“EL REBALTON” IN TRENTINO – 9

GLI ALLEATI E IL CLN IN TRENTINO,

RAPPORTI DIFFICILI

 a cura di Cornelio Galas

L’Amministrazione militare alleata si stabilì in provincia al seguito delle avanguardie militari americane nei primi giorni di maggio del 1945, proprio nel momento in cui il conflitto raggiungeva l’apice nella sua fase finale. L’AMG (Sigla, dalle iniziali delle parole inglesi Allied Military Government, con la quale si indica il “Governo Militare Alleato” costituito dalle Nazioni Unite nei paesi da esse occupati durante il corso della seconda Guerra mondiale:Italia, Francia, Grecia, Germania, Austria) si era così trovato ad operare in una «situazione politica, economica e di sicurezza generale […] particolarmente caotica e confusa».

Il territorio della provincia non solo era invaso da «truppe alleate e tedesche», ma era attraversato contemporaneamente da «migliaia di profughi» mentre «centinaia di soldati e di civili del luogo ritornavano alle loro case dopo molti anni di assenza». Se i partiti politici si erano andati organizzando rapidamente, l’amministrazione locale era completamente bloccata poiché «i funzionari o erano scappati oppure in una situazione incerta circa le disposizioni e le direttive da seguire pel rapido mutare degli eventi».

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Il governo militare alleato era rappresentato dal maggiore americano F.O. Mavis, responsabile di un organico composto da una dozzina di ufficiali, tra inglesi ed americani (Tra questi, i maggiori Harris, Gilshenan e Tyson; i capitani T.W. Glasspool – ufficiale americano responsabile dell’Ufficio sicurezza – Venus, Alva Adam Simpson – ufficiale incaricato dell’Ufficio affari civili della provincia – Osborne (o Osborn), Krakon ed i tenenti Byrne, Gleason, Bellows, Landesman), addetti ai vari uffici. L’amministrazione alleata locale faceva riferimento al generale di Brigata J.K. Dunlop, Commissario regionale per le Tre Venezie, a sua volta dipendente dal Comando supremo per gli affari civili della 5. Armata americana diretto dal generale Edgar Erskine Hume (Frankfort, 26 dicembre 1889-24 gennaio 1952. Laureatosi presso la Scuola di sanità dell’esercito americano nel 1917, prestò servizio come ufficiale medico nel corso della prima guerra mondiale sul fronte italiano entrando a Trento nel novembre 1918. Commissario della Croce rossa americana in Serbia e direttore della campagna anti-tifo nei Balcani fino all’agosto 1920. Nel corso della seconda guerra mondiale, affiancò il generale Eisenhower (Denison, 14 ottobre 1890-Washington, 28 marzo 1969) sin dall’inizio della campagna di Sicilia. Dal luglio all’agosto 1943, ricoprì l’incarico di capo della sanità pubblica nell’isola. Successivamente, dall’agosto del 1943 al settembre 1945, giunto al grado di generale di Brigata, fu nominato comandante supremo per gli affari civili della 5. Armata statunitense. In Europa, continuò ad operare fino al giugno 1947 in qualità di responsabile del Governo militare alleato per la zona americana in Austria. Cittadino onorario di Trento).

Il controllo militare dell’intera regione rimase affidato fino ai primi di giugno del 1945 all’88. Divisione di fanteria USA. Al seguito dell’amministrazione militare alleata, s’installarono in provincia anche uffici giudiziari e di polizia. Accanto al CIC del capitano Middleton – responsabile della cattura e dell’identificazione dei criminali di guerra nazifascisti – cominciò ad operare, a partire dal luglio 1945, il Tribunale superiore alleato (Il Tribunale, presieduto dal maggiore Gilshenan, aveva giurisdizione sui reati compiuti a danno dell’esercito alleato (detenzione illegale di armi, furto di materiale bellico, ecc). L’autorità angloamericana si era stabilita in provincia con lo scopo di gestirne l’amministrazione «in conformità con la legge italiana».

