“FERMATE QUEL GIUDICE DI TRENTO” – 1

a cura di Cornelio Galas

Carlo Palermo, nato ad Avellino, il 28 settembre 1947, già sostituto procuratore a Trento dal 1975 fino al 1984 e poi a Trapani fino al 1989. Oggi esercita l’avvocatura.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Sintetizzata così, sembrerebbe la carriera di un magistrato come tanti altri. In realtà Carlo Palermo è stato il giudice che – partendo dal sequestro di un notevole quantitativo di droga a Trento – scoperchiò una serie di vicende da spy story: dal traffico di armi alla P2, dalla mafia ai servizi segreti, fino all’attentato a papa Giovanni Paolo II.

Il titolo di questo servizio è, volutamente, quello di un libro, scritto da due miei colleghi trentini (Maurizio Struffi e Luigi Sardi): “Fermate quel giudice”. Sicuramente ancora disponibile per chi volesse approfondire il caso.

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Carlo Palermo – che ho avuto l’onore di conoscere quando lavoravo al giornale “l’Adige” – fu poi “dispensato” (eufemismo) da quel filone d’inchiesta. E scampò per caso, per una fortunata coincidenza ad un attentato a Pizzolungo nel quale morirono una madre e i suoi due piccoli figli.

E proprio dall’attentato al papa, cioè dall’epilogo di quella serie di indagini, inchieste, scottanti, “contrastate”, cominceremo oggi, con il verbale, il resoconto stenografico, della seduta (6 luglio 2005) della commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana.

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Prima però un breve riassunto, per inquadrare meglio fatti e personaggi di vicende anche tragiche che hanno accompagnato, suo malgrado, in quegli anni Carlo Palermo.

Nominato sostituto procuratore di Trento nel 1975, Carlo Palermo diventò noto al grande pubblico quando aprì un’indagine su un ampio traffico di armi e droga, che venne avviata nel 1980 in seguito al sequestro di 110 kg di morfina base a Trento  destinati all’albergatore Karl Kofler (morto poco tempo dopo in carcere) e ad Herbert Oberhofer, i quali costituivano un anello di congiunzione tra i trafficanti turchi e mafiosi siciliani.

Il generale Giuseppe Santovito

Il generale Giuseppe Santovito

Gli accertamenti evidenziarono il ruolo principale avuto dal trafficante siriano Henry Arsan (residente a Milano), il quale riusciva a barattare carichi di armi in Medio Oriente con partite di droga, e coinvolsero anche ufficiali dei servizi segreti affiliati alla loggia P2 (il generale Giuseppe Santovito e il colonnello Massimo Pugliese), il boss turco Bekir Celenk (implicato anche nell’inchiesta romana sull’attentato a Giovanni Paolo II) e l’attore Rossano Brazzi, i quali erano accusati di aver partecipato a trattative per la vendita di armi da guerra all’estero.

Craxi e Andreotti

Craxi e Andreotti

Tuttavia l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi presentò un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura contro il giudice Palermo perché si era sentito indebitamente chiamato in causa dopo che il magistrato aveva scritto il suo nome su alcuni decreti di perquisizione intestati al finanziere socialista Ferdinando Mach di Palmstein: per queste ragioni il Csm avviò un’inchiesta disciplinare nei confronti di Palermo e gli fu tolta l’indagine.

Il magistrato decise allora nel 1985 di farsi trasferire alla procura di Trapani, dove le sue indagini si erano incrociate con il collega Giangiacomo Ciaccio Montalto ucciso nel 1983: infatti il giudice Palermo si era incontrato a Trento con Ciaccio Montalto tre settimane prima che fosse ucciso per scambiarsi informazioni riservate sul filone dell’inchiesta che riguardava il traffico di stupefacenti.

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Giangiacomo Ciaccio Montalto

Nella città siciliana, dopo solo 50 giorni dal suo arrivo, la mafia reagì e tentò di ucciderlo con un’autobomba a Pizzolungo, una frazione del trapanese: il magistrato restò ferito, poiché al momento dell’esplosione l’auto del magistrato stava superando una vettura su cui si trovavano Barbara Rizzo e i suoi due piccoli gemelli Salvatore e Giuseppe Asta, che morirono dilaniati, investiti in pieno dall’esplosione.

Le indagini successive chiarirono che l’attentato dinamitardo aveva finalità preventive e dimostrative perché il giudice Palermo aveva intenzione di continuare le indagini sul traffico di droga e sarebbe potuto arrivare ad una raffineria di eroina nei pressi di Alcamo, che venne scoperta dalla polizia ventidue giorni dopo l’attentato.

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Carlo Palermo e la strage di Pizzolungo

Pochi mesi dopo l’attentato, Carlo Palermo si trasferì per qualche tempo a Roma al ministero, poi lasciò la magistratura e intraprese l’avvocatura, oltre a impegnarsi in politica. Per La Rete è stato dall’aprile 1992 deputato alla Camera nel collegio Trento-Bolzano, fino a quando, nel novembre 1993 fu dichiarato incompatibile e sostituito da Paolo Prodi: nella sua esperienza parlamentare, si mise in evidenza opponendosi all’alta velocità ferroviaria in Alto Adige e appoggiando l’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi. Successivamente è stato consigliere provinciale (e quindi anche regionale) a Trento.

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L’AUDIZIONE DI CARLO PALERMO – ROMA – 6 LUGLIO 2005

Presidenza del vice presidente Giovanni MONGIELLO (Misto: Pop-Udeur), deputato; Giulio ANDREOTTI (Aut.), senatore; Walter BIELLI (DS-U), deputato; Vincenzo FRAGALÀ (AN), deputato (morto il 26 febbraio 2010 in seguito all’aggressione del 23 febbraio 2010, quando un uomo lo aveva ridotto in fin di vita davanti al suo studio); Erminio Angelo QUARTIANI (DS-U), deputato.

Giovanni Mongello

Giovanni Mongello

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità della seduta sarà assicurata per mezzo della trasmissione con impianto audiovisivo a circuito chiuso e che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico. L’ordine del giorno reca l’audizione del dottor Carlo Palermo, che ringrazio per la disponibilità dimostrata. Ricordo che i lavori si svolgono in forma pubblica e dunque é attivato, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora se ne presentasse la necessità, in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto per il tempo necessario. Prima di dare la parola agli iscritti, e ci sono già richieste in tal senso, vorrei fare alcune domande. Rinnovo, intanto, il ringraziamento al dottor Palermo per la disponibilità dimostrata. Egli é stato magistrato testimone di un’epoca che ha visto tanti eventi tragici e comunque molto importanti per la storia degli ultimi tempi del nostro Paese.

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Il dottor Palermo è anche autore di alcuni libri e, proprio facendo riferimento a quanto scritto dallo stesso, mi permetto di porgli delle domande. Dottor Palermo, nel suo libro «Il Papa nel mirino» lei afferma di aver interrogato Alì Agca nel febbraio 1983, alla vigilia della sua trasferta a Sofia per espletare rogatorie internazionali in Bulgaria, anche alla presenza del giudice istruttore di Roma, dottor Ilario Martella, e che una copia di tale verbale rimase a lei e una copia al giudice Martella.

Ilario Martella

Ilario Martella

Lei afferma, fra l’altro, che tali documenti sarebbero spariti dagli atti dell’inchiesta sull’attentato al Papa e che la notizia di tale sparizione lei l’ha avuta dal giudice istruttore Rosario Priore. Conferma tali affermazioni alla Commissione?

PALERMO. Confermo senz’altro la circostanza dell’interrogatorio, anche se più esattamente io effettuai un primo interrogatorio di Alì Agca in presenza del pubblico ministero di Trento, dell’interprete e dell’avvocato che difendeva Alì Agca.

Poiché non ero convinto circa l’esattezza di alcune informazioni che mi aveva fornito Alì Agca, due giorni dopo feci un supplemento di interrogatorio, preavvisando il giudice Martella e chiedendogli di presenziare all’interrogatorio. In quella occasione, feci riconfermare quelle circostanze ad Alì Agca e quindi gli contestai delle imprecisioni, delle inesattezze che vi potrò spiegare puntualmente e che risultano per iscritto.

Ali Agca e Giovanni Paolo II

Ali Agca e Giovanni Paolo II

Alì Agca rimase un po’ confuso di fronte a queste contestazioni. Prima disse che aveva appreso di alcuni numeri telefonici che mi aveva fornito per convalidare certi rapporti che lui aveva intrattenuto con il Celenk per il tramite di Atalay Saral; cioé egli mi aveva fornito dei numeri telefonici che però a me risultava che Atalay Saral aveva cominciato ad usare soltanto nel 1982, e quindi successivamente, quando Alì Agca era già in carcere. Quando gli feci questa contestazione, lui rimase molto imbarazzato.

Prima disse: «è una circostanza che ho appreso in un confronto con Celebi». Poi io gli dissi: «non è possibile che si impari così facilmente un numero a memoria». Alla fine ammise che gli era stata fornita un’agenda di Celebi e lui aveva imparato a memoria dei numeri di telefono per poter dare più attendibilità alle circostanze che lui intendeva precisare nei confronti del Celenk. Come ripeto, questo verbale lo lasciai anche al dottor Martella. Poi non posso parlare di sparizione.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Non ho mai sentito parlare di questo mio verbale nel corso della celebrazione del processo per l’attentato al Papa. In occasione di un incontro che ebbi con il dottor Priore qualche anno fa in relazione alla strage di Ustica, perché lui era il giudice istruttore e io ero difensore di una delle parti civili, gli chiesi se aveva avuto occasione di leggere quel verbale che riguardava Alì Agca, riguardante la mia istruttoria. Lui disse di no, che non c’era. Questo è il motivo per il quale debbo desumere che in qualche modo non sia stato acquisito agli atti di quel procedimento. Comunque ve l’ho portato.

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Posso aggiungere che in ogni caso quel verbale dell’interrogatorio di Alì Agca era ricompreso integralmente nell’ultima ordinanza di rinvio a giudizio che feci nell’ottobre 1984 e che trasmisi in copia alla Procura della Repubblica di Roma, alla Procura della Repubblica di Milano e dovrebbe essere anche in questo Palazzo, perché la trasmisi anche alla Commissione presieduta dalla onorevole Anselmi, la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Quindi è un atto che è stato anche ritrasmesso, sia pure ad altro organo investigativo, ma degli stessi uffici giudiziari romani.

PRESIDENTE. Secondo lei, il dottor Martella ha fatto in modo che questo verbale non potesse essere comunque portato a conoscenza?

PALERMO. Ognuno può fare le proprie considerazioni. Io, dato che ho fatto il magistrato, sono abituato ad esprimermi in termini oggettivi. Lui era presente, così come era presente il pubblico ministero che mi accompagnava. In quella occasione non c’era l’interprete, perché Alì Agca parlava correntemente l’italiano e avevo dunque compreso che non sarebbe stato necessario, mentre era presente l’avvocato di parte.

