CRIMINI NAZIFASCISTI OCCULTATI – 8

a cura di Cornelio Galas

Appena furono rinvenuti i fascicoli dei quali abbiamo riferito nella precedente puntata, il Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione prof. Renato Maggiore contattò immediatamente il collega Intelisano (il quale chiese ed ottenne di lì a pochi giorni copia del registro generale) ed il collega Giuseppe Scandurra, Procuratore generale militare presso la Corte militare di Appello.

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A quest’ultimo, come precedentemente detto, inviò pure una lettera del 24 giugno 1994 affinché anche negli uffici di competenza della Procura Generale Militare presso la corte militare di Appello fosse effettuata la stessa ricerca. In data 4.07.1994 il Procuratore generale militare presso la corte militare di Appello, dott. Giuseppe Scandurra risponde al Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione prof. Renato Maggiore scrivendo di aver già disposto ricerche nei registri e negli archivi e di aver designato il sostituto Procuratore anziano dott. Nicolosi di seguire attentamente l’intera questione e di esaminare gli eventuali atti di risulta.

In questa stessa lettera il dott. Scandurra prega il dott. Maggiore di comunicare l’eventuale disponibilità del magistrato “che Ella ritenga di nominare” da affiancare nel lavoro al designato sostituto procuratore militare presso la Corte militare di appello dott. Nicolosi.

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Il 5 luglio 1994, il Procuratore Generale Maggiore designa il dott. Vindicio Bonagura nell’affiancamento: “La prego di volersi occupare, con i contatti del caso, dei necessari interventi per conto di questo G.U. in ordine al contenuto della mia nota 24/6/94, n.31/R, al Procuratore generale militare presso la corte militare di Appello, e del riscontro da questi datomi con la sua 4 c.m., n.025/R/cont. note che, entrambe, Le rimetto in copia. Nella presente delega è implicita, ovviamente, la facoltà di adottare ogni eventuale provvedimento che, di conseguenza, possa rivelarsi pertinente al risultato, se del caso, dei detti interventi”.

La decisione di “affiancare” al dott. Nicolosi il dott. Bonagura appartenenti a due differenti Uffici di procura, era da ascrivere alla circostanza che non risultava chiaro quale dei due Uffici dovesse ritenersi competente ed a definire quale iter seguire per i fascicoli rinvenuti nei locali del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

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Difatti, per quanto il locale del ritrovamento fosse tra quelli di pertinenza della Procura generale presso la corte di Appello, sui fascicoli figurava la provvisoria archiviazione adottata dalla Procura generale militare presso il Tribunale Supremo Militare, organo giudiziario soppresso nel 1981, le cui funzioni erano passate alla Procura generale militare presso la Corte di Cassazione. Scandurra, audito il 20.5.2004, ha dichiarato in proposito:

”[…] diedi incarico al cancelliere capo del mio ufficio perché facesse questa ricerca e, al tempo stesso, delegai il Sostituto procuratore generale anziano perché seguisse questa pratica. Non c’è nessuna norma, per quanto riguarda questo atto di delega, ma ciò rientra nell’ambito delle attività comuni ad ogni ufficio giudiziario, in cui il capo dell’ufficio delega un sostituto perché segua una particolare pratica, la sviluppi e naturalmente faccia tutto quello che rientra nei suoi doveri […] questo sostituto è stato da me delegato perché esaminasse tutti gli atti che avessero attinenza con i crimini di guerra che eventualmente si trovassero nell’ambito degli archivi della Procura generale militare di appello e in relazione a questo, nell’ambito della sua autonomia e della sua potestà – che deriva ad ogni sostituto che è delegato per una certa indagine – riferisse e svolgesse le attività che egli avesse ritenuto opportune o necessarie”.

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Lo stesso prof. Maggiore, il 27.10.2004, in proposito ha sostenuto:

”Per un principio di collaborazione fra uffici, avevo ritenuto di destinare, a seguito dell’assenso ricevuto da Bonagura, un mio collega, un mio sostituto procuratore generale in sede di legittimità come consulente, ad adiuvandum, per quella disamina, per quel lavoro di selezione, di avviamento alle procure militari interessate, pur tardivo, di quei carteggi […].

Non ci fu un atto costitutivo; io e Scandurra non ci siamo mai riuniti per mettere a verbale il tema relativo alla nomina di una commissione […] che avrebbe avuto una determinata durata, che avrebbe dovuto riferire con relazione a noi che in quel momento la istituivamo, eventualmente prevedendo in quel verbale, ove fosse stato il caso, gettoni di presenza. Non ci fu mai un verbale costitutivo della commissione; non ci fu – se stiamo alla parola – nessuna commissione; ci fu una designazione. La mia lettera proponeva a Scandurra un eventuale affiancamento.

La mia proposta a Bonagura, dopo che aveva avuto la bontà di aderire alla richiesta verbalmente fattagli, era di andare ad affiancare chi nella Procura generale militare di appello si occupasse della cosa, come gruppo di lavoro, come pool […] di lavoranti, di operatori, ma non ci fu una commissione […]”.

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All’interno di questi intendimenti il solo Nicolosi, quale unico sostituto procuratore competente, facendo parte della Procura generale militare di appello, risulta firmatario dei provvedimenti di non luogo a provvedere per i 273 fascicoli suddetti e di trasmissione dei 695 fascicoli (ai quali va in realtà aggiunto il c.d. carteggio vario, di modo che il numero complessivo di questi fascicoli risulta pari a circa 800) alle procure militari territoriali.

In realtà questa commissione, a partire dalla sua costituzione al suo modus operandi ha suscitato non poche né certo ingiustificate perplessità nella Commissione d’inchiesta che ha svolto al riguardo diverse audizioni del dott. Scandurra e dei membri della commissione, dott. Bonagura, dott. Nicolosi ed il sopracitato cancelliere Conte.

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Infatti, tutte le giustificazioni fornite a livello giuridico sulla legittimità della costituzione della commissione, dagli stessi dipinta posteriormente piuttosto come un gruppo di lavoro sorto secondo criteri meramente organizzativi, sono apparse tutt’altro che convincenti.

Da un lato, i protagonisti hanno cercato di porre l’accento sul fatto che si sia trattato di un gruppo di lavoro e non di una commissione, la cui formazione e composizione risultava giustificata dal luogo e dalle dinamiche del ritrovamento del carteggio sui crimini di guerra, nonché dall’esigenza di visionare il materiale per inviarlo prima possibile alle procure militari territoriali.

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In particolare, poi in audizione, la nascita di questo “gruppo di lavoro” è stata spiegata sulla base della normativa introdotta dal nuovo codice di procedura penale approvato nel 1989 circa il magistrato designato, e sulla base del principio della cooperazione tra uffici diversi.

Comunque sia, la “Commissione mista” costituita nell’estate del 1994, tiene la sua prima riunione soltanto il 7 novembre successivo, riunendosi da quel momento – con la cadenza di una volta a settimana – fino al 26 maggio 1995, per esaminare i faldoni sui crimini di guerra e adottare i provvedimenti del caso.

