“FERMATE QUEL GIUDICE DI TRENTO” – 2

a cura di Cornelio Galas

In questa seconda puntata sul giudice Carlo Palermo, un giudice, come detto, di prima linea, riportiamo, integralmente il testo di un’intervista concessa dall’ex magistrato di Trento alla Rai il 26 dicembre 1997.

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Carlo Palermo

Carlo Palermo si presenta così:

“Sono stato magistrato e giudice istruttore a Trento, dal 1975 fino al 1984. In quel periodo, nei primi anni Ottanta, mi occupai di una importante inchiesta, riguardante traffici di armi e stupefacenti, mafia e corruzione politica.

Quell’indagine, in qualche modo, venne fermata ed io, rimasto senza la possibilità di occuparmi di altro, mi trasferii a Trapani, per svolgere le funzioni di pubblico ministero. Quaranta giorni dopo subii un attentato a Pizzo Lungo. Qualche mese dopo lasciai la magistratura attiva e mi trasferii a Roma, dove lavorai per qualche anno al Ministero di Grazia e Giustizia.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Nel 1989 ho lasciato definitivamente la magistratura e negli anni seguenti, sia pur a tempo ridotto, ho lavorato come politico. Sono stato deputato al Parlamento, poi mi sono dimesso da quella carica e attualmente sono Consigliere regionale e provinciale in Trentino, a Trento, nel luogo dove originariamente avevo iniziato a svolgere l’attività di magistrato.

La strage di Capaci

La strage di Capaci

Dal 1992, successivamente alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, ho ripreso a ritornare in Sicilia e ho avuto occasione di seguire i processi sulle grosse stragi mafiose, come avvocato di parte civile. In questa qualità difendo familiari o di magistrati o di agenti uccisi in episodi mafiosi.

In un paese civile e democratico come il nostro, dopo la caduta del muro di Berlino e l’Europa unita, c’è ancora bisogno di servizi segreti?

I servizi segreti sono preposti alla sicurezza interna ed esterna del paese. Indubbiamente debbono far parte delle istituzioni dello Stato anche organismi che operino riservatamente: ciò è quanto dovrebbe normalmente avvenire. Meno normale è che, accanto a questa attività di carattere istituzionale, venga svolta un’attività deviante e quindi deviata. Questo certamente non è normale.

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Lei pensa che ci siano state delle collusioni tra servizi segreti e malavita?

Le collusioni purtroppo esistono non solo nella nostra storia passata, ma anche in quella più recente. Facciamo qualche esempio concr egli anni Ottanta vi fu un grosso scandalo: quello delle fascicolazioni riservate e segrete del vecchio SIFAR.

Si scoprì, in coincidenza con gli scandali legati alla P2, che venivano tenute delle fascicolazioni riservate su personaggi politici, magistrati, personaggi influenti di vario genere; fascicolazioni che servivano chiaramente a scopo di ricatto, di controllo delle persone. Quando venne accertata questa consuetudine, che veniva posto in essere dai nostri servizi segreti, venne ordinato di distruggere tutta la fascicolazione riservata.

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Di fatto si è verificato non solo che parte di quei fascicoli non sono stati distrutti, ma più recentemente – negli anni ’92-’93, cioè proprio dell’epoca più recente – è emerso che, in occasione di recenti processi istruiti dalla magistratura del pool di Milano, con riferimento a magistrati attualmente operanti, si sono rinnovate queste consuetudini del passato, e cioè fascicolazioni riservate, segrete, che indicano come quelle vecchie metodologie di conflittualità tra poteri dello Stato continuano a essere anche oggi sistema praticate.

Lo Stato come può controllare i servizi segreti?

Purtroppo è un po’ difficile pensare che lo Stato, inteso in senso impersonale, possa controllare i servizi segreti. I servizi segreti sono strutture dello stesso Stato, e sono sottoposti a varie forme di controllo sia governativo che parlamentare. Poi vi è il controllo, sia pur successivo, allorquando vi è un’indagine in corso da parte della magistratura.

