicurativo una quota più alta del denaro da distribuire. Certo, non per tutte le ditte la situazione si presentava così favorevole come per la CSR: anche nel 1944 quest’ultima era riuscita a conseguire, come negli anni di guerra precedenti, un afflusso di divise di circa 20 milioni di franchi, di cui «la quota di gran lunga più alta» proveniva «dalla Germania e dal protettorato [di Boemia e Moravia, N.d.T.]».

Nel primo trimestre 1945, però, questo trasferimento crollò: fu possibile solo svendere marchi tedeschi per un valore di 380.000 franchi. Ciononostante, la CSR non guardava affatto malvolentieri ai cinque anni appena trascorsi:
«Così finisce l’accordo di riassicurazione tedesco-elvetico, firmato esattamente 5 anni or sono, nel marzo 1940, col contributo determinante della nostra società. Esso ci ha permesso di ottenere dai marchi circa 40 milioni di franchi; a questi vanno aggiunti altri 4 milioni provenienti dal protettorato, per cui esisteva un analogo accordo. Questo trasferimento quasi al 100% dalla Germania ci ha permesso di ritirare in Svizzera i cospicui profitti tecnici ottenuti in Germania negli anni di guerra. Ci ha anche consentito, però, di mantenere sempre molto passivo il nostro bilancio valutario in marchi, con la conseguenza che adesso, con la probabile svalutazione del marco, otterremo un notevolissimo guadagno valutario … .»

Il blocco degli averi tedeschi in Svizzera, deciso dal Consiglio federale con decreto del 16 febbraio 1945, fu applicato anche al traffico dei pagamenti assicurativi, perché la Svizzera, come sottolineò Walter Stucki, «non voleva farsi imporre di fronte al mondo la parte del ricettatore».

Le compagnie valutarono l’ipotesi di presentare una nuova domanda di esonero per tale traffico, ma poi respinsero l’idea, inizialmente, «perché una domanda di esonero nel momento attuale potrebbe avere un effetto politico collaterale, che dev’essere estremamente indesiderato per le compagnie assicurative svizzere nei confronti degli Alleati». In questi ultimi non si voleva creare l’impressione che si cercasse «di proseguire i rapporti con la Germania mediante una porta sul retro, e di violare il blocco contro l’esodo dei capitali tedeschi».

Contemporaneamente Hans Koenig ammonì di non dare l’impressione «che non abbiamo interesse a trattare con la Germania … I rapporti con la Germania non devono spezzarsi; anche le nostre autorità condividono questo punto di vista.»

L’acuirsi della situazione nel marzo e nell’aprile 1945

Il traffico dei pagamenti assicurativi si configurò, negli anni di guerra, in termini visibilmente più sfavorevoli per la Germania; gli accordi portarono a un «continuo aumento delle prestazioni tedesche in divise a favore della Svizzera».Ne l 1944 risultò per la Germania un onere netto in divise pari a circa 18 milioni di franchi, mentre il traffico commerciale con la Svizzera nel complesso diminuì. Una limitazione dei trasferimenti in campo assicurativo era perciò inevitabile; da parte tedesca, nel corso del 1944, una simile riduzione delle prestazioni in divise era già stata annunciata in vari modi.

Invece di autorizzare le domande di trasferimenti  debitamente presentate (per un importo di 9 milioni di franchi, compresi gli interessi dei debiti fondiari in franchi), nel dicembre 1944 e nel gennaio 1945 una delegazione del ministero tedesco dell’economia (diretta dal rappresentante diplomatico Karl Schnurre) e una delegazione speciale per le questioni assicurative (guidata da Hans Storck, alto funzionario dello stesso ministero) vennero a negoziare in Svizzera; qui, per salvaguardare le riserve tedesche di divise per il 1945, cercarono di trattare con Koenig una dilazione e nel contempo una riduzione dei trasferimenti assicurativi concordati bilateralmente.

Il vicepresidente della Reichsbank, Puhl, fece notare a Koenig che, «in seguito al regresso del traffico di merci con la Germania, il libero surplus-divise della Reichsbank si è molto ridotto; alla Reichsbank, perciò, in pratica non è più possibile compiere vari pagamenti del traffico assicurativo, ad esempio per ipoteche-oro, nella misura vigente finora». Koenig replicò che quei pagamenti si basavano su obblighi contratti al di fuori dell’accordo di compensazione: quei trasferimenti, corrispondenti a circa 20 milioni di franchi annui, erano quindi «in strettissima relazione» con le vendite di oro alla BNS, programmate dalla Reichsbank per metà dicembre 1944 e di nuovo per metà gennaio 1945.