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Inizialmente i fascicoli, come dichiarato da Nicolosi nel corso della sua audizione del 6 maggio 2004, o meglio faldoni ricoperti da strati abbondanti di polvere erano aperti ed all’interno, c’erano i fascicoli. Il primo compito che il Gruppo di lavoro ha dovuto svolgere è stato quello di accertare se esistesse il fumus boni iuris di un reato: ovvero, bisognava leggere gli atti e valutare se esistessero elementi di reato. Il secondo esame consisteva nell’individuare la procura militare competente, ovvero il locus commissi delicti e trasmettere gli atti al procuratore militare competente territorialmente.

In ordine al lavoro della commissione, il cancelliere Conte afferma che ad ogni riunione erano presi uno o due faldoni, si aprivano e si cominciava ad esaminare il carteggio che vi era contenuto, sia quello processuale, sia quello amministrativo. Il lavoro aveva cadenza periodica, ma non si fece un verbale di ogni riunione, bensì soltanto un verbale conclusivo dell’attività complessivamente svolta.

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Appunto l’irritualità della costituzione della Commissione in questione, le sue riunioni, tutt’altro che ravvicinate, la lentezza dei suoi lavori, la stesura di un verbale conclusivo assolutamente lacunoso ed incompleto, ma soprattutto, il mancato invio dei 273 fascicoli, e l’indagine storico-giudiziaria condotta su quei fascicoli dal Proc. Scandurra, hanno portato la Commissione parlamentare d’inchiesta alla formulazione di un doveroso esposto, indirizzato alla magistratura ordinaria di Roma in data 15 dicembre 2004.

Quest’ultima, ha concluso la sua istruttoria mediante l’emissione, su richiesta dello stesso pubblico ministero, di due decreti di archiviazione che escludendo nei comportamenti estremi di reato, penalmente rilevanti, ha invece d’altra parte – nelle motivazioni di richiesta dei procedimenti di archivi azione – rilevato aspetti alquanto anomali rispetto alle condotte dei magistrati militari e annesse negligenze o superficialità.

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Con riguardo infatti alla costituzione e all’operato della commissione mista, in particolare al provvedimento di non luogo a provvedere firmato dal dott. Nicolosi sui 273 fascicoli, la prima richiesta di archiviazione rileva:

“Fondate perplessità devono avanzarsi rispetto a tale quanto meno irrituale modus agendi, che non trova il conforto delle norme del codice di rito. A tacer d’altro, anche a non voler considerare la ritualità (o piuttosto l’irritualità) della suddetta “commissione mista”, risulta indubbiamente stravagante rispetto ai principi del codice di rito (rectius, dello stesso ordinamento processuale) che una “commissione” di tal genere, di incerta qualificazione (ma certamente non tale da poter assumere il ruolo e i poteri di organo giurisdizionale), abbia potuto adottare provvedimenti di natura oggettivamente giurisdizionale quale quello del “non luogo a provvedere” in relazione al n. 273 fascicoli che non si è inteso rimettere alla AG competente […]

E il giudizio non muterebbe anche laddove si volesse considerare che a stilare e firmare i suddetti provvedimenti è stato, in effetti, non la commissione nella sua integralità, ma uno dei suindicati magistrati segnatamente il dott. Nicolosi, in quanto, come precisato dal dott. Scandurra […] i fascicoli erano stati rinvenuti negli uffici della Procura generale presso la Corte militare di appello trattandosi, pur sempre, di magistrato ratione materiae e secondo le norme del codice di rito non legittimato ad adottare provvedimenti del tipo e col contenuto di che trattasi”.

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A questo seguiva però, nella menzionata richiesta di archiviazione l’esclusione del dolo e anche a livello indiziario, l’impossibilità di configurare il reato di abuso d’ufficio. Infatti riguardo al provvedimento di non “luogo a provvedere” si rilevava come, i 202 fascicoli, erano già stati inviati nel 1946 alle procure ordinarie, mentre i 71, definiti “copertine vuote” erano sostanzialmente privi di qualsiasi elemento.

Anche sul secondo rilievo di questa richiesta di archiviazione, l’indagine storico-giudiziaria, intrapresa autonomamente dal Proc. Scandurra circa gli esiti giudiziari dei 202 fascicoli inviati nel 1945-46, viene esclusa ogni ipotesi di reato. Si riconosce infatti, nella buona fede del dott. Scandurra, la mancanza dei presupposti soggettivi necessari per configurare l’esercizio di funzioni investigative di cui l’organo effettivamente sarebbe privo. In buona sostanza, Scandurra, secondo questa richiesta si è limitato esclusivamente ad un’indagine storico-conoscitiva, senza altre contrastanti finalità.

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Sotto il terzo ed ultimo profilo della gestione dei 71 fascicoli, le false copertine, vuote, fornite soltanto dell’archiviazione provvisoria del 1960, la richiesta in questione esclude ogni valutazione a livello penale per motivi di prescrizione, rinviando nel merito, pertanto, all’indagine condotta dal CMM che con delibera del 24 febbraio 2005 ha istituito una Commissione speciale per i procedimenti per i crimini di guerra.

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L’indagine in questione, si è conclusa con la Deliberazione n. 1316 del plenum del CMM in data 26 luglio 2005 che si articola nel seguente testo:

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IL CONSIGLIO DELLA MAGISTRATURA MILITARE

Letta la delibera in data 9 novembre 2004, con cui è stata disposta la costituzione di una Commissione speciale sui procedimenti per i crimini di guerra, con il compito di provvedere alla trattazione dei dossier n. 513/2004 AG e 558/2004 PL, nel cui ambito sono confluiti parte degli atti relativi al dossier concluso con delibera del Plenum n. 940 del 26 ottobre 2004 (concernente 30 fascicoli per reati commessi nel secondo conflitto mondiale in territorio italiano inviati dalla Procura generale militare presso la Corte di Cassazione alla Procura militare di Torino nel luglio 2002);

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Letti gli atti acquisiti nell’ambito del presente dossier, comprensivi della delibera adottata dal CMM in data 26 ottobre 2004, n. 940 e delle note con le quali i magistrati titolari degli uffici di Procura generale militare presso la Corte di Cassazione e presso la Corte militare di appello ed il Presidente della Corte militare di appello hanno inviato a questo Consiglio ritagli di articoli a stampa contenenti espressioni reputate del tutto infondate e richiesto un intervento a tutela e difesa della istituzione della giustizia militare, «al fine di far cessare una campagna denigratoria che ormai si svolge da mesi e di ricercare, per quanto possibile, le modalità più idonee a ricondurre il dibattito, attualmente in corso sulla ricerca delle cause che hanno portato al rinvenimento dei noti fascicoli, nelle competenti sedi istituzionali e non già in strumentali campagne di stampa» (nota del Procuratore generale militare presso la Corte di cassazione dell’11 febbraio 2005);