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E’ fin troppo evidente che riesce molto difficile controllare la attività degli appartenenti ai servizi segreti, che operano nella clandestinità, e quindi continua ad essere molto facile la possibile sovrapposizione tra attività lecite, poste in essere per motivi di sicurezza interna ed esterna dello Stato, e fini illeciti. Accanto al controllo di carattere istituzionale, e perciò lecito, ci può essere spazio per forme invece di invadenza e di compartecipazione in attività illecite.

Oggi il ruolo dei servizi segreti è cambiato? Si può dimenticare il passato?

E’ difficile tracciare una croce sul nostro passato fin tanto che quel passato non viene scoperto nei suoi dettagli. Faccio un esempio: nel 1987, in prossimità dell’abbattimento del muro di Berlino, è stata costituita a Trapani una cellula Gladio, di nome Scorpio.

Ci si può chiedere come e perché, in un’epoca così recente, in un’epoca in cui quella contrapposizione ideologica – che pur poteva in passato motivare o giustificare sia l’esistenza di una struttura NATO di quella portata, sia la segretezza che su quella struttura vi era – veniva superata, potesse esserci la necessità della creazione di una nuova struttura Gladio in Sicilia.

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Questo è uno dei tanti misteri, che però sta a indicare come, quando si parla di questo argomento, è molto difficile tracciare una linea di demarcazione tra il passato e il presente, in quanto determinati fatti, posti in essere dalle strutture dei nostri servizi segreti, continuano ad essere presenti tutt’oggi, proprio perché non vi è stata una fondamentale rottura con tutti i fatti del passato.

Tanti altri misteri – faccio un esempio: quello di Ustica – stanno a indicare la copertura, a tutt’oggi esistente, da parte dei nostri servizi segreti, ma anche di altri, di possibili responsabilità, che fin tanto che non vengono accertate e quindi rese note non consentono di affrontare il futuro con una speranza di trasparenza.

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Molti degli episodi oscuri, avvenuti negli anni Settanta-Ottanta, sono stati attribuiti alla P2. E’ possibile che molti di questi episodi, di cui non si è mai scoperto il vero responsabile, siano stati attibuiti alla P2 per nascondere e per coprire altre associazioni, che sono le vere responsabili?

In verità, nei confronti della P2, sono stati avanzati molti sospetti, che però giudizialmente, cioè nei processi, non hanno trovato il riscontro concreto: ne sono susseguite molte assoluzioni. Io direi che la P2 ha rappresentato uno strumento di raccordo segreto, occulto, tra una pluralità di soggetti influenti.

Quello che non è stato purtroppo sufficientemente provato, in modo tale da reggere al vaglio del controllo della magistratura, è la partecipazione diretta di questa struttura ad episodi delittuosi. Anche per l’episodio della strage di Bologna sono state individuate responsabilità di deviazioni, di depistaggi, ma non di attività concrete di stragismo, che è una cosa molto diversa.

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La strage di Bologna

Su questi episodi di stragismo vorrei precisare: la nostra storia purtroppo è ancora troppo confusa, ancora dagli anni Sessanta e dai fatti avvenuti negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Quasi tutti gli episodi presentano degli aspetti che non sono stati assolutamente chiariti. Vi sono delle ricorrenti presenze massoniche e di servizi segreti, però a tutt’oggi tutta questa nostra storia non è stata assolutamente definita con precisione.

Si è molto parlato dei pentiti, che, in cambio di informazioni, ricevono vari benefici. Secondo Lei il comportamento delle istituzioni nei confronti dei pentiti è corretto?

No. Personalmente ho avuto la possibilità di constatare – proprio seguendo alcuni processi in Sicilia, fondati sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – che possono nutrirsi molti dubbi e perplessità sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, da una parte per il riferimento continuo, che da parte loro viene fatto a episodi da loro conosciuti indirettamente, dall’altra per il tenore molto generico delle loro dichiarazioni. Questo va precisato, in generale, sul contenuto delle loro dichiarazioni.

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Quello che, almeno personalmente non ritengo di poter condividere, è la impostazione per la quale l’aspetto premiale, che esiste per i collaboratori di giustizia, è quello secondo cui, sotto il pretesto della protezione, della necessità della loro protezione, in fin dei conti si realizza una loro sottrazione alla detenzione.