Ripeto, l’ho portato per darvelo. Io posso dire che trassi il convincimento che Agca non era particolarmente attendibile. Di certo, aveva una conoscenza, sia pur vaga, con circostanze descritte in maniera vaga, dei personaggi di cui mi occupavo (Celenk era imputato per associazione per delinquere nel traffico di stupefacenti e di armi). Anche in relazione ad altri personaggi, era facilmente spiegabile la conoscenza da parte di Alì Agca di circostanze note nell’ambiente.

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Quindi, non ha aggiunto niente di più e, ripeto, mi ha fornito indicazioni non esatte, quindi non ho ritenuto di doverlo, almeno a livello personale, reinterrogare, perché non mi è sembrato utile. Il dottor Martella, prima che io procedessi a questo atto, venne a Trento, per interrogare alcuni dei miei imputati, che partecipavano a quella associazione della mafia turca, che interessavano anche lui. Quindi, acquisì determinati elementi dalla mia inchiesta, che ritengo risultino, perché in qualche modo egli venne a Trento e quindi ha compiuto alcuni atti istruttori.

PRESIDENTE. Dottor Palermo, in un suo libro, afferma che nell’ottobre del 1982 il giudice Martella si trovava in quel momento a Washington per visionare un film su Alì Agca, preparato dall’emittente televisiva NBC.

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In quel programma televisivo, l’emittente aveva avvalorato la tesi, elaborata dal giornalista Marvin Kalb, secondo cui l’attentato sarebbe stato preparato con il concorso morale e materiale dei Servizi segreti della Bulgaria e dell’Unione Sovietica. Da questa esposizione al giudice Martella viene ascritto il ruolo di una pedina manovrata e condizionata dai burattinai di questo complotto massonico occidentale. Conferma questo giudizio?

PALERMO. No. Non e` un giudizio di questo genere. Quelle citazioni sono state da me tratte da altre pubblicazioni e quindi ritengo che il dottor Martella abbia seguito la pista bulgara sulla base delle indicazioni dell’imputato. Se e in che modo vi siano stati incanalamenti, credo che sia qualcosa che forse deve essere verificato con le modalità necessarie e opportune.

Di certo, Alì Agca ha iniziato a parlare del fatto circa un anno dopo dall’episodio. Forse andrebbe ricostruito con compiutezza tutto quello che è avvenuto in quel periodo. Non credo siano avvenuti solo incontri tra il giudice e l’imputato. Si trattava in fin dei conti di un imputato che era già stato condannato all’ergastolo, che aveva rinunciato all’impugnazione. Quindi, conoscendo come vanno le cose nelle carceri, credo che incontri possano esserci stati.

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Poi mi pare, ed è un punto che dovrebbe essere approfondito, che la pista bulgara sia stata segnalata in qualche modo ai nostri Servizi ancora nello stesso maggio del 1981. Nei due volumi che ho scritto ho citato questa informativa del SISMI, almeno sulla base delle fonti che ho avuto la possibilità di consultare (sto parlando però non di attività giudiziaria, ma di attività che ho svolto dopo, quando ho scritto questi libri) e che ritengo di particolare importanza.

Infatti, se una decina di giorni dopo l’attentato al Papa, viene comunque formulata un’ipotesi di complotto ordito dal KGB, questa idea evidentemente o era già presente prima o comunque era stata formulata nell’immediatezza dei fatti e quindi fornisce un’indicazione, una spiegazione su come nei mesi seguenti possano essere avvenuti incontri, anche qualificati, in Italia e all’estero in questo senso, cioè come ipotesi di lavoro per dare una spiegazione a questo attentato apparentemente solitario.

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Debbo distinguere l’attività che ho svolto come giudice, dall’attività di ricerca che ho svolto quando ho cessato le funzioni giudiziarie. In particolare, vorrei dire che i libri sono stati scritti negli ultimi anni e conseguentemente hanno spaziato su fonti diverse rispetto a quelle giudiziarie delle quali io tipicamente mi sono occupato. Quindi per certi aspetti posso affermare e precisare che di certe circostanze sono a conoscenza diretta, perché ne ero giudice, mentre altre le ho apprese studiando e quindi nei miei libri ho indicato le relative fonti.

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Posso aggiungere che nell’immediatezza dei fatti – quindi sto parlando del marzo-aprile 1983 – il Nucleo di polizia tributaria di Milano mi trasmise un rapporto contenente notizie di carattere informativo molto interessanti, in quanto trattava congiuntamente l’attentato al Papa del 13 maggio 1981 e l’episodio dell’anno seguente, cioé l’attentato al Pontefice che vi fu in Portogallo, il 13 maggio del 1982, in occasione della commemorazione dell’apparizione di Fatima.

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L’accostamento di questi due episodi io lo ebbi quindi quasi nell’immediatezza, perché ciò avvenne nel marzo-aprile del 1983, se non sbaglio proprio al rientro dalla mia missione a Sofia. Ricordo addirittura che, quando i funzionari bulgari passarono poi da Trento per svolgere attività istruttoria in Italia e recarsi a Roma (adesso non ricordo se vennero prima a Trento o se vi passarono al ritorno da Roma), io addirittura donai ad Ormankov un volume sull’Apocalisse, proprio perché avevo già mentalmente imboccato la pista ideologica, almeno per quanto riguarda l’aspetto dell’esaltazione mistica, dell’ispirazione alle apparizioni di Fatima e al terzo segreto di Fatima cui, da una parte Agca e dall’altra padre Krohn l’anno seguente, sia pur da contrapposte posizioni, si erano ispirati. Di questo però eventualmente possiamo parlare a parte.

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Giovanni Paolo II in ospedale dopo l’attentato

PRESIDENTE. Lei ha individuato tutta una serie di soggetti che avrebbero tramato per eliminare il Papa polacco: la società segreta Thule, l’Ordine dei templari, lobbies massoniche anglo-tedesche, sette sufiste e sataniche, l’integralismo islamico, in particolare quello musulmano-sciita; leggo alcuni passaggi del suo saggio: «Nell’attentato eseguito da Alì Agca emerge la componente integralista islamica, in particolare quella musulmano-sciita presente nelle forme più violente della jihad islamica.

Il progetto di assassinare il Pontefice avrebbe coinciso con l’emergere delle eresie sufi in vari settori della stessa Chiesa cattolica. Tra queste l’influenza dell’”Armata blu di Fatima” é solo un esempio. Obiettivo di queste eresie sembrerebbe quello di dividere la Chiesa cattolica attraverso gli scismi, iniziativa decisamente contrastata dal Papato. Per questo motivo l’assassinio violento e pubblico del Papa avrebbe avuto un’importanza decisiva per gli obiettivi della società Thule e degli stessi interessi ad essa collegati.

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Il terzo elemento comune, forse il più inquietante, è quello relativo agli aspetti oscuri legati alle simbologie esoteriche rappresentate da Fatima, in cui si sovrappongono elementi di difficile interpretazione. Una quarta componente, almeno relativamente al primo attentato, cioè quello che si tradusse nell’effettivo ferimento del Papa, è il costante inserimento di manipolazioni ai fini della destabilizzazione Est-Ovest influenzata dagli ambienti americani della CIA». Lei conferma queste affermazioni?

PALERMO. Le confermo in pieno, almeno sotto forma di convincimenti. Trattasi di fatti che non possono essere d’altronde fotografati. Si parla di un attentato, di complicità rispetto alle quali la prova scritta non potrà mai essere trovata. Quindi forse si può tentare una lettura storica, critica, ma difficilmente si può trovare la prova giudiziaria delle massime responsabilità.

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Innanzitutto bisogna però, a mio parere, partire dal personaggio di Alì Agca e cercare di verificare se accanto a lui esistono altri ruoli, perché in fin dei conti ci si potrebbe anche fermare alla sua personalità. Uno degli aspetti che, sia pure in quell’unico interrogatorio, ho avuto la possibilità di constatare è che si trattasse di una persona non normale. Era un esaltato, una persona talmente infatuata di sè e desiderosa di notorietà che questo si percepiva chiaramente ed accanto a ciò che lui diceva per accreditare una pista c’era il desiderio da una parte di ottenere il compenso, cioè uscire dal carcere, dall’altra di diventare famoso.

Si tratta di una percezione decisamente palese che lui mi manifestò alla fine dell’interrogatorio quando mi chiese quando sarebbe venuto a Trento, come per chiedere quando sarebbe diventato famoso. Questo è un aspetto di esaltazione che forse nell’istruttoria penale non è stato affrontato ed evidenziato, perché per una persona che in certi momenti processuali addirittura ha asserito di parlare non dico in nome di Dio, ma quasi, forse una perizia psichiatrica sarebbe stata opportuna, proprio per dare un esatto peso e credito alla componente reale e a quella «allucinogena».

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Poi non so bene, ma da alcune fonti che ho potuto consultare credo di capire che egli fosse anche affetto da epilessia; non che questo sia un elemento di carattere decisivo, però, se fosse vero, forse potrebbe spiegare un certo senso di inferiorità e un certo desiderio di emergere e di compiere gesti eclatanti. Questo è un problema. Il fatto che sia stato scelto il giorno della ricorrenza dell’apparizione di Fatima è una circostanza importante, perché non è stata scelta solo da lui, ma da altri; non è quindi solo il fatto che Agca ne abbia poi parlato.

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Io – ripeto – ne ho avuta indicazione da un rapporto di polizia giudiziaria in cui i collegamenti dei due episodi, quello del 1981 e quello del 1982, sono di livello bancario e convergono nell’indicazione di alcuni vertici massonici che sono anche nominativamente indicati nel mio libro – ma non perché ho svolto io l’indagine, quanto perché ne ho ripreso le citazioni da testi e dall’originario scritto della Guardia di finanza di Milano – nel massone Thurn und Taxis, che recentemente dovrebbe essere deceduto, e nei componenti della famiglia Braganza del Portogallo, che in qualche modo, sia l’uno che gli altri, avrebbero avuto dei collegamenti con le banche, con certi poteri di carattere economico che presentano legami sia con l’episodio di Alì Agca, sia con l’episodio di padre Krohn.

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Per quest’ultimo in particolare l’appartenenza a quel culto di Fatima è stato a me rappresentato da un rapporto della Guardia di finanza di Milano che vi consegnerò, se vi interessa, in modo che potrete averne notizia, anche perché quello è un atto giudiziario e quindi in questo caso, si tratta di un atto che io acquisii in quel contesto originario, cioè nella mia qualità di magistrato.

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Posso anche aggiungere che è stato proprio da allora – sto parlando del 1983 – che ho cominciato a formarmi un convincimento sul collegamento che sussiste tra alcuni fenomeni criminali, che sono i traffici di armi, di droga, petrolio, terrorismo; un collegamento che li unisce in modo trasversale, superando quelle barriere che invece possono sussistere apparentemente sotto un profilo politico.