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Esaminati gli incartamenti trasmessi dalla Procura generale militare presso la Corte di Cassazione e presso la Corte militare di appello, consistenti, rispettivamente, in numero 202 e 71 fascicoletti provenienti dall’archivio degli atti relativi ai crimini di guerra commessi nel periodo 1943-1945, rinvenuto nell’estate del 1994 in un locale di Palazzo Cesi – in Roma, via degli Acquasparta 2 -, sede degli Uffici giudiziari militari di appello e di legittimità;

Visti gli atti delle audizioni effettuate, in data 7 luglio 2005, dalla Commissione Speciale nei confronti del Presidente della Corte militare di appello, dott. Alfìo Massimo Nicolosi, e del Procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, dott. Vindicio Bonagura, già sentito in data 9 giugno 2004 nell’ambito del dossier 268/2004 AGRR, delibera la seguente relazione conclusiva:

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PREMESSE

Con la presente indagine conoscitiva l’organo di autogoverno della magistratura militare ha inteso corrispondere a una duplice esigenza:

  • in primo luogo procedere ad una integrazione della delibera CMM in data 23 marzo 1999, la quale ha provveduto ad una articolata ricognizione in merito alle “dimensioni, cause e modalità” della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell’ambito della Procura Generale Militare presso il Tribunale Supremo Militare di fascicoli contenenti denunce per crimini di guerra e per tale ragione non ha avuto modo di occuparsi specificamente delle attività conseguenti a tale rinvenimento e consistenti nell’esame dei fascicoli e nella adozione dei necessari provvedimenti;
  • in secondo luogo verificare la effettiva consistenza di alcune ipotesi formulate dagli organi di stampa circa presunte irregolarità registratesi nel preciso contesto in cui vennero rinvenuti, all’interno dell’immobile denominato “Palazzo Cesi”, già sede della Procura generale militare presso il Tribunale Supremo Militare, i fascicoli concernenti le denunce per crimini di guerra commessi negli anni 1944-1945 .
Palazzo Cesi a Roma

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Le indicate esigenze si collocano su uno sfondo unitario e traggono origine dalla ventilata ipotesi che non tutti i fascicoli rinvenuti nel noto archivio di Palazzo Cesi nel 1994 siano stati puntualmente trasmessi ai titolari dell’azione penale: taluni di essi sarebbero stati ulteriormente “trattenuti” presso quella sede di rinvenimento e, in tal modo, si sarebbe impedito che la totalità delle denunce per crimini di guerra pervenisse negli uffici competenti per la trattazione dei procedimenti.

In particolare, la ipotizzata omissione avrebbe riguardato:

  • da un lato 202 fascicoli relativi a fatti criminosi commessi fra il 1943 ed il 1945 ad opera, per lo più, di appartenenti a formazioni della Repubblica Sociale di Salò;
  • dall’altro 71 fascicoli sempre relativi a crimini di guerra, rispetto ai quali i due magistrati militari incaricati dell’esame degli atti (dott. Nicolosi e dott. Bonagura) decretarono un “non luogo a provvedere” e conseguentemente non trasmisero i fascicoli agli organi inquirenti teoricamente competenti;
  • le due vicende sopra indicate, ancorché accomunate dal fatto di non essere state analiticamente valutate nell’ambito della delibera CMM del 1999 e di essere state entrambe oggetto del provvedimento di “non luogo a provvedere”, presentano profili di spiccata autonomia e per tale ragione meritano di essere esaminate singolarmente.

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Al riguardo va infine precisato che l’indagine conoscitiva di questo organo di autogoverno ha rilevato la necessità di esaminare analiticamente il contenuto dei 202 e dei 71 fascicoli sopra indicati e di ricostruire le precise circostanze in cui è maturata la decisione di non trasmetterli agli organi giudiziari di primo grado.

Si è di conseguenza circoscritta l’indagine alle vicende accadute dopo il rinvenimento dell’archivio delle denunce per crimini di guerra e non si è in alcun modo riesaminato il profilo concernente le responsabilità dell’impropria e pluridecennale giacenza di detti fascicoli in un locale già di pertinenza della Procura generale militare presso il Tribunale Supremo Militare.

Quanto sopra per un duplice ordine di ragioni:

  • in primo luogo perché su quest’ultimo aspetto si è ampiamente soffermata la delibera CMM del 23 marzo 1999, che ha sottolineato come il “trattenimento” di detti fascicoli presso la Procura generale militare sia da ascrivere ad “un insieme di determinazioni radicalmente contrarie alla legge, adottate da un organo privo di ogni competenza in materia, che hanno sistematicamente sottratto gli atti al Pubblico Ministero competente e perciò impedito qualsiasi iniziativa di indagine e di esercizio dell’azione penale”;
  • in secondo luogo perché della complessa vicenda si occupa la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento dei fascicoli relativi a crimini nazifascisti (istituita con legge 15 marzo 2003, n. 107 e dotata degli «stessi poteri» dell’autorità giudiziaria), che non ha ancora completato i suoi accertamenti e rispetto ai quali appare a questo Consiglio doveroso astenersi da qualsiasi iniziativa fintante che non venga depositata la relazione conclusiva.

commissione-parlamentare.jpg_997313609Dall’esame del registro generale relativo alle denunce per crimini di guerra e dagli elementi acquisiti nel corso della presente indagine conoscitiva è emerso che i predetti 202 fascicoli sono stati trasmessi alle competenti Procure ordinarie nel primo quadrimestre del 1946.

Ciò che è rimasto negli archivi di Palazzo Cesi non è altro che la copertina in cui erano custoditi gli atti, unitamente alla minuta della nota di trasmissione a firma del Proc. Gen. Mil. dell’epoca, ad una nota sinteticamente riassuntiva del fatto criminoso e, in alcuni casi, ad una copia delle dichiarazioni rese dalle parti lese o da qualche testimone presente al fatto criminoso.

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La nota di trasmissione risulta inviata anche alla Legione Territoriale dei Carabinieri competenti e si richiama ad un elenco della stessa Legione Carabinieri, completo di numero di protocollo e di data. Tutti questi atti risultano redatti in carta vergatina dell’epoca (c.d. velina) ed in massima parte sono privi di firma e sforniti di segni o di timbri autenticativi.

La presenza all’interno di tale copertina di una o due (raramente) copie delle dichiarazioni testimoniali rese all’epoca dalla parte lesa è facilmente spiegabile con la circostanza che, non essendo a quell’epoca disponibile alcun apparecchio per fotocopie, l’atto firmato dall’autore della dichiarazione veniva inviato all’ufficio del P.M. destinatario, mentre la copia o le copie residue venivano conservate agli atti della Procura generale militare.

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Costituisce, infatti, un dato notorio che a quell’epoca gli atti venivano redatti in triplice o quadruplice copia, mediante l’impiego della comune carta vergatina, intervallata da fogli di carta carbone: l’originale veniva inviato all’ufficio destinatario, mentre la copia o le più copie residue rimanevano nell’incarto dell’ufficio che effettuava la spedizione.