Quando, con lo scadere dell’accordo economico tedesco-elvetico (metà febbraio 1945), il «surplus-divise della Reichsbank» sparì definitivamente, non ci potevano essere più dubbi sulla fonte dei trasferimenti concordati nel protocollo finale del 28 febbraio:
«La capacità effettiva [dei tedeschi]» di pagare le pretese assicurative svizzere – per 13 milioni di franchi, di cui 9 milioni a scadenza immediata – «dipenderà dalla loro capacità di procurarsi queste divise vendendo oro alla Banca nazionale svizzera.»

La parte elvetica si mostrò disposta a concessioni solo in misura ridotta; venne concordato di limitare i trasferimenti (netti) nell’anno civile 1945 a 13 milioni di franchi. I 9 milioni ancora non versati nel 1944 per interessi sui debiti fondiari in franchi e per prestazioni del traffico assicurativo andavano trasferiti subito, mentre i restanti 4 milioni sarebbero stati versati solo a fine anno. L’accordo, siglato il 1° febbraio 1945 ed entrato in vigore il 28 febbraio come «allegato 2 al protocollo finale tedesco-elvetico» dello stesso giorno, servì poi da base per le trattative, di solito molto complesse, condotte con varie delegazioni tedesche dagli ultimi giorni di febbraio fino a metà aprile 1945.

In parte tali trattative si svolsero parallelamente alle discussioni tenute dalle banche e da vari uffici federali; nello stesso tempo, però, le assicurazioni cercarono in proprio di raggiungere un loro obiettivo. Da un lato, infatti, con gli sviluppi della situazione in Germania solo un accordo estremamente rapido avrebbe potuto ancora fruttare qualcosa; dall’altro le assicurazioni speravano, mantenendo rapporti amichevoli, di giungere a una soluzione più favorevole per loro.

Contrariamente ai primi annunci, sotto l’egida rispettivamente degli assicuratori sulla vita e di Koenig, si cercò sì, in tutta fretta, qualche possibilità di esonerare dal blocco dei pagamenti il traffico assicurativo. Ufficialmente non si parlò più come prima di un esonero generale bensì – il che materialmente era la stessa cosa – di «facilitazioni» che «garantissero … il proseguimento dei normali rapporti d’affari».

In realtà si trattava solo di cosmetica verbale, come risulta dal primo colloquio di Koenig con il ministro Schnurre, così riferito dallo stesso Koenig: «Rendo noti i miei sforzi per esonerare il settore assicurativo … Rendo noto che questa richiesta è stata respinta perché politicamente insostenibile.» Gli sforzi di Koenig, comunque, non furono inutili:
«Viceversa [le autorità federali] sono disposte a concedere, in pratica e di fatto, una posizionespeciale al ramo assicurativo, [e] a istruire l’Ufficio svizzero di compensazione: a) affinché nella prassi tratti molto liberamente il pagamento delle assicurazioni, b) in tutti i casi dubbi si metta subito in contatto con me. Con questa misura prospettata, praticamente si ottiene l’esonero del traffico assicurativo, e io m’impegnerò perché la cosa venga attuata senza ritardo e senza difficoltà.»

Si passò poi a parlare anche degli interessi sui debiti fondiari in franchi. Schnurre confermò la disponibilità tedesca a proseguire i pagamenti come da contratto, cioè senza restrizioni, e sottolineò che «l’attuazione di questa volontà di adempimento» dipendeva «solo e unicamente dalla volontà svizzera» di accettare oro dalla Germania a saldo degli impegni tedeschi. Koenig, al riguardo, aveva già parlato con Robert Kohli, che nel Dipartimento politico federale dirigeva la sezione per il diritto e gli interessi patrimoniali privati all’estero; quest’ultimo aveva osservato «che probabilmente è difficile accettare oro, perché non si sa da dove venga e non si può capire dal suo odore dove sia stato rubato o depredato. Kohli, però, spera gli Alleati ammettano che sia meglio se la Germania ci paga quest’oro come adempimento dei suoi obblighi, piuttosto che l’oro vada perso altrove. La delegazione svizzera e in particolare il ministro Stucki si prodigheranno per questi punti.»

Il ramo assicurativo era informato della controversia sulle forniture tedesche di oro depredato, tuttavia sarebbe stato disposto ad accettare pagamenti finanziati con vendite tedesche di oro alla BNS: atteggiamento tanto più degno di nota, questo, in quanto non cambiò neppure dopo la fine della guerra e dopo la stipulazione dell’accordo di Washington. Nella richiesta presentata al Consiglio federale alla fine del 1948, gli esponenti delle assicurazioni deplorarono che non si fosse potuto accettare oro per saldare i trasferimenti tedeschi in sospeso:
«Dapprima la parte tedesca aveva offerto oro a titolo di pagamento. Su raccomandazione del ministro Stucki e del consigliere di legazione Kohli, visti i moniti alleati sull’oro depredato e le contemporanee trattative in corso con la missione Currie, questa offerta non poté venire accettata.»