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Quindi così si hanno dei collegamenti tra componenti occulte occidentali, in particolare americane, ed elementi arabi o musulmani, che dovrebbero essere contrapposti, ma che tali non sono, ove si esaminino tutti gli aspetti affaristici che invece ne costituiscono il prodotto. Quel particolare documento che vi darò, del marzo-aprile 1983, contiene l’indicazione addirittura della responsabilità della BCCI, la Banca di credito e commercio internazionale, e delle connessioni in particolare con le responsabilità di tipo occidentale che emersero in un pubblico scandalo ben otto anni dopo, perché lo scandalo della BCCI di cui parlo molto nel libro «Il quarto livello» scoppiò nel 1991.

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Nel 1983 a me veniva riferito in quel rapporto della Guardia di finanza di Milano, quindi con riscontri e indicazioni molto precise. Di questi collegamenti tra elementi occidentali ed elementi islamici, ahimé, nella mia inchiesta ne ho riscontrati veramente molti. Se dovessi descriverveli qui, non basterebbe questo pomeriggio. Vi basti solo un’indicazione sommaria, che se volete vi posso spiegare anche più a lungo: numerosi dei miei principali imputati, appartenenti alla mafia turca, erano collegati alla DEA, ai Servizi americani. Cosa significa questo? Che da una parte risultava agli organi investigativi americani che svolgevano traffico, dall’altra erano informatori e vivevano in stato di libertà.

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Questo per decenni. Il massimo mio imputato, per fare un esempio concreto, Arsan Henry – che all’epoca in cui lo imputai aveva quasi 80 anni ed era persona nota alla nostra Criminalpol, all’Interpol, alla DEA, e viaggiava con documenti falsi consegnatigli dai nostri organi investigativi – è rimasto libero fintanto che sono intervenuto io ad emettere un mandato di cattura.

Ebbene, nella immediatezza dei fatti, quando la mia inchiesta ancora non era molto conosciuta, chiesi all’agente della DEA di Milano se aveva materiale informativo. Me lo trasmise con molta facilità, perché c’era uno spirito investigativo molto costruttivo, e mi mandò queste informative dove ci sono le sigle, i numeri; Arsan Henry veniva indicato come appartenente ad una Italian task force.

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Poi, quando rivoltai il discorso e chiesi spiegazioni su cosa fosse questo gruppo, il funzionario non c’era più, era stato rispedito negli Stati Uniti, e mi si negò qualsiasi delucidazione. Lo stesso è avvenuto per numerosi degli altri personaggi della mafia turca, che pure operavano nel traffico di stupefacenti.

Anche per il Celenk ci furono dei collegamenti e degli appoggi che resero possibile l’attività di questo personaggio, così come anche di altri, di chi era sopra di lui: nella mia inchiesta figurava Mehmet Cantas, che è un personaggio più importante; risultavano cioè collegamenti con organi investigativi occidentali rispetto ai quali l’informazione occasionale costituiva scambio per un’impunità, per posizioni di vertice nei traffici.

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Vincenzo Fragalà

FRAGALÀ. Dottor Palermo, naturalmente mi unisco all’apprezzamento per la sua disponibilità che già il nostro Presidente le ha rivolto e le chiedo alcune notizie, naturalmente basate su fatti. Lei ci ha ricordato che la sua esperienza giudiziaria la porta sempre a distinguere i fatti dalle opinioni e noi, nell’attività d’inchiesta su temi così delicati come l’incidenza da parte dei Servizi segreti dell’Est, del KGB, sulla nostra vita politica, su fatti molto gravi, quali il terrorismo, abbiamo naturalmente l’esigenza di avere una serie d’informazioni.

Mi riferisco subito all’ultima domanda che le ha posto il nostro Presidente per considerare che noi ora possiamo ragionare alla luce di tutto quello che poi abbiamo saputo, perché, crollato il Muro di Berlino, si sono aperti tutti gli archivi dei Servizi segreti dell’Est, abbiamo adesso tutta una serie di informazioni testuali su questa vicenda di cui ci stiamo occupando, l’attentato al Papa.

Giovanni Paolo II con Alì Agca in carcere

Giovanni Paolo II con Alì Agca in carcere

Addirittura il Papa, prima di morire, ha rotto il suo ultraventennale silenzio e nel suo libro-testamento ha detto per la prima volta che la sua convinzione, anzi la sua certezza, era che l’attentato contro la sua vita veniva proprio dal totalitarismo che lui aveva sempre combattuto, soffrendone prima le ferite sulla propria pelle quando era operaio in Polonia, poi quando era prete, quando era cardinale e infine Papa.

Nei suoi due libri, «Il quarto livello» e «Il Papa nel mirino», lei ha esposto la teoria secondo cui a volere morto il Papa sarebbe stata una consorteria criminale appartenente agli ambienti della massoneria cattolica che fa riferimento al culto di Fatima. Di questa cerchia massonica, un ruolo importante lo giocano l’«Armata blu di Fatima» e «Tradizione, famiglia e proprietà».

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Conferma questa tesi? Ci vuole parlare di queste associazioni di cui non sappiamo nulla? Di cosa si tratta? Quali sono i fatti che le hanno fatto scrivere, in due libri pubblicati nel nostro Paese, che l’attentato al Papa ha come matrice la massoneria cattolica, di cui non ho mai sentito parlare?

PALERMO. Intanto, sempre se si voglia credere alla non mera coincidenza di questi attentati rispetto alle date scelte per la consumazione degli stessi, cioè partendo dall’identità dei due episodi, bisogna tornare indietro e vedere cosa significhino le apparizioni di Fatima.

A parte questo rapporto, che dopo vi illustrerò, della Guardia di Finanza di Milano, c’è stato un libro molto interessante che ha parlato di questo aspetto di Fatima e dell’attentato al Papa, uscito forse nel 1983 o nel 1984, di Padre Sebastian Labo «L’attentato al Papa nella luce di Fatima».

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E` un libro molto interessante, che vi invito ad acquisire e leggere soprattutto perché fonte di alcune notizie poco conosciute e poco divulgate; anche se si è molto parlato di queste apparizioni di Fatima e si è molto parlato degli attentati al Papa, del collegamento tra questi fatti, non si è mai evidenziato chiaramente che le apparizioni di Fatima avvennero in un Paese, il Portogallo, in un momento storico in cui il potere politico era massone e si contrappose alla pubblicità che le apparizioni di Fatima provocarono, con afflusso di credenti, quindi configurandosi come ostili al proprio regime politico.

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Le autorità politiche perseguitarono negli anni seguenti le autorità religiose, che invece cercavano di far conoscere al mondo l’importanza di quelle apparizioni. Questi episodi, che sono stati anche abbastanza violenti, io li ho riportati nel libro e li ho tratti da questo volume, che è scritto da un sacerdote molto vicino agli ambienti vaticani, padre Sebastian Labo, e che indico nella bibliografia.

Quindi, una lettura in un’ottica già diversa da quella meramente criminale è già stata fatta da qualcun altro nell’immediatezza, perché quel libro deve essere del 1983 o del 1985.

FRAGALÀ.  Ma la «Armata blu di Fatima» e «Tradizione, famiglia e proprietà» sono due associazioni di cui noi non abbiamo mai sentito parlare. Qual è il collegamento tra queste due associazioni e l’attentato al Papa, basato sui fatti e non sulle opinioni o sui libri?

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PALERMO.  Quanto all’«Armata blu di Fatima», credo si faccia riferimento agli episodi del 1984 e del 1985, mentre per il 1982, per padre Krohn, le rispondo subito. Comunque dopo vi darò questo appunto, che potrete leggere. Intanto, per quanto riguarda il collegamento con Thurn und Taxis, vi è una prima parte di esposizione che si ricollega alla connessione bancaria con la banca sulla quale Celenk avrebbe dovuto effettuare il pagamento; quindi, tramite dei collegamenti di carattere bancario e di controllo bancario, coloro che hanno redatto questo appunto investigativo hanno ricollegato a questo personaggio un possibile movente di ostilità.

FRAGALÀ. Siamo sul terreno del probabilismo funambolico, perche´ come fa un collegamento bancario …

PALERMO.  Aspetti un attimo, non debbo contestare o affermare. Non mi pare di avere emesso sentenze.

FRAGALÀ.  Però ha scritto due libri.

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Juan Fernandez Krohn dopo l’attentata al papa del 1982

PALERMO.  Thurn und Taxis è un alto esponente della massoneria di rito scozzese, come tradizionalmente lo è stata la sua famiglia nei secoli scorsi. Secondo nostre dirette informazioni, il principe Johannes ha espresso un odio viscerale per la Chiesa e il Papa. Bisogna ricordare a questo punto che i due tentativi di assassinio del Papa avvennero sempre il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, Madonna che rappresenta per un gruppo fondamentalista all’interno della Chiesa cattolica l’essenziale punto di riferimento cultista (si badi bene, cultista, non religioso). Juan Fernandez Krohn, che attentò nel 1982 alla vita del Papa, è parte di questo raggruppamento detto del culto di Fatima.

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Krohn faceva parte, dopo aver lasciato il raggruppamento del vescovo Lefebvre, del gruppo religioso cultista «Tradizione, famiglia e proprietà», particolarmente forte e numeroso in America Latina, dove poi ho ritrovato gli episodi del 1984 e del 1985, perché ci sono state delle minacce nei confronti del Papa, di cui ho trovato indicazione in altre fonti, che riconducono, anche citandola, all’«Armata blu di Fatima».

Per una frazione di questo gruppo è Satana e non il Vicario a sedere sul trono di San Pietro. Essi non riconoscono alcun Papa come legittimo dal tempo del pontificato di Pio X. La famiglia dell’ex casa reale portoghese dei Braganza è imparentata con quella dei Thurn und Taxis di Regensburg …

FRAGALÀ.  Ma lei naturalmente …

PALERMO. E` un atto che vi darò e che forse è in possesso, o almeno è stato in possesso, anche dei giudici Martella e Imposimato, perché venne mandato a me e cita noi tre come magistrati interessati a queste vicende.

Conseguentemente, in questo stesso appunto, dove vengono espresse delle riserve anche in relazione al ruolo di Ruzi Nazar, che svolse una parte tra i personaggi che ruotarono attorno ad Alì Agca, viene anche fatto riferimento ad una mera ipotesi in questo senso; è chiaro che stiamo parlando di ipotesi, ma viene fatta allora, nell’immediatezza dei fatti, cioè nel 1983.

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Carlo Palermo

FRAGALÀ.   Quindi questa è la sua unica fonte?

PALERMO.  Di quello che le sto dicendo sì. Faccio riferimento al 16 aprile del 1983.

FRAGALÀ.   Adesso torniamo ai fatti …

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PALERMO.  No, mi faccia finire. Si dice: «Secondo nostre fonti di intelligence americane di solito bene informate e degne di fede, la verità attorno all’attentato al Papa non verrà mai fuori a causa dell’accordo politico strategico raggiunto tra Yuri Andropov e circoli americani, non l’amministrazione Reagan in quanto tale o il presidente Reagan, ma quei circoli che includono George Bush, George Shultz e Henry Kissinger».