Quanto sopra trova una conferma anche nella più volte citata delibera CMM del 23 marzo 1999, ove si dà atto che gli incarti che qui interessano furono “trasmessi per competenza all’Autorità giudiziaria ordinaria” secondo il criterio del locus commissi delicti (Relazione del 23.3.1999 del C.M.M., p. 12).

Mappa delle stragi nazifasciste in Italia

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Come si è già rilevato il numero complessivo dei fascicoli trasmessi alla competente autorità giudiziaria nel primo quadrimestre del 1946 ammonta a 202. Ciascuno di questi fascicoli risulta debitamente annotato nel registro generale delle denunce per crimini di guerra. Dopo il primo quadrimestre del 1946, e cioè successivamente alla loro trasmissione all’Autorità giudiziaria ordinaria, non è più intervenuto per tali atti alcun provvedimento da parte della Procura Militare Generale, né è stata adottata per essi alcuna iniziativa intesa a conoscere l’esito avuto da tali pratiche presso l’Autorità giudiziaria ordinaria.

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Lo stesso provvedimento di “archiviazione provvisoria”, adottato il 14 gennaio 1960 dal Proc. Gen. Mil. per i fascicoli che a tale data non risultavano ancora trasmessi alle competenti autorità giudiziarie, non aveva avuto per oggetto i menzionati 202 incartamenti, ad ulteriore conferma della circostanza che gli stessi costituivano semplici copie (cosidetti figurativi) di atti debitamente trasmessi agli organi incaricati della istruzione dei procedimenti e quindi atti rispetto ai quali non vi era da adottare alcun provvedimento da parte degli uffici giudiziari militari.

Nel momento in cui si prende contezza (da parte della Procura generale militare di appello) dei menzionati figurativi di questi 202 fascicoli, si ha altresì modo di constatare che nel relativo registro generale mancava ogni annotazione in ordine al loro esito, ad eccezione della generica annotazione “definito” priva di ogni specificazione circa la natura e la data del provvedimento conclusivo.

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Circostanza, questa, che appariva dissonante anche in relazione alla diversa procedura nel frattempo adottata per gli atti trasmessi alle autorità giudiziarie militari negli anni 1965-1968, i quali comparivano annotati nel registro generale, seppure ad abundantiam e per opportuna scelta discrezionale, altresì nella parte concernente la natura e la data del provvedimento adottato.

Ed è proprio da questa constatazione che trae origine l’attività svolta dalla Procura generale militare di appello, intesa ad acquisire notizie sugli esiti dei 202 procedimenti, per il tramite di richieste in un primo momento inoltrate agli Uffici giudiziari originariamente destinatari delle denunce o a quelli che ad essi erano succeduti.

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In seguito – ed in ragione delle difficoltà riscontrate nella corrispondenza con organi giudiziari in parte da lungo tempo soppressi – si ritenne opportuno rivolgere le richieste anche ai Carabinieri competenti per territorio, nel convincimento che n ei rispettivi archivi potessero rinvenirsi elementi di rilievo per conoscere l’esito giudiziario dei procedimenti o per acquisire notizie utili in tale prospettiva.

La ragione per la quale detta ricerca venne svolta dalla Procura generale militare di appello è la seguente: presso detto ufficio era custodito il registro generale delle denunce per crimini di guerra, a seguito del rinvenimento del 1994, e solo per il titolare di detto ufficio (allora il dott. Giuseppe Scandurra) divenne sin da subito possibile riscontrare la anzidetta incoerenza del registro generale, anche in raffronto- come già osservato – a quanto constatato rispetto ai fascicoli inviati nel periodo 1965-1968, e coordinare ed attuare le iniziative necessarie per avere conoscenza dell’esito dei 202 procedimenti ed annotarne gli estremi nel suddetto registro generale.

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I peculiari connotati di tale attività, non imposta da alcuna norma e frutto di una comprensibile iniziativa del titolare della Procura generale militare di appello, spiegano quel che accadde in seguito, ed esattamente allorquando il dott. Giuseppe Scandurra venne nominato Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione e si trasferì nel nuovo ufficio, così come l’ufficiale, già con funzioni di cancelliere, che, fino ad allora, si era occupato dei rapporti con gli organi in grado di riferire notizie utili all’anzidetto obiettivo di conoscere l’esito dei 202 procedimenti.

Su tali premesse, risultò effettivamente naturale che quell’attività, di mera ricognizione documentale, non imposta dalla legge e non attribuita ad alcun organo, proseguisse nell’ufficio in cui nel frattempo erano stati trasferiti i soggetti che se ne erano occupati sin dall’inizio; di conseguenza, si incardinò presso la Procura generale militare presso la Corte di cassazione quel complesso di iniziative che ancora restavano da attuare per realizzare l’obiettivo di disporre – come detto – di conoscenze circa l’esito dei procedimenti trasmessi all’A.G.O. nel primo quadrimestre del 1946.

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Di ciò venne informato il Consiglio della magistratura militare, al quale venne in primo luogo fornito un sommario resoconto delle iniziative di ricerca intraprese, con la specifica indicazione delle date in cui le richieste erano state inoltrate; indi gli fu inviata una nota con la quale, oltre a dare atto che nel frattempo erano stati acquisiti n. 28 provvedimenti giudiziari, si comunicava, “dato l’interesse storico – giudiziario della ricerca avviata ed allo scopo di proseguire in maniera organica il lavoro già iniziato, che l’indagine conoscitiva veniva trasferita “alla Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione, per l’ulteriore corso”.

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Con successiva nota (Missiva in data 22/02/1999), infine, veniva comunicato al CMM, ed esattamente alla Commissione speciale sui crimini di guerra, una situazione aggiornata di tali incartamenti e veniva specificato:

  • il numero di quelli per cui era stato reperito un provvedimento giudiziario;
  • il numero di quelli per i quali si era in attesa di prevedibile risposta dell’A.G.O. o dei Comandi CC interessati;
  • ed infine il numero dei residui, per i quali erano in corso attività intese ad identificare gli organi in grado di fornire notizie.

Nel luglio del 2002 la PGM presso la Corte di Cassazione, con nota a firma del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto Rosin, ritenne opportuno trasmettere alle Procure militari nel cui ambito ricadeva il luogo del commesso crimine n. 54 fascicoli, evidenziando che si trattava di atti già trasmessi alla competente autorità giudiziaria, che era in corso un’attività di ricerca e documentazione circa il loro esito ed espressamente richiedendo ai destinatari di provvedere alla «allegazione ad atti eventualmente in possesso» o di comunque dar corso «ad ogni ragionevole utilizzo».

Partigiani impiccati nel Bosco dei Castani

Partigiani impiccati nel Bosco dei Castani

Vennero così inviati 30 incartamenti alla Procura Militare di Torino, 9 alla Proc. Mil. di Verona, 14 alla Proc. Mil. di Roma e 1 alla Proc. Mil. di La Spezia. I suddetti uffici giudiziari militari ritennero doveroso, o quanto meno opportuno, trasmettere a loro volta gli incartamenti ricevuti direttamente alle autorità giudiziarie ordinarie astrattamente competenti.