Questo aspetto premiale a mio parere non è assolutamente condivisibile. Non è condivisibile perché entra in contrasto proprio con i principi di responsabilità, che sono pur contenuti nella nostra Costituzione, e che indicherebbero il precetto per il quale se si compie un’azione si deve rispondere. Rispondere penalmente vuol dire anche soggiacere, sottostare a un effetto punitivo, parzialmente punitivo. La carcerazione è punitiva e riabilitativa, ma deve essere anche punitiva. Invece, con questo sistema, questo effetto viene praticamente a mancare.

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D’altro canto proprio questo sistema premiale fa sì che l’individuo, il soggetto interessato, possa essere molto più facilmente indotto a collaborare, cioè a farsi vedere operante nella sua attività di collaborazione con il magistrato, proprio per usufruire di determinati benefici. Questi meccanismi fanno sì che possono prospettarsi e verificarsi numerose contraddizioni ed esasperazioni del sistema.

Personalmente, in alcuni processi, nei quali sono difensore di parte civile, ho chiesto in via cautelativa anche il sequestro dei beni dei collaboratori di giustizia, proprio in considerazione del fatto che essi devono rispondere, così come gli altri.

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Mi pare molto incongruente, ad esempio, che, per la strage compiuta nei confronti di Giovanni Falcone, la pena minore sia stata erogata nei confronti proprio dell’imputato che ha azionato il telecomando, solo perché ha confessato.

Le cosiddette “stragi di Stato” sono un’ipotesi. Effettivamente alcune responsabilità sono state ritrovate dimostrate: si sa che della Loggia P2 facevano parte anche responsabili dei servizi segreti e generali dell’esercito. Però non sono stati mai presi dei provvedimenti contro queste persone. Come si può spiegare? Non è una vergogna?

Si può spiegare forse rendendosi conto del fatto che esistono dei segreti. Nella storia di quasi tutti gli episodi criminali più micidiali della nostra storia – quelli che hanno visto la soppressione di investigatori, di magistrati e anche di politici – vi è sempre un aspetto preventivo che non è mai stato sufficientemente approfondito, proprio perché viene eliminato colui il quale è il custode dei segreti, colui che viene ucciso.

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Colui che viene ucciso è il portatore e custode di carte, di documenti, di conoscenze, e solo attraverso la ricostruzione di tutto quello che si nasconde dietro l’individuo è possibile risalire agli avversari che lo hanno eliminato. Certo si può solo constatare il dato di fatto che, ad esempio, quando venne ucciso il generale Dalla Chiesa, sparirono documenti dalla sua cassaforte.

Certo si può constatare come anche nel processo per la strage di Capaci sono avvenute alterazioni, successive alla morte, di agende, che erano in possesso del magistrato. Vi è sempre questo strano effetto concomitante, accanto alla eliminazione di bersagli scomodi: l’occultamento e la sparizione di carte, documenti.

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Ancora noi, a distanza di vent’anni, continuiamo a parlare dei documenti Moro, del sequestro Moro. A distanza di tanto tempo la verità su questi fatti, sulle verità racchiuse in qualche cassaforte, non è ancora conosciuta.

Non è il caso di chiudere questo periodo, tirando fuori tutte le verità sulle “stragi di Stato”, sugli intrecci tra servizi segreti, politica, mafia e P2?

Ritengo purtroppo che, se non si riesce a chiudere tutta questa fase della nostra storia, è proprio in conseguenza del fatto che non è stata fatta luce su questi episodi interamente. La mancata chiarezza su questi episodi, nello stesso tempo, rende anche difficile un generale perdono, una generale dimenticanza.

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Si ritorna sempre sul passato quando non si comprende, quando non si capisce. Almeno personalmente io posso dire che, avendo vissuto alcuni fatti a livello personale, mi riesce molto difficile ragionare in termini di cancellazione di ricordi, se su quei fatti non si riesce, quanto meno, a conoscere la verità.

Della Loggia P2 hanno fatto parte molti personaggi influenti del mondo della politica, della finanza e dello spettacolo. L’elenco completo degli iscritti non è mai stato reso noto completamente. Molte di queste persone continuano a svolgere il loro lavoro, continuano ad avere ruoli molto importanti, molto influenti in diversi campi e anche nel campo della politica. E’ giusto continuare a permettere loro, nonostante abbiano questi precedenti, di occupare questi ruoli?