Poi si continua a parlare di questo argomento che rappresenta un po’, se vogliamo, la traccia di base di quella costruzione che poi mi sono fatto attraverso il tempo, e cioè che, al di là dei vari livelli criminali che è possibile constatare nei singoli episodi (traffici di stupefacenti, traffici di armi, attentati, petrolio, eccetera), esistono livelli di carattere superiore nei quali vengono superate le barriere ordinarie.

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Quindi poi che si chiamino Servizi impazziti, cellule deviate o altro, il discorso è comunque questo. Quello che nella specie a mio parere rileva, per quanto riguarda l’attentato al Papa, è che il Papa si venne a trovare, per la funzione che assolveva e per il particolare momento storico, in una posizione di estrema contrapposizione da una parte nei confronti dell’Unione sovietica, ma anche nei confronti degli Stati Uniti per quella situazione di «guerra fredda», di ideologia che in quel momento era il criterio di stabilità a livello mondiale.

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Egli si pose altresì in contrapposizione con l’integralismo musulmano. Da una parte Alì Agca si fece portatore di quelle che erano le sue esaltazioni ed ideologie tipicamente islamiche, ed in quanto appartenente al gruppo dei Lupi Grigi cercò di portare avanti, in una maniera, a mio parere, anche da esaltato, questo suo messaggio e questo suo tentativo di massima notorietà; dall’altra, esaminando la vita di Alì Agca da prima a dopo, ci si accorge che, partendo da questa posizione di antagonismo che lui manifestò subito allorquando evase dalle carceri in cui era ristretto in Turchia nel 1979, da quel momento egli cominciò ad usufruire di appoggi economici, di «padrini», di mandanti delle sue azioni (si possono trovare numerose qualificazioni) che in qualche modo lo appoggiarono in quanto lui aveva ufficialmente declamato fin dal primo momento quale era il suo obiettivo, cioè l’eliminazione del Papa.

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Quindi ci fu una convergenza di interessi che può aver giustificato e aver consentito ad Alì Agca in primo luogo di andare indisturbato in Turchia per quasi un anno, anche se era latitante, prima di spostarsi in Bulgaria e di fare tutti i movimenti che ha fatto, ottenere documenti, soldi o comunque denaro che ha continuato ad essergli elargito fino a quando non è stato arrestato.

Quindi, se tutto ciò è avvenuto, a mio parere è stato proprio perché vi è stata una convergenza di interessi che ha reso possibile l’ausilio nei confronti di questo soggetto, da una parte emotivamente e soggettivamente ispirato in maniera anomala, dall’altra che si era ufficialmente dichiarato e che quindi, forse proprio per questo motivo, è riuscito a trovare questi aiuti.

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FRAGALÀ.  Dottor Palermo, torniamo adesso ai fatti. I fatti che io le declino sono tutti conseguenziali e certamente tutti da lei conosciuti. Lei ha parlato di una convergenza di interessi traendola da questo documento che – come dice lei – è sul piano delle ipotesi, non certamente dei fatti; addirittura lei ritiene di poter indicare un’alleanza tra Andropov e circoli americani non nell’orbita di Reagan, ma al solito nell’orbita di Kissinger.

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Lei sa benissimo che il primo atto di ostilità estremamente grave nei riguardi della vita del Papa si riscontra in una lettera di Andropov, che non era una persona qualunque, bensì a quell’epoca, nel 1978, dopo l’elezione dell’operaio polacco, il direttore della Lubijanka, del KGB, il quale scrive ai capi della residentura dei Servizi segreti del Patto di Varsavia una lettera circolare datata novembre 1978, in cui si dice che il famigerato Karol Wojtyla è stato nominato Papa del Vaticano e bisogna assolutamente assumere le contromisure; le contromisure – scrive Andropov – sono o l’aggressione e la distruzione morale della personalità del nuovo Papa, oppure la misura estrema della sua eliminazione.

Papa Wojtyla

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Lei sa anche bene, avvocato Palermo, che i circoli americani di cui lei parla, su indicazione proprio del nuovo Papa, finanziarono Solidarnosc e consentirono, attraverso questo finanziamento, la grande visita del Papa a Varsavia che destabilizzò completamente il regime comunista polacco.

Lei sa anche che la Bulgaria del gennaio 1981 era il Paese comunista più militarizzato e più controllato dal «tallone di ferro» dell’Armata rossa. Lei sa anche, avvocato Palermo, che Alì Agca non avrebbe potuto andarsene indisturbato, come ha detto lei, in giro per la Turchia, e neanche essere ospite per tre mesi nell’albergo di Stato di Sofia nel 1981, prima di essere sbarcato a Roma ed essere armato con la famosa pistola per tentare di uccidere il Papa, senza che i Servizi segreti bulgari, ma soprattutto sovietici, non lo volessero, imponessero, proteggessero, finanziassero e armassero.

Ali Agca

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Lei sa anche, avvocato Palermo, che i due giudici bulgari con cui lei ha avuto diversi contatti erano in effetti – lo provano adesso i documenti ufficiali del KGB, della STASI e dei Servizi segreti bulgari – due agenti dei Servizi segreti bulgari. Ed allora, la mia prima domanda è questa: quante volte e in che occasione lei, quando era giudice istruttore, ebbe modo di incontrare i due sedicenti giudici bulgari Jordan Ormankov e Stefan Petkov?

PALERMO.  Lei ha prima fatto una decina di domande distinte, per cui mi faccia prima rispondere a quelle. Intanto di conoscenze relative ai metodi di attacco di persone che in qualche modo non si pongono in linea di continuità con le precedenti, credo di averne, essendone stato direttamente oggetto.

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Conosco perfettamente sia le attività dirette a distruggere la credibilità, sia quelle volte a distruggere la persona. Credo di esserne ormai maestro e di essere vissuto insieme con queste «compagnie». Pensi che, a partire dall’anno 1981 (quell’istruttoria riuscii a portarla avanti solo per tre anni; anche se feci tanta strada, furono soltanto tre anni), non passava quasi giorno che non dovevo difendermi da esposti, denunce o lettere di minacce e non semplicemente di farmi saltare per aria (cioè da nemici di vario genere).

Io ci sono «vissuto» in mezzo a questi Servizi; ci sono abituato. Sono stato dal 1981 con la scorta che a volte ha fermato agenti dei Servizi. Le istituzioni da una parte si preoccupavano di tutelare la mia salute e dall’altra si preoccupavano di sapere le cose che riguardavano me. Credo che nei documenti che avete vi sia anche prova di quello che vi sto dicendo. Lei ha parlato della Bulgaria come Paese corrotto, ma lei non ha idea di cosa fosse la Turchia. Prima di andare in Bulgaria …

FRAGALÀ.  Non corrotto, peggio: comunista, il più comunista dei Paesi oltre la cortina di ferro.

PALERMO. Lei non ha conosciuto (perché evidentemente non ci è andato) la Turchia, perché invece, se si vuole fare l’equazione, la Bulgaria sta al KGB come la Turchia sta alla CIA. In Turchia ci sono andato più di un anno prima, nel 1982, perché, inseguendo solo i trafficanti di droga e di armi che fornivano i laboratori siciliani, ho avuto occasione di esaminare la mafia turca nei suoi massimi esponenti, perché appunto rifornivano la mafia siciliana e usufruivano del Trentino come isola felice per tenervi depositi provvisori (io mi trovavo a Trento).

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Ecco come io mi sono occupato e sono venuto a conoscenza della mafia turca, perché poi dai trafficanti che ho identificato e che hanno cominciato a parlare in Italia, sono venuto a sapere dei loro capi e dei destinatari, dei mafiosi siciliani. Quindi, al di fuori del loro contesto, perché anche per loro c’é la stessa omertà che vi è nella nostra mafia, hanno parlato: hanno detto chi li comandava, chi erano i fornitori, chi gestiva i campi di papavero, chi erano i trasportatori e dove portavano la droga, i laboratori dove si trovava.

Questo è stato il motivo per il quale ho avuto occasione di seguire il percorso, partendo da Aybukir e Killis, dove ci sono i campi di papavero, per arrivare fino ai laboratori del territorio siciliano. Quando sono andato a fare la prima rogatoria in Turchia (a me fa sorridere il modo in cui sia stato trattato questo argomento dei giudici bulgari), non erano giudici bulgari quelli con cui avevo a che fare, erano funzionari bulgari.

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In Turchia, quando ero andato l’anno prima, era per lo stesso motivo: imputazioni di associazione a delinquere per traffico di stupefacenti e traffico di armi, reati per i quali il tribunale militare prevede la pena di morte. Anche quella volta fu la stessa cosa. A provvedere anche materialmente agli interrogatori furono dei funzionari che non erano giudici, erano le autorità del pubblico ministero, dell’accusa, appartenenti all’amministrazione.

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Già l’anno prima, lì, fui sempre accompagnato – a parte dai funzionari italiani e dall’Interpol – dal capo della polizia turca che si chiamava con un nome suggestivo, Attila (per questo lo ricordo), il quale aveva arrestato il suo predecessore. Andai lì per fare una rogatoria e per interrogare i tre principali miei imputati che erano i fornitori: Kisacik Mustafà, Cil Huseyn e Neyr Hassam.

Venne tradotta la mia rogatoria sul posto, vennero arrestati mentre mi trovavo lì, erano personaggi di primaria importanza, che svolgevano tutto il lavoro. Li arrestarono. Hanno cercato di farmi fuori. A seguire: tribunale militare, interrogatorio, richiesta di condanna a morte. Lei si meraviglia che queste persone fossero di appartenenza militare? No, ma figuriamoci! In Jugoslavia, dove pure ho svolto rogatorie, fu la stessa identica cosa. Il terzo Paese che mi è toccato e` stata la Bulgaria.

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Ma che cosa ci si poteva aspettare di trovare per imputazioni di questo genere? Di certo non potevo sapere che fossero dei Servizi, che fosse coinvolta l’attività dei Servizi, ma in Paesi in cui il controllo era totalitarista era molto facile che succedessero cose del genere; almeno, io avevo timore di tutti.

Di certo le posso assicurare che non fossero dei giudici come eravamo noi. Anche noi adesso non lo siamo più, perché la figura del giudice non c’é più, la figura del giudice istruttore è stata eliminata. Avremmo dovuto essere procuratori e già sarebbe stato diverso. Bisogna tenere presente questo. Erano funzionari. Non darei rilevanza a questo aspetto, ma non darei rilevanza nemmeno al discorso della contrapposizione. Ma chi può non essere d’accordo con lei che la Russia avesse timore del Papa? E` stato capace di contribuire in maniera determinante all’abbattimento del Muro di Berlino.