Successivamente la Procura generale ritenne di inviare nuovamente le richieste agli organi giudiziari ordinari ed in tal modo, integrando richieste a suo tempo inoltrate, è riuscita ad avere notizia dell’esito di 31 dei suddetti 54 procedimenti.

I corpi di due partigiani ignoti

I corpi di due partigiani ignoti

Nel corso dell’esame dei fascicoletti contenenti le copie degli atti a suo tempo trasmessi all’AGO e le risposte fornite dagli Uffici richiesti di accertare e comunicare l’esito dei procedimenti, si è constatato che in alcuni casi i Comandi Carabinieri hanno proceduto ad assumere informazioni dai parenti delle vittime e da soggetti che, anche in esito alle deposizioni rese dai primi, apparivano in grado di fornire elementi idonei alla ricostruzione e comprensione dell’accaduto.

Le suddette iniziative, certo non richieste e del tutto esorbitanti rispetto alla finalità di documentazione storica esplicitata nelle note inoltrate dalla Procura generale, pongono il problema di che destinazione dare agli atti così ricevuti – per solito consistenti in una mera rievocazione dei fatti già descritti nelle originarie notizie di reato – ed, in particolare, inducono a chiedersi se non sia opportuno trasmetterli alle autorità giudiziaria di primo grado, in ragione del fatto che talvolta concernono procedimenti a suo tempo instaurati e conclusi nei confronti di ignoti ed in ogni caso per la determinante constatazione che appare comunque preferibile che gli stessi vengano esaminati da autorità che hanno istituzionali competenze alla trattazione dei procedimenti e che per tale ragione possono valutarne l’effettivo significato.

Davanti ai tradimenti il gruppo partigiani di Arco prende le sue precauzioni. Il foglietto che riproduciamo serviva - completato con i nominativi dei delatori - a denunciarli alla popolazione affinché se ne guardasse

Davanti ai tradimenti il gruppo partigiani di Arco prende le sue precauzioni. Il foglietto che riproduciamo serviva – completato con i nominativi dei delatori – a denunciarli alla popolazione affinché se ne guardasse

Inoltre non va sottaciuta la circostanza che la valutazione di tutto ciò che attiene alla delicata materia dei crimini di guerra subisce il forte condizionamento delle pesanti omissioni registratesi nel passato e rende oltremodo opportuno, anche alla luce delle insinuazioni maturate nel corso di anni più recenti – in verità ingenerose nei confronti dei tanti sforzi compiuti dalla magistratura militare a far data dalla scoperta del noto archivio dei crimini di guerra – che venga evitata ogni iniziativa che si ponga in oggettivo contrasto con la unanimemente condivisa esigenza di trasmettere alle competenti autorità giudiziarie ogni atto ed elemento astrattamente suscettibile di valutazione ed impiego processuale.

Ciò premesso e sottolineato ancora una volta che si tratta comunque di fascicoli già trasmessi alla competente A.G.O. nel 1946, va rilevato che gli incartamenti rispetto ai quali si pone l’anzidetta esigenza sembrano soltanto quelli contrassegnati dai seguenti numeri di registro generale: 186, 202, 206, 364, 397, 398, 501, 961, 1109, 1154 (10 fascicoli).

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Ciò in quanto gli ulteriori 5 fascicoli in cui parimenti si rinvengono atti di assunzione di informazioni (contrassegnati dai numeri di registro generale 340, 703, 875, 898, 1112) risultano infatti trasmessi agli organi giudiziari militari nell’ambito di quei 54 fascicoli di cui si è detto sopra ed in ragione del fatto che rispetto agli stessi non era stato possibile avere utili indicazioni circa l’esito dei procedimenti.

Quanto, infine, al fascicolo 970, va preso atto che gli atti acquisiti successivamente dagli organi di P.G. risultano già trasmessi, a cura della P.G.M. presso la Corte di Cassazione, alla Procura della Repubblica di Como in data 21 maggio 2004. Per le sopra indicate considerazioni, pertanto, ritiene il Consiglio che i fascicoli in cui si rinvengono i suddetti atti debbano avere lo stesso destino dei 54 fascicoli inviati nell’estate del 2002 ad alcuni organi giudiziari militari di primo grado, in modo che siano costoro – valutate le peculiarità delle diverse vicende e presi gli opportuni contatti con gli organi giudiziari a suo tempo destinatari degli atti – ad assumere le opportune determinazioni in merito.

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Gli elementi acquisiti nel corso della indagine conoscitiva consentono di escludere che in relazione ai citati 202 figurativi vi sia stata una qualsiasi attività di occultamento. Le ricerche svolte sui figurativi, infatti, non avevano altro scopo che quello di acquisire informazioni in merito all’esito dei procedimenti penali instaurati a seguito della trasmissione delle denunce del primo quadrimestre del 1946.

Di conseguenza non può che ribadirsi quanto già asserito nella delibera adottata dalla Commissione speciale per i procedimenti per i crimini di guerra in data 9 marzo 2005, con la quale si è affermato che l’attività volta ad acquisire la conoscenza dell’esito dei procedimenti instaurati presso l’Autorità Giudiziaria, iniziata dalla Proc. Gen. Mil. presso la C. Mil. App. e proseguita dalla Proc. Gen. Mil. Cass., ha riscontrato una esigenza di ragionevole opportunità; al punto che si è ritenuto conseguente indicare che essa continui per la parte residua, in modo da disporre del massimo possibile di elementi di conoscenza in merito all’esito dei procedimenti penali concernenti le fattispecie di cui ai predetti 202 incartamenti.

Victims of German SS and Hungarian Arrow Cross terror in the ghetto

La vicenda trova il proprio antecedente nella decisione con la quale i titolari degli uffici di Procura generale militare presso la Corte di Cassazione e presso la Corte militare di appello designarono, nel giugno 1994 – ed in esito al rinvenimento delle denunce per crimini di guerra – un magistrato di ciascun ufficio per sottoporre a ricognizione ed esame il materiale scoperto negli archivi ed adottare i provvedimenti di pertinenza.

In particolare, il Procuratore generale militare di appello con nota del 04.07.1994, comunicava di aver “incaricato il Sost. proc. gen. mil. anziano, Dott. Nicolosi di seguire attentamente l’intera questione e di esaminare gli eventuali atti di risulta”.