Il 28 febbraio, proprio durante i negoziati fra Svizzera e Alleati nell’ambito della missione Currie, venne firmato il protocollo finale sui rapporti economici con la Germania, che stando alla versione ufficiale non era un nuovo accordo ma solo una conferma formale di una situazione non contrattuale. Uno stratagemma consentì di non siglare le norme ivi contenute sul traffico assicurativo: gli accordi in materia furono aggiunti al protocollo finale quasi a mo’ di supplemento, senza firma. In tal modo si cercò, secondo Koenig, «di non lasciare che i fili con la Germania si spezzassero e di salvare ciò che in qualche modo era ancora possibile».

Il disagio degli organi politici per la vicenda risulta da una comunicazione strettamente confidenziale sulle noie che la Svizzera si sarebbe dovuta attendere se gli Alleati fossero venuti a conoscenza di quel protocollo. Benché fosse stato affermato il contrario, sui negoziati tedesco-elvetici in campo assicurativo gli Alleati non vennero informati; il protocollo finale fu approvato dal Consiglio federale nella sua seduta del 9 marzo 1945, ma ancora non è chiara la data effettiva della sua entrata in vigore. Una volta ancora le assicurazioni erano riuscite a trovare una soluzione che, se in futuro si fosse ottenuto un trattamento speciale per il traffico assicurativo, non avrebbe pregiudicato affatto il loro settore.

Trattative con Puhl, vicepresidente della Reichsbank

Per appurare in che misura, qualora il Consiglio federale avesse rifiutato i pagamenti tedeschi in oro, si potesse ricorrere per le prestazioni assicurative alle riserve in divise possedute in Svizzera dalla Reichsbank, a Zurigo i creditori finanziari svizzeri avviarono trattative con una delegazione tedesca guidata da Puhl, vicepresidente della Reichsbank. Da Stucki, completamente esausto e «coi nervi del tutto a pezzi», Koenig seppe dapprima una brutta notizia: il Consiglio federale, stando a Stucki, aveva deciso «di prendere oro tedesco solo nella misura necessaria per i pagamenti della legazione tedesca” (650.000 franchi al mese).

Per tutti gli altri scopi l’accettazione di oro viene respinta. “Così – dice il dott. Stucki – è Lei in prima linea a soffrire. Mi dispiace molto. Lei ha ottenuto ogni volta coi tedeschi cose straordinarie, il che ci ha sempre meravigliati. Il Consiglio federale, però, ora vuol provare in termini documentali che non vuole ricevere oro appiccicoso. Se Lei in queste circostanze riuscirà a spuntare ancora qualcosa dai tedeschi, lo mostreranno le trattative con Puhl. Da parte mia non posso più fare altro.»

Koenig, per chiarire a priori la posizione delle assicurazioni nelle future trattative, a nome delle compagnie chiese all’Ufficio svizzero di compensazione l’esonero dal blocco patrimoniale svizzero per il traffico dei pagamenti assicurativi:
«Questo esonero pratico delle operazioni elvetico-tedesche in campo assicurativo e riassicurativo, pur nel mantenimento formale del blocco, è assolutamente necessario nella misura in cui la Germania continui a compiere in divise libere i pagamenti del settore.»

Mentre l’Ufficio federale delle assicurazioni si dichiarò «d’accordo su tutte le parti» della richiesta e ringraziò cortesemente per gli sforzi, dall’Ufficio di compensazione venne una risposta temporeggiatrice. Quanto agli averi tedeschi in Svizzera, che si sarebbero potuti utilizzare per adempiere gli impegni della Germania nei confronti dei creditori finanziari svizzeri, Koenig sostenne la priorità delle assicurazioni, da un lato perché le loro pretese risalivano in massima parte al 1944 (e le compagnie avevano un diritto riconosciuto dalla Germania su questi crediti scaduti), dall’altro perché gli averi in divise della banca centrale tedesca «[derivavano] dal libero surplus-divise della Reichsbank, che da sempre è servito a saldare i pagamenti assicurativi».