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Ma non bisogna dimenticare che questi equilibri facevano comodo anche agli Stati Uniti. Non teniamo in piedi solo una facciata della verità. E` questo l’equilibrio che ha consentito al mondo di stare in piedi dal dopoguerra fino al 1989-1990. Quindi, non dimentichiamoci di questa realtà, così come non dobbiamo dimenticarci che Alì Agca, prima di venire in Italia, ha compiuto assassinii in Turchia; è ipotizzabile che sia stato assoldato o sia stato fatto uscire dalle carceri dai Servizi bulgari?

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Mi scusi, ma credo che, se quella simbiosi, se quella assimilazione, quella proporzione di cui abbiamo voluto parlare prima è valida, allora la cosa turca è cosa turca e americana, la cosa bulgara è cosa bulgara e russa. Perciò credo che l’attentato al Papa sia nato esattamente in Turchia, nel momento in cui Alì Agca ha ucciso il direttore del Milliyet, nel momento in cui vi è stato l’omicidio di Ipekci, nel momento in cui è stato arrestato, nel momento in cui ha cominciato a declamare quella sua modalità di uscire dal carcere al prezzo del miglior offerente, cioè a far capire che tramite quello che avrebbe detto avrebbe ottenuto la libertà.

Ed è stato ciò che ha ottenuto. E` stato da quel momento che, non solo è uscito dalle carceri con la divisa e scortato – cosa che poteva avvenire solo con la protezione casalinga, non certo dei bulgari in Turchia –, ma appena uscito, ha fatto la telefonata nella quale ha dichiarato che avrebbe ucciso il Papa se fosse entrato in Turchia, cosa che invece era già stata programmata e non era evitabile.

Giovanni Paolo II con suor Lucia, una delle veggenti di Fatima

Giovanni Paolo II con suor Lucia, una dei veggenti di Fatima

Da quel momento è stato sempre aiutato e pagato. Perché non sono state fatte indagini in quella direzione? Dove sono questi nomi? Questa è la domanda che mi faccio. Perché è stata seguita solo la pista bulgara e non anche quella turca, visto che Alì Agca è turco, che è sciita e che ha una sorella che si chiama Fatma (lo scrive lui nel suo libro)? E dato che non può parlare delle apparizioni di Fatima nel senso religioso nostro, visto che è musulmano, ma ha anche una sorella che si chiama così, lui può esprimere solo una rivendicazione propria nei confronti di quell’episodio, in attesa del premio, così come era stato per gli altri omicidi che aveva compiuto.

E vengo all’ultima domanda che mi ha posto. Ho incontrato i due funzionari bulgari quando sono andato in Bulgaria. Sono stato il primo ad andare lì e le posso assicurare che hanno avuto timore loro a farmi entrare. Io forse mi facevo forte del fatto che, se mi fosse accaduto qualcosa, sarebbero stati guai per loro, ma le posso assicurare che vedevo spie dappertutto, parliamoci francamente.

Alì Agca

Alì Agca

Feci una rogatoria ufficiale nella quale altro che pista bulgara dell’attentato al Papa! La pista bulgara dell’attentato al Papa si leggeva sulle deposizioni di Alì Agca. La pista bulgara – che non è esattamente una «pista bulgara» – era una via, un canale di trasferimento della droga che dalla Turchia passava alla Bulgaria, alla Jugoslavia e all’Italia. Quello era uno dei paesi di passaggio.

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Nella mia inchiesta gli imputati erano tutti «uniformi». Le parlo di imputati non assolti, ma condannati per traffico di stupefacenti a 29 anni di reclusione, cioè le pene più pesanti. Vi invito a leggere, comunque ve li lascerò, gli interrogatori dei miei imputati, di Wakkas Salah Al Din, il quale mi ha indicato le responsabilità del Governo bulgaro nel traffico di armi, insieme a nomi bulgari. Quindi, si figuri se lei mi chiede se conosco le responsabilità bulgare.

Certo che le riconosco e le conosco nei traffici degli stupefacenti e nei traffici di armi, che lasciano traccia molto più dei traffici di stupefacenti, perché per quest’ultima sostanza, almeno parlo dei livelli elevati, ci sono ordini verbali, mentre per le armi rimangono sempre le tracce, perché sono più ufficiali. Anche se sono dismesse, è più facile risalire ai responsabili.

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Quindi quando sono andato lì non è che io tremassi, chi tremava di più erano loro. Celenk non è che faticai poco ad interrogarlo e a riuscire a dimostrare qualcosa. Loro non lo volevano fare interrogare come imputato, ma solo come teste, da Ormankov. Io posi l’aut aut, o me lo fate interrogare come imputato, altrimenti è inutile. Gli si volevano chiedere le informazioni come se fosse un testimone, quando per me si trattava di un imputato e quindi non sarebbe stato valido.

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Me lo fecero fare, feci l’interrogatorio e alla fine riuscii a dimostrare, se non altro, che per l’ultimo visto sul passaporto era stato aiutato dall’ambasciata di un Paese occidentale, credo che fosse la Germania. Io ebbi quell’incontro. Naturalmente nel corso della rogatoria gli elementi nei confronti della mafia turca e dei bulgari furono pesanti, però ottenni qualche cosa e mi fa sorridere un’osservazione che ho letto nel resoconto dell’audizione di Martella, ossia che appena me ne andai vi fu una riunione per la quale qualcuno «volò di corsa» o qualcosa del genere, perché io avevo espresso il pensiero di un collegamento tra i trafficanti della mafia turca e la CIA.

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Intanto non è proprio esattamente così, perché loro non facevano molta distinzione tra la CIA e la DEA, ma questa circostanza era vera. Nella mia inchiesta era così. Molti degli imputati appartenevano ai massimi vertici ed erano protetti; non parlo di quelli di basso livello, ma di quelli alti, che reggevano il traffico, i quali avevano appunto protezioni.

Quindi a me risultava essere una circostanza abbastanza vera, e questo mi preoccupava come magistrato, nella mia inchiesta, in quanto molti dei miei latitanti, dei trafficanti, a me risultava si trovassero a Sofia. Gli misi sotto il naso il nome di quelli che erano a Sofia. Quando gli dissi che c’era anche la possibilità che fossero collegati agli americani li misero fuori e vennero arrestati.

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Qualche effetto c’è stato, per questo ho detto che faceva sorridere, ma non credo che «volassero» così rapidamente. Di certo, però, hanno scaricato determinati imputati. Non ho controllato, ma mentre prima Celenk intendevano proteggerlo fino alla fine per timore che parlasse e dicesse qualcosa su di loro, poi l’hanno dato ai turchi, cioè se lo sono tolto di mezzo e credo che la preoccupazione fosse perchè potesse esserci qualche collegamento con qualche gioco sottile.

Non è facile spiegarlo, però di certo per il traffico di stupefacenti e per il traffico di armi ciò si è verificato. Consideri che il capo del Celenk, che si chiamava Cantas Mehmet, aveva – e questo lo posso dare per sicuro perché è stato anche condannato – il monopolio del traffico di sigarette dagli Stati Uniti alla Turchia.

Sa che cosa vuol dire avere il monopolio? Vuol dire avere il contatto con i produttori, oltre che il controllo e la gestione degli stupefacenti e delle armi; vuol dire che, se queste cose vengono fatte, lo sanno tutti. Quindi traffico di stupefacenti, traffico di armi, traffico di sigarette, petrolio: questi sono gli affari che tengono uniti gli islamici e gli occidentali.

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La Russia a quell’epoca era al di fuori di questi interessi, perché poteva anche essere, e di certo lo era, ideologicamente contrapposta agli Stati Uniti (era quella contrapposizione ideologica che ha consentito la vita su questo mondo per 30-40 anni), però sotto il profilo dei traffici di stupefacenti e di armi non era la Russia, semmai la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania …

FRAGALÀ.   L’Albania!

PALERMO.  Eventualmente l’Albania, ma come Paese implicato nei traffici – io almeno le parlo per aver visto queste persone – la Russia non c’era. Arsan Henry, siriano, forniva armi contemporaneamente all’Iran e all’Iraq, forniva le armi dismesse dalla CIA e quelle trasportate dalla Romania e dalla Cecoslovacchia, allo stesso modo, contemporaneamente, alla Siria e al Libano, senza differenza!

In questi commerci non esistono queste differenze, per cui il contatto tra i Servizi e gli elementi criminali che operano è ordinario. Se si entra in questa ottica, allora poi ci si può porre più correttamente la domanda: Alì Agca cosa ha fatto? Di chi è figlio? E` figlio in primo luogo della Turchia, è un turco, è appartenente al gruppo dei Lupi Grigi, è un esaltato, ma era soprattutto fissato in testa, aveva manie di grandezza.

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FRAGALÀ.   Non ha mai ritenuto che fosse un infiltrato del KGB nei Lupi Grigi?

PALERMO.  Io in questa sede parlo sulla base di un verbale, di un interrogatorio e di un incontro che ho avuto per quattro ore con una persona. Posso dire di aver avuto un’esperienza nel confrontarmi con gli imputati, perché quando si parla con una persona e poi con un’altra e con un’altra ancora si riesce a capire se il primo dice la verità o dice una bugia.

Alì Agca raccontava bugie. Forse poteva anche inseguire la verità; la verità può anche essere quella che suppone lei, onorevole Fragalà, ma non è quella di Alì Agca. Ha capito cosa intendo dire? Io parlo della possibilità di un complotto a vertici superiori, ma non sulla base di quelle indicazioni, perché quelle indicazioni erano forse troppo ridotte o troppo frammiste, di quelle inesattezze, perché gli erano state inculcate, che hanno fatto sì che poi gli imputati fossero assolti.

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Se infatti non avesse fatto insinuare lui stesso dei dubbi con le contraddizioni che c’erano in quanto diceva, perché non è che sono venuti soltanto a me i dubbi, ma anche agli altri, forse gli imputati non sarebbero stati assolti. Quindi voglio dire che comunque qualcuno gliele ha dette le cose.

Possiamo prendere visione dell’interrogatorio per verificarlo. Lui dice che aveva contatti con Celenk per l’attentato, che quando andava in una certa località (non ricordo se in Austria o Svizzera) lì c’era Ataly Saral presso il quale andava e gli telefonava a certi numeri, che poi elencava; a me tutta questa precisione non convinceva, per cui effettuai dei controlli e verificai che questi numeri erano stati dati nel 1982; come avrebbe fatto allora a cercare il Celenk da Atalay Saral a quei numeri?

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Non era possibile e quindi glielo contestai. Lui mi disse che gli avevano dato l’agenda di Celebi e lui se li era imparati a memoria. Come fa allora uno a credere poi alle altre circostanze? Questa è una smagliatura – se vogliamo – in cui mi sono imbattuto io, che l’ho interrogato solo una volta, però di fatto l’ho constatata direttamente.