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Gli obiettivi dichiarati e perseguiti da Mavis e dall’AMG si mostrarono chiari fin da subito. In primo luogo, l’intervento alleato era rivolto ad «aiutare e riabilitare le […] industrie, [i] servizi pubblici, [l’]agricoltura nonché la proprietà privata danneggiata dalla guerra». Inoltre, non si nascondeva l’«ambizione […] di eliminare […] i mali e le incompetenze del fascismo, e di assistere lo stabilirsi di un governo onesto ed efficiente» capace di mantenere l’ordine e di contribuire ad un graduale ritorno alla normalità. Nell’ambito della legislazione italiana – e quindi nel nome della «continuità» –, l’AMG avrebbe prestato la propria opera alla ripresa economico-sociale della provincia e accompagnato i primi passi di un governo capace e funzionale. Ciò che era completamente assente nel discorso dell’ufficiale alleato era qualsiasi riferimento ad iniziative rinnovatrici – se non all’eliminazione dei «mali» e della corruzione ereditate dal fascismo – mentre il riconoscimento al CLN e ai partigiani si limitava all’apprezzamento per l’azione svolta durante la lotta di liberazione.

La presenza alleata, tuttavia, non era ristretta a quella anglo-americana. Numerose perplessità suscitava nell’ambiente trentino quella francese, interessata a sostenere politicamente e materialmente quel sentimento separatista, di ostilità all’Italia e al governo di Roma45 che, emerso negli ultimi giorni del conflitto, stava contagiando una parte non indifferente della società trentina. Come riferiva il questore Pizzuto agli organi centrali di governo, «l’evidente interessamento di certi circoli francesi pel movimento» poteva «spiegarsi con l’intento di rendere […] contestati e difficili a raggiungere i naturali confini per decongestionare l’attenzione da quelli nord occidentali sui quali» gravitavano «evidenti interessi e intenzioni francesi».

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Il compito della missione sovietica consisteva nell’identificare e poi rimpatriare il maggior numero di cittadini di origine sovietica presenti in Trentino. Il gruppo sovietico era guidato dal tenente Vassili – o Vassilj – Aliferenko:

“Vi è poi un piccolo nucleo sovietico, che agisce isolatamente e si mantiene del tutto appartato. Suo compito, apparentemente, sarebbe quello di occuparsi dei cittadini sovietici residenti in questa provincia. Essi sono parecchi, e non tutti di fede comunista. Per mezzo di comunicati sulla stampa e di propaganda varia detti russi sono stati esortati bonariamente a presentarsi con la promessa che, anche quelli fra loro che finora abbiano combattuto il comunismo, se si ravvedessero, potrebbero rientrare impunemente in Patria. Nella sostanza circa una settimana fa un nucleo di militari sovietici ha qui fatto una razzia di tutti costoro rastrellandoli coattivamente nonostante le loro proteste e avviandoli al campo di concentramento di Modena, in numero di 35 circa (Le modalità con cui gli sbandati sovietici furono rastrellati e avviati al campo di concentramento per prigionieri di guerra di Modena fanno presumere che, in realtà, il loro ritorno in URSS abbia rappresentato l’inizio di una nuova tragedia: quella della deportazione nei gulag sovietici). Nessuno degli Ufficiali Alleati […] è intervenuto o si è ingerito della cosa. Questo nucleo, intanto, mantiene segreti contatti con la Polizia partigiana che […] è stata posta alla mia dipendenza”.

La guerra aveva comportato lo spostamento, coatto o meno, di enormi masse d’individui. Di qui la presenza anche in provincia di Trento di ex prigionieri di guerra, utilizzati quale forza lavoro, o di ex soldati sovietici arruolati nell’esercito tedesco che, nel corso dell’intero conflitto e sui vari fronti bellici, raggiunsero la cifra di «circa un milione». Tra il 1943 e il 1945, numerosi furono i «russi» che, sfuggiti ai tedeschi, aderirono alla Resistenza italiana combattendo nelle fila delle formazioni partigiane (È il caso ad esempio di Soltan Jelscharovic, ex prigioniero di guerra sovietico, morto ad Arco nel corso delle giornate insurrezionali il 30 aprile 1945. Ancora nel giugno 1946, si segnalava l’arresto di alcuni «russi» fuggiti dal campo di concentramento per prigionieri di guerra di Rimini). La missione sovietica in Trentino, sebbene mantenesse un profilo «del tutto appartato», mostrò a detta del questore un certo interesse verso elementi della Polizia partigiana locale. Annotazione quest’ultima che intendeva insinuare il dubbio circa l’opportunità di un effettivo utilizzo dei partigiani quale forza di ordine pubblico o, quanto meno, paventare un intreccio non del tutto chiaro tra partigiani e militari sovietici.