Un punto di convergenza, inoltre, era che si trattava «anzitutto di armonizzare il decreto di
blocco col carteggio assicurativo concordato» e non viceversa. Per i riassicuratori tedeschi che non avevano filiali in Svizzera, poi, venne suggerito di allestire appositi conti interni per le loro operazioni di pagamento con cedenti svizzeri; i probabili saldi attivi di questi conti avrebbero potuto quindi venire impiegati, tramite un conto globale presso la BNS, per regolare i trasferimenti tedeschi alle ditte svizzere concordati per il 1945.

In tal modo gli affari elvetici degli assicuratori tedeschi si sarebbero potuti usare per saldare il transfer assicurativo dalla Germania alla Svizzera; la proposta era motivata dalla riflessione che, se davvero non si potevano più trasferire averi dal Reich alla Svizzera, almeno per compensare i debiti si sarebbe potuto ricorrere agli averi tedeschi dovuti ad attività assicurative svolte in Svizzera, tanto più che così li si sarebbe potuti sottrarre a un’eventuale cattura da parte alleata.

Ai presenti non sfuggì che una simile regolamentazione era praticamente inconciliabile con il blocco del potere di disporre, e Koenig annotò che, «per dissipare eventuali timori delle autorità svizzere competenti ma ottenere comunque una regolamentazione funzionale», si dovevano «fornire periodicamente all’Ufficio federale delle assicurazioni … ragguagli posteriori sui pagamenti». Come per dissipare propri timori su una soluzione del genere, poi, «da tutte le parti [venne] … costatato che per legittimare una regolamentazione pratica speciale nella sfera assicurativa va messo in campo questo argomento di rilievo: il fatto che le compagnie di assicurazioni sono concessionarie dello Stato ha creato condizioni speciali, che per così dire escludono l’impiego abusivo di una posizione preferenziale».

L’Ufficio svizzero di compensazione aderì alla proposta delle assicurazioni, a condizione che venissero creati sufficienti meccanismi di controllo; alla fine anche il Dipartimento politico federale autorizzò il progettato clearing assicurativo, compresa l’apertura di un conto di compensazione. Seguirono trattative febbrili con varie delegazioni tedesche, per convincere anche gli organi tedeschi che era necessario, nonostante il blocco dei patrimoni, un traffico dei pagamenti assicurativi il più possibile esente da ostacoli.

Questi colloqui e negoziati estremamente complessi, in cui da parte svizzera le forze trainanti furono Koenig ed Emil Boss, direttore dell’Ufficio federale delle assicurazioni (UFA), portarono all’accordo interstatale (sotto forma di scambio di lettere fra la legazione tedesca di Berna e la divisione commerciale dell’UFA) dell’11 aprile 1945, che istituì un conto speciale presso la BNS. Tramite un giroconto della Deutsche Reichsbank presso la BNS, dovevano venire saldate certe richieste di creditori svizzeri; fra queste c’era la metà dei debiti assicurativi concordati nel protocollo finale del 28 febbraio 1945 (4,5 milioni di franchi per quote di rimborso spese e saldi di riassicurazione, nonché altri 4 milioni per interessi su debiti fondiari in franchi).

Le assicurazioni svizzere non furono felici del «fatto compiuto», come in seguito avrebbero definito l’accordo, perché «contraddiceva il senso e lo spirito» delle intese concordate in febbraio con Schnurre; alla fine delle trattative, però, Puhl sottolineò espressamente – così come spesso affermato da parte elvetica – «che nei suoi colloqui gli era interessato soprattutto non lasciare spezzare i fili con la Svizzera».

Benché mancasse pochissimo al crollo del Reich, le misure preventive necessarie per compiere i trasferimenti furono portate avanti con vigore dalle assicurazioni svizzere. A metà aprile, quando i collegamenti con Berlino non c’erano praticamente più, il dottor Koenig e sua moglie invitarono a cena, nel ristorante della Waid (Zurigo), il vicepresidente della Reichsbank, Puhl (che continuava a differire la partenza, probabilmente anche per motivi di sicurezza), e un altro esponente dell’istituto d’emissione tedesco, Reinel. Fu una «serata cordiale, molto piacevole e spontanea, con cibo squisito», in cui i partecipanti si mostrarono «molto impressionati dagli sviluppi in Germania»; Puhl non aveva più notizie della sua famiglia.

Nonostante la chiusura delle trattative, l’apparenza di una perfetta normalità non poteva più reggere, anche se i due tedeschi intendevano lasciare la Svizzera entro pochi giorni, «ove tutto sia a posto»; già il giorno prima, «visti gli sviluppi militari», avevano però rinunciato al progetto di recarsi a Berlino. Per il ritorno in Germania, che stava molto a cuore all’economia elvetica, venne messa a disposizione di Puhl un’automobile con tanto di benzina.

