a cura di Cornelio Galas
La Conferenza “Tolstoy” e la Conferenza di Yalta
La Conferenza “Tolstoy” (10-16 ottobre 1944)
Mentre le autorità inglesi cercavano di venire incontro ai desiderata di Mosca per quanto riguardava i russi collaborazionisti catturati, l’Addetto Militare inglese a Mosca, rendeva noto che le autorità sovietiche non cooperavano in merito al rimpatrio dei prigionieri alleati liberati dall’Armata Rossa e suggeriva che il ritorno dei russi fosse ritardato di conseguenza. Il suggerimento fu accolto a Londra con molta cautela.
Il capo della missione militare sovietica a Londra, intanto, obiettò che i russi catturati dagli inglesi non dovevano essere definiti “prigionieri” ma invece “liberi cittadini di una Potenza alleata”. Era infatti imbarazzante per l’Urss l’obiettiva presenza in Inghilterra, di migliaia di russi catturati in uniforme germanica e quindi prigionieri di guerra. Anche gli inglesi si dissero concordi nel tenere riservata la circostanza evitando che la stampa ne desse notizia.
Il 18 settembre 1944, fu tenuta una riunione congiunta, Foreign Office e Missione militare sovietica, in cui il rappresentante inglese annunciò che c’erano 12.000 russi in Inghilterra al momento e che c’era un afflusso medio settimanale, dalla Francia, di 2.000 russi.
Fu concordato in quella riunione che sarebbe stata proposta una legge, con una specifica norma che prevedesse la responsabilità sovietica nell’amministrare i campi di raccolta dei “liberi cittadini sovietici” applicandovi il codice militare sovietico. La legge in argomento avrebbe ricalcato quella già in vigore per i militari Usa, francesi, cechi, polacchi, presenti sul suolo inglese.
C’era una difficoltà: la legge prevedeva che il nuovo status di militari “liberi cittadini sovietici” potesse essere applicata solo a quei russi che all’atto della cattura, da parte dei tedeschi, fossero stati in servizio presso le FF.AA sovietiche e non a coloro che, senza aver prestato tale servizio, fossero stati arruolati dai tedeschi.
Così, per esempio, la legge escludeva le donne e i giovani russi che mai erano stati membri dell’Armata Rossa. Poichè questo era inaccettabile da parte sovietica, il Governo inglese soprassedette e, violando la legge per ragioni di opportunità politica, si orientò a consentire il conferimento a tutti dello status di “liberi cittadini sovietici”.
La Missione militare sovietica, sulla base della soluzione giuridica concordata, denunciò il comportamento degli inglesi che avevano trasferito in Canada cittadini sovietici senza l’autorizzazione delle autorità sovietiche e pretese l’assicurazione che per l’avvenire ciò non sarebbe accaduto.
Allo scopo di chiarire i molti punti controversi, alla fine di settembre 1944, Churchill propose al Cremlino un vertice, a Mosca, al massimo livello. Stalin rispose positivamente proponendo la data dell’11 ottobre. Gli obiettivi che il Governo inglese si riproponeva erano stanzialmente tre:
- ottenere la cooperazione sovietica nel rimpatrio dei prigionieri inglesi liberati dall’Armata Rossa;
- dare assicurazione al Governo sovietico che i russi in Inghilterra, Francia e Canada sarebbero stati rimpatriati appena fosse stato possibile reperire i necessari mezzi di trasporto;
- convincere il Governo sovietico che l’unica via per risolvere lo status dei russi in Inghilterra era l’accettazione della Legge inglese relativa alle FF.AA. Alleate dislocate sul territorio inglese.
Come previsto, l’11 ottobre Churchill ed Eden volarono a Mosca ove incontrarono Stalin e Molotov. L’incontro fu denominato con il nome in codice Conferenza “Tolstoy”. L’accordo fu presto raggiunto. Il rimpatrio di tutti i cittadini russi, senza eccezioni, sarebbe avvenuto in tempi compatibili con la disponibilità di naviglio. Stalin, da parte sua, promise la massima cooperazione per il sollecito rimpatrio degli inglesi liberati dall’Armata Rossa.
Fu altresì confermato che, finchè fossero stati trasferiti nell’Urss, i russi in Inghilterra sarebbero stati sotto il controllo sovietico con le limitazioni imposte dalla legge inglese.
Il Governo inglese dispose subito che entro il 23 ottobre 1944, due navi fossero disponibili per il rimpatrio di 11.000 russi. Era il primo trasporto, altri sarebbero seguiti appena possibile.
La Conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945)
Nell’estate-autunno 1944, le forze anglo-americane seguivano procedure diverse nei confronti dei russi collaborazionisti: il Gruppo d’Armate settentrionale del Maresciallo inglese Montgomery li inviava in Inghilterra. Il Gruppo d’Armate centrale del Gen. americano Bradley li concentrava in campi amministrati dagli Usa nella Francia liberata.
Infine, il Gruppo d’Armate meridionale del Gen. americano Devers li inviava nel Nord Africa in campi amministrati dagli inglesi. Pertanto, solo i prigionieri russi presi dal Gruppo d’Armate centrale erano sotto il pieno controllo Usa che trattavano tutti quelli che indossavano l’uniforme tedesca come se fossero cittadini tedeschi.
Coloro che si dichiaravano, invece, cittadini sovietici potevano essere rimpatriati a loro richiesta; nessuno poteva essere rimpatriato contro la sua volontà.
Anche nei confronti degli Usa, le autorità sovietiche esercitarono pressioni per il ritorno in patria dei russi collaborazionisti ed alla fine il Governo Usa cedette, obtorto collo. La nuova politica Usa nei confronti dei russi collaborazionisti catturati fu comunicata all’Ambasciatore sovietico a Washington, Andrej Gromjko, il 10 dicembre 1944.