La risposta è proprio nelle pronunce giurisdizionali che vi sono state. Vi è stato un periodo, quello più vicino alla scoperta della P2, cioè dei primi anni Ottanta, nel quale le reazioni nei confronti della massoneria e in particolare di queste logge occulte, è stata molto vivace. Quindi vi sono state assunzioni di posizioni molto rigide nei confronti degli appartenenti a queste logge.

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Successivamente, man mano che i processi hanno ridimensionato quegli aspetti che apparivano negativi – non vi sono stati i riscontri processuali, rispetto alle ipotesi che erano state formulate – ne è conseguita una sorta di legittimazione dell’attività svolta da quei soggetti.

Questo è una conseguenza storica, che si è di fatto verificata in conseguenza delle assoluzioni che sono avvenute nei procedimenti riguardanti la P2. Quindi non ci si può meravigliare oggi che questi fatti possano essere posti in essere, perché sono la conseguenza di pronunce della magistratura.

Noi sappiamo che Lei ha subito un attentato ed è stato oggetto di minacce. Questo come ha influito sul piano umano e professionale?

Ci sono certi episodi nella propria vita che hanno e che lasciano tracce indelebili. Per me l’episodio di Pizzo Lungo, il fatto avvenuto il 2 aprile del 1985, è un fatto che è presente dentro di me e le immagini di quel fatto rimarranno sempre nella mia vita e continuano ad accompagnarmi quotidianamente.

La strage di Pizzolungo

La strage di Pizzolungo

Pensi che, ecco, in quel giorno ebbi la fortuna di sopravvivere a un’esplosione che era destinata a far saltare la mia vettura, ma che invece fece saltare un’altra auto, che si trovava in mezzo tra l’auto contenente l’esplosivo e quella mia blindata. Fu una casualità incredibile, irripetibile, se pensa che in una frazione di milionesimo di secondo, cioè quello nel quale venne pigiato il pulsante, le tre auto si trovavano perfettamente allineate.

Di fatto l’auto di mezzo, quella che conteneva una mamma e due bambini, rimase completamente polverizzata. I corpi furono tutti dilaniati. Io di quell’episodio conservo questa penna, che in quell’occasione si trovava nella mia tasca e che rimase completamente frantumata. Poi la feci, così, ricomporre con pezzi, per avere un ricordo di quell’episodio.

La strage di Pizzolungo

La strage di Pizzolungo

Ricordare quei fatti è troppo difficile e anche lungo, comunque si tratta di immagini che non possono essere cancellate più, perché quotidianamente, ogni qual volta vedo l’immagine, di una macchina sulla destra, ferma e vuota, è come se apparisse l’esplosione. Questi sono purtroppo ricordi non dimenticabili.

Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, più che per merito della magistratura, è avvenuto perché sono venuti a mancare quei margini economici che permettevano la speculazione sui fondi dello Stato?

Parzialmente sì. Forse anche in misura maggiore rispetto ai margini di incisività della magistratura, direi che ne è stato causa la debolezza stessa del potere politico in quel periodo. Infatti negli anni precedenti la solidità del potere politico aveva di fatto compresso la possibilità per i magistrati di svolgere adeguate indagini nei confronti dei fenomeni di corruzione politica.

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Io fui una vittima di queste difficoltà. Io già nel 1983 avevo formulato le ipotesi di reato di finanziamento illecito in favore del P.S.I., però la mia inchiesta non poté proseguire. Ci vollero dieci anni perché quelle verifiche potessero essere fatte e portate a compimento da parte del pool di Milano.

Ciò non è avvenuto, in tutto il frattempo, proprio ed essenzialmente a causa della solidità politica di un sistema che ci ha governato per numerosi anni, difendendo il sistema stesso, anche contro quelle possibilità di accertamento poste in essere dalla magistratura. Nel ’92 sono saltati, innanzi tutto, determinati equilibri politici, e quindi si sono creati dei varchi, che hanno dato la possibilità alla magistratura di svolgere quegli accertamenti definiti Mani Pulite.