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Ciò che pesava in maniera preponderante nei rapporti tra alleati e CLN era l’atteggiamento assunto dagli angloamericani che governavano direttamente la provincia. La posizione assunta dai due alleati, rispecchiando peraltro la situazione a livello nazionale, non si presentava univoca e priva di contraddizioni. Alla posizione americana, più malleabile o comunque restia ad impegnarsi concretamente nelle problematiche politiche locali – come, ad esempio, la questione altoatesina – corrispondeva un’azione britannica più incisiva e marcatamente orientata in senso «politico». Già Vadagnini ha rilevato che, di fronte ad un CLN provinciale attento a «dare un connotato politico ad ogni nomina nei posti di responsabilità», gli alleati si erano al contrario orientati «a collocare negli stessi posti funzionari della pubblica amministrazione».

Si restaurava così «un apparato burocratico-amministrativo indipendente dai partiti politici». Tale linea era seguita più fortemente dai militari inglesi «nettamente ostili all’ingerenza dei partiti» in questioni che avrebbero dovuto richiedere «esclusivamente la competenza dei tecnici». Permaneva nella strategia politica alleata, soprattutto britannica, l’avversione a soluzioni diverse dall’utilizzo non solo delle strutture amministrative esistenti, ma degli stessi funzionari che fino al 1945 avevano operato al loro interno. Valeva poi, nella visione inglese, l’indirizzo evidentemente anticomunista che, almeno dal 1944, aveva complessivamente contraddistinto le sue posizioni nei confronti della politica italiana e non solo.

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Quest’orientamento trovava un riscontro pratico nell’opposizione alle nomine stabilite in precedenza dal CLNP di Trento relative alle cariche politico-amministrative. Il 30 giugno 1945 si giunse alla sostituzione del questore «politico», l’azionista Ivo Perini (Innsbruck, 21 novembre 1915. Partecipò attivamente al movimento di resistenza trentino nelle file del PdA. Arrestato a Trento il 19 gennaio 1945, fu inviato al campo di concentramento di Bolzano il 2 febbraio 1945 dove rimase fino alla liberazione, il 27 aprile 1945. Rientrato a Trento, fu nominato dal CLN provinciale questore della città, carica che ricoprì dal maggio al luglio 1945), e all’esclusione del vice questore, il comunista Giovanni Calmasini (Mori, 10 settembre 1904. Impiegato. Antifascista fin dal 1919, la sua attività politica clandestina fu interrotta dal servizio militare (1923-1927). Una volta congedato, rientrò a Mori riprendendo i contatti con i compagni di Rovereto. Arrestato nel 1937, fu condannato a cinque anni di confino a Ponza. Di qui fu mandato a Foggia e poi, nuovamente, a Ponza. All’inizio della seconda guerra mondiale, l’isola fu sfollata a causa delle operazioni belliche e Calmasini fu trasferito alle Tremiti. Ritornato a casa nel 1940, dopo l’armistizio del settembre 1943, partecipò alla Resistenza quale partigiano combattente col nome di battaglia di Tazio. Sfuggito all’eccidio del 28 giugno 1944, riparò a Padova mettendosi a disposizione del Comando locale delle formazioni Garibaldi e coordinando l’azione di collegamento delle staffette. Tornato a Trento alla fine del conflitto, proseguì poi la sua attività politica all’interno del PCI. Vicequestore di Trento, nominato dal CLNP, dal maggio al luglio 1945), cui subentrò il partigiano, ma ufficiale degli alpini, Enno Donà (Denno, 1912. Militare di professione. Uscito dall’Accademia militare di Modena, fu ufficiale degli alpini dal 1931 al 1970 fino a raggiungere il grado di generale. Dopo aver partecipato alle campagne sul fronte occidentale, in Albania e in Russia, rientrò in Italia. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi a seguito dell’armistizio del settembre 1943, fece ritorno a Rovereto dove prese contatto con i principali elementi antifascisti della città – Angelo Bettini, Giuseppe Ferrandi. Portatosi in montagna e sull’altopiano di Folgaria, entrò in contatto con le formazioni della Brigata garibaldina Garemi, operante tra Veneto e Trentino. Il ruolo all’interno dell’unità partigiana fu essenzialmente organizzativo e diplomatico: dal rapporto con gli inglesi della missione Freccia all’attività nei giorni della ritirata tedesca, dal comando della Polizia partigiana all’incarico di vice questore di Trento nel dopoguerra).