In base ad essa, tutti coloro che avessero dichiarato di essere cittadini sovietici sarebbero stati consegnati al Governo sovietico anche contro la loro volontà. La prima nave con 1100 russi dichiaratisi cittadini sovietici partì dalla costa occidentale degli Usa, il 28 dicembre 1944, per Vladivostock.
Pertanto, alla fine del 1944, il rientro dei russi collaborazionisti prese avvio. Da parte inglese esso era già in atto da due mesi sulla rotta settentrionale, per Murmansk, quella mediterranea, per Odessa e quella terrestre, Cairo-Baghdad- Teheran-Mar Caspio, peraltro già attiva sin dal 1943.
Nel febbraio 1945, nell’imminenza della sconfitta del III Reich, fu convocata la Conferenza di Yalta, Crimea, cui parteciparono i Tre Grandi, Stalin, Roosvelt e Churchill centrata sulla divisione della Germania in quattro zone di influenza (una riservata alla Francia) e sul futuro dei Paesi liberati, in particolare della Polonia. Al termine di questa Conferenza, fu anche trattata la questione del rimpatrio dei prigionieri anglo-americani catturati dai tedeschi e tenuti in campi liberati dall’Armata Rossa.
Quale contropartita delle assicurazioni sovietiche in merito al loro sollecito rientro in patria, le delegazioni americana ed inglese si impegnarono a consegnare alle autorità sovietiche i cittadini sovietici dell’Armata Rossa catturati dai tedeschi e liberati dalle truppe inglesi o americane, i profughi, nonchè quelli che erano stati inquadrati nei battaglioni di lavoro e quelli che avevano combattuto a fianco delle truppe tedesche.
L’accordo riguardava formalmente tutti i prigionieri di guerra dei Paesi della coalizione antinazista, nei campi tedeschi, e i profughi (displaced persons) trovati nei territori liberati, ma era particolarmente rilevante per le autorità sovietiche perchè, oltre ai prigionieri, nei territori occupati dai tedeschi era presente un con sistente numero di russi che avevano collaborato con il nemico nazista o combat tendo al suo fianco o lavorando per esso.
L’accordo di Yalta per quanto concerneva collaborazionisti e profughi russi, prevedeva quanto segue:
- tutti i cittadini sovietici, catturati o liberati dagli anglo-americani, dovevano essere separati dai prigionieri di guerra tedeschi e posti in campi dedicati dove ufficiali sovietici avrebbero immediatamente assunto la responsabilità dell’ammini strazione e della disciplina dell’installazione secondo le leggi sovietiche purchè non in contrasto con la legge inglese;
- sarebbero stati rimpatriati tutti i cittadini sovietici, registrati come tali prima del settembre 1939. Rimanevano quindi esclusi i cittadini acquisiti con le annessioni della Polonia orientale (settembre 1939) della Carelia, della Lituania, Estonia, Lettonia, Bessarabia e Bucovina (1940);
- qualsiasi altra persona, anche se di sangue russo, che non fosse mai stata nell’Unione Sovietica dopo il 1930 non doveva essere considerata cittadino sovietico;
- le autorità britanniche e americane avrebbero cooperato con quelle locali sovietiche al fine di identificare e di elencare i cittadini sovietici e provveduto al loro sollecito rientro in patria fornendo anche i mezzi di trasporto.
Non c’era, nell’accordo, nessuna clausola scritta relativa all’uso della forza per assicurare il rientro dei cittadini sovietici selezionati per il rimpatrio. L’interpretazione del Foreign Office, anche in base alla prassi seguita sin dal primo rientro, 23 ottobre 1944, dette comunque per scontato che il rimpatrio doveva essere garantito anche contro la volontà dei soggetti interessati.
Gli inglesi applicarono la direttiva con scrupoloso zelo, soprattutto sotto l’influenza del Foreign Office ansioso di accontentare, il Governo sovietico. In molti casi, essi eccedettero, consegnando ai sovietici anche chi l’accordo prevedeva fosse escluso.
Gli Usa, invece, adottarono un’interpretazione diversa dell’accordo di Yalta. Il ragionamento che essi seguivano partiva dalla considerazione che ogni soldato catturato in uniforme dell’esercito Usa, anche se di altra nazionalità, era stato trattato dai tedeschi come prigioniero di guerra americano. Non contava la nazionalità, contava l’uniforme.
Analogamente, ogni soldato catturato in uniforme dell’esercito tedesco doveva essere trattato come prigioniero di guerra tedesco. Solo se avesse dichiarato di essere cittadino sovietico sarebbe stato rimpatriato. Se fosse stato russo, ma avesse dichiarato di essere tedesco, sarebbe stato trattato come un prigioniero di guerra tedesco.
Quindi dovevano essere rimpatriati non “tutti i cittadini” sovietici come sostenevano la autorità sovietiche, ma solo chi “dichiarava di essere cittadino sovietico”.
Per quanto concerne l’uso della forza, anche gli Usa, finirono per adeguarsi alla interpretazione delle autorità inglesi, consegnando ai sovietici, anche contro la loro volontà, tutti i cittadini sovietici. Tale politica di forzata consegna era stata adottata ed annunciata il 10 dicembre 1944 dal nuovo Segretario di Stato Usa Edward Stettinius, subentrato al più flessibile Cordell Hull nel novembre 1944.
L’accordo doveva rimanere segreto e ancora nel 1947, il Foreign Office confermò l’esigenza della sua secretazione.
L’atteggiamento dei russi presenti nell’Europa occidentale in merito al loro previsto rimpatrio
L’atteggiamento dei cittadini sovietici, catturati o liberati dalle truppe anglo- americane, e rinchiusi in installazioni inglesi in attesa di conoscere il loro destino era assai variegato: alcuni erano indifferenti o rassegnati, mentre la maggior parte si opponeva al ritorno in patria, malgrado le blandizie e le promesse di perdono fatte da autorevoli membri della Missione militare sovietica, a Londra, nelle frequenti visite ai campi di raccolta.