Posso anche credere, e l’ho scritto nel mio libro, che il Papa è andato contro le ideologie, quella sovietica, ma anche contro quelle islamiche e contro quelle occidentali; per quanto riguarda i collegamenti, bisogna anche considerare che qualunque realtà è sufficiente rigirarla per vederla da un’altra parte. Bisogna capire che cosa si vuole cercare. Se uno vuole cercare solo una verità, a mio parere per quanto riguarda la vicenda del Papa si corre il rischio di sbagliare.

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Per completare la risposta alla domanda che lei mi ha fatto, onorevole Fragalà, io rividi poi i funzionari bulgari una volta che vennero in Italia e si fermarono a Trento; non ricordo se interrogarono o meno qualcuno degli imputati del mio procedimento, che erano a disposizione, ma si tratta dell’episodio di cui ho già detto, allorquando ho donato quel libro sull’Apocalisse che aveva la traduzione in greco e in latino, dato che Ormankov era colto e quelle idee di Fatima a quell’epoca io già le coltivavo; ma non perché me ne ero invaghito, piuttosto perché ne ero stato informato da un organo investigativo, la Guardia di finanza.

Poi la mia inchiesta in pochi mesi da quel momento è finita, perché basta avere memoria, io sto parlando di un rapporto del marzo-aprile del 1983 e alla fine del 1983 io mi scontrai con altre realtà e quindi tutta questa parte dell’inchiesta ebbe a finire. Però, per quanto riguarda i traffici di stupefacenti e di armi, gli imputati vennero tutti condannati alle pene più forti e pesanti che ci sono state in Italia.

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FRAGALÀ. Dottor Palermo, concludo con una considerazione, oltre che con una domanda. E` chiaro che, quando lei è stato oggetto a Trapani del terribile attentato da cui si salvoò miracolosamente e in cui morirono i due gemellini, naturalmente gli investigatori, l’autorità giudiziaria, gli apparati di intelligence non pensarono che il movente dell’attentato potesse essere, ad esempio, una corrente della magistratura diversa dalla sua, ma che fosse la criminalità, la mafia o gli interessi che lei stava combattendo a Trapani in quel momento e che aveva combattuto prima.

Quindi è chiaro che, quando vi è stato l’attentato al Papa e Alì Agca ha prima confessato e poi ritrattato, dopo che i due funzionari bulgari – ed io la ringrazio di questa onestaà intellettuale che lei dimostra chiamandoli con il loro nome, i due «sedicenti giudici» – che poi abbiamo accertato che erano addirittura due agenti dei Servizi segreti … la cosa incredibile è che la nostra autorità diplomatica e il nostro Governo hanno consentito che un soggetto già condannato all’ergastolo per l’attentato al Capo di uno Stato straniero potesse essere oggetto di una mistificatoria indagine bulgara per calunnia e per simulazione di reato …

PALERMO.  Non lo so.

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FRAGALÀ.  So che lei non lo sa, però io le do un’informazione: dei tre magistrati che sono andati in Bulgaria (lei, Martella e Marini), per inchieste diverse, per quanto riguarda Marini e Martella, ci sono i documenti acquisiti in Commissione che dimostrano che i Servizi segreti bulgari, in collegamento con la STASI e il KGB, stabilirono una serie di misure attive prima, al solito, per screditarli sul piano morale e poi eventualmente per eliminarli, per ucciderli.

Tant’è vero che ebbero una serie di protezioni speciali perché i nostri apparati capirono che erano nel mirino. Invece, desidero che lei conosca questo telegramma del Servizio segreto tedesco orientale, che la riguarda, dove lei inconsapevolmente viene considerato una fonte d’informazioni per la STASI.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

E` un telegramma inviato da Berlino il 17 marzo 1983 e ha come oggetto: «Attuazione di colloqui di lavoro con i compagni del Servizio fratello bulgaro». Nel telegramma si riporta: il generale compagno Ormankov, che a Sofia ha curato i contatti con il giudice inquirente italiano, cioè Carlo Palermo, ha saputo da quest’ultimo che, primo, i cittadini turchi Arsan, Celenk ed altri sono in contatto con la CIA, i Servizi segreti americani; due, ha ricevuto le sue informazioni sull’organizzazione dei Lupi Grigi dalla Repubblica federale tedesca; tre, che egli, il giudice, è del parere, basandosivi …

PALERMO. Mi può ripetere il secondo punto?

FRAGALÀ.  Ha ricevuto …

PALERMO.   Chi?

FRAGALÀ.  Sempre lei.

PALERMO.  Ormankov?

FRAGALÀ . No, lei.

PALERMO.  Era un rapporto della rogatoria.

FRAGALÀ. Ha ricevuto le sue informazioni sull’organizzazione dei Lupi Grigi dalla Repubblica federale tedesca; tre, che egli, cioè il giudice Palermo, è del parere, basandosi su queste informazioni, che i Lupi Grigi siano in contatto con la CIA. Praticamente dalle conversazioni che lei …

PALERMO.  No, dagli atti processuali.

FRAGALÀ.  Dagli atti processuali loro hanno tratto questa specie di informativa?

PALERMO.  No, non era una informativa, era di più, erano atti processuali.

FRAGALÀ.  No, questo è in un’informativa del Servizio segreto STASI, non c’entra niente con gli atti processuali.

PALERMO. Sì, ma loro erano informati ufficialmente degli atti della rogatoria. Se le interessa, con un po’ di fatica, si potrebbe ritrovare la mia rogatoria con gli allegati (però forse basta una lettura superficiale anche di qualcosa che le ho portato, perché era stato scritto un libro su queste attività), in cui risulta che alcune contestazioni che effettuai nei confronti del Celenk provenivano dalla Germania. Tramite l’Interpol, a quell’epoca io acquisii notizie dagli Stati Uniti, dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Austria, da tutti quanti i Paesi, che riguardavano in particolare il Celenk.

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Quindi, l’esistenza di coperture e collegamenti, ripeto non con la CIA, ma con la DEA, forse è una generalizzazione fatta all’epoca dai bulgari, ma per loro contava il fatto che fossero americani. Effettivamente è così, però più propriamente bisogna distinguere le cose. Pertanto, poiché la rogatoria fu ufficiale, loro vennero in possesso delle carte, quindi delle informative e dei rapporti di polizia, sulla base delle quali io feci le contestazioni; e vi erano anche queste che riguardavano la Germania, le avevano nelle mani, cioè non è che avrebbero …

FRAGALÀ.  … avuto bisogno di chiederglielo.

PALERMO. Ne avremmo parlato anche verbalmente, ma comunque hanno costituito oggetto di domande e di contestazioni da me fatte al Celenk, quali elementi di accusa nei confronti del Celenk, che lui sistematicamente negò perché, tra l’altro, come imputato aveva anche il diritto di negare.

FRAGALÀ.   E adesso le fa effetto che la tesi del complotto della CIA, che era stata sempre sostenuta dalla propaganda bulgara e che poi fa parte anche della sua ipotesi, venga recepita da Alì Agca nell’intervista a «la Repubblica» in cui sostiene che vi era un complotto ordito da integralisti cattolici dentro le mura vaticane per uccidere il Papa. Ora Alì Agca sostiene questo.

Giulio Andreotti

Giulio Andreotti

ANDREOTTI.  Intanto vorrei rallegrarmi con lei, avvocato Palermo, perché, avendo dovuto occuparsi di terreni così scottanti e di persone così terribili, è vivo e sta qui con noi oggi pomeriggio.

PALERMO.  Per puro caso.

ANDREOTTI.  In uno degli atti preparatori, nelle fasi iniziali di queste istruttorie, vi era una frase che mi colpì molto, che più o meno recita: «Che bisogno c’è di prove? Chi aveva interesse a uccidere il Papa era l’Unione Sovietica. Di chi doveva servirsi? Del “ventre molle”, che era la Bulgaria». Lei ricorda questa frase? E` in un atto processuale, di questo sono sicuro. Era una fase iniziale, ma mi colpì molto questo, perché leggere in un atto giudiziario «Che bisogno c’è di prove?», mi faceva una certa impressione.

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PALERMO.  Non ricordo la frase, però il concetto sì, in quanto di certo, se l’episodio dell’attentato al Papa – almeno il significato era questo – fosse stato realmente concepito dai Servizi bulgari, commissionato così come ha descritto Alì Agca, avrebbe danneggiato la stessa Bulgaria. Di fatto la danneggiò, danneggiò la propria immagine. In qualche modo non credo che i funzionari Ormankov e Petkov …

Ci ho parlato, sono stato una decina di giorni – mi pare – in Bulgaria: credo che non sarebbe mai stato possibile che, anche se ci fosse stata a livello di capi di Governo una decisione di effettuare un atto di questo genere, ne fossero stati messi al corrente dai funzionari; non ci credo.

La strage di Pizzolungo

La strage di Pizzolungo

A mio parere, se esistono complicità, le massime complicità a livelli elevati, è molto difficile, un’utopia, che questa notizia possa essere scesa a livelli più bassi. A mio parere, lo stesso Agca, lo stesso ultimo killer non conosce, non sa, è difficile che sappia, proprio perché, se una decisione di questo tipo dovesse provenire da un Capo di Governo, non si metterebbe in mano a un ragazzo di 24 anni … ? Non lo so.

Forse riesco a capire la possibilità del complotto. Riesco a capire le convergenze ipotetiche di carattere massonico, nel senso che può essere consentito in certi ambienti il contatto, laddove normalmente non è possibile o sembra non ammissibile. Mi sembra poco verosimile che questa informazione sia arrivata fino ad Alì Agca.

08.09.2015

Ho più l’impressione che Agca abbia agito d’anticipo per ricevere il compenso dopo, così come aveva fatto in passato, ritenendo che le cognizioni, gli appoggi di cui lui aveva usufruito in passato fossero per lui garanzia che da quelle situazioni avrebbe ottenuto gli aiuti per cavarsela. La Bulgaria, come Paese in sè e per sè, a mio parere, avrebbe avuto solo da perderci nel mettersi nelle mani di una persona come Alì Agca.

In fin dei conti, è caduto in contraddizioni molto elementari. E` una persona intelligente, ma guardiamo il livello di intelligenza di appartenenti alla nostra mafia e vediamo il livello dei nostri imputati: sono persone modeste. E` difficile trovare l’imputato o il collaboratore di giustizia di un livello elevato. Agca rispetto a questi era intelligente, era capace di giostrare e ottenere i premi.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Più difficile vedo il percorso nel senso inverso, cioè che le responsabilità governative, da una parte o dall’altra, possano essersi espresse direttamente con lui. Che sia stato invece usato, sì, perché aveva dichiarato: «l’obiettivo è questo». Che sia stato indirizzato, agevolato e messo in grado di farlo, questo sì.

ANDREOTTI.  Ma Alì Agca era qualcuno, perché il giornale in Turchia pubblica la sua lettera nella quale si diceva che, se il Papa fosse entrato, lo avrebbe fatto fuori o sarebbe stato ucciso. E` difficile che un giornale pubblichi una lettera di una persona qualunque. Allora probabilmente, all’interno di questa catena dei Lupi Grigi, era qualcuno.