Zentralbild II. Weltkrieg 1939-45 Das letzte Aufgebot der faschistischen Deutschland, 1944. Die Ersatz-Brigade "Großdeutschland" bildet in Lehrgängen Volkssturm-Zugführer aus. U.B'z: Ausbildung an der Maschinenpistole 1812-44

Con successiva nota del 05.07.1994, il Proc. Gen. Mil. presso la Cass., Prof. Maggiore, designò il Sost. Proc. Gen. Mil. dott. Bonagura e lo incaricò di occuparsi dei necessari interventi in ordine al contenuto della precitata nota del 24.06.94, con “facoltà di adottare ogni eventuale provvedimento che, di conseguenza, (si fosse) rivelato pertinente al risultato”. La designazione dei due Sostituti procuratori generali, appartenenti a due differenti Uffici di Procura, era da ascrivere alla circostanza che non risultava chiaro quale dei due Uffici dovesse ritenersi risolvere la complessa materia ed a definire la sorte degli atti rinvenuti nei locali del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

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Nel corso della attività sopra specificata (espletata nel periodo dal 7 novembre 1994 al 26 maggio 1995) i due magistrati dott. Nicolosi e dott. Bonagura provvedevano ad inviare alle competenti Procure militari tutti i fascicoli contenenti notizie di reato, redigendo un verbale delle attività compiute (30 maggio 1995) ed in questo dando atto che la gran parte dei fascicoli rinvenuti (in seguito risultati nel numero di 695) erano stati trasmessi alle competenti Procure militari .

Nel predetto verbale si specificava inoltre che per “alcuni fascicoli erano già stati svolti i relativi procedimenti con emissione di sentenze definitive in alcuni casi da parte dell’Autorità giudiziaria militare e in altri casi da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria”.

Roma, Vi delle Quattro Fontane, 23 marzo 1944. Militi della "Decima Mas" e del "Bozen" sorvegliano un gruppo di civili rastrellati in via Rasella (Koch, PK 699/BA Koblenz)

Roma, Vi delle Quattro Fontane, 23 marzo 1944. Militi della “Decima Mas” e del “Bozen” sorvegliano un gruppo di civili rastrellati in via Rasella (Koch, PK 699/BA Koblenz)

Infine si rilevava che “numerosi incartamenti ..contenevano corrispondenza d’ufficio senza alcun riferimento a specifici fatti criminosi”, sicché di essi ne era stata “disposta l’archiviazione presso l’Archivio storico”. In seguito si prendeva atto che per numero 71 fascicoli non era stata disposta la trasmissione alle Procure militari e si era decretato, con annotazione apposta sulla copertina e trascritta nel registro generale, un “non luogo a provvedere”.

In esito alle audizioni (6 luglio 2005) dei predetti due magistrati (dott. Nicolosi e dott. Bonagura), si è appreso che il non luogo a provvedere era stato concordemente disposto per la determinante ragione che gli asseriti fascicoli consistevano soltanto della copertina e non contenevano nessun atto, ad eccezione del noto provvedimento di archiviazione provvisoria sottoscritto dall’allora Procuratore generale militare presso il Tribunale Supremo Militare, dott. Santacroce, e recante la data del 14 gennaio 1960.

Roma, via Rasella, 23 marzo 1944. Un soldato del "Bozen" accanto al punto dell'esplosione (Koch, PK 699/BA Koblenz)

Roma, via Rasella, 23 marzo 1944. Un soldato del “Bozen” accanto al punto dell’esplosione (Koch, PK 699/BA Koblenz)

Di conseguenza, si ritenne che le annotazioni riportate sul frontespizio delle copertine, e contenenti il nome delle vittime e il titolo del reato, non potessero considerarsi alla stregua di una notizia di reato e pertanto non vi fosse l’obbligo di inoltrarle agli organi di procura. Su tali basi venne adottato il provvedimento di non luogo a provvedere, che “stava a significare che in quei casi specifici non c’era da trasmettere nulla, o da attivare alcuna attività, perché non esistevano gli elementi, dal momento che all’interno delle “false copertine” non c’era nulla se non il provvedimento di archiviazione …”.

Si trattava di “indicazioni insufficienti a enucleare una qualsiasi notizia che potesse avere una consistenza ai fini di un’utilizzazione giudiziaria.” (audizione del Procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, dott. Vindicio Bonagura, del 6 luglio 2005.

Roma, via Rasella, 23 marzo 1944. Subito dopo l'attentato, soldati del "Bozen" sorvegliano i piani alti della strada, mentre (a destra) un ufficiale del Kds di Roma (Franz Braun) esamina i resti della bomba (Kock, PK 699/BA Koblenz)

Roma, via Rasella, 23 marzo 1944. Subito dopo l’attentato, soldati del “Bozen” sorvegliano i piani alti della strada, mentre (a destra) un ufficiale del Kds di Roma (Franz Braun) esamina i resti della bomba (Kock, PK 699/BA Koblenz)

La Commissione speciale sui procedimenti per crimini di guerra istituita con delibera CMM del 9 novembre 2004, dopo aver integrato le scarne annotazioni riportate sui menzionati fascicoli con alcuni elementi tratti dal registro generale ed avere individuato gli organi di polizia giudiziaria che avevano a suo tempo inoltrato le denunce in questione, ha in primo luogo rilevato che 2 dei 71 fascicoli, ed esattamente quelli contrassegnati dai numeri di registro generale 196 e 525, si riferiscono ad atti debitamente trasmessi a suo tempo alle competenti autorità giudiziarie (il procedimento iscritto al numero 525 risulta definito dalla Corte di Assise Straordinaria di Genova con sentenza del 7 agosto 1945; quello contrassegnato dal numero 196 è stato trasmesso al Tribunale militare di Firenze in data 30 gennaio 1947).

Franz Hofer parla agli Schützen in occasione del "Kreisschiessen" a Brunico, maggio 1944 (Slg. Wassermann/Niederdorf)

Franz Hofer parla agli Schützen in occasione del “Kreisschiessen” a Brunico, maggio 1944 (Slg. Wassermann/Niederdorf)

Indi, dopo aver constatato che i residui 69 fascicoli traevano origine da denunce iscritte nel registro generale nell’ambito di gruppi di denunce provenienti da determinati Comandi Carabinieri, la Commissione ha richiesto ai Tribunali militari che avevano ricevuto e definito le altre denunce di inviare copia dei fascicoli relativi a queste ultime, nella supposizione che all’interno dei medesimi potessero trovarsi gli atti relativi alle annotazioni riportate sui 69 fascicoli privi di documenti di supporto.

L’iniziativa non ha sortito alcun esito positivo in quanto n egli atti ricevuti non si è trovato nulla che avesse attinenza con gli episodi sinteticamente annotati nel frontespizio delle 69 copertine. Di conseguenza si è ritenuto opportuno, nel tentativo di rinvenire gli atti posti a base delle predette annotazioni, trasmettere – con nota del 16 marzo 2005 – l’elenco delle persone offese all’Ufficio Operazioni del Comando Generale dei Carabinieri, con la richiesta di provvedere ad ogni utile iniziativa allo scopo di reperire gli atti contenenti le denunce.