Coloro che si opponevano non erano solo i collaborazionisti ma anche gran parte di quelli che avevano resistito alle lusinghe tedesche ed avevano continuato a soffrire nei campi di prigionia.
Vi fu chi sfidò questi visitatori sovietici accusandoli di fronte a tutti dell’uccisione di parenti, conoscenti, amici etc, e dichiarando che preferiva essere fucilato subito dagli inglesi piuttosto che essere consegnato ai sovietici. Altri, infine, presaghi dell’ineluttabilità del loro rimpatrio, si dichiaravano desiderosi di tornare in patria, nella speranza che così facendo, la inevitabile punizione, per il loro vero o presunto tradimento, sarebbe stata attenuata.
Il terrore per il rientro non era infondato come risulta da due esemplicativi resoconti fatti da ufficiali inglesi:
- il 16 febbraio 1945, partirono da Liverpool sulla Duchess of Bedford 2.000 prigionieri diretti a Odessa. Vi erano inclusi 41 giovani che avevano inoltrato invano un appello scritto alle autorità inglesi in cui dichiaravano la loro opposizione al rientro in patria. Uno di loro si era impiccato la vigilia dell’imbarco. Appena giunti ad Odessa, i 40 giovani furono chiamati nominativamente e condotti sotto scorta dietro una palazzina. Improvvisamente arrivò un aereo che fece per una ventina di minuti evoluzioni a bassa quota intorno alla nave. Al rumore dell’aereo si unì ben presto quello di un autocarro attrezzato con sega a motore per tagliare grossi ceppi di legno. Il rumore era stato prodotto per coprire gli spari dell’esecuzione dei 40 giovani. Sembra che la tecnica di usare motori rumorosi per attutire il rumore degli spari o le grida delle vittime torturate fosse prassi normale presso le truppe dell’NKVD.
- il 23 maggio 1945, partì da Liverpool la grande nave Empire’s Pride con 3.000 prigionieri, anch’essa diretta a Odessa. Uno fu trovato impiccato nel campo il mattino dell’imbarco, un altro tentò il suicidio, al momento di imbarco, tagliandosi la gola con i cocci della tazza da tè in dotazione. Il medico inglese voleva ricoverarlo in ospedale ma gli ufficiali sovietici si opposero e lo fecero imbarcare mentre il medico gli praticava alcuni punti di sutura. Attraversando lo Stretto di Gibilterra, nell’oscurità della notte, uno dei prigionieri si buttò in mare dirigendosi a nuoto verso la costa africana. Il Capitano della nave pensò che sarebbe comunque morto annegato perchè la costa era a non meno di 15 km. Giunti ai Dardanelli, alcuni prigionieri si buttarono a mare ma vennero ripescati da una lancia della polizia Turca e reimbarcati sulla Empire’s Pride. Giunti ad Odessa, la massa fu fatta sbarcare e avviata fortemente scortata per ignota destinazione. Anche quello che aveva tentato il suicidio fu obbligato a scendere con i propri mezzi perdendo sangue dalla ferita riapertasi. Fu portato fuori vista, dietro un carico sul molo, e si udì un unico sparo. . Scesero infine, sotto speciale sorveglianza della NKVD, 31 prigionieri che avevano fatto difficoltà ad imbarcarsi, a Liverpool. Furono fatti entrare in un magazzino posto a circa 60 metri dalla nave. L’equipaggio inglese udì poco dopo, raffiche di arma automatica provenire dal magazzino. Un autocarro con telone fu fatto arretrare contro l’entrata del magazzino e, dopo una ventina di minuti si diresse verso la città.
Pochi minuti dopo, il Capitano inglese della nave fu fatto salire su una jeep, invitato da un ufficiale sovietico, a compiere un giro turistico in città. All’altezza dell’entrata del magazzino, la jeep dovette fermarsi per la presenza di un grosso mezzo pesante messo di traverso che aveva difficoltà a mettersi in moto. Il Capitano ebbe così modo di vedere all’interno del magazzino grandi chiazze di sangue, sui muri e sul pavimento.
Analoghe esperienze furono vissute dai prigionieri e dagli equipaggi inglesi che li trasportarono sulla rotta artica, al porto di Murmansk.
Sistemazione e organizzazione della comunità cosacca
e di quella caucasica nella valle della Drava.
I cosacchi di Domanov, firmata la resa, trovarono sistemazione nell’area di Lienz, nella caserma Peggetz e in accampamenti viciniori, lungo la Drava. La Riserva del Corpo speciale cosacco, comandata dal Gen. Shkurò, si trovava nell’area di Klagenfurt ove, come si ricorderà, era giunta sin dalla metà del mese di aprile. Il Gen Shkurò e la sua Riserva (1400 sciabole) si riunirono ai cosacchi di Domanov, a Lienz, intorno al 17 maggio.
La Divisione caucasica del Gen. Ghirey fu invece insediata nel tratto Oberdrauburg-Dellach, sempre lungo la Drava.
La responsabilità del controllo e della disciplina, così come del vettovagliamento delle due comunità, fu affidata dal Gen. Charles Keightley, Cte del V CA inglese, alla 78a Div. di fanteria e da questa alla dipendente 36a Brg. del Gen. Geoffrey Musson. Questi dispose che l’8° btg. Argyll and Sutherland Highlanders sovrintendesse al controllo ed alla disciplina del Corpo speciale cosacco e della Div. Caucasica.