Non era poi soltanto un commesso viaggiatore, probabilmente anche di droga e questo spiegherebbe il suo contatto con Antonov, perché un caposcalo per uno che traffica in droga è un elemento prezioso. Mi pare che l’episodio della lettera e di questa pubblicità dimostri che in tutto questo quadro, in cui non è facile districarsi, egli fosse una persona importante.

Giulio Andreotti

Giulio Andreotti

C’è una grande confusione – del resto credo sia emersa anche dalle dichiarazioni del Santo Padre circa lo stesso colloquio in carcere quando egli incontrò Alì Agca e gli domandò: «Come mai lei attribuisce il fatto di essersi salvato alla figlia di Maometto?» – tra Fatima figlia di Maometto e Fatima santuario del Portogallo. Lei oggi ha detto alcune cose, ha parlato di queste organizzazioni particolari all’interno del mondo cattolico che io ho sentito citare per la prima volta.

Ho sempre saputo che Fatima fosse un punto di riferimento come Lourdes; però, dato che lei ha accennato a questo, sia pure sulla base della fonte di un religioso – che non ho letto e che non conosco –, forse si tratta di un punto cui prestare attenzione.

Non sono molto pratico, nonostante l’opinione della Procura di Palermo, di massoneria, ma vedere che c’è una massoneria addirittura all’interno, con una specie di congregazione mariana, legata alla Madonna di Fatima, che tra i suoi scopi sociali ha quello di far fuori il Papa, con un certo riferimento da lei stesso fatto a Lefebvre, personaggio tutto particolare, ma che non mi pare coinvolto in cose di questo genere, mi porta a chiederle qualcosa di più.

Lefebvre

Lefebvre

Certo, se la fonte è solo il libro di quel religioso, allora noi ce lo compriamo e non stiamo a disturbarla. Io non sono un clericale, ma ho sempre vissuto in un ambiente cattolico e non ho mai sentito cose di questo genere.

PALERMO.  C’è molto di più. Forse le dirò un nome che potrà aiutarla. Non so se ha avuto occasione di conoscere Lyndon LaRouche.

ANDREOTTI. Non lo conosco, ma ne ho sentito parlare. Vi sono al riguardo opinioni molto varie.

PALERMO.  E` una persona di una certa età, che è stato anche candidato …

ANDREOTTI.  E` sempre candidato.

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Lyndon LaRouche

PALERMO. Si vorrebbe candidare. Però non è il personaggio in sè e per sè che è indicativo, quanto piuttosto il fatto che, almeno secondo l’esposizione che a me è stata fornita, per anni, forse perché sentitosi perseguitato o non consentito in queste sue attività, ha formato all’estero (a Wiesbaden) un centro studi, che è molto documentato sugli aspetti economici del crimine e sui fenomeni che attengono all’amministrazione americana, in quanto è critico nei confronti di particolari settori americani (Bush, Kissinger e una cerchia di persone che dal passato ad oggi è stata anche vicina alla nostra realtà italiana).

Questo centro studi è documentatissimo e ha partorito per anni pubblicazioni all’estero (dal 1980), ma anche in Italia, con «Solidarietà» o «Nuova solidarietà» ora non ricordo, e ha approfondito questo tema. Numerose delle informazioni che sono contenute in questo rapporto ritengo – dico ritengo perché non sono nella testa della Guardia di finanza di Milano, che all’epoca non mi dette gli elementi informativi – provengano da notizie, informazioni e investigazioni effettuate da loro, che per la verità svolgono un’attività abbastanza capillare.

Kissinger e Bush

Kissinger e Bush

In particolare, su loro pubblicazioni possono essere rinvenute le citazioni che riguardano questi aspetti della massoneria, che presentano delle posizioni molto antitetiche rispetto al Papa. In questo contesto si inseriscono e si collocano in particolare anche quelle di carattere cattolico e che sono ispirate al culto di Fatima e al terzo mistero di Fatima cui, fintanto che non è stato rivelato, venivano ricondotti non solo effetti catastrofistici, perché si trattava dei più apocalittici, ma anche salvifici nei confronti di coloro i quali ad esso sarebbero sopravvissuti.

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Questo è il problema che fino in fondo può spiegare queste credenze che si possono spostare da quelle religiose cattoliche a quelle musulmane, in quanto Fatima era anche la figlia prediletta di Maometto e quindi le apparizioni avvenute in Portogallo per i musulmani non sono altro che apparizioni della loro Fatima, alle quali viene ricondotto comunque un effetto salvifico, un fine salvifico.

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E qui si esprime la delusione che ha manifestato Alì Agca quando il Papa ha rivelato il terzo segreto, perché il Papa ha detto che il terzo segreto era la premonizione dell’attentato. Agca c’è rimasto male perché sostanzialmente vi ha visto solo una condanna in cui lui era solo un assassino: dove sarebbe stato l’effetto salvifico? Ecco perché egli sostiene che il Papa non ha rivelato la verità; ecco perché Agca si arrabbiò quando venne a sapere queste rivelazioni, almeno stando a quanto la stampa ha riportato circa le sue reazioni.

I tre pastorelli di Fatima

I tre pastorelli di Fatima

Egli disse che non era quella la verità in quanto sperava che fosse qualcosa di più misterioso; senza nemmeno peraltro comprendere, perché stiamo comunque parlando di soggetti di un determinato livello, che dietro la rivelazione così com’è stata fatta, dietro quella parabola, vi è un significato molto più profondo perché vi era un conflitto religioso, veramente il conflitto del XX secolo, la contrapposizione che da ideologico-politica è diventata contrapposizione ideologico-religiosa. Quindi, se vogliamo, quel significato apocalittico c’è veramente nel terzo segreto.

Bielli

Walter Bielli

BIELLI.  Signor Presidente, io vorrei fare solo una precisazione. Nei resoconti della nostra Commissione ovviamente risulta tutto quello che viene detto. A volte i commissari dicono quello che pensano in maniera non documentata.

Questo si e` verificato anche oggi rispetto ad alcune affermazioni fatte dall’onorevole Fragalà. Ribadisco che sarebbe opportuno far riferimento alla documentazione esatta, nel senso che si dicono cose che non rispondono al vero. Se infatti il telegramma di Andropov fosse esattamente nella forma che è stata riportata dall’onorevole Fragalà, tutto sarebbe molto più chiaro. Le cose sono un po’ più complesse e difficili e sarebbe bene che noi commissari facessimo riferimento non alle cose che pensiamo, ma ai documenti che abbiamo acquisito.

Carlo Palermo a Pizzolungo nell'anniversario della strage

Carlo Palermo a Pizzolungo nell’anniversario della strage

Intanto voglio ringraziare il dottor Palermo perché ci ha consentito, con il racconto e le informazioni che ci ha dato e le ipotesi che ha formulato, di poter incamerare ulteriori informazioni utilissime per il nostro lavoro. Naturalmente lo dico non con lo spirito cui si riferiva l’onorevole Fragalà un po’ malignamente quando ha tirato fuori la questione del telegramma in cui la STASI di fatto scambiava atti processuali e rogatorie del dottor Palermo, che davano evidentemente la possibilità di essere scambiati, per informative; io credo quindi che le informazioni che lei ci ha dato sono effettivamente informazioni utili, che noi useremo nel modo migliore.

La strage di Pizzolungo

La strage di Pizzolungo

Credo anzi che molte questioni su cui avrei voluto fare domande siano state già trattate esaustivamente da lei nel rispondere al presidente Andreotti ed anche all’onorevole Fragalà. Quindi mi limiterò a formulare alcune domande. La prima è la seguente. Naturalmente sappiamo che lei ha condotto una delle inchieste più rilevanti degli anni ’80 sul traffico di droga, denaro e armi, iniziata con la scoperta di depositi di eroina a Verona, Trento e Bolzano e poi estesa ai canali del traffico internazionale di armi. Nell’ambito della sua inchiesta, lei interrogò Alì Agca.

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Nel suo libro «Il quarto livello» lei scrive che risultarono «macroscopiche falsità” nelle dichiarazioni rese da Agca come teste. Negli interrogatori egli ammise esplicitamente di essere stato imbeccato per apparire più attendibile». Le chiedo quindi innanzitutto se lei conferma questa sua ricostruzione, a distanza di anni. In secondo luogo, vorrei sapere su cosa specificamente Agca dichiarò di essere stato imbeccato. In terzo luogo, le chiedo se le riferì i nomi di chi avrebbe compiuto questa operazione di «imbeccamento».

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PALERMO.  L’interrogatorio è anche riportato integralmente in un libro. Preferisco darne lettura perché non si tratta di un passaggio molto lungo. Ad un certo punto nella descrizione dell’interrogatorio che Agca ebbe con me egli dice: «Alla fine del marzo 1981 incontrai anche il Celenk in Zurigo presso il night dello Sheraton. Eravamo presenti io, il Celenk e il Celik. L’incontro era sull’argomento dell’attentato al Papa». Poi dice: «Io non ho visto il Celenk in Italia. Il Celenk in Germania era in contatto stretto con Atalay Saral».

Tenga presente che Atalay Saral è un personaggio legato alla DEA. Prosegue: «Io quando dovevo mettermi in contatto con lui gli telefonavo; nel 1981 i numeri di telefono di Monaco della ditta Trakia …» e mi dice tre numeri. «Lui lavorando in società con il Bekir Celenk era per così dire obbligato a lavorare con lui nei traffici di cui sopra».

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Io all’epoca svolgevo indagini sui traffici di armi. A me queste dichiarazioni non quadravano. Ho fatto un giorno di verifiche; dopo di che sono tornato da lui due giorni dopo, il giorno 23 febbraio (il primo interrogatorio era stato fatto il 21 febbraio): «Alle ore 10,40 riprende l’interrogatorio di Alì Agca, presente il sostituto dottor Preziosi, il difensore, dottor procuratore Cesarini, in sostituzione dell’avvocato Pietro D’Ovidio; come da delega in atti, non è presente l’interprete, atteso che dal precedente interrogatorio è emerso che Alì Agca mostra di conoscere sufficientemente la lingua italiana; si dà atto che è presente il giudice istruttore dottor Martella. Il giudice mostra ad Alì Agca numero dieci foto».

Gliele faccio riconoscere, lo faccio parlare un pochino, poi mi dice, a domanda: «Fu il Celenk a dirmi che, se fossi dovuto andare in Germania, avrei dovuto trovare in Monaco, in Francoforte, l’Atalay e mi diede i numeri di telefono a Monaco» e me li faccio ripetere; «Io non vi sono mai andato». A questo punto, faccio presente che la società Trakia risulta fondata solo nel giugno 1982 e che da dichiarazioni di Atalay Saral solo da tale epoca vennero istituite tali utenze telefoniche.