Ad aspettare febbrilmente che partisse non erano solo le assicurazioni elvetiche:
«La Banca nazionale non ha potuto capire bene perché il vicepresidente della Reichsbank, Puhl, in questi giorni critici sia restato tanto a lungo in Svizzera, invece di tornare in Germania e di salvare le sue riserve auree dalle mani delle forze militari alleate.»

Si temeva perfino che Puhl cercasse di mettersi d’accordo con gli Alleati «per conservare la direzione tecnica della Reichsbank dopo la sconfitta della Germania». Dati i sintomi di dissoluzione del Reich in quei giorni, l’accordo non poté più venire applicato; i conflitti per gli averi del giroconto I, tuttavia, proseguirono intatti per anni. Le questioni erano due: da un lato se la BNS potesse assegnare in proprio importi che spettavano sì ai creditori svizzeri in forza di un accordo interstatale, ma al cui pagamento la Reichsbank non aveva dato via libera; dall’altro come ripartire tali importi fra i vari gruppi degli aventi diritto. I dissidi sulla distribuzione del denaro vennero sistemati solo alla fine del 1953.

Il ruolo di Hans Koenig

Le trattative del ramo assicurativo e la posizione dell’ASA furono fortemente segnate dalla personalità di Koenig, che poteva appoggiarsi a un’équipe ben affiatata e come responsabile dei negoziati aveva la massima libertà:

«Da parte del capo della delegazione svizzera per le trattative economiche con la Germania, al sottoscritto [Koenig] era stata data ampia carta bianca nel disbrigo delle questioni affidategli (traffico assicurativo, ipoteche-oro), visto che si trattava di questioni particolarissime. Si era creata la prassi che egli preparasse autonomamente coi suoi interlocutori tedeschi i testi contrattuali, e poi, a parte i continui ragguagli tramite appunti di verbale, solo alla fine delle trattative informasse coerentemente l’intera delegazione svizzera; dopo di che le intese relative al transfer assicurativo e alle ipoteche-oro venivano inserite dal capo della delegazione svizzera, a mezzo firma, nell’accordo complessivo.»

Nonostante tutta la sua flessibilità per motivi tattici, Koenig era caratterizzato da un’ostinazione straordinaria. Per lui le trattative economiche erano esclusivamente questione di calcolo; in un’ottica odierna non presentava considerazioni morali. La riflessione in primo piano era questa: quale posizione frutta di più al ramo assicurativo, a breve e medio termine, e nello stesso tempo gli assicura prosperità a più lunga scadenza? In concreto, quindi, per Koenig si poneva il problema del punto-limite «fin cui possiamo spingerci con la Germania, senza che gli Alleati rompano con noi».

Ma già all’inizio del 1943 quel punto del «fin lì e non oltre» era, a suo parere, «non solo raggiunto ma già superato». Poiché l’economia svizzera «dopo la guerra – anche a ciò bisogna pensare di tanto in tanto – [avrebbe dovuto] riprendere assolutamente i rapporti con le due Americhe», ora Koenig, in linea di massima, non era più disposto a soddisfare anche richieste tedesche moderate, perché in gioco non c’erano «i 100 o 150 milioni di franchi» bensì «qualcosa di ben diverso, cioè la completa dipendenza dallo schieramento dell’Asse. … Se alla fin fine si tratta di tirare le cuoia, allora preferiamo non cedere e tirarle, piuttosto che cedere e poi tirarle sicuramente.»

Particolare vistoso, però, nei negoziati economici gli interessi di Koenig coincidevano in ampia misura con quelli dei tedeschi. Le sue affermazioni anteriori, che non lasciavano dubbi sulla sua avversione per il regime nazista e la sua speranza in una sconfitta quanto più rapida possibile dell’Asse, passarono in secondo piano dati gli intensi rapporti d’affari e anche personali che egli aveva in Germania.

In quel periodo teso, senz’altro frenetico, Koenig legò strettamente la propria sorte – quindi anche quella della Rentenanstalt, anzi dell’intero ramo assicurativo – alla sorte dei suoi partner tedeschi; e ciò, indubbiamente, anche perché aveva capito che il mercato assicurativo tedesco era di enorme importanza per le assicurazioni svizzere, e che quindi ai partner commerciali tedeschi bisognava creare, nel proprio interesse, condizioni di rilancio il più possibile favorevoli per il dopoguerra.