A ciascuna delle due comunità fu assegnato un ufficiale di collegamento con il compito di trasmettere loro le disposizioni e gli ordini delle sovraordinate autorità militari inglesi e, per converso, rappresentare a queste le difficoltà, i problemi, le esigenze delle due comunità.
Le buone condizioni meteorologiche, dopo le piogge e le tormente di neve del periodo 1-3 maggio, favorirono la sistemazione e la vita dei cosacchi negli accantonamenti e negli accampamenti. La maggior parte dei profughi civili cosacchi fu alloggiata nella caserma Peggetz che disponeva di 32 palazzine.
I militari e il resto dei civili furono invece sistemati in accampamenti nelle radure circostanti lungo la Drava. Gli alti ufficiali cosacchi alloggiavano negli alberghi di Lienz.
I rapporti tra inglesi e i loro prigionieri di guerra furono fin dall’inizio buoni. I cosacchi, già durante l’incontro di una loro delegazione con il Gen. Arbuthnott, Comandante della 78a Div. di fanteria, a Tolmezzo l’8 maggio, avevano affermato di non avere alcun motivo di inimicizia nei confronti degli anglo-americani contro i quali non avevano mai combattuto nè mai lo avrebbero fatto. Il loro nemico, dissero, era ed era sempre stato il bolscevismo in Urss e altrove.
Era questa una affermazione comune, e probabilmente sincera, alla massa del variegato schieramento dei collaborazionisti russi, ma erano i cosacchi a proclamare con maggior vigore la loro ostinata e profonda avversione al bolscevismo. Per contro, i cosacchi erano, da lunga data amici dell’Occidente, specie degli inglesi che nella guerra controrivoluzionaria del 1918-1919 avevano combattuto, al loro fianco, il regime bolscevico.
Gli inglesi, dal canto loro, non avevano una grande simpatia per i russi collaborazionisti, e quindi nemmeno per i cosacchi, i quali dopotutto avevano disertato e tradito l’Urss schierandosi con il comune nemico tedesco. Tuttavia, in attesa di ricevere ordini in merito alla destinazione di questa comunità, così coesa e gerarchicamente ordinata, scelsero di trattarla con una certa benevolenza anche perchè rimanesse tranquilla ed obbediente.
Impartite loro precise disposizioni nel settore amministrativo e disciplinare, lasciarono che l’organizza zione e l’ordine interno fossero gestiti dagli stessi cosacchi. Nè la caserma Peggetz nè gli accampamenti erano recintati, la presenza delle guardie inglesi era rara, ognuno poteva uscire, recarsi a Lienz o visitare amici alloggiati in altri accampamenti. Furono loro lasciate perfino le armi individuali per il mantenimento dell’ordine interno.
I cosacchi invece, interpretarono questo speciale trattamento, diverso da quello normalmente riservato ai prigionieri di guerra, come un chiaro segnale del favore nutrito nei loro confronti da parte degli inglesi, il che dava esca ad un cauto ottimismo sul loro futuro. In realtà vi erano diversi motivi che spiegavano l’atteggiamento permissivo inglese. Anzi tutto si trattava di una comunità organizzata cui non era rimasto altro referente che il Comando militare inglese al quale si era arresa e nel quale aveva riposto la sua fiducia e le sue speranze; non c’erano quindi da temere disordini o rivolte.
Inoltre, la scarsa disponibilità di truppe per controllare la massa dei prigionieri di guerra e di profughi, già presenti in Carinzia e di altri segnalati in afflusso dalla Jugoslavia, consigliò agli inglesi di lasciare una certa forma di autogoverno ai cosacchi ed ai caucasici, mostratisi obbedienti e rispettosi, a fronte di tanti problemi assai più gravi quali, per esempio, la migrazione in atto di gran parte della popolazione dello Stato croato indipendente, creato nel 1941 e alleatosi ai tedeschi, che stava varcando il confine austriaco per sfuggire alle truppe titine, che la inseguivano, e per arrender si agli inglesi.
Ancora, era necessario un capillare controllo dei reparti tedeschi arresisi ed in transito verso l’Austria superiore, nei quali si erano inseriti criminali di guerra e molte SS per le quali era previsto l’arresto immediato ed infine, tra i prigionieri tedeschi, erano ancora presenti fanatici nazisti che, malgrado la resa della Germania, nutrivano propositi vendicativi nei confronti delle truppe inglesi.
Il quadro della situazione di emergenza nel settore di responsabilità del V CA inglese, in pratica la Carinzia e il piccolo territorio del Tirolo orientale, nella seconda decade di maggio 1945, era completato dalla presenza:
- del XV Corpo cosacco di cavalleria del Gen. von Pannwitz arresosi l’11 maggio e sistemato nell’area di Althofen e Neumarkt, 30 km circa a nord di Klagenfurt, non lontano dalla linea di demarcazione tra la zona di occupazione inglese e quella sovietica;
- del Russkii Corpus del Col. Rogozhin, che aveva raccolto nella ritirata dalla Jugoslavia tre Reggimenti cetnici ed altre unità minori slovene e russe, per un totale di non meno di 10.000 militari. All’atto della resa, 12 maggio, il Russkii Corpus fu sistemato a Viktring, nei pressi del confine con la Slovenia; quattro giorni, il 16 maggio, dopo, fu spostato a Klein St Veit, a nord di Klagenfurt;
- della Divisione. ucraina, comandata dal Gen. Shandruk, che contava circa 10.000 uomini, arresasi il 12 maggio agli inglesi e sistemata a Spittal;
- di bande partigiane titine che spadroneggiavano nel settore di occupazione inglese a sud e ad est di Klagenfurt e di due Divisioni della IV Armata dell’eserci to jugoslavo schierate nell’area di Bleiburg, in territorio carinziano di competenza inglese.