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L’episodio suscitò le immediate proteste dell’intero Comitato provinciale e la stessa popolazione, ostile alle imposizioni provenienti dal governo centrale, accolse la notizia con un certo malumore. Il nuovo questore Antonio Pizzuto, funzionario di carriera, tratteggiava senza reticenze – e con una certa complicità – la decisione presa dagli inglesi circa la sua nomina.

L’elemento britannico è in minoranza, ma alla quantità supplisce in esso la qualità. È inglese l’Ufficiale provinciale di PS alleato [Simpson], col quale ho i diretti contatti. Egli mi ha esplicitamente dichiarato che si deve a lui la richiesta di un Funzionario di carriera per dirigere questa Questura in luogo del Questore politico che mi precedette, esponente del Partito d’Azione [Perini]. Mi ha confidato che è stato lui ad allontanare dalla Questura un comunista che vi era stato immesso in qualità di Vice questore [Calmasini] e che si opporrà ai tentativi che ricomincia[no] per reintegrarlo nella carica, la quale si risolverebbe in un controllo di un solo partito sulla mia azione senza alcun vantaggio per l’Ufficio, non potendosi neanche concepire a che possa servire in una Questura un Vice questore se questi non sia un tecnico. Si è dichiarato numerose volte decisamente anticomunista, ed altrettante disposto a sostenermi nella mia non facile missione col massimo appoggio, del che ho avuto già numerose prove.

Il questore sottolineava la pregiudiziale anticomunista come un elemento peculiare della politica britannica anche in provincia di Trento. Tuttavia, è significativo il fatto che, in maniera allusiva, il funzionario condividesse tale pregiudizio e ricercasse una fattiva collaborazione con l’elemento inglese. Un comportamento, quello di Pizzuto, caratteristico di una mentalità che, formatasi sotto il fascismo, stentava a comprendere il cambiamento subito dalla politica nazionale se si considera che il ministero dell’interno, nel luglio 1945, era tenuto dall’azionista Parri, presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale dov’erano presenti diversi ministri comunisti (I dirigenti più capaci del PCI facevano parte del governo Parri. Fausto Gullo (Catanzaro, 16 giugno 1887-Spezzano Piccolo, 3 settembre 1974) reggeva il ministero dell’agricoltura e foreste, Mauro Scoccimarro (Udine, 30 ottobre 1895-Roma, 2 gennaio 1972) le finanze, Palmiro Togliatti il ministero di grazia e giustizia).

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Gli scopi dell’AMG non si limitavano a quelli riportati al momento della sua instaurazione in provincia. Mavis, nel corso del primo convegno dei sindaci e dei presidenti dei CLN trentini tenutosi alla fine di maggio, aveva chiarito in modo più esplicito le «mete» del governo militare alleato. L’obbiettivo principale era costituito dal raggiungimento di un «ordine pubblico» che facilitasse «il ritorno alla normalità» e soprattutto evitasse «quelle pericolose guerre civili che possono nascere nel periodo di transizione che segue la cessazione delle ostilità». Evitare pericolose «guerre civili» – sul precedente esempio greco – significava «spoliticizzare» gli apparati di controllo e di pubblica sicurezza italiani il cui possibile rinnovamento nel personale era sacrificato in nome della stabilità sociale e politica. La carenza di tecnici e di personale professionale all’interno dell’élite antifascista non solo locale ma nazionale era dovuta al fatto che, per oltre vent’anni, gli oppositori del regime erano stati esclusi dalla vita del Paese. Malgrado ciò, la scelta operata dai responsabili alleati era il risultato di riflessioni di carattere politico, inequivocabilmente orientate in senso anticomunista o comunque contrarie ai partiti di sinistra.

Ben prima di giungere alla sostituzione del questore politico, sin dal maggio 1945, il rapporto tra alleati ed esponenti del CLN di Trento non poteva dirsi positivo. In una riunione del 5 giugno 1945, il prefetto Ottolini informava il CLN che il governo alleato non nutriva «la massima stima» nei suoi confronti anche per la «mancanza» di «contatti». Ottolini, inoltre, valutava che la scarsa considerazione degli alleati fosse dovuta alla debole collaborazione tra prefettura e CLN provinciale, entrambi complessivamente incapaci d’influenzare in qualche modo gli indirizzi dell’Amministrazione militare alleata. La sensazione di contare poco o nulla, soprattutto nel campo dell’epurazione, cominciava a farsi strada tra i membri del Comitato.