Koenig trovò un aiuto decisivo nell’Ufficio federale delle assicurazioni, che rappresentò con vigore gli interessi delle compagnie elvetiche (e di quelle tedesche con concessione in Svizzera). Il suo direttore, Boss, cercò incessantemente di appianare loro la strada: si sforzò, per esempio, di aggirare il blocco degli averi tedeschi in misura tale che le aziende assicuratrici (anche quelle tedesche in Svizzera) potessero mantenere un esercizio normale.

Egli insisté presso l’Ufficio svizzero di compensazione affinché la franchigia fosse alzata a 10.000 franchi, il che equivaleva a un ampio esonero dal blocco; dall’Ufficio stesso, inoltre, si fece autorizzare a concedere la stessa regolamentazione anche per gli assicuratori tedeschi in Svizzera, il che equivaleva a svuotare di significato il blocco patrimoniale.

Anche in fatto di riassicurazioni, Boss osservò «che bisognerebbe tenere in piedi come finora un normale rapporto d’affari coi riassicuratori tedeschi». Il rappresentante della CSR, Paul Guggenbühl, su questo punto era ben più riservato e sottolineò di continuo il carattere politico del decreto varato dal Consiglio federale il 16 febbraio 1945; per lui, quindi, non era possibile creare così, tranquillamente, una regolamentazione eccezionale per il ramo assicurativo.

Va tenuto presente, d’altronde, che la sua compagnia si poteva senz’altro permettere questa linea di riserbo, perché le regolamentazioni in vigore fino ad allora le erano state straordinariamente favorevoli; un senso acuto di Realpolitik, inoltre, era sicuramente opportuno per la CSR, dati i suoi forti legami d’affari anche con lo schieramento alleato.

Le trattative di Washington e l’accordo finanziario del 1946

Nel quadro della conferenza di Yalta (inizio febbraio 1945), Churchill, Roosevelt e Stalin si accordarono sul principio di confiscare a scopi di riparazione tutti gli averi tedeschi che si trovavano fuori della Germania. Nella conferenza di Potsdam (agosto 1945) venne decisa una ripartizione fra Alleati occidentali e Unione Sovietica: agli americani, ai britannici e ai francesi sarebbero andati gli averi tedeschi nelle rispettive zone d’occupazione e nei paesi neutrali dell’Europa occidentale, ai sovietici quelli nella loro zona d’occupazione e nell’Europa centrale e orientale.

Il controllo sui patrimoni tedeschi all’estero fu conferito al Consiglio alleato di controllo, nominato successore legale del governo tedesco; la legge n° 5 dello stesso Consiglio di controllo (30 ottobre 1945) tolse ai proprietari tedeschi il potere di disporre dei loro beni all’estero. L’Agenzia interalleata di riparazione (AIAR), fondata nel dicembre 1945 alla conferenza di Parigi sulle riparazioni, fissò una chiave di ripartizione per l’intero importo delle riparazioni fra i 18 paesi firmatari; questi ultimi incaricarono i governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia di avviare immediatamente trattative con gli Stati neutrali sulla consegna dei beni tedeschi.

La Svizzera, pur contestando inizialmente la legittimità di queste richieste, si vide poi costretta a partecipare ai negoziati: solo così sarebbe stato possibile sbloccare gli averi elvetici, congelati negli USA dal 1941, e far cancellare le «liste nere» di boicottaggio per certe aziende svizzere, di cui era dimostrata o anche solo presunta la passata collaborazione con la Germania. Occorreva trovare una soluzione, inoltre, per i beni tedeschi su suolo elvetico, soggetti a blocco dal febbraio 1945.

All’inizio del 1946 la Svizzera fu invitata alle trattative di Washington; capo della delegazione elvetica era il ministro Walter Stucki. Avviati i colloqui, ben presto emersero in primo piano le attività connesse con la Deutsche Reichsbank e l’oro venduto dalla Germania alla BNS. Già prima che cominciassero i negoziati, in questo senso c’erano già state forti critiche alla Svizzera da parte degli USA; a scatenare gli attacchi erano state lettere del vicepresidente della Reichsbank, Emil Puhl, al ministro tedesco Walther Funk, fatte pervenire al senatore americano Harley M. Kilgore, presidente dell’autorevole Subcommittee on War Mobilization.

Puhl vi riferiva sulle trattative da lui svolte in Svizzera all’inizio dell’aprile 1945, in base alle quali certi averi in franchi che la Reichsbank possedeva in Svizzera erano stati impiegati per saldare richieste elvetiche nei confronti di debitori tedeschi. Rappresentanti delle autorità e uomini politici americani accusarono la Svizzera di aver così violato le intese raggiunte durante i colloqui Currie del febbraio/marzo 1945, in cui da parte elvetica era stato assicurato che dei beni tedeschi bloccati in Svizzera si sarebbe disposto solo previa consultazione degli Alleati.