Concludendo, in una situazione confusa ed in continuo mutamento che vedeva il disordinato afflusso, nel settore di occupazione del V CA inglese, di enormi masse di militari e profughi, era nell’interesse delle autorità militari inglesi concedere, al momento,una sostanziale forma di autonomia ai cosacchi, specie a quelli di Krassnov, che mostrarono sin dall’inizio la capacità e la volontà di attenersi scrupolosamente alle regole loro imposte.
Il Corpo speciale cosacco e i profughi nell’alta valle della Drava
Appena giunti a Lienz, i cosacchi di Domanov organizzarono la vita interna della comunità.
Furono aiutati in questo dall’ufficiale di collegamento inglese, Magg.William R. Davies (detto “Rusty”) che, oltre a provvedere al regolare flusso di viveri dal Commissariato inglese convinse i cosacchi a organizzare servizi igienici campali più efficienti, a razionalizzare in modo ordinato le attività delle truppe e dei civili pubblicando ed esponendo in bacheca le disposizioni di carattere generale, gli ordini di servizio interno, gli orari delle principali operazioni, come per esempio la visita medica etc.
Il Magg. Davies, venticinquenne gallese, si fece ben presto ben volere da tutti per la sua umanità e il suo tratto allegro e affabile, specie nei confronti dei bimbi che lo seguivano ovunque per ricevere caramelle ed altri dolciumi che egli si premurava di avere sempre con sè. Anche Davies prese in simpatia quella comunità, un po’ disordinata e zingaresca, ma estroversa, generosa ed aperta con coloro che, come Davies, avevano saputo guadagnarsi la sua fiducia.
Gli inglesi, e Davies in particolare, guardavano con occhio benevolo l’allegro e pittoresco modo di vivere dei cosacchi, erano attratti dalle loro tradizioni e ne ammiravano l’abilità equestre.
Un giovane tenente cosacco, che fungeva da interprete, prese ad insegnare a Davies i rudimenti dell’equitazione, lontano dal campo, però, perchè voleva evitare che la sua imperizia potesse sminuire la figura del “sig. Maggiore inglese” di fronte ai cosacchi. La comunità cosacca era grata a Davies per la sua disponibilità e la sua efficienza nel soddisfare le sue esigenze.
I cosacchi stavano vivendo, a Lienz, una parentesi serena dopo tante travagliate vicende e dopo due anni di continue fughe, miseria e lutti. Terminata la guerra, assaporavano con gioia la pace e la tranquillità che da tempo erano state loro negate.
Nel campo, i cosacchi avevano organizzato la scuola elementare ed anche quella degli Allievi ufficiali (junker) già attiva a Villa Santina. La vita sociale nel campo includeva esibizioni di cori, suggestive funzioni religiose e gare di equitazione a beneficio dei cosacchi e anche degli inglesi.
La loro era un’esistenza normale, di una normalità tuttavia precaria sulla quale si stendeva l’ombra di un incerto futuro e, per i più pragmatici, l’incubo della possibile consegna ai sovietici.
La massa pensava che il generoso trattamento riservato loro dagli inglesi facesse sperare che essi avrebbero trovato una soluzione dignitosa per il popolo cosacco. Le congetture che animavano le discussioni all’interno del campo, e anche tra gli alti ufficiali che alloggiavano a Lienz, erano due. Una prevedeva il raffreddamento e poi la rottura dei rapporti tra l’Urss e le altre Potenze vincitrici occidentali.
In tal caso, come in quello di un possibile confronto armato, tutti i collaborazionisti anticomunisti avrebbero avuto un ruolo rilevante da svolgere a fianco di queste ultime. Al riguardo, si era sparsa la voce che inglesi ed americani stavano ritirando il personale delle proprie ambasciate a Mosca perchè gli Usa e il Regno Unito erano ai ferri corti con l’Urss.
L’altra prevedeva il trasferimento della comunità cosacca di Krassnov in una delle colonie dell’immenso Impero inglese e il loro impiego, colà, di difesa esterna e mantenimento dell’ordine interno, in sostituzione delle guarnigioni inglesi. Insomma il Corpo speciale cosacco avrebbe avuto, nell’esercito inglese, la stessa funzione che la Legione straniera francese o quella spagnola assolvevano per la Francia e la Spagna.
Si trattava di una ipotesi meno attraente della prima, ma preferibile alla frammentazione e alla dispersione della comunità cosacca.
Vi era anche chi, pur ignorando gli accordi di Yalta del febbraio 1945, realisticamente riteneva possibile o probabile la consegna dei cosacchi ai sovietici.
Probabilmente, anche Krassnov aveva i suoi dubbi. Dopotutto, molti cosacchi del Corpo speciale cosacco erano disertori o soldati dell’Armata Rossa, catturati dai tedeschi, che poi avevano raccolto l’invito a collaborare con questi.
Egli quindi, appena sistematosi a Lienz, intorno al 10 maggio, si affrettò a rivolgersi per iscritto al Maresciallo Alexander Comandante alleato del Mediterraneo, con sede a Caserta. Krassnov aveva conosciuto Alexander per averlo incontrato, nel 1919, nel nord della Russia, durante la guerra civile russa.
Egli, all’epoca Generale di Divisione, dopo le dimissioni quale Comandante del Corpo cosacco, nella Russia meridionale, affiancato all’Esercito volontario del Gen. Denikin, aveva servito per breve tempo nell’Armata Bianca di Yudenitch. L’allora Maggiore Alexander, nello stesso periodo, era capo della missione militare inglese presso le truppe dei Paesi baltici anch’essi impegnati nella lotta contro il comune nemico bolscevico.
Per meriti acquisiti in quella missione, il Magg. Alexander era stato anche insignito da Yudenitch dell’onorificenza zarista dell’”Ordine di St. Anna”.