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Nella riunione del 12 giugno, Monauni insisteva sulla necessità di un rapporto più stretto «con le autorità alleate», mentre Carlo Scotoni (Cortona, 22 agosto 1918-Trento, 11 settembre 1981. Laureatosi in scienze politiche all’Università di Roma, nel 1940, frequentò poi la Scuola allievi ufficiali alpini a Bassano del Grappa e con il grado di sottotenente partecipò al secondo conflitto sul fronte greco-albanese. Ricoverato all’Ospedale S. Chiara di Trento per una malattia contratta durante il servizio al fronte, entrò in contatto con Mario Pasi (Ravenna, 21 luglio 1913-Belluno, 10 marzo 1945) e con l’organizzazione clandestina del PCI locale. A seguito dell’armistizio dell’8 settembre, ricercato dalla polizia nazista, si portò, nel marzo 1944, nel Bellunese aggregandosi alle formazioni partigiane lì operanti. Terminato il conflitto, entrò a far parte, in rappresentanza del PCI, del CLNP di Trento. Nel 1946, fu eletto nel Consiglio comunale di Trento mentre, a partire dal 1948, entrò nel Consiglio regionale per tre legislature (1948-1952, 1952-1956, 1956-1960). Nel 1961, assunse l’incarico di segretario della Federazione trentina del PCI, guidandola fino al 1964, anno in cui assunse quello di segretario del comitato regionale del Trentino-Alto Adige del PCI-KPI. Eletto in Parlamento nel 1963 e nel 1968, nel 1971, motivi di salute lo allontanarono dalla politica attiva)  proponeva addirittura lo scioglimento del CLN nel caso in cui gli alleati non avessero mutato atteggiamento. Ancora il 20 giugno, il prefetto manifestava la necessità di una più stretta collaborazione con il maggiore Mavis per evitare i continui e ripetuti «schiaffi morali per il CLN».

L’episodio rappresentato dalla sostituzione del questore e del vice questore, pur nell’ottica di una generale strategia alleata orientata in senso moderato, si configurava come l’apice di una serie di momenti di tensione e conflitto tra autorità d’occupazione angloamericane e CLN trentino. Quest’ultimo, peraltro, mostrava evidenti sintomi di un fragile peso politico in parte causato dalla debolissima presenza nel tessuto sociale locale già evidenziatasi nel corso della guerra di liberazione. Più volte colpito dalle operazioni repressive attuate dall’occupante tedesco, il CLNP di Trento giunse alle fasi finali del conflitto notevolmente indebolito. Mentre il resto delle città settentrionali si erano già liberate e l’azione dei CLN si era espressa pubblicamente, la prima riunione del Comitato di Trento ebbe luogo il 30 aprile ed i primi manifesti diretti alla popolazione furono diffusi il 4 maggio 1945. La sua esistenza sembra essere compromessa dall’interferenza alleata sin dall’inizio.

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Il patriota Giovanni Gozzer, proveniente dal Comando zona Piave, era incaricato dalla missione Tilman (Maggiore Harold W. Tilman. Ufficiale inglese responsabile della missione militare omonima, operativa dai primi di ottobre del 1944 nel Bellunese – altipiano del Cansiglio. L’unità si portò in seguito sulle Vette Feltrine in collegamento con la Brigata partigiana Gramsci) di organizzare il passaggio politico-amministrativo della città e della provincia al Comitato di liberazione, e in tale qualità espose ai membri del CL le direttive impartite dalla missione stessa, oltre che dal Comitato regionale triveneto di liberazione nazionale.

L’iniziativa del maggiore Tilman era diretta ad avere al più presto un referente con cui l’AMG avrebbe dialogato per la soluzione dei problemi della provincia. Con tali premesse, tuttavia, risultava chiaro che la legittimità del CLN di Trento, anche rispetto ai Comitati gemelli dell’Italia settentrionale, derivava dagli alleati. I pochi giorni trascorsi tra la liberazione e l’arrivo dei primi ufficiali angloamericani non permisero al CLNP di espletare un’attività deliberativa autonoma limitandosi ad impartire alcune disposizioni (Queste riguardavano il mantenimento dell’ordine pubblico, la presenza militare tedesca nelle fasi finali della guerra ed una prima distribuzione delle cariche).