4 maggio 1945 - zona di Bolzano - V armata. Soldati tedeschi marciano in formazione per recarsi a consumare il rancio. (Si tratta naturalmente di prigionieri. A molte finestre è esposta la bandiera italiana)

4 maggio 1945 – zona di Bolzano – V armata. Soldati tedeschi marciano in formazione per recarsi a consumare il rancio. (Si tratta naturalmente di prigionieri. A molte finestre è esposta la bandiera italiana)

Con nota del 3 giugno 2005 il Comando generale dei Carabinieri ha trasmesso gli atti acquisiti in esito alla richiesta di cui al punto precedente, precisando che non è stato possibile rintracciare alcun atto di denuncia e che quanto reperito appariva comunque utile “per ricostruire le circostanze di tempo e di luogo in cui si verificarono gli eventi delittuosi in oggetto”. Si aggiungeva, inoltre, che “l’Istruzione sul carteggio per l’Arma dei Carabinieri prevede la distruzione di quello relativo all’attività di polizia trascorsi 20 anni dall’ultimo atto”.

Effettivamente gli atti acquisiti, che per buona parte riguardano episodi di violenza omicida commessi in danno di militari dell’arma dei carabinieri, sono idonei a consentire di inquadrare le circostanze di tempo e luogo in cui ebbero a verificarsi alcuni degli episodi sommariamente descritti nelle 69 copertine. In particolare ciò si è riscontrato in riferimento ai fascicoli contrassegnati dai seguenti numeri di registro generale:

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  • 935 – violenza con omicidio in danno di Macchielli Giuseppe, Conti Enrico, Macchielli Gino, Macchielli Francesco, Macchielli Rosina, Macchielli Dina, Macchielli Maria, Gandolfi Ida, Macchielli Maria, Valdissera Girolamo, Sandolini Fulvia e Valdisserà Gaetano;
  • 1031 – violenza con omicidio in danno dei carabinieri Leonardi e Crocco;
  • 1035 – violenza con omicidio in danno dei carabinieri Trailo, Caringi e Barone;
  • 1046- Violenza con omicidio a danno del carabiniere Conte Alessandro;
  • 1062- violenza con omicidio in danno di Vincioni Maria;
  • 1123- violenza con omicidio in danno di Pocognoni Don Enrico.
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don Enrico Pocognoni

Tali elementi consentono di dare un minimo di riscontro alle annotazioni riportate sulla copertina dei predetti “fascicoli” e lasciano aperta la possibilità che successive indagini, condotte anche con riferimento alla totalità dei fascicoli trasmessi alle competenti Procure militari negli anni 1965-1968 e a decorrere dal 1994, consentano di risolvere l’enigma di queste 71 copertine prive di atti processuali e di rinvenire in altri fascicoli le denunce che si riferiscono ai fatti di reato ivi sinteticamente annotati.

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Sulla base di quanto sopra evidenziato, ritiene il Consiglio che la decisione di decretare un “non luogo a provvedere” per le 69 copertine, ancorché condotta con trasparenza e sulla base di motivazioni che hanno posto in risalto la circostanza che non risultavano atti processuali da trasmettere, vada superata a beneficio di una opzione che – in conformità a quanto è stato fatto per tutti gli altri fascicoli rinvenuti nel noto archivio e nella prospettiva di non lasciare nulla di intentato per rimediare oggi alle omissioni del passato – ravvisi la necessità che siano trasmessi agli organi giudiziari di primo grado.

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È però da escludere che si sia inteso impedire che le competenti Procure potessero disporre indagini sui predetti fatti. Nulla autorizza detta ipotesi e l’assoluta trasparenza di intenti e motivazioni con la quale i due magistrati hanno assolto il loro incarico, inoltre, rende del tutto chiaro che i predetti, pur incorrendo in una erronea valutazione degli elementi complessivamente disponibili e trasmesso all’archivio atti annotati nel registro delle denunce per crimini di guerra, non hanno perseguito alcuna finalità diversa ed ulteriore rispetto a quella che ha contrassegnato l’intera attività compiuta.

Laces/Latsch, 9 settembre 1943. Truppe motorizzate, entrate dal passo Resia, transitano lungo la Val Venosta ...

Laces/Latsch, 9 settembre 1943. Truppe motorizzate, entrate dal passo Resia, transitano lungo la Val Venosta …

Resta il fatto, però, che va esperito ogni utile tentativo per ricostruire le circostanze di tempo e luogo in cui sono accaduti i fatti indicati nel frontespizio delle 69 copertine. Quale coerente sviluppo ed attuazione di quanto sopra, si impone, di conseguenza, la trasmissione dei 69 fascicoli alle competenti Procure militari, in relazione al luogo del commesso delitto per quelli rispetto ai quali sono stati acquisiti elementi in tale prospettiva e, per tutti gli altri, in relazione alla ubicazione del Comando Carabinieri che ha provveduto ad inoltrare la denuncia nel 1944-45 e di cui alle pertinenti annotazioni del Ruolo Generale.

In esito a quanto sopra complessivamente osservato e ritenuto, “vanno pertanto trasmessi alle competenti Procure militari sia i dieci fascicoli compresi nei 202 a suo tempo già trasmessi agli organi giudiziari di primo grado. Il tutto previa acquisizione e conservazione di copia dei medesimi fascicoli presso l’archivio in cui sono custoditi tutti gli atti rinvenuti nell’estate del 1994.

Immagini finalizzate a dimostrare il rinnovato consenso, nell'esercito e nell'opinione pubblica italiana, a Mussolini e all'alleanza con la Germania. Nello stesso giorno di quest'edizione (15 settembre 1943) il duce, appena liberato e trasportato a Monaco, proclama un nuovo governo fascista. Nelle didascalie si legge: "Non si è giunti al risultato che avrebbe voluto un governo traditore. Reggimenti fascisti marciano fianco a fianco coi loro camerati tedeschi, per dare il loro contributo alla vittoria finale ... italiani nel Reich uniti sotto le bandiere del governo nazionale fascista" (Völkischer Beobachter, 15 settembre 1943)

Immagini finalizzate a dimostrare il rinnovato consenso, nell’esercito e nell’opinione pubblica italiana, a Mussolini e all’alleanza con la Germania. Nello stesso giorno di quest’edizione (15 settembre 1943) il duce, appena liberato e trasportato a Monaco, proclama un nuovo governo fascista. Nelle didascalie si legge: “Non si è giunti al risultato che avrebbe voluto un governo traditore. Reggimenti fascisti marciano fianco a fianco coi loro camerati tedeschi, per dare il loro contributo alla vittoria finale … italiani nel Reich uniti sotto le bandiere del governo nazionale fascista” (Völkischer Beobachter, 15 settembre 1943)

In particolare i dieci fascicoli sopra indicati vanno trasmessi, a cura della Segreteria in sede e previa acquisizione di copia conforme per le esigenze della Procura Generale militare presso la Corte Suprema di Cassazione, alle seguenti Procure militari: fascicoli numeri 501, 961, 1109 e 1154: Procura militare di La Spezia; fascicoli numeri 206, 364: Procura militare di Torino; fascicoli numeri 397 e 398: Procura militare di Padova; fascicoli numeri 186 e 202: Procura militare di Verona”.