Nella missiva indirizzata al Maresciallo Alexander, Krassnov fece prima un excursus delle circostanze che avevano condotto i cosacchi, in fuga dal terrore sovietico, a trovarsi in un luogo tanto lontano dalle loro terre originarie. Proseguiva ricordando all’interlocutore il comune impegno nella lotta contro il bolscevismo, nel 1919, e concludeva chiedendo che le truppe inglesi, cui i cosacchi si erano arresi, proteggessero i cosacchi dai sovietici e trasmettessero al Governo inglese la richiesta che a tutti loro fosse accordato l’asilo politico quali rifugiati apolidi.
I cosacchi avrebbero accettato qualsiasi soluzione gli inglesi avessero adottato nei loro confronti, fatta eccezione per quella che prevedesse la consegna ai sovietici. Krassnov pensava infatti ai numerosi cosacchi cittadini sovietici che secondo l’Articolo 75 della Convenzione di Ginevra dovevano essere rimpatriati.
Non si riferiva certo a sè stesso e ai molti ufficiali, e militari di truppa cosacchi emigrati prima della fine del 1920, che non erano mai stati cittadini sovietici, per i quali il problema del rimpatrio a suo avviso non si poneva.
Primi contatti degli inglesi con i sovietici
Il 10 maggio 1945, il Comandante del V CA inglese, Gen. Keightley ricevette un invito dal Comandante della zona di occupazione sovietica, nella Stiria, contigua a quella inglese della Carinzia, ad un incontro presso il Comando sovietico a Voitsberg. L’invito era esteso agli ufficiali del suo Stato Maggiore. Scopo dell’incontro era la trattazione di argomenti di mutuo interesse.
Il Gen. Keightley accettò e il pomeriggio stesso si recò al Comando sovietico a Voitberg. Furono discussi vari argomenti tra i quali la delimitazione della linea di demarcazione, tra le due zone di occupazione, rappresentata dal fiume Mur. Tra le questioni apparentemente accessorie, fu sollevata dai sovietici quella dei cosacchi arresisi alle truppe inglesi del V CA.
I sovietici espressero, al riguardo, il desiderio di una loro sollecita consegna secondo gli accordi di Yalta. Il Gen. Keightley rispose in modo interlocutorio ammettendo di avere alcuni cosacchi nella sua zona e alludendo al fatto che il loro destino sarebbe stato quello concordato tra il Governo inglese e quello sovietico.
Il giorno successivo, 11 maggio, il Gen. Keightley inviò a Voitsberg il Gen. Tryon Wilson, responsabile amministrativo del Cdo V CA per discutere con la controparte sovietica i problemi amministrativi e logistici derivanti dall’ininterrotto arrivo, nel settore inglese, di enormi masse di rifugiati dalla Jugoslavia. Giunto a Voitsberg, al termine di ripetute libagioni secondo il costume russo, i sovietici dissero di essere stati informati della presenza, nel settore inglese, di consistenti formazioni cosacche e ribadirono la necessità che fossero consegnate loro al più presto.
A conclusione del colloquio consegnarono all’ufficiale inglese una lista di ufficiali cosacchi che il Governo sovietico era “estremamente ansioso” gli fossero consegnati. Il Gen. Tryon Wilson promise di riferire le richieste sovietiche al suo Comando precisando, tuttavia, che secondo le disposizioni emanate dal Cdo delle Forze Alleate nel Mediterraneo, solo i cittadini sovietici potevano essere conse gnati.
Sulla via del ritorno, il Generale Tryon Wilson diede una scorsa alla lista e vide che essa comprendeva, in bella evidenza, i nominativi di tutti i Generali e dei Colonnelli zaristi, esuli nei Paesi dell’Europa occidentale e negli Usa sin dalla sconfitta della controrivoluzione (1920), che mai erano stati cittadini sovietici.
Rientrato a Klagenfurt, il Gen. Wilson si presentò al Gen. Keightley riferendo i risultati della sua missione a Voitsberg. Alla vista della lista nominativa con i nomi degli ufficiali zaristi, il Gen. Keightley ebbe uno scatto d’ira e disse che per averli, avrebbero dovuto passare sul suo cadavere.
Il giorno successivo, 12 maggio, il Gen. Keightley riprese un suo Comandante di Brigata per aver questi accettato la resa di un Reggimento cosacco del XV Corpo del Gen. von Pannwitz il quale, proveniente dalla Jugoslavia, era penetrato in una parte del settore sovietico tenuta da forze bulgare per poi dirigersi nel settore inglese. Il Gen. Keightley riteneva che questa unità cosacca si sarebbe dovuta arrendere ai sovietici.
Tuttavia, egli accettò il fatto compiuto e dispose che il Reggimento cosacco fosse rapidamente trasferito, al sicuro, nell’area a nord di Klagenfurt, lontano dalla linea di demarcazione con il settore sovietico.
Nel frattempo, il Maresciallo Alexander, Comandante del teatro operativo del Mediterraneo, era sempre più irritato e preoccupato per l’invadenza del nuovo regime jugoslavo che avanzava inammissibili pretese territoriali in Carinzia e nella Venezia Giulia. Il Gen. Morgan, suo Capo di Stato Maggiore, l’8 maggio si recò presso il Quartier Generale di Tito per definire una linea di demarcazione tra le truppe inglesi e quelle titine e per indurlo ad evacuare le zone indebitamente occupate.
Il giorno 10 maggio, il Gen. Morgan ritornò a Caserta a mani vuote perchè Tito aveva insistito sul fatto che ampie zone della Venezia Giulia e della Carinzia, ove erano presenti formazioni del suo esercito appartenevano alla nuova Jugoslavia. Vi fu allora un frenetico scambio di fonogrammi tra Caserta, Washington e Londra che si concluse con la decisione del Presidente Usa, Truman, di adottare la linea dura contro le pretese di Tito, come gli alleati occidentali stavano facendo con l’Urss per la questione polacca. Le truppe jugoslave dovevano evacuate dalle zone occu pate arbitrariamente, se necessario anche ricorrendo alla forza.
Visita di Macmillan presso il Cdo del V CA a Klagenfurt
In questa temperie, il Maresciallo Alexander ritenne opportuno inviare il Ministro consigliere inglese, Macmillan, presso l’8a Armata, a Treviso, per avere dettagli sulla situazione di crisi creata dall’intransigenza jugoslava e per concordare le misure più opportune per farvi fronte.
Pertanto, Macmillan il 13 maggio volò prima a Treviso ove ebbe un colloquio con il Gen. Richard McCreery, Cte dell’8a Armata e poi a Monfalcone ove conferì con il Gen. Hardings Cte del XIII CA. Successivamente, nel pomeriggio dello stesso giorno, decise di volare a Klagenfurt per un colloquio – secondo Tolstoy inizialmente non previsto – anche con il Gen. Keightley, Cte del V CA. Fu discussa l’arrogante e turbolenta presenza delle truppe partigiane jugoslave, nel settore del V CA, che terrorizzava la popolazione locale, e che rappresentava un problema più grave di quello rappresentato da analoghe formazioni jugoslave nella Venezia Giulia.
L’argomento successivo fu quello dei prigionieri cosacchi e jugoslavi (croati e cetnici) presenti nell’area del V CA. Secondo quanto riferito trent’anni dopo (1975) dall’allora Capo di Stato Maggiore del Gen. Keightley, Gen. Toby Low, l’argomento dei cosacchi e degli jugoslavi era stato discusso da Macmillan e da Keightley senza testimoni.
In merito al colloquio avuto il 13 maggio, a Klagenfurt, con il Gen. Keightley, Macmillan scrisse sul suo diario personale: […] Tra le truppe tedesche arresesi al V CA, ci sono circa 40.000 cosacchi e “Russi Bianchi”, con mogli e figli. Se li consegniamo ai russi, li condanniamo alla schiavitù, alla tortura, alla morte. Se rifiutiamo di farlo, offendiamo i Russi e tra l’altro violiamo gli accordi di Yalta. Noi abbiamo deciso di consegnarli […] ma ho suggerito che contestualmente i russi dovrebbero consegnare i prigionieri inglesi in mano loro […] Spero di poter convincere i russi in fronte a noi di effettuare uno scambio diretto via terra, attraverso la linea di demarcazione […].
A questo punto è evidente che Macmillan sapeva che tra i cosacchi c’erano molti “Russi Bianchi” che non erano nè erano mai stati cittadini sovietici. Lo sapeva anche Toby Low, Ca. SM del V CA, come lui stesso ammise a Nikolai Tolstoy nel 1975.
Il giorno 14 maggio, il giorno successivo alla visita di Macmillan, il Gen. Toby Low inviò un fonogramma al Cdo 8a Armata, a Treviso, in cui comunicava che su consiglio dato da Macmillan durante la sua visita, aveva suggerito al Generale sovietico responsabile della contigua zona di occupazione sovietica, di effettuare la consegna dei cosacchi quanto prima. Sosteneva infine l’opportunità di liberarsi di tutti quei cittadini sovietici che oltre a costituire motivo di contenzioso con le Autorità militari sovietiche rappresentavano un onere logistico.
Egli non fece alcun cenno ai croati e ai cetnici già presenti nell’area del V CA. Una presa di posizione, quindi, sull’argomento cosacchi, completamente opposta a quella espressa fino al giorno 12 maggio dal Gen. Keightley che si era indignato per l’arrogante presentazione, da parte dei sovietici, della lista nominativa degli ufficiali i cosacchi da consegnare, avvenuta il giorno 11 maggio.
E’ possibile che l’azione congiunta di Macmillan, inviato personale di Churchill presso Alexander e figura di rilievo del Partito Conservatore, nonchè del Gen. Low, candidatosi nelle file dello stesso partito, nelle imminenti elezioni politiche in Gran Bretagna, l’uno e l’altro molto ambiziosi e molto attenti alle prospettive di carriera politica, abbia provocato l’improvviso ripensamento del Gen. Keightley.
Lo stesso 14 maggio 1945, il Gen. inglese Robertson, Capo del Reparto amministrativo del Comando delle Forze alleate (AFHQ), in Caserta, preparò un messaggio diretto al Cdo dell’8a Armata., autorizzandolo a consegnare 28.000 cosacchi, inclusi donne e bambini, ai sovietici e le truppe croate e i cetnici ai partigiani jugoslavi.
Si rivolse al ministro consigliere Usa Alexander Kirk, per il parere di concordanza, spiegandogli che il testo gli era stato suggerito da Macmillan. Kirk gli chiese se i sovietici avessero già richiesto la consegna dei cosacchi e Robertson gli rispose che non lo avevano ancora fatto ma lo avrebbero fatto presto.
Il ministro consigliere Kirk non concordò con il testo del messaggio e riferì la cosa al Dipartimento di Stato chiedendo istruzioni. Sembra evidente che Robertson abbia compilato il testo del messaggio su insistenza e su istruzioni di Macmillan che tra l’altro non lo aveva messo al corrente del fatto che i sovietici avevano già chiesto la consegna dei cosacchi nè gli aveva riferito della precisa richiesta sovietica della consegna dei “Russi Bianchi”, non-cittadini sovietici.
E’ anche probabile che Alexander non fosse al corrente del testo del messaggio altrimenti Robertson avrebbe detto a Kirk che era stato il Comandante Supremo e non Macmillan a disporre il suo invio, il che avrebbe avuto un peso assai diverso al fine di convincere il consigliere americano Kirk ad esprimere parere di concordanza.
Secondo la ricostruzione fatta da Tolstoy, non senza qualche forzatura, il ruolo giocato da Macmillan sembra essere chiaro. La decisione della consegna dei cosacchi, come dei croati e dei cetnici, fu politica. Macmillan, Ministro consigliere del Maresciallo Alexander (AFHQ), era anche in stretto contatto con il Primo Ministro Churchill, con il Consiglio dei Ministri e con il Foreign Office.
Fu principalmente Macmillan a far prevalere il suo parere nelle decisioni del Cte del V CA che avrebbero dovuto rispecchiare, invece, le disposizioni emanate da AFHQ, che prevedevano la consegna dei soli cittadini sovietici e il divieto di consegna di croati e dei cetnici alle truppe comuniste di Tito, i quali non erano tra l’altro inclusi negli accordi di Yalta.
Non sappiamo quali ragioni abbia addotto Macmillan per convincere il Gen. Keightley a consegnare tutti i cosacchi, oltre ai croati e ai cetnici. Forse la ragion di Stato, il fatto che Macmillan si fosse detto latore di precise direttive del Governo britannico, la necessità di non turbare i delicati rapporti con l’Urss nella fase critica dell’immediato dopoguerra, quando era necessario concordare con i sovietici gli equilibri politici nell’Europa centro-meridionale.
Secondo Bethell, il Gen. Keightley avrebbe ammesso, anni dopo, che la consegna dei cosacchi, di tutti i casacchi, era stata imposta direttamente da Churchill.
Dopotutto, le vittime designate avevano tradito il loro Paese ed avevano contribuito ad alimentare lo sforzo bellico tedesco. Le truppe croate e cetniche, inoltre, si erano macchiate di atroci crimini di guerra. Era forse preferibile che tutto fosse fatto in fretta, nell’ambito del V CA, evitando di interessare i Comandi superiori che avrebbero potuto eccepire, ritardare od ostacolare l’operazione “consegna”.
Infatti, i Capi di Stato Maggiore Combinati, cui il Maresciallo Alexander si rivolse il 17 maggio, per chiedere istruzioni sulla politica da seguire in merito ai cosacchi ed agli jugoslavi collaborazionisti, risponderanno il 20 giugno, confermando le disposizioni precedenti: solo i cosacchi cittadini sovietici dovevano essere consegnati e nessun jugoslavo doveva esserlo contro la sua volontà.
Nelle more del processo decisionale che coinvolse i competenti Ministeri dei due Paesi, l’autorevole e vincolante parere giunse quando il Cdo V CA aveva già velocemente provveduto al rimpatrio degli uni e degli altri.
Il 14 maggio 1945, quindi, il Comando delle Forze Alleate (AFHQ), in Caserta, nella persona del Gen. Robertson, inviava al Cdo 8a Armata il messaggio, suggerito da Macmillan e privo del parere di concordanza da parte del Consigliere americano Kirk, nel quale si disponeva che tutti i russi presenti nel settore del V CA dovevano essere consegnati ai sovietici, secondo accordi diretti tra il Cdo V CA e il corrispettivo Comando sovietico contiguo. Inoltre, tutte le truppe jugoslave collaborazioniste arresesi alle unità del V CA dovevano essere consegnate alle forze di Tito.
Sempre il 14 maggio, lo stesso AFHQ, nella persona però del Ca SM, Gen. Morgan, inviava un messaggio diretto al Comando della Forza di Spedizione Alleata in Europa (SHAEF), in cui si chiedeva l’autorizzazione a trasferire prigionieri di guerra e profughi dall’area del V CA inglese, a Radstadt, nel settore americano.
I due messaggi erano contradditori e ciò era probabilmente dovuto alla confusione conseguente al segnalato arrivo, dalla Slovenia, a Bleiburg (Carinzia orientale) dei 200.000 ustascia e dei 500.000 civili croati precedentemente annunciati in avvicinamento.
Il 17 maggio, il Maresciallo Alexander inviò due messaggi concernenti i cosacchi:
- uno, già ricordato, diretto ai Capi di Stato Maggiore Combinati (inglesi e americani) in cui chiedeva direttive in merito al destino dei prigionieri russi e jugoslavi anticomunisti presenti nell’area del V CA, e cioè i circa 50.000 cosacchi tra cui i profughi civili, i 23.000 cetnici e i 25.000 croati. In entrambi i casi, diceva Alexander, il loro rimpatrio sarebbe stato “fatale alla loro salute” Alexander sapeva che comunque, i cosacchi cittadini sovietici rientravano nel noto accordo di Yalta. Con questa richiesta forse sperava in un ripensamento dei vertici anglo-americani per ragioni umanitarie;
- l’altro era diretto personalmente al Gen. Eisenhower cui chiedeva il suo aiuto per decongestionare l’area del V CA dal sovraffollamento di prigionieri e profughi. Con la previsione di un possibile, imminente confronto armato con l’esercito jugoslavo di Tito, che intendeva annettersi parti del territorio carinziano indebita mente occupato, Alexander spiegava che non poteva al tempo stesso fare la guerra e gestire 220.000 prigionieri circa tra tedeschi, croati, cetnici, ungheresi e cosacchi con seguito di civili. Pregava quindi Eisenhower di accogliere nel suo settore i 110.000 tedeschi e i 50.000 cosacchi.
In sostanza, durante tutto maggio, la posizione del Maresciallo Alexander era la seguente: nessuno ordine di esecuzione del rimpatrio immediato dei cosacchi fu impartito anche se era implicito che i cosacchi cittadini sovietici dovevano in ultima analisi essere consegnati ai sovietici secondo il noto accordo. Per gli jugoslavi anticomunisti arresisi al V CA, l’ordine era di disarmarli e sistemarli in campi di prigionia. Il loro rimpatrio forzato non fu mai contemplato.