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Il Comitato, presieduto dall’indipendente Giovanni Gozzer, era composto in maniera paritetica da Ivo Monauni (PdA), Aldo Paolazzi (Trento, 23 luglio 1906. Impiegato. Antifascista fin dal 1924, entrò nell’organizzazione comunista operando clandestinamente a Trento e in Valsugana. Partigiano combattente durante la Resistenza, nel dopoguerra, fece parte del CLN provinciale di Trento in rappresentanza del PCI),  Luigi Benedetti  (Trento, 7 agosto 1898-Milano, 27 maggio 1962. Laureatosi in medicina, esercitò la professione di dentista a Milano fino al 1943 quando tornò a Trento. Entrato in contatto con l’antifascismo trentino, nel 1945, fu tra i fondatori della DC trentina e presidente del CLN di Trento dal giugno 1945 all’aprile 1946. Eletto senatore nel 1948, 1953 e 1958. Presidente dell’11. Commissione igiene e sanità. Presidente della Ferrovia Trento-Malè e della Panauto SpA, fu presidente anche dell’Associazione medici dentisti italiani). Dc (La Democrazia cristiana trentina si era formalmente costituita il 7 maggio 1945 e Giovanni Lorenzi (PSIUP) (Lavis, 1901-Trento, 1962. Ingegnere. A Trento fu tra i maggiori artefici di una nuova fisionomia della città. Fra i suoi progetti il Grande Albergo, realizzato tra 1939 e 1942. Militò nel movimento futurista e partecipò nel 1933 alla prima Mostra nazionale futurista di Roma. Partecipò alla Resistenza nelle file del Battaglione Monteforte. Iscritto al PSLI, fu assessore ai lavori pubblici del Comune di Trento dal maggio 1945 al novembre 1946 e dal novembre 1946 al maggio 1951).  Assenti i rappresentanti del PLI che pagava lo scotto della collaborazione del suo esponente più prestigioso, Adolfo de Bertolini, con l’occupante tedesco durante i 600 giorni dell’Alpenvorland (Solo nel corso della seduta del 26 maggio 1945 il PLI, rappresentato da Umberto Corsini, entrò a pieno titolo nel CLNP).

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Le sue prime sedute furono occupate dalla nomina e dalla distribuzione delle cariche politiche. A rappresentanti di partiti di sinistra, PCI, PdA e PSIUP, fu affidata la gestione delle principali strutture statali di controllo e di rapporto centro-periferia – prefettura e questura (Giuseppe Ottolini (PCI), prefetto; Oscar Mantovani (PdA), vice prefetto; Ivo Perini (PdA), questore; Giovanni Calmasini (PCI), vice questore). Il socialista Gigino Battisti (78 Trento, 7 aprile 1901-Sessa Aurunca, 14 dicembre 1946. Giovanissimo si arruolò nell’esercito italiano partecipando al primo conflitto mondiale e, poi, all’impresa di Fiume. Dopo l’avvento del fascismo, collaborò con la Voce repubblicana e con Italia libera di Randolfo Pacciardi. Laureatosi in scienze economiche nel 1924, tornò a Trento conducendo una piccola azienda assieme a Giannantonio Manci. Insieme a Manci e a Bacchi fondò a Trento un gruppo di Italia libera. Nel 1930, si spostò a Milano entrando nel movimento clandestino di Giustizia e libertà e, nel 1942, nel PdA. Dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza aderendo al PSIUP. L’8 maggio 1945 fu nominato sindaco di Trento. Alle elezioni del 2 giugno 1946, fu eletto all’Assemblea costituente. Morì pochi mesi dopo in un incidente ferroviario) fu scelto quale primo sindaco di Trento liberata. Al contrario, gli esponenti della DC mostrarono una presenza maggiormente defilata (Pietro Romani, presidente della Deputazione provinciale; Pietro Ziglio, vice sindaco di Trento).

Nonostante questi siano aspetti già approfonditi dalla storiografia locale, risulta importante sottolineare un elemento che accomuna il Comitato di Trento a quelli operanti nel più ampio contesto dell’Italia settentrionale. L’accantonamento del dialogo tra i partiti sulla questione dei CLN quali organi di un reale decentramento e di un’autonomia amministrativa significava, in sostanza, l’accettazione del vecchio sistema centralizzato e viceversa. Secondo Lombardi, la discussione spesso prolungata e travagliata per la distribuzione delle cariche comportava indirettamente «l’accettazione di fatto delle strutture del vecchio stato liberale».