Questa indagine e la delibera conclusiva, come ha spiegato, nell’audizione sostenuta di fronte alla commissione il dott. Marvulli, primo presidente della Corte suprema di Cassazione e Presidente del Consiglio della magistratura militare, sono nate dall’esigenza di completare l’indagine condotta dal CMM nel 1996- 99, con particolare riguardo ai 71 fascicoli, di cui mancava un’analisi precisa del contenuto. Dei 202, invece, è risultata abbastanza chiaramente l’avvenuta trasmissione nel 1945-46 e la presenza nell’archivio di Palazzo Cesi, di duplicazioni dei medesimi fascicoli, certificata ampiamente del resto anche nel documento sopra integralmente riportato.

Davanti a casa Pergher è stato rinvenuto il corpo carbonizzato di Gabriele Rossi

Davanti a casa Pergher è stato rinvenuto il corpo carbonizzato di Gabriele Rossi

D’altra parte, pur evidenziando la buona fede che ha animato l’operato dei magistrati militari della commissione mista, si rileva nella delibera l’opportunità di inviare alle autorità competenti i 69 fascicoli, visto che per 2 è stata appurata una compiuta definizione giudiziaria, e per dieci dei 202 fascicoli.

La delibera del resto, evidenzia come la decisione del “non luogo a provvedere” vada superata per la trasmissione dei detti fascicoli agli organi giudiziari di primo grado, ossia le procure militari territorialmente competenti, in linea con quanto avvenuto per tutto il resto del materiale rinvenuto nel 1994.

Ecco i dieci morti del "bosco dei castagni" di Belluno. Fra di essi vi è Mario Pasi

Ecco i dieci morti del “bosco dei castagni” di Belluno. Fra di essi vi è Mario Pasi

Il dott. Marvulli ha ribadito poi, nella sua audizione, l’esigenza di superare la difformità di azione che ha caratterizzato i 71 (69) fascicoli, sottolineando come “la valutazione dei comportamenti di magistrati che hanno partecipato alle operazioni successive al rinvenimento di tutti questi fascicoli sono state deliberatamente omesse dal Consiglio della magistratura militare; questo per la semplice ragione che noi vogliamo che l’iniziativa di promuovere un accertamento di carattere disciplinare parta dagli organi responsabili della funzione disciplinare nei confronti dei magistrati militari, vale a dire dal Ministro della difesa e dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Questo sino ad ora non è intervenuto e, pertanto, noi non abbiamo né prosciolto né condannato alcuno”.

La baracca delle celle per i prigionieri politici nel lager di Bolzano

La baracca delle celle per i prigionieri politici nel lager di Bolzano

Probabilmente i componenti della cosiddetta commissione mista, hanno inteso il “non luogo a provvedere” per i 71 casi nel senso che, non vi era da trasmettere alcunché, ne fosse possibile prendere alcuna iniziativa atteso che, non esistevano elementi sufficienti a configurava una notizia di reato, degna di trasmissione, che potesse avere una consistenza ai fini di un’utilizzazione giudiziaria.

La delibera invece censura la scelta di non inviare quei fascicoli, perché come ha ribadito Marvulli: “Noi abbiamo voluto, in sostanza, dire che tutto deve andare, dove deve andare. Il consiglio della Magistratura Militare non è un archivio di fascicoli: i fascicoli penali devono essere tenuti dall’autorità giudiziaria”.

Giuliano Vassalli

Giuliano Vassalli

La profonda incongruenza del “non luogo a provvedere”, del resto, è stata ampiamente confermata anche dal prof. Giuliano Vassalli:

“Mi sembra strano. Forse si tratta di una decisione presa perché erano ignoti i militari tedeschi. Di solito, quando gli autori del fatto sono ignoti, si dovrebbe procedere a una regolare archiviazione, con richiesta del pubblico ministero e decisione del giudice istruttore. Questo è il rito da seguire, appunto nel caso di ignoti. Evidentemente […] si è ritenuto di accorciare la procedura, ma non mi sembra un’iniziativa molto legale”.

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Inoltre, in linea con le obiezioni poste dalla Commissione d’inchiesta all’operato successivo al 1994, il dott. Marvulli ha rilevato, oltre alla più volte evidenziata anomalia della mancata trasmissione degli atti in questione, il fatto che non sia stato redatto un verbale che ne illustrasse in modo esaustivo il contenuto, al momento del rinvenimento di tutto l’archivio dei crimini di guerra:

“Certo, da magistrato, mi stupisce il fatto che all’atto di un rinvenimento di fascicoli in un armadio, non si sia provveduto immediatamente a redigere un verbale, dal quale risultasse quale fosse il contenuto di quei fascicoli. Dopo di che, si sarebbero dovuti adottare i relativi provvedimenti di competenza. Quali provvedimenti di competenza? Per esempio, la trasmissione delle carte a chi era competente.”

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Emerge, inequivocabilmente, dunque il fatto che i suddetti magistrati militari hanno agito a partire dal ritrovamento in modo non lineare, dalla scelta di non inviare il materiale ritrovato alla magistratura competente ratione loci, alla formazione ed azione della Commissione mista estranea a qualsiasi previsione procedurale ed ordinamentale.

I rilievi mossi dalla Commissione d’inchiesta all’operato successivo al rinvenimento dell’archivio del 1994, appaiono fondati e non possono essere minimizzati, anche alla luce del fatto che il rinvenimento doveva essere propedeutico a contribuire nella maniera più rapida, trasparente ed efficace ad una chiarezza mancata nei precedenti cinquant’anni a causa dell’indebito trattenimento dei fascicoli a Palazzo Cesi.

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Siamo peraltro, nel quadro di incongruenze e anomalie individuali, relative nello specifico all’operato della commissione mista, che va chiaramente censurato. Tuttavia queste mancanze ed incongruenze, per quanto gravi e stigmatizzabili, risultano tuttavia, scevre da ogni ipotesi di rilievo penale e comunque, secondo i principi che improntano il nostro ordinamento, conducono a responsabilità di tipo strettamente personale.

In questa direzione, va menzionato anche il secondo provvedimento di archiviazione disposto dalla Procura ordinaria di Roma, circa la difformità tra il testo proposto da Scandurra come relazione conclusiva dell’indagine del CMM del 1996-99 (poi non approvato), e quello inviato alla Commissione d’inchiesta, relativamente alla Commissione mista.

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Infatti, nel testo inviato alla Commissione parlamentare vengono meno i riferimenti, presenti nell’altro testo, alla “Commissione mista”. In realtà, la Procura di Roma ha appurato, sulla base della testimonianza dell’indagato che il testo inviato alla Commissione d’inchiesta, è un testo ricostruito e quindi modificato per leggerezza dallo stesso Scandurra, rispetto all’originale. Non possono pertanto, secondo la procura ordinaria di Roma, ravvisarsi gli estremi del reato di falso in atto pubblico.

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