Stando alle delibere della conferenza di Parigi sulle riparazioni, l’oro acquisito illegalmente
dalla Reichsbank e inoltrato a banche centrali di Stati neutrali andava consegnato all’AIAR; i negoziatori alleati sostenevano, al riguardo, che tutto l’oro venduto dalla Germania fosse da considerare, fino a prova contraria, depredato. Gli Alleati avevano ottime informazioni; per il trattamento delle questioni in esame, funzionari di vari organi americani avevano svolto ampi lavori preliminari per conto della delegazione alleata.

In base a una vasta analisi di documenti della Reichsbank, a materiale documentale allestito in proprio dalla BNS e a dichiarazioni di testimoni, essi avevano ricostruito con precisione il traffico di oro fra l’istituto d’emissione tedesco, quello svizzero e le banche commerciali elvetiche, concludendo che la BNS aveva acquistato dalla Reichsbank oro belga per un valore di oltre 500 milioni di franchi. L’oro olandese, invece, non fu oggetto di discussione: il problema divenne attuale solo quando, dopo la firma dell’accordo di Washington, furono scoperti documenti che dimostravano la vendita alla Svizzera anche di oro proveniente dall’Olanda.

Il direttore generale Alfred Hirs, che partecipava ai negoziati e doveva difendere il punto di
vista della BNS, cercò di giustificare la linea seguita dalla banca con considerazioni valutarie e di politica della neutralità; sottolineò, fra l’altro, come l’istituto si fosse fatto confermare dalla Reichsbank che l’oro venduto proveniva da riserve d’anteguerra, e come non ci fossero stati motivi per dubitare della legittimità di tali assicurazioni. Sempre secondo Hirs, di oro depredato non si poteva parlare, quindi la BNS non aveva nulla da rimproverarsi; se gli Alleati intendevano far valere richieste di restituzione, dovevano adire le vie legali e presentarsi a un tribunale elvetico.

Questa posizione si sarebbe rivelata insostenibile. I delegati alleati possedevano una dichiarazione di Puhl, rilasciata in sede d’interrogatorio alla fine della guerra: agli svizzeri, stando al vicepresidente della Reichsbank, era stato chiarito come, nonostante le assicurazioni date, non ci fosse alcuna garanzia che l’oro da essi acquistato non potesse provenire da stock acquisiti dalla Reichsbank in Belgio e in altri paesi occupati. Di ciò era stato informato il «secondo uomo dopo Weber»; quando gli Alleati domandarono a Hirs di chi si trattasse, egli dovette ammettere, imbarazzato, che la persona indicata da Puhl era proprio lui.

Hirs, evidentemente, non era all’altezza del suo compito; non aveva capito che i tempi erano cambiati e che agli Alleati non bisognava opporre argomenti di politica della neutralità o richiami a coercizioni esterne di politica valutaria e monetaria. Nella sua corrispondenza con la Svizzera, inoltre, egli omise di adottare le misure di sicurezza necessarie: sull’andamento dei negoziati spedì rapporti in Svizzera, al presidente della direzione generale della BNS, per mezzo della posta regolare.

Si venne a sapere, per giunta, che si era espresso in termini sprezzanti sul conto di singoli esponenti delle autorità americane, lasciando trasparire un atteggiamento antisemita; il clima delle trattative, già teso, ne risultò ulteriormente peggiorato. Lo scalpore provocato dal comportamento di Hirs indusse il capo della delegazione svizzera, Stucki, a prendere di persona le redini della situazione; la sua condotta negoziale energica consentì di evitare un fallimento delle trattative.

Anche gli Alleati, però, tenevano a raggiungere una conclusione, perché volevano condurre negoziati simili con altri paesi neutrali e non belligeranti come Svezia, Portogallo e Spagna. In primo piano c’erano, come spiegò più tardi il ministro americano delle finanze John Snyder, il fabbisogno urgente di mezzi finanziari per la ricostruzione in Europa e considerazioni di sicurezza: in quel momento non si escludeva un risveglio del revanscismo e militarismo tedesco, e si voleva evitare la formazione di piazzeforti economiche o militari in paesi terzi ad opera di ex nazisti.

Entrambe le delegazioni avevano riconosciuto che insistere sui punti di vista giuridici diversi non dava la possibilità di uscire dal vicolo cieco; da parte elvetica venne concordato di mostrarsi disponibili a concessioni sulla questione dell’oro, ma di non cedere sul problema degli averi tedeschi bloccati. Dopo un mese d’intense trattative, il consigliere federale Petitpierre scrisse a Stucki:
«A mon avis personnel, il est préférable de céder sur la question de l’or, dans laquelle notre position morale et peut-être aussi juridique est plus faible, mais en revanche de résister sur les avoirs allemands.»