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L’inserimento di nuovo personale in un apparato già ben integrato con il fascismo rappresentava il disperato tentativo di «battere sul tempo gli alleati» al fine di «modificare i rapporti di forza», obiettivo destinato a fallire precocemente per l’azione demolitrice degli angloamericani. La sconfitta dell’idea ciellenistica si era resa, peraltro, evidente già nei mesi precedenti alla conclusione del conflitto. Se si era prodotto questo risultato ciò non si doveva unicamente alla strategia alleata e al supporto che questa trovava nei governi – Bonomi e Parri – che si erano succeduti a Roma dal 1944 in poi, ma andava ricercato nelle stesse contraddizioni interne ai partiti politici antifascisti e, quindi, ai CLN. Il rapido passaggio dalla fase «deliberativa» dei giorni dell’insurrezione a quella «consultiva», dopo l’arrivo delle truppe alleate – sanzionata il 2 giugno dalle decisioni prese dal governo di Roma e accettata dal convegno dei CLN di Milano del 6-7 giugno 1945 – faceva naufragare definitivamente la possibilità per i CLN d’incidere realmente sulla situazione dei rispettivi ambiti territoriali.

In quanto organi consultivi essi avrebbero potuto «solo» consigliare i rappresentanti alleati, ma non imporre alcuna decisione. Con l’installarsi dell’amministrazione militare alleata, il Comitato dovette così cedere il passo agli organi d’occupazione angloamericani che, fin da subito, resero evidenti la loro supremazia nei confronti del CLNP con ordinanze e proclami che la popolazione avrebbe dovuto seguire e rispettare. Rispetto al panorama complessivo dell’Italia settentrionale, dove l’AMG solo dal primo giugno 1945 si riservò la «facoltà esclusiva» di emettere ordinanze e decreti, in Trentino, gli alleati adottarono una linea più aggressiva e spregiudicata. A facilitare tale condotta contribuiva il fatto che, dalla fine di maggio, il Comitato di Trento era rimasto privo di una guida effettiva. Nel corso della seduta del 25 maggio 1945, la mozione presentata dagli esponenti del PCI e del PSIUP – Scotoni e Lorenzi – accusava di fatto il presidente Gozzer di «aver agito arbitrariamente» e in maniera remissiva nei confronti degli alleati circa la questione della dipendenza della Polizia partigiana.

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Quella tra alleati e CLN trentino è, quindi, una relazione sofferta dove, con rapporti di forza così chiari, le tensioni tra i due soggetti ricadono interamente sul più debole. Per oltre un mese, e cioè fino alla nomina di Luigi Benedetti alla presidenza, il CLNP rimase privo di una «figura rappresentativa» e gli alleati ne approfittarono. Pur essendosi garantito un indirizzo più politico, il CLNP non riuscì a modificare la posizione di naturale subordinazione nei confronti dell’AMG. La questione della Polizia partigiana occupò una parte non indifferente delle sedute del CLNP. Se le forze di sinistra – PCI, PSIUP, PdA – si mostravano propense a farne una forza di polizia a disposizione del Comitato, gli alleati ed i partiti moderati, DC-PLI, erano decisamente contrari ad una soluzione di questo tipo. Ancora una volta, gli angloamericani manifestavano la loro opposizione alla creazione di organismi diversi e «autonomi» da quelli «legali dello Stato», supportati in questo dallo stesso presidente del Comitato, Benedetti.

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Dalle formazioni partigiane operanti nelle varie vallate spesso provenienti dai territori extra-provinciali, si passò alla costituzione di un’unica polizia partigiana dislocata a Trento e dipendente dal questore Pizzuto, compromesso raggiunto «per volere del Presidente del CLN e degli alleati». La tattica usata era pressoché la stessa: da una parte riconoscere gli organismi nati dalla Resistenza, dall’altra svuotarne il significato rinnovatore riportandoli sotto un controllo legale e legittimo. Le potenziali capacità del CLNP rimanevano deluse non solo dinnanzi agli indirizzi politici degli alleati, fortemente orientati in senso moderato-conservatore, ma anche a causa della disastrosa situazione economica della provincia.

FONTI D’ARCHIVIO E BIBLIOGRAFIA: vedi prima puntata de “El Rebaltón” in Trentino su www.televignole.it

 

 

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