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Non dimentichiamoci che in Sicilia ciò ha dato la possibilità di realizzare gli episodi delle stragi mafiose, di produrre un effetto stabilizzante. Perché la reazione che la popolazione ha avuto, che le istituzioni hanno avuto di fronte a quegli episodi è stata necessariamente di timore, di terrore, di panico e di riagganciamento a ciò che di forte e stabile può essere presente accanto a noi.

Quale ruolo di connessione hanno avuto i servizi segreti nelle stragi del ’92 e del ’93?

Una bella domanda. Personalmente ritengo che, se le indagini avranno effettivamente uno sviluppo nel senso, nel senso che io ritengo più giusto, potranno indicare che accanto e contro quelle speranze di modifica, che erano presenti nella popolazione e così genericamente nelle nostre istituzioni di cambiamento, vi sono state delle contrapposte manifestazioni di interessi, che miravano invece a conservare un aggancio con quelle strutture preesistenti e con gli interessi di gruppo preesistenti.

In sostanza vi sono stati degli interessi a impedire un reale passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. La eliminazione di Giovanni Falcone forse racchiude proprio questo: è stato ucciso un personaggio che non era solo un magistrato, il quale poteva rivestire un importante ruolo nella seconda Repubblica.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

E’ stato ucciso un personaggio che era testimone storico della prima Repubblica. E quindi uccidendo lui si è preclusa quella possibilità di comprensione su tanti fatti che se fossero stati resi noti e sviluppati avrebbero potuto avere una influenza determinante nel processo sociale in corso negli anni ’92, ’93 e successivi.

Oltre che da attentati di stampo mafioso, la Sua attività giudiziaria quali altri ostacoli ha dovuto superare e da chi è stata fermata?

E’ molto complicato. Bisognerebbe indicare un po’ tutto, perché è tutto l’ambiente nel quale svolsi l’attività di magistrato, che incontrò all’epoca ostacoli: imputati, avvocati, colleghi, vicini, lontani, la criminalità, la mafia, il potere politico, i servizi segreti.

Pensi che da quegli anni, era l’Ottanta, sono stato sottoposto a misure di vigilanza, scorta, ma capitò anche che la mia scorta, che all’epoca era costituita, da finanzieri specializzati per questo settore di operatività: a volte fermarono persone sospette, persone sospette, che dagli accertamenti delle generalità risultarono essere appartenenti ai servizi.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Queste parole tanto astratte, delle quali noi abbiamo parlato, poi si concretizzano, diventano con nome, cognome e indirizzo, nel momento in cui poi ci si accorge che nei confronti di un magistrato, che svolge le indagini, alcuni tutori dello Stato si preoccupano di difenderlo dai pericoli che corre, altri lo controllano per altri fini.

Queste sono, in fin dei conti, le contraddittorietà e le difficoltà che si incontrano, allorquando le proprie indagini, come erano appunto un po’ le mie, riguardavano esattamente quegli apparati, e cioè gli apparati dei servizi segreti.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Credo che se dovessi in qualche modo esprimere un po’ quello che si è frantumato, si è spezzato in me, dall’epoca antecedente all’attentato ad oggi, forse un oggetto che può indicare, in modo chiaro e limpido proprio quello che ero prima e quello che sono adesso, probabilmente è costituito da quelle mimose, che sono qui, e che probabilmente per tutti possono solo e semplicemente significare dei fiori profumati, ma che per me non lo sono più, perché quell’attentato che io subii nel 1985 ha rappresentato per me un motivo di lesioni varie, ma in fin dei conti, tra queste lesioni varie, ne ho subita una, che è più particolare, è quella della perdita dell’olfatto.

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Questa potrà sembrare una cosa banale, però per me rende percepibile un modo di sentire le cose, un modo di sentire le cose che prima avvertivo e che ora non avverto più. Sono legato a ricordi di quelle mimose per quando ho vissuto in Sicilia o per quando, come ho raccontato anche in un recente libro, o quando, in Bulgaria, nelle mie indagini avevo avuto la possibilità di constatare che quelle mimose sono belle utilizzate in occasione della festa delle donne, dagli abitanti locali.

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Purtroppo oggi quelle mimose per me rappresentano solo e semplicemente qualcosa che vedo e qualcosa di cui non sento più il profumo. Ecco questo è un simbolo di quella frattura che in me si è verificata tra passato e presente.

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