Carlo Palermo

Carlo Palermo

Alì Agca dichiara: «Dell’esistenza della società Trakia sono venuto a conoscenza nel mio confronto con il Celebi». Io non ci ho creduto. «Se ho detto che conoscevo la società Trakia e i numeri di telefono di questa è stato per dare maggiore credibilità a quanto io dicevo e che il Celebi negava, come anche il Celenk. L’ho imparato a memoria, perché ho buona memoria».

Poi io ho insistito, le verbalizzazioni non è che sono .. «Anzi, ho appreso i numeri leggendo i numeri sull’agenda del Celebi mostratami in interrogatorio». Questa è la realtà. «Anche il numero di Francoforte l’ho appreso nello stesso modo». Rilevante o non rilevante, posso dire che il tema delle dichiarazioni riguardava i rapporti tra lui, il Celenk e l’Atalay.

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Comunque è stato messo in grado di imparare a memoria determinati elementi. Poi, chi glieli ha mostrati, come siano stati mostrati, come sia stato in grado, questo – ripeto – eventualmente riguarda altre questioni. Per quanto mi riguarda, dato che lo sentivo come teste, quindi per acquisire ulteriori notizie, non erano delle notizie particolarmente attendibili.

QUARTIANI.  Lei conferma così che anche dalla sua inchiesta emersero contatti, in alcuni casi ben più determinati, e altri – come si legge nel suo libro – definibili strani e sospetti, di personaggi implicati nell’attentato al Papa, a cominciare dal turco Celenk; contatti che, se capisco bene, erano sviluppati o si erano sviluppati nel tempo con Servizi occidentali. Se è così, le chiederei, se è possibile, di dirci quali erano in particolare questi contatti, evidentemente se lei ne ha contezza.

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Erminio Angelo Quartiani

PALERMO.  Per semplicità e per brevità, vi lascio uno scritto che è una sintesi dei miei atti, che è un libro che ebbe l’introduzione di Pino Arlacchi; è una sintesi dei principali atti processuali.

Dalla lettura di questi atti – che arrivano alla pista politica esclusa, quindi si parla di traffici di stupefacenti e di traffici di armi e basta – si può avere la visione dei numerosi personaggi – ripeto – nei quali mi sono imbattuto, di primissimo piano, che purtroppo erano collaboratori anche di organi investigativi, in particolare americani.

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Vorrei spiegare questo perchè da noi, forse più recentemente, è stata predisposta una legge che consente alcuni tipi di questi rapporti, che prima però in Italia non c’erano; gli americani invece li avevano, anche sul nostro territorio e anche sul territorio di altri Paesi. Di fatto, si è verificato che nella mia inchiesta gli imputati maggiori, anche quelli condannati a 29  anni di reclusione, fino al giorno prima di essere imputati, erano in qualche modo vicini a organi investigativi americani, alla DEA.

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A quell’epoca il discorso sulla CIA – ripeto – è una creazione di colore, fatta da altri. Io posso dire quelle che sono … e anche forse qualcosa da parte degli organi investigativi nostri, tanto che ci fu in particolare un rapporto, che si chiama rapporto Angioletti, redatto da Thomas Angioletti, che nella mia inchiesta costituì oggetto di qualche – chiamiamolo – dibattito tra me e l’amministrazione, perché quel personaggio, Arsan Henry, risultava trafficante di armi, trafficante di droga, era siriano, eppure era un libero cittadino, da 30 anni residente a Varese, con tanto di società nel palazzo dove abitava anche Rosone, con operazioni fatte dalla sua società sul Banco Ambrosiano, quindi con tanti interessi collegati.

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Era un soggetto molto conosciuto, su cui c’erano numerosi rapporti. Bastava chiederli e si avevano. Perché non sono stati forniti all’autorità giudiziaria? Questa è la domanda. Riuscire a vedere dietro la mente che intenzionalmente consente il tutto, questo non mi sento di poterlo fare. Forse sono state cattive prassi e queste leggi (quelle che consentono le collaborazioni) non le condivido, però, se le dovessi osservare, sarei tenuto a osservarle. A mio parere, creano delle situazioni di copertura di illeciti.

QUARTIANI.  Agca si iscrive giovanissimo – come sappiamo – al gruppo estremista dei Lupi Grigi, organizzazione del movimento nazionale che era capeggiata da Turkes, che era un demagogo che si ispirava a Hitler, se ricordo bene.

PALERMO.  Sì.

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QUARTIANI. Lei scrive che nel 1967 Agca venne arruolato da Oral Celik, che era un gerarca dei Lupi Grigi, ma che operava per conto dei Servizi segreti turchi. Lei già ci ha detto prima qual è l’ipotesi prevalente che lei fa, evitando di prendere in considerazione piste, a partire da quella bulgara; però lei dice: originiamo la vicenda anzitutto nell’ambito turco.

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Oral Celik, gerarca dei Lupi Grigi, i quali – lei lo sottolinea – a quell’epoca erano controllati dalla CIA, naturalmente operava per conto dei Servizi segreti turchi; vorrei capire se nel corso della sua inchiesta effettivamente è emerso – emerge – un collegamento, un legame stretto tra CIA, Servizi segreti turchi e Lupi Grigi, oppure se siamo ancora a livello di supposizioni, di ipotesi, che hanno bisogno ancora di essere a tutt’oggi corroborate ovviamente da una maggiore dovizia di elementi probatori.

PALERMO.  Le notizie le dovrei frazionare perché, parlando proprio del periodo in cui ebbi quel rapporto, arrivo all’aprile 1983. Alla fine di quel mese, procedendo sempre sul settore del traffico di armi e seguendo la pista di Arsan Henry, arrivai a determinati altri imputati, che mi hanno portato direttamente alla CIA e a dichiarazioni che sono state riportate sui giornali e comunque sono menzionate in quel libro che ho indicato, che riporta proprio gli atti processuali e che, in particolare, indica la CIA – non come istituzione, ma come suoi componenti – come il soggetto che opera nella distribuzione di armamenti surplus americani su qualsiasi mercato.

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Non è solo il discorso degli americani, ma anche degli armamenti provenienti da altri Paesi. Un esempio palese, noto a tutti e abbastanza vicino a quell’epoca, è quello relativo agli Exocet, di produzione francese, utilizzati nella guerra per le isole Falkland contro l’Inghilterra. Come è possibile che l’Argentina sia stata messa in grado di avere armi da un Paese alleato dell’Inghilterra?

La spiegazione sta nella mia inchiesta, perché i personaggi hanno indicato che era un’operazione realizzata ed operata attraverso la CIA. A me venne indicato anche l’ufficiale pagatore, che si chiamava Roger D’Onofrio, in Europa, poi arrestato nel 1996-97 dalla Procura di Torre Annunziata, in un’altra indagine di armi, poi frazionata. Mi venne quindi indicato anche il nome. Il discorso è relativo, perché le armi possono anche essere trattate per vedere chi compra, chi è il trafficante, chi abbocca, chi viene e chi va e quindi scoprire i traffici.

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L’attività svolta dai Servizi segreti è equivoca, ma tra le cose fasulle ci sono anche quelle vere e di fatto i Paesi in guerra le armi le ottengono. Il ruolo della CIA emerse nell’inchiesta, non è emerso nella parte relativa ad Alì Agca, ma un mese dopo, nell’ambito delle indagini sul traffico di armi che riguardavano Arsan Henry, appartenente alla mafia turca. Questo sì, e` targato CIA, ed è targato commercio di armi; però se mi vuole far dire o mi vuole chiedere se ho avuto una prova processuale che la CIA finanziasse i Lupi Grigi, dico di no.

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Questa è un’interpretazione che posso ricavare da altre deduzioni, ma non ci sono elementi processuali a sostegno. Posso dire che la Turchia è un Paese NATO, che la CIA si trovasse in Turchia per provocare un governo militare e che quindi, come operazione, avesse interesse ad appoggiare i movimenti nazionalisti. Questo è il legame di studio che si ricava in tutti quelli che hanno scritto sull’argomento. Non è che l’abbia detto Carlo Palermo, lo dicono tutti. Posso citare un ottimo testo in cui viene tratteggiata la vita giovanile di Alì Agca, in cui sono evidenziate queste osservazioni, queste connessioni che risalgono al periodo anteriore al passaggio in Bulgaria di Alì Agca.

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E` uno scritto di Christian Roulette, anche questo piuttosto datato, perchè è del 1985, tanto per dire che già a quell’epoca molte perplessità ci furono. Non ci fu solo l’impostazione di Claire Sterling, che ha seguito determinate piste che sono state in un senso, ma ci sono stati anche altri scrittori che hanno vagliato ed esaminato altre piste. Poi su questi fatti credo che la verità processuale sia impossibile trovarla.

QUARTIANI.  Avrei voluto chiederle se nel corso delle sue inchieste ha subìto interferenze o pressioni da parte dei Servizi dell’Est, ma credo che da questo punto di vista lei abbia già risposto.

PALERMO.  Più dall’altra parte.

QUARTIANI.  Non voglio farle dire nulla.

PALERMO. Non escludo che il mio telefono fosse ascoltato da molti operatori. Lo mettevo in bilancio. Non perché fossi io, ma perché i personaggi risultavano oggettivamente collegati ai Servizi occidentali, posso immaginare di essere stato più oggetto di attenzione da parte di questi piuttosto che di quelli contrapposti.

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ANDREOTTI.  Signor Presidente, ho una richiesta da avanzarle. Visto che sono stati fatti accenni alla CIA e alla DEA, vorrei che acquisissimo della documentazione. Non so se ricordate, ma in quel periodo venne in Italia il parlamentare americano D’Amato, il quale ci rimproverò pubblicamente perché sembrava che non ci interessassimo abbastanza dell’attentato al Papa, che per motivi politici fossimo disattenti. Siccome fece una relazione al Congresso americano, se potessimo richiedere gli atti, completeremmo un certo numero di acquisizioni.

PRESIDENTE.  Va bene, senatore Andreotti. Dottor Palermo, lei si è recato a Sofia dal 5 al 15 marzo 1983 per interrogare Celenk?

PALERMO.  Penso di sì.

PRESIDENTE.  E in quella occasione ha avuto contatti con altri magistrati bulgari?

PALERMO.  Mi pare di no. Non ricordo. Forse una funzionaria.

PRESIDENTE.  E i suoi contatti con il giudice Ormankov?

PALERMO.  Sì, è stato quello con cui quasi esclusivamente parlavo, anche se poi si è trattato un po’ di uno scontro perché – ripeto – volevano applicare delle regole diverse dalle nostre.

PRESIDENTE.  Ultima domanda: se ce lo può dire, perché ha lasciato la magistratura?

PALERMO.  Perché sono stato dispensato dal servizio.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Palermo. Ho sentito che qualcuno lo ha chiamato avvocato. Io non so se lei oggi faccia l’avvocato, ma ritengo che chi e` stato magistrato lo è per tutta la vita.

PALERMO.  E` più difficile fare il giudice di se stessi.

PRESIDENTE. La ringrazio nuovamente e dichiaro conclusa l’audizione. I lavori terminano alle ore 16,25.

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