Era il segnale d’avvio di un compromesso politico, cosicché il 25 maggio 1946 si poté giungere a un accordo. Come risarcimento dei suoi acquisti di oro, la Svizzera s’impegnò a versare un indennizzo di 250 milioni di franchi per la ricostruzione in Europa; gli Alleati dichiararono per contratto che accettando quell’importo rinunciavano, per sé e per i loro istituti d’emissione, a qualsiasi pretesa nei confronti del governo elvetico o della BNS per l’oro venduto dalla Germania alla Svizzera durante la guerra, e questa assicurazione fu rilasciata anche per tutti gli altri Stati firmatari dell’AIAR.

Quanto agli averi dei tedeschi residenti in Germania, sottoposti a blocco dal Consiglio federale, essi dovevano venire liquidati e il ricavato andava diviso a metà fra la Svizzera e le tre potenze occidentali (per conto degli Stati dell’AIAR); per i proprietari venne stipulato un indenizzo in marchi tedeschi. In compenso gli Alleati abolirono le «liste nere»; gli USA s’impegnarono anche a rilasciare, previa procedura di certificazione, tutti gli averi svizzeri congelati.

Gli Alleati, pur non avendo affatto raggiunto tutti i loro scopi, si accontentarono dei risultati negoziali. Il secondo uomo della delegazione statunitense, Seymour J. Rubin, scrisse quindi in questi termini al segretario di Stato, James F. Birnes:
«These documents constitute, in my opinion, a satisfactory agreement. The security objectives … are almost realized, and a substantial amount of money … is obtained for reparation and restitution.»

Nel contesto dei problemi in esame, l’accordo fu giudicato soddisfacente anche dagli altri partecipanti alla delegazione negoziale alleata. Restò aperta, per il momento, la questione delle modalità esecutive, che richiese ulteriori trattative. Dapprima fu necessario affrontare il complesso di problemi costituito dalla certificazione degli averi congelati negli USA; entro la fine del 1947 l’Ufficio svizzero di compensazione, cui era stato assegnato questo compito, rilasciò circa 170.000 certificati. Complessivamente poterono così venire liberati averi per un valore di 4,6 miliardi di franchi svizzeri; altri averi per 400 milioni di franchi non vennero certificati e finirono all’ente americano incaricato di amministrare i beni degli ex nemici.

In seguito passarono in primo piano i conflitti sui sequestri: si trattava di decidere chi dovesse liquidare i beni tedeschi che, pur trovandosi in paesi terzi, appartenevano a imprese tedesche con sede in Svizzera. Fallito un tentativo di soluzione multilaterale, vennero stipulati accordi bilaterali con parecchi Stati; il ricavato della liquidazione fu di circa 90 milioni di franchi. Di tale somma circa 40 milioni andarono alla Svizzera, che per metà li fece pervenire a svizzeri danneggiati dal nazismo e dalle conseguenze della guerra.

Anche sulla liquidazione degli averi tedeschi soggetti a blocco si giunse finalmente a un’intesa: un pacchetto di riscatto dell’accordo di Washington, siglato alla fine dell’agosto 1952, stabilì che gli Alleati rinunciavano alle loro pretese nei confronti della Svizzera, in cambio di un indennizzo forfettario di 121,5 milioni di franchi per i paesi dell’AIAR. Il reperimento della somma di riscatto per gli Alleati e il trattamento dei patrimoni tedeschi in Svizzera furono disciplinati per contratto fra Berna e la Repubblica federale tedesca.
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Anche se nel 1946 la delegazione elvetica riuscì a strappare concessioni agli Alleati e a difendere con successo la sua posizione sotto vari aspetti, non va trascurato il fatto che anch’essa dovette fare concessioni importanti. Fra queste ultime c’era soprattutto l’obbligo di liquidare gli averi tedeschi e di dividerne il ricavato con gli Alleati per i paesi firmatari dell’AIAR; tale clausola fu criticata, soprattutto da esponenti borghesi, come usurpazione di proprietà privata straniera e quindi come intromissione nell’ordinamento giuridico interno dello Stato.

Se l’accordo comunque finì con l’essere approvato, ciò avvenne soprattutto perché così fu possibile normalizzare i rapporti incrinati con gli Alleati; visti i rapporti di forza internazionali e i cospicui interessi economici e finanziari in gioco allora, la Svizzera non aveva proprio altra scelta.

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