2ª GUERRA MONDIALE, SEGRETI AMERICANI – 15

a cura di Cornelio Galas

Per far cessare la strenua opposizione cattolica contro gli aiuti all’Unione Sovietica, Roosevelt decise di mandare nuovamente a Roma Myron C. Taylor, come ambasciatore presso Pio XII. La mossa però sollevò nuove difficoltà nell’altro campo campo, quello protestante, i cui capi non vedevano di buon occhio questi segni di riavvicinamento tra la Casa Bianca e il Vaticano, che ripetevano un passo già tentato nel 1928 in occasione della candidatura di Alfred E. Smith alla presidenza.

Myron C. Taylor

Myron C. Taylor

Ma Taylor era l’uomo ideale per una missione così delicata. Egli era un protestante eminente ed era l’ex-presidente della Corporazione americana degli acciai, di cui continuava ad essere direttore; nonché direttore della Compagnia Americana dei Telefoni e dei Telegrafi, della First National Bank di New York, delle Ferrovie Centrali di New York, ecc. per cui era difficile tacciarlo d’essere asservito a Stalin.

Nel nuovo e delicato problema sollevato dall’avversione della Chiesa verso il Comunismo, Roosevelt ricevette però un preziosissimo aiuto da alcuni eminenti laici cattolici, come il giudice aggiunto della Corte suprema Frank Murphy, il ministro delle Poste Frank Walker e Philip Murray che era succeduto a John L. Lewis nella direzione del C.I.O.

Frank Murphy

Frank Murphy

Non erano pochi gli impazienti i quali pensavano che il Presidente sopravvalutasse le forze dei cattolici, ma egli agiva sempre con estrema prudenza quando si trattava di sentimenti religiosi: sapeva molto meglio dei suoi consiglieri quali ne potevano essere le ripercussioni.

Del resto i preparativi per la partenza della missione Harriman per Mosca richiesero parecchio tempo, perché si dovette trattare i più svariati argomenti con l’Esercito e la Marina, con i dirigenti la produzione e i trasporti e con gli stessi rappresentanti inglesi a Washington, per preparare il lungo elenco di impegni che si dovevano stringere con l’Unione Sovietica.

Churchill e Lord Beaverbrook

Churchill e Lord Beaverbrook

Churchill e Lord Beaverbrook telegrafarono a Hopkins da Londra per chiedere che i preparativi fossero conclusi con la più grande fretta, perché i Russi, impegnati al massimo, tempestavano di richieste il Governo britannico per anticipare la data delle conversazioni di Mosca.

Nel frattempo morì la vecchia madre di Roosevelt e il Presidente dovette lasciare la conclusione dei lavori tutta nelle mani di Hopkins. Gli intimi di Franklin Roosevelt non notarono mai alcuna manifestazione di dolore nel Presidente, per la morte della madre: egli non lasciò trapelare nessun segno dei ricordi che lo legavano al mondo felice dell’infanzia, un mondo tanto diverso da quello nel quale ora viveva e combatteva.

Roosevelt con Stalin

Roosevelt con Stalin

Tenne per sé il proprio dolore e non volle che altri se ne sentisse turbato. Il 9 settembre,prima di partire per New York ad assistere ai funerali della signora Roosevelt, Hopkins mandò un lungo cablogramma a Churchill per dire che il Presidente aveva richiesto ai segretari alla Guerra e alla Marina di tracciare immediatamente (precisamente per il giorno dopo), un programma relativo alla consegna di materiale alla Gran Bretagna e all’Unione Sovietica, a tutto il 30 giugno 1942.

“In possesso di tali dati – scriveva Hopkins – il Presidente propone che si tenga verso il 15 settembre a Londra una conferenza tra gli alti funzionari inglesi e quelli americani”, cui avrebbe fato seguito al più presto un convegno a Mosca con i Russi.

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Churchill gli rispose che egli e Beaverbrook consentivano pienamente in tali proposte e stavano adottando tutti i preparativi necessari alle riunioni. Le delegazioni americana e britannica, al completo, sarebbero state trasportate a Mosca da navi da guerra inglesi. In realtà Harriman fece il viaggio con Beaverbrook e i suoi delegati su un incrociatore britannico, mentre il resto della missione americana andò da Londra a Mosca con i medesimi B-24 che l’avevano trasportata da Washington.

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I due bombardieri pilotati dal maggiore A. L. Harvey e dal tenente L. T. Reichers compirono un bel volo ad alta quota, seguendo pressappoco l’itinerario del PBY sul quale aveva viaggiato Hopkins ed eseguendo così la prima missione dell’Aeronautica statunitense sopra le zone controllate dalla Luftwaffe.

Quentin Reynolds, amico intimo di Harriman, fece il viaggio su uno degli apparecchi e telegrafò a Hopkins affinché i due comandanti fossero ricompensati con una Croce al merito aeronautico “per il magnifico volo compiuto in condizioni terribili”, aggiungendo che “l’aviazione russa ritiene che sia stato il volo più lungo compiuto sinora”.

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La missione americana era composta da William L. Batt, dall’ammiraglio William L. Standley, dal generale Burns, dal generale Chaney e dal colonnello Philip R. Faymoville. Facevano parte di quella inglese: Harold Balfour, Sir Archibald Rowlands, Sir Charles Wilson, il generale G. N. Macready e il generale G. Ismay. Sul punto di salpare dal Regno Unito, Beaverbrook telegrafò a Hopkins:

Lord Beaverbrook

Lord Beaverbrook

Abbiamo concluso stasera i nostri lavori nella grande sala del Gabinetto di guerra. Vi sono personalmente grato e riconoscente per le fatiche da voi sostenute, che hanno reso possibile questa conferenza.

Avete dimostrato una tale fede in noi, una tal fiducia nel nostro popolo, che ci siamo sentiti incoraggiati a perseverare in mezzo agli attacchi più terribili nelle ore più buie.

Tutti riconosciamo che voi avete saputo infondere un nuovo spirito a questo nostro Paese e guardiamo a voi come una guida e a un faro per il futuro.

Pare quasi che Beaverbrook, scrivendo il messaggio, pensasse che potevano essere le sue ultime parole. I membri della missione inglese non potevano dimenticare, imbarcandosi sull’incrociatore Londra, che nel primo anno dell’altra guerra, nel fare il medesimo viaggio verso Arcangelo, Lord Kitchener aveva incontrato la morte a bordo di un incrociatore britannico silurato.

Lord Kitchener

Lord Kitchener

Roosevelt scrisse per Harriman una lettera di presentazione del seguente tenore:

Mio caro Mr. Stalin:

questo scritto vi sarà rimesso dal mio amico Averell Harriman, cui ho chiesto di essere a capo della nostra delegazione a Mosca.

Harriman conosce perfettamente l’importanza strategica del vostro fronte e farà tutto quello che gli è possibile, ne sono certo, per portare alla migliore conclusione le trattative di Mosca.

Averell Harriman

Averell Harriman

Ho avuto ampi particolari dall’incoraggiante e soddisfacente visita fattavi da Harry Hopkins. Non vi so dire quanto entusiasmo susciti qui la valorosa resistenza delle armi sovietiche.

Ho fiducia che si troverà il modo di provvedere i materiali e forniture necessarie per combattere Hitler su tutti i fronti, non escluso il vostro.

Desidero in modo particolare cogliere quest’occasione per esprimervi tutta la mia fiducia nella vittoria definitiva delle vostre armi su Hitler e per garantirvi della nostra ferma decisione di fornirvi ogni possibile aiuto di carattere materiale.

Sinceramente vostro

FRANKLIN D. ROOSEVELT

La lettera giunse a Londra che Harriman era già partito e i prudentissimi ufficiali dell’Intelligence Service la distrussero piuttosto che correre il rischio di fargliela pervenire per mezzo di un aeroplano che potesse essere abbattuto in territorio controllato dai Tedeschi.

Harry Lloyd Hopkins

Harry Lloyd Hopkins

Roosevelt perciò, ne trasmise il testo telegraficamente all’Ambasciata americana a Mosca e Steinhardt lo consegnò a Stalin. I Tedeschi però, dovettero intercettare il messaggio, perché pubblicarono una versione della lettera di Roosevelt simile all’originale, salvo alcune tinte più marcate e la radiotrasmisero in tutto il Nord e il Sud-America, con i notiziari del DNB.

La versione germanica s’apriva con: “Mio caro amico Stalin” e finiva con le parole: “in cordiale amicizia” invece di: “sinceramente vostro”.

Hopkins, poco prima dell’inizio della conferenza di Mosca, mando questo appunto a Stettinius:

Edward Stettinius junior

Edward Stettinius junior

Vorrei tenermi in contatto diretto con Harriman e con la missione a Mosca e desidererei che tutte le risposte ai telegrammi di Harriman fossero mandate per mezzo mio e da me firmate.

Abbiate la cortesia di notificare a tutti la cosa, perché non abbiano a sorgere contestazioni.

Harriman e Beaverbrook s’incontrarono con Stalin per tre sere consecutive, domenica 28 settembre, lunedì 29 e martedì 30, in totale circa nove ore di colloqui. Negli stessi giorni si ebbero ripetute riunioni delle sottocommissioni per l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica, per le materie prime, i trasporti e le forniture di medicinali.

Harry Lloyd Hopkins con Stalin

Harry Lloyd Hopkins con Stalin

Parve naturalmente agli ufficiali inglesi e americani che le dette riunioni non fossero che degli “inutili esercizi di pazienza”, perché non riuscivano a cavare un ragno dal buco dagli esponenti della commissione russa. Come al solito, nessuna decisione importante poteva essere presa se non dalle più alte gerarchie del Governo.

Il primo incontro con Stalin fu cordialissimo. Egli fece una chiara esposizione della situazione militare, come aveva fatto con Hopkins e disse che i Tedeschi avevano in campo aereo una superiorità di 3 a 2 nei confronti della Russia superiorità di 3 o 4 a 1 in carri armati e di 320 divisioni contro le 280 russe.

Però, disse Stalin, i Tedeschi erano costretti a mantenere la superiorità nei carri armati perché, senza di essi, la loro fanteria sarebbe stata inferiore a quella russa.

Hitler

Hitler

Dei satelliti della Germania – aggiunse – chi combatteva meglio erano i Finnici, poi venivano gli Italiani, terzi i Rumeni ed ultimi gli Ungheresi. Stimava che ci fossero ora dieci divisioni italiane sul fronte orientale (evidentemente aveva mutato parere da due mesi a questa parte, quando aveva parlato con Hopkins).

Stalin si dilungò particolareggiatamente sulla questione degli aiuti e finì dichiarando di avere soprattutto grande necessità di carri armati e poi in ordine d’importanza, di cannoni anticarro, di bombardieri medi, di cannoni antiaerei, di lamiere blindate, di aeroplani da caccia e da ricognizione e, importantissimo, di filo spinato.

Stalin discusse a lungo con Beaverbrook la questione di una attiva collaborazione militare tra l’Inghilterra e la Russia. Già fin dal primo momento della guerra in Russia, l’opportunità di aprire un secondo fronte in Occidente era diventata un problema vitale, fornendo il motivo dominante di tutta la propaganda russa in Gran Bretagna e negli Stati Uniti,ma non sembrava che, almeno allora, Stalin abbia insistito molto sull’argomento.

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Egli pensava che gli Inglesi potessero unire le forze ai Russi per combattere in Ucraina. Beaverbrook fece notare che si stavano organizzando alcune divisioni britanniche in Persia e che si sarebbe potuto pensare di farle muovere verso il Caucaso. (Gli Inglesi avevano interesse a presidiare la regione del Caucaso, per impedire una probabile avanzata Tedesca nel Medio Oriente).

Ma Stalin lasciò cadere bruscamente l’argomento con un secco: “Non v’è nessuna guerra nel Caucaso; la guerra è in Ucraina”. Beaverbrook suggerì di aprire delle conversazioni fra gli Stati maggiori sovietico ed inglese, ma il suggerimento non incontrò alcun favore.

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Harriman sollevò la questine degli aeroporti siberiani ed accennò alla possibilità di consegnare aerei all’Unione Sovietica attraverso l’Alaska. Stalin accettò il consiglio, parendogli che gli aeroporti della Siberia fossero al caso, ma quando Harriman disse che gli aeroplani sarebbero stati consegnati da equipaggi americani, si raffreddò alquanto e rilevò che: “la strada gli sembrava troppo pericolosa”.

Harriman ne concluse che Stalin non voleva correre il rischio di provocare il Giappone. Stalin fece alcune domande sugli obbiettivi d’una pace futura. Beaverbrook gli espose i principi della Carta Atlantica e Stalin: “Cosa dovrà pagare la Germania, quando sarà sconfitta?”.

La trionfale entrata del Führer a Saarbrücken il primo marzo 1935. Sotto di lui Rudolph Hess (a destra) e Heinrich Himmler

La trionfale entrata del Führer a Saarbrücken il primo marzo 1935. Sotto di lui Rudolph Hess (a destra) e Heinrich Himmler

Beaverbrook si limitò a rispondere: “Prima dobbiamo vincere la guerra”. Harriman espose le preoccupazioni di Roosevelt per l’opinione pubblica americana, specie per il problema religioso. Stalin rispose di non essere troppo al corrente dell’opinione pubblica americana verso la Russia e non parve preoccuparsene molto.

Per non dilungarsi troppo, Harriman non insisté, ma promise di mandare a Stalin un promemoria sulla questione. Alla fine di questa seduta, Harriman notò: “Beaverbrook ed io abbiamo avuto l’impressione di una accoglienza assai cordiale e ne siamo stati molto lusingati. Il colloquio è durato più di tre ore”.

Ma il giorno dopo l’atmosfera era completamente mutata. Nel rapporto Harriman notò:

La serata è stata alquanto turbolenta. Stalin fu scortese e si dimostrò spesso del tutto indifferente alle cose che gli dicevamo. Ci trattò piuttosto male.

Ad un certo momento, per esempio, si rivolse bruscamente a me dicendo: “Perché gli Stati Uniti no possono dare più di mille tonnellate di corazze per i carri armati? Un paese che ne produce più di cinquanta milioni !”.

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Quando provai a spiegargli il tempo che occorreva per aumentare la produzione di quel tipo speciale d’acciaio, mi interruppe villanamente dicendo: “Non c’è da aggiungere altro che una lega di metallo!”

Dal canto suo Lord Beaverbrook notò che: “Stalin era molto inquieto, passeggiando su e giù e fumando di continuo e dimostrandosi assai preoccupato”. Beaverbrook gli consegnò una lettera di Churchill. Stalin l’aprì, dandole una breve occhiata, poi la depose sul tavolo senza leggerla per tutta la riunione.

Mentre Beaverbrook e Harriman si disponevano ad andarsene, Molotov gliela ricordò. Stalin allora la infilò nella busta e la consegnò al segretario.

Durante il colloquio Stalin fece tre telefonate, combinando tutte e tre le volte il numero personalmente. Né Beaverbrook, né Harriman potevano rendersi conto del perché di un umore simile e pensarono naturalmente che gli fosse giunta notizia di una imminente avanzata Tedesca verso Mosca.

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Durante tutta la lunga e noiosa discussione sulle partite di armi, munizioni, materiali ecc. da consegnarsi alla Russia, Stalin diede un solo segno d’entusiasmo, quando Harriman offrì alla Russia 5.000 jeep. Stalin chiese se non se ne potevano avere di più. Ma quando Harriman domandò se non volesse anche carri armati normali, per le truppe, rispose che erano delle trappole mortali e non voleva saperne.

Beaverbrook e Harriman avevano sperato di giungere a una conclusione in questo secondo colloquio, ma, alla fine, si trovarono ancora ben lontani dall’aver raggiunto un accordo qualsiasi e non poterono fare a meno di chiedere una terza riunione per la sera seguente.

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Stalin accettò senz’altro e fu l’unico vero accordo che si raggiunse allora, tranne la questione delle jeep. Il giorno dopo la propaganda tedesca rovesciava sul mondo la notizia del fallimento della conferenza di Mosca: erano sorte profonde divergenze fra Stalin e gli occidentali; Americani e Inglesi non trovavano un terreno d’intesa con i “bolscevichi”.

Ai delegati inglesi e americani parve purtroppo che questa volta Goebbels fosse andato molto vicino alla realtà. Ma quando Beaverbrook e Harriman videro di nuovo Stalin alle di sera, l’atmosfera era di nuovo mutata. Stalin rise divertito dalla propaganda nazista e disse che, fra loro tre, avrebbero fatto in modo di dimostrare che Goebbels era un bugiardo.

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Beaverbrook presentò un memorandum che elencava tutte le richieste fatte dai Russi, segnando quelle che Inglesi e Americani non potevano soddisfare immediatamente e aggiungendo tutta una serie di voci e di materiali che potevano essere corrisposti anche in quantità superiore al richiesto.

Stalin ricevette l’elenco con entusiasmo. Poi, notò Beaverbrook:

l’interprete Litvinov, balzò su dalla sedia ed esclamò appassionante: “Ora si che vinceremo la guerra!”

Quando finimmo di leggere la lista, l’atmosfera si fece serena e piacevolissima da ambedue le parti. E la conversazione prese quasi l’aspetto di una riunione di vecchi amici … Era il sole dopo la pioggia.

In questo diario della conferenza, Beaverbrook tracciò un rapido quadro delle abitudini di Stalin: mentre Litvinov traduceva le parole russe in inglese: “egli si divertiva a disegnare un’infinità di lupi e a colorarli con la matita rossa”.

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Durante la riunione Stalin ricordò di nuovo a Harriman la promessa delle jeep e degli autocarri americani da tre tonnellate. La guerra, disse, dipendeva tutta dalle macchine e l’avrebbe vinta il paese che ne avrebbe avute di più. Riprese anche il tema degli obbiettivi post-bellici e si dilungò in sottili disquisizioni politiche.

Beaverbrook notò che ad un certo punto: “egli fece portare del tè e da mangiare. Era la prima volta che veniva offerto qualcosa in quei tre giorni di discussioni. Era certo il miglior sintomo del suo mutamento d’umore”.

Nelle note di Harriman è detto:

Stalin chiese di Hess e prese vivo interesse alla vivace descrizione che gli fece Beaverbrook del colloquio avuto con il nazista e delle sue idee sulla situazione generale.

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Stalin dichiarò di non credere affatto che Hess fosse giunto in Inghilterra su richiesta di Hitler, pur avendone il suo beneplacito e Beaverbrook si trovò d’accordo.

Beaverbrook si dimostrava convinto che Hess fosse giunto con la persuasione di poter stabilire un piccolo Governo di aristocratici contro Churchill, per fare la pace con la Germania: una pace separata che sarebbe stata ben accetta alla grande maggioranza degli Inglesi. Dopo di che la Germania, con l’aiuto degli Inglesi, avrebbe attaccato la Russia.

Stalin si divertì un mondo agli spassosi commenti di Beaverbrook che quel giorno sembrava in gran forma come narratore.

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Nelle note particolari di Beaverbrook su questo stesso punto della conversazione si ha che l’ambasciatore tedesco (che si trovava ancora a Mosca all’epoca del volo di Hess), avrebbe detto a Stalin che Hess era uno squilibrato; ma Beaverbrook non lo credeva affatto.

Harriman invitò Stalin a scrivere direttamente al Presidente Roosevelt su qualsiasi questione che ritenesse di qualche importanza. Egli avrebbe accolto i suoi messaggi con lo stesso piacere col quale riceveva i messaggi di Churchill.

Stalin gli rispose che era lieto di sentirlo, perché fino allora aveva avuto timore di essere indelicato rivolgendosi direttamente al Presidente. Dal canto suo Beaverbrook insisté perché Stalin si incontrasse a tu per tu con Churchill.

Stando alle note di Harriman, Stalin avrebbe espresso a Beaverbrook la speranza che la presente alleanza militare e il relativo accordo di non stipulare una pace separata potessero sfociare dopo la guerra in un trattato duraturo.

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Beaverbrook rispose di appoggiare personalmente l’idea e di credere che il momento attuale fosse il più opportuno per un’iniziativa del genere. Harriman tentò due o tre volte di interrompere questa discussione di cose europee per conoscere l’opinione di Stalin sulla situazione in Estremo Oriente.

Stalin era fiducioso di poter staccare il Giappone dall’alleanza con le potenze dell’Asse. Aveva l’impressione che: “il Giappone non fosse l’Italia e non desiderasse affatto di diventare il servo della Germania. Non era affatto il caso di preoccuparsi troppo”.

Beaverbrook notò: “Stalin è una persona simpaticissima: quando è agitato ha l’abitudine di passeggiare avanti e indietro con le mani dietro la schiena. Fuma molto e non mostra mai di spazientirsi”. Beaverbrook si infastidì più volte, durante le ultime due riunioni, perché gli parve che la porta d’accesso alla scala delle conferenze fosse stata lasciata aperta e temeva che qualcuno potesse origliare le traduzioni di Litvinov.

Maxim Litvinov

Maxim Litvinov

Ma Harriman non diede alcun peso alla cosa. Alla fine dell’ultima riunione, Molotov scambiò qualche parola con Stalin e questi invitò Lord Beaverbrook e Mr. Harriman a pranzare con lui la sera dopo. L’invito fu accettato. Harriman scrisse:

La riunione si concluse nel modo più amichevole. Stalin non nascose affatto il suo entusiasmo.

Ebbi l’impressione che fosse molto soddisfatto del sollecito interessamento dimostrato dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.

Nonostante la mia assoluta ignoranza della lingua russa, mi parve di comprendere chiaramente dai suoi modi quello che egli desiderava maggiormente e quello che in vece non aveva per lui il minimo interesse.

Stalin

Stalin

Sono d’avviso che egli sia stato franco con noi e credo che se manterremo quanto promesso e rinsalderemo i vincoli d’amicizia personali che ci stringono oggi a Stalin, verranno cancellati una volta per tutte i sospetti esistenti tra il Governo sovietico e i nostri due Governi.

Non c’è dubbio che Stalin è l’unica persona con cui si deve e si può parlare di affari esteri. Trattare con gli altri, senza previa istruzione di Stalin sugli argomenti da discutere è una inutile perdita di tempo.

Beaverbrook è stato assai abile e si è dimostrato pienamente sincero e convincente. Ci ha dato, insomma, la miglior prova del suo impegno.

Harriman scrisse anche un promemoria sulla religione in Russia:

Stalin con Molotov

Stalin con Molotov

Durante la settimana trascorsa in Russia, ho cercato di non lasciarmi sfuggire alcuna occasione per spiegare qual’era l’atteggiamento politico americano e della nostra opinione pubblica verso la Russia, soprattutto riguardo al problema religioso; ed ho consigliato alla delegazione russa (compresi naturalmente anche Stalin e Molotov), di prendere una iniziativa o comunque di fare delle dichiarazioni che potessero tranquillizzare il sentimento americano, specificando il desiderio di permettere la libertà di culto non solo a parole, ma di fatto.

Tutti mi dissero di sì. Stalin quando gli spiegai la questione, annuì con il capo ed espresse quello che io interpretai come un proposito di fare qualcosa.

Umansky fu il più esplicito e mi assicuro che i sovietici non proibiscono affatto il culto religioso ed avrebbero anzi ridotto le attuali restrizioni, dando la necessaria pubblicità alle nuove disposizioni.

Stalin con Molotov

Stalin con Molotov

L’ultima volta che lo vidi all’Ambasciata americana, il 3 ottobre, mi promise categoricamente che un alto funzionario sovietico avrebbe risposto alla dichiarazione pubblica del Presidente in fatto di religione, in modo da ottenere la massima pubblicità negli Stati Uniti.

Nonostante tutte le assicurazioni e le garanzie, me ne partii con la convinzione che i Sovietici non si sarebbero preoccupati che di darla a intendere, limitandosi a fare quel tanto che bastasse per lasciare l’impressione di una certa libertà, ma senza modificare l’ordinamento vigente.

Al pranzo offerto ai delegati dal Cremlino, il 1° ottobre, Molotov mi espresse tutta la stima che lui e gli altri sentivano per il Presidente, per le alte finalità, per la fondamentale rettitudine dei suoi principi. Ma a un certo punto della conversazione mi chiese se il Presidente che era un uomo così intelligente, poteva esser davvero così religioso come amava far credere o se facesse professione di fede solo a scopo politico.

Essi consideravano chi crede in una dottrina religiosa o in una fede allo stesso modo che noi consideriamo un bigotto. Sembra, tuttavia, che essi temano assai meno di qualche anno fa le varie manifestazioni religiose.

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Ad esempio, il brindisi di Stalin a Roosevelt, in cui si augurava la creazione di una pace con giustizia, finiva(almeno nella traduzione di Umansky), con la vecchia frase russa:

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“Dio l’aiuti”. (Ne discussi con Umansky ed egli mi assicurò che la traduzione era esatta, ma poiché uno dell’Ambasciata mi aveva detto che non era così, volli controllare la frase con gli altri membri dell’Ambasciata i quali mi dissero che Stalin l’aveva effettivamente pronunciata.

Ho comunque l’impressione che Umansky non traducesse affatto con la dovuta esattezza i vari brindisi. Beaverbrook udì che Stalin se ne lamentò con Litvinov).

Ai profughi polacchi e all’esercito si permette di avere alcuni preti. Due di questi sono stati liberati dalla prigionia. Avevo parlato di ciò a Londra con Sikorsky prima di partire per Mosca.

Gli chiesi di comunicare a Washington l’avvenimento spiegando che la cosa aveva la sua importanza. Seppi poi che il Dipartimenti aveva ricevuta la comunicazione.

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Raccolsi notizie contrastanti quanto alla pratica del culto, alla percentuale delle chiese aperte nei villaggi e alla frequenza dei fedeli. In sunto, ecco quello che ho potuto appurare:

1) Il culto è vivo ancora tra i vecchi, ma i giovani sotto la trentina se ne disinteressano completamente.

2) Fra i vecchi è vivo soprattutto fra le donne.

3) I fedeli in quanto tali, non sono, naturalmente, comunisti.

Per i comunisti, la religione è una superstizione contraria alla dottrina comunista e pericolosa perché fautrice di nuclei politici anti-comunisti.

È quindi, per tutti un grave delitto insegnare ai giovani sotto i sedici anni una dottrina religiosa. 

Finché Stalin non si disporrà a mutare di sana pianta la dottrina politica del partito, che precisamente no permette più nemmeno l’esistenza di partiti politici di minoranza, la libertà (comprese le elezioni) e il culto saranno tollerati, ma sotto l’attenta vigilanza della G.P.U. allo scopo di tenere sempre controllata ogni manifestazione, politica o religiosa, che può divampare in un fuoco che si deve prontamente spegnere invece di lasciare prendere fiamma con il pericolo di provocare una enorme conflagrazione.

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Quale sia il genere di concessioni che ci si possono attendere dai Russi è dimostrato dalla seguente espressione di un articolo della Pravda, organo ufficiale del Partito Comunista, sul problema religioso:

1) “Noi riteniamo sacri i sentimenti religiosi delle nostre donne …” (La traduzione è di Umansky);

2) “… indipendentemente da considerazioni di razza, di ricchezza, di credo o di politica”.

L’unico straniero al quale parlai durante il mio soggiorno in Russia, oltre naturalmente ai membri delle Ambasciate americana ed inglese, fu padre Braun, l’unico prete americano cattolico in Russia i cui sentimenti sono riferiti nella lettera allegata a Myron Taylor.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

In questa lettera padre Braun trattava di tutti i miglioramenti da lui notati in Russia, nel campo della tolleranza religiosa. Egli attribuiva ciò alla grande influenza del Presidente Roosevelt.

Harriman serbò nota anche di alcuni attriti sorti tra Beaverbrook e i militari della missione britannica. Beaverbrook era già fin d’allora uno strenuo sostenitore del secondo fronte e si opponeva ad ogni diversione dallo scopo prefissosi la seguente è una sua dichiarazione originale di cui fu mandata copia a Hopkins:

Al ritorno dalla Russia, verso la metà di ottobre 1941, posi la questione di un secondo fronte per aiutare i Russi. Sostenni che i nostri esponenti militari si erano mostrati sempre troppo avversi a prendere qualsiasi iniziativa.

La nostra avanzata in Persia aveva avuto un semplice carattere di operazione preventiva, povera cosa, e non vi era stato impiegato nemmeno un quarto delle truppe impiegate dai Russi.

Le uniche nostre iniziative sono state il bombardamento della Germania occidentale e le incursioni delle caccia in Francia, nulla che potesse aiutare i Russi o porre in difficoltà la Germania e che ci costarono invece, la vita di molti fra i nostri migliori aviatori.

La nostra strategia è ancora fondata su una guerra di lunga durata e siamo ciechi di fronte alle necessità e all’urgenza del momento. Non si è fatto un solo tentativo per considerare le cose alla luce del nuovo fattore rappresentato dalla resistenza sovietica.

Oggi il problema in campo militare è uno solo. Come aiutare la Russia? Ma su questo punto i capi di Stato maggiore si accontentano di dire che non si può fare niente. Mettono in campo un monte di difficoltà, ma non danno un consiglio sul modo di ovviarvi.

È stupido dire che non possiamo fare niente per la Russia. Possiamo e come; basta decidersi a sacrificare i nostri progetti per una guerra di lunga durata, che noi continuiamo ad accarezzare senza vedere che dal giorno dell’attacco alla Russia sono stati superati.

La resistenza russa ha cambiato il volto a molte cose. Prima di tutto, ha quasi spogliato l’Occidente europeo di ogni velo di truppe tedesche ed ha impedito, almeno per il momento, i offensiva dell’Asse in qualsiasi altro settore.

In secondo luogo ha creato una situazione quasi rivoluzionaria in ogni paese occupato ed ha aperto duemila miglia di coste a uno sbarco di forze britanniche.

Ma i Tedeschi possono muover impunemente le loro divisioni verso Est, poiché il continente è ancora fuori di portata dalle nostre truppe, nel pensiero dei nostri generali ed una ribellione è considerata prematura e deplorata in certi casi, perché non siamo pronti a sostenerla.

I capi di Stato maggiore vorrebbero aspettare di cucire l’ultimo bottone dell’ultima giubba prima di lanciare un’offensiva. Non si avvedono dell’occasione che si presenta. Dimenticano che l’attacco contro la Russia ci ha portato anche un pericolo, oltre che un vantaggio.

Se non li aiutiamo ora i Russi possono crollare. E Hitler, libero finalmente di preoccupazioni all’Est, concentrerà tutte le sue forze in Occidente contro di noi. I Tedeschi allora non aspetteranno che noi si sia pronti. Ed è una follia aspettare ora.

Dobbiamo attaccare prima che sia troppo tardi.

Venerdì pomeriggio, 1° ottobre, venne firmato e suggellato da Harriman, Beaverbrook e Molotov il primo “protocollo confidenziale” fra gli Stati Uniti, la Russia e il Regno Unito. Conteneva più di settanta voci, dai carri armati agli aeroplani, dai cacciatorpediniere agli stivali per l’esercito (di cui i Russi richiesero 400.000 paia al mese) ed alla lacca (300 tonnellate al mese), oltre ad una ottantina di voci di materiali medicinali.

Hopkins scrisse a Churchill:

Penso che la cosa più importante sia ora di incrementare la produzione mensile. Dobbiamo fare ogni sforzo in tal senso e, come vi ha telegrafato l’altro giorno il Presidente, si stanno già rivedendo tutti i calcoli sul totale della prevista produzione di armi e di materiali.

Mi sento talvolta assai scoraggiato di non poter ottenere il materiale con la rapidità voluta, ma penso poi ai problemi ben più gravi che vi tormentano e mi metto al lavoro con rinnovata lena.

Ho avuto notizie di Averell da Mosca e durante tutto il soggiorno della missione colà ho dedicato tutto il mio tempo a loro vantaggio qui a Washington. C’è ancora uno straordinario numero di persone che non vuole sentir parlare di aiuti alla Russia e non si vuol cacciare in testa l’importanza strategica di quel fronte.

Roosevelt telegrafò a Harriman: “Desidero esprimere a voi e ai vostri compagni la mia grande soddisfazione per la felice conclusione della nuova missione di Mosca. Penso che abbiate svolto tutti un magnifico lavoro”.

Harriman allora non si rese conto, ma lo imparò più tardi a proprie spese, che lo svolgimento di questa sua prima conferenza moscovita stabiliva un precedente che si sarebbe poi ripetuto molte volte: dapprima una estrema cordialità, poi qualche dissapore che sfociava in una velata ostilità e infine un accordo armonioso con un trionfale banchetto di chiusura e infine brindisi alla cooperativa alleata.

Prima che Harriman lasciasse Mosca, la situazione militare del fronte orientale s’era andata improvvisamente aggravando. Fu il momento in cui Hitler chiamò il capo del suo ufficio stampa, dottor Otto Dietrich e gli ordinò di informare l’universo che l’Armata Rossa era stata disfatta e la guerra in Russia era finita.

Su richiesta di Hopkins, Harriman lasciò a Mosca il colonnello Faymonville come rappresentante degli affitti e prestiti. La nomina suscitò vivaci controversie fra Hopkins e il Dipartimento di Stato, perché Faymonville era un ufficiale effettivo simpatizzante per i Russi e che credeva nella loro capacità di resistere alle possenti forze tedesche.

Le proteste contro di lui si erano già manifestate in Washington non appena si era saputo che Hopkins se ne fidava. Il generale Marshall ricevette da fonte sconosciuta commenti tali che stimò opportuno porne a conoscenza Hopkins:

Io non lo conosco (Faymonville), ma so che uomini competenti che hanno prestato servizio con lui, come l’ex-ambasciatore Bullitt e Mr. Henderson della sezione russa del Dipartimento di Stato, nutrono seri dubbi sulla sua imparzialità di giudizio nei riguardi dei Russi.

La notevole disparità di vedute fra Faymonville e il maggiore Yeaton, ancora addetto militare a Mosca è dimostrata d’altra parte da due cablogrammi, a ventiquattrore di distanza.

In data 10 ottobre Yeaton riferiva di ritenere possibile: “che la resistenza russa cessi da un momento all’altro. Soldati di ritorno dal fronte e giunti a Mosca dai sobborghi parlano di tradimento del Governo; e dicono che la difesa dell’Armata Rossa non è tenace come dovrebbe”. Aggiungeva la fosca previsione che i carichi in viaggio per Arcangelo rischiavano di cadere in mano dei Tedeschi o di andare persi e affondati.

L’11 ottobre, invece, Faymonville riferiva il punto di vista dello Stato maggiore sovietico in base la quale riserve adeguate avrebbero evitato l’accerchiamento di Mosca. La situazione militare nell’estremo sud era grave ma non disperata e gli invii previsti di munizioni, armi portatili, mitragliatrici, aerei e carri armati, dovevano essere accresciuti per quanto possibile.

Quando gli informatori, come in questo caso, danno notizie così disparate sullo stesso oggetto, i superiori in patria sono di solito inclini a credere a colui che più si avvicina all’idea che si sono formati della situazione. Ed è per questo che Governi in possesso di magnifici servizi di informazione all’estero, possono compiere talvolta errori inspiegabili. Ciò si dimostra vero, soprattutto nel caso dell’Unione Sovietica.

Quando Hopkins lesse il rapporto di Yeaton, scrisse la seguente lettera al segretario Stimson:

Ci è stata mandata copia di un rapporto del nostro addetto militare a Mosca in data 10 ottobre. Il Rapporto va preso, secondo me, con ogni riserva. Quando fui a Mosca, Yeaton era uno spietato critico dei Russi ed insisteva già fin d’allora – parlo di dieci o dodici settimane fa – che i Russi potevano cedere da un momento all’altro.

Ma da quanto ho potuto osservare dalla mia breve visita a Mosca, non vedo come un addetto militare possa ottenere ragionevoli informazioni dai soldati che tornano dal fronte o averne, in genere, dal pubblico, che siano degne di fede.

Il 30 ottobre Roosevelt telegrafò a Stalin che aveva approvato tute le voci riguardanti il materiale, contenute nel protocollo della conferenza di Mosca, ordinandone le consegne e disponendo perché i carichi, fino al valore di un miliardo di dollari, passassero sotto gli affitti e prestiti, perché non fossero: “soggetti ad alcun interesse sul debito e i pagamenti a saldo cominciassero a partire dal quinto anno dopo la guerra per essere completati in un periodo di dieci anni dalla data d’inizio”.

Tali accordi erano soggetti all’approvazione del Governo sovietico. Roosevelt esprimeva la speranza che Stalin facilitasse in modo particolare l’acquisto di materie prime e prodotti disponibili nell’U.R.S.S. di cui gli Stati Uniti avessero assoluto bisogno.

Terminava esprimendo il proprio apprezzamento per il modo come la conferenza era stata condotta e con la speranza che Stalin: “non averebbe esitato a comunicare direttamente” con lui ogni qualvolta lo ritenesse opportuno.

Hopkins commentò il cablogramma in questi termini:

Dopo i colloqui avuti con Stalin a Mosca, mi è parso opportuno che il Presidente trattasse direttamente con lui …

Questo telegramma è il secondo che il Presidente manda a Stalin da che io sono tornato. Il primo fu in data 13 ottobre, per avere precisazioni su alcuni dati richiesti.

Questo rappresenta la decisione di estendere anche ai Russi la legge affitti e prestiti. Abbiamo avuto infine, discussioni sull’argomento in queste settimane e si è dovuto constatare una volta ancora che gli affitti e prestiti sono l’unico mezzo per finanziare gli aiuti. Ieri ho consultato Morgenthau e Hull ed entrambi hanno accolto favorevolmente il contenuto di questo messaggio che ho preparato in mattinata e che è stato poi trasmesso al Presidente.

Il Presidente ha ricevuto la missione russa e le conversazioni sono continuate oggi su questioni di dettaglio.

Ho pranzato con il generale Burns e ho passato il pomeriggio con Stimson e Marshall nell’ufficio del primo.

Stimson è contrariato di non essere stato consultato sui piani strategici di guerra e penso che mi incolpi di non aver fatto di più per mettere in contatto lui e Marshall con il Presidente.

Stimson mi volle far conoscere quali erano i piani strategici preparati dal Dipartimento della Guerra e con Marshall me li spiegò ampiamente, insistendo sui passi da fare per tenere il Giappone lontano dalla Guerra, nonché sui vari teatri d’operazione sui quali potremmo operare, nel caso di un nostro intervento.

Sia Stimson, sia Marshall pensano che non si ossa vincere finché non entriamo in guerra, ma non hanno alcuna idea di come si possa ottenere questo scopo.

Laurence Steinhardt

Laurence Steinhardt

Stalin rispose al messaggio di Roosevelt il 14 novembre:

L’ambasciatore americano Steinhardt mi ha presentato il 2 novembre 1941, per mezzo del signor Viscinsky, una memoria contenete il vostro messaggio, di cui però non ho ricevuto il testo esatto.

Per prima cosa vi vorrei esprimere i miei sinceri ringraziamenti per i nobili apprezzamenti che mi avete espresso circa la rapidità con cui è stata conclusa la conferenza. Il Governo sovietico vi è grato della decisione di soddisfare puntualmente le raccomandazioni della conferenza.

Signor Presidente, la vostra decisione di garantire all’Unione Sovietica un prestito per l’ammontare di un miliardo di dollari, esente da interesse, allo scopo di pagare gli armamenti e le materie prime necessarie all’Unione Sovietica, è stata accolta con vera gratitudine dal Governo sovietico ed è considerata come uno straordinario e sostanziale aiuto nelle difficoltà presenti e nella lotta che combattiamo contro il comune nemico, il sanguinario hitlerismo.

Roosevelt

Roosevelt

Accetto pienamente in nome del Governo dell’Unione Sovietica, le condizioni da voi proposte per il prestito alla Russia, cioè che l’ammortamento del prestito cominci cinque anni dopo la fine del conflitto e venga coperto entro i dieci anni che seguiranno.

Il Governo dell’U.R.S.S. è disposto ad agevolare in tutti i modi le forniture di merci e materie prime richieste dagli Stati Uniti.

Sono cordialmente d’accordo con voi, signor Presidente, di stabilire contatti diretti e personali, se le circostanze lo richiederanno.

Il non aver incluso formalmente fino al 7 novembre l’Unione Sovietica tra gli usufruenti degli affitti e prestiti, è un indice chiaro delle preoccupazioni di Roosevelt per l’opinione pubblica.

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A quel tempo i tedeschi non distavano che trenta miglia da Mosca e sembravano sul punto di occuparla: ma l’eroica resistenza dell’Armata Rossa aveva convinto il mondo che la presa di Mosca non avrebbe recato a Hitler maggiori vantaggi che a Napoleone e negli Stati Uniti andava diffondendosi il parere che i Russi meritassero grandemente il nostro aiuto e avrebbero saputo servirsene ottimamente.

Poco tempo dopo, mentre Mosca era pressoché assediata, Roosevelt e Hopkins studiarono la possibilità di mandare alla Russia degli aerei da caccia, trasportandoli su una portaerei fino al Golfo Persico, in modo che gli apparecchi sbarcassero già in pieno assetto di volo per essere immediatamente impiegati. Roosevelt era favorevole e dette istruzioni a Hopkins di esaminare la questione con il Ministero della Marina.

Ma poiché la risposta non fu molto incoraggiante, Hopkins gli scrisse questo appunto sull’argomento:

Credo di sapere che, data la situazione strategica mondiale, la Marina si dimostri tutt’altro che disposta all’invio di una portaerei. Perciò, se non avete nulla in contrario, provvederemmo immediatamente a caricare gli aeroplani su una nave mercantile, benché vi abbia fatto presente le attuali difficoltà in cui si trovano le Commissioni marittime per raccogliere un numero sufficiente di navi.

Roosevelt restituì l’appunto a Hopkins con la seguente nota a matita:

H.L.H.

Sta bene, ma dite da parte mia di fare in fretta, in fretta, in fretta!

F.D.R.

La data del 25 novembre 1941, in ci fu scritto il memorandum, giustifica pienamente la Marina che non credeva opportuno l’invio di una portaerei per fare il periplo dell’Africa fino al Golfo Persico.

Non dovevano passare dodici giorni ed avremmo avuto l’attacco di Pearl Harbour. A Roma intanto, Myron Taylor portava a termine la sua missione, il giorno stesso in cui Harriman si accingeva a partire per Mosca. Taylor meritava in pieno il titolo di “ambasciatore straordinario”. (Lo stesso si potrebbe dire di Hopkins, benché entrambi fossero designati semplicemente come “rappresentanti personali del Presidente”).

Egli sostenne la sua causa in Vaticano con somma prudenza e abilità, ricevendone simpatia e accoglienza. I risultati della missione non ebbero vasta risonanza, ma furono egualmente efficaci, poiché dopo di allora la gerarchia cattolica degli Stati Uniti non sollevò più alcuna obbiezione agli 11 miliardi di dollari e più di materiale ceduto all’Unione Sovietica con gli affitti e prestiti.

Durante il ritorno, Taylor si fermò a Lisbona dove ebbe un colloquio con il dottor Salazar, il “dittatore moderato” del Portogallo. Roosevelt, naturalmente, si interessò moltissimo al rapporto di Taylor su questa intervista che riguardava da vicino il problema delle Azzorre, ma il rapporto no fu incoraggiante. Pareva che Salazar non ritenesse affatto opportuno che gli Stati Uniti entrassero in guerra, perché questa si sarebbe prolungata indefinitamente e credesse che Gran Bretagna e America unite avrebbero potuto al massimo distruggere la persona fisica di Hitler, ma non il nazismo che rappresentava la nuova evoluzione sociale, politica e economica dell’Europa.

Roosevelt ebbe l’impressione che, secondo Salazar, fosse interesse dell’Europa che gli Inglesi accettassero di vedere l’Ucraina incorporata nella Germania come suo spazio vitale, mentre la Russia, persa l’Ucraina, non avrebbe potuto costituire più alcuna seria minaccia militare.

Aggiungo però che in cuor suo Roosevelt non se la sentiva affatto di rimproverare Salazar per il gioco estremamente cauto che conduceva, perché era il tempo in cui si temeva di giorno in giorno un’invasione tedesca della penisola iberica e Salazar sapeva perfettamente che gli Inglesi sarebbero stati impotenti ad impedirla o solo ad ostacolarla, pur con tutti gli aiuti che poteva inviare l’America.

Si deve aggiungere poi che non erano soltanto i cattolici a fare opposizione contro gli aiuti all’Unione Sovietica. Esisteva una forte corrente di persone, ben rappresentata nel Dipartimento di Stato, che era persuasa di assistere presto o tardi a una pace separata della Russia con la Germania, come era già avvenuto nel 1917 a Brest Litovsk e nel 1939 con il patto di non aggressione tra Molotov e Ribbentrop.

Ma i ripetuti moniti sulla perfidia russa, con i quali nel ’41 e dopo si tentò di influenzare Roosevelt, non servirono che a fargli accrescere gli sforzi per persuadere i Russi della perfetta buonafede dell’America. Un anno dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, Hopkins assistette a una riunione del Comitato presidenziale per il Protocollo sovietico.

Venne allora stabilito di chiedere ai Russi piene informazioni sulla situazione militare prima di procedere ad ulteriori aiuti (così come si era fatto anche per gli inglesi). Dalle minute della riunione risulta che Hopkins:

… riteneva nel complesso che il programma non fosse del tutto soddisfacente. Non è facile comprendere i Russi. Gli Stati Unti stanno facendo per essi cose che no farebbero per nessuna altra nazione senza prima ottenere piene informazioni.

La decisione di agire senza queste logiche cautele, fu presa forse, con qualche apprensione, ma dopo debita deliberazione. In definitiva Hopkins disse che non c’erano riserve politiche da fare al presente e quelle che c’erano erano dovute essenzialmente a quel gruppo di persone che avevano interesse a porre di nuovo in discussione il problema. Propose quindi di accantonare la questione e di no darle corso.

Benché Hopkins tentasse così di superare la questione, essa rimase sempre ad oscurare i rapporti e le relazioni tra i due Paesi. I primi sintomi di una certa tensione tra Russia e Stati Uniti s’erano presentati già prime dell’entrata in guerra di questi.

Mentre la spinta tedesca verso Mosca cominciava a perdere il suo primo impeto e i “superuomini” di Hitler provavano le prime delizie dell’inverno russo, cui si trovavano impreparati, l’Armata Rossa dimostrava una forza e una resistenza sempre più vigorose, come pochi nel mondo avrebbero osato sparare e pochissimi si sarebbero aspettati.

Si lanciarono i primi contrattacchi e si riconquistò Rostov: la prima località di qualche importanza che si fosse riusciti a ritogliere ai nazisti, da quando era cominciata l’espansione tedesca. Mutate in meglio le cose – benché tutt’ora non definitivamente – il Governo sovietico fu spinto a chiedere accordi per il futuro assetto politico del mondo.

Stalin non voleva assolutamente lasciar dormire l’argomento che aveva già sollevato con Beaverbrook. Credeva che fosse già tempo di stabilire i confini tra l’Unione Sovietica e la Finlandia, Polonia e Romania, nonché la posizione degli Stati Baltici della Lettonia, Lituania e dell’Estonia, raggiungendo accordi di massima anche su questioni assai aleatorie, quali il futuro della Renania, della Baviera e della Prussia orientale, la reintegrazione delle terre dei Sudeti alla Cecoslovacchia e tutte le numerose rettifiche territoriali interessanti la Grecia e la Turchia.

Erano tutte questioni che toccavano soprattutto Mosca e Londra, ma gli Inglesi non tennero sempre informata anche Washington. Con la rioccupazione di Rostov, la situazione divenne così tesa che lo stesso Anthony Eden si decise ad andare a Mosca per vedere di “smussare gli angoli” e trovare il destro di raggiungere una parvenza di accordo politico, discutendo alcuni problemi del dopoguerra.

Eden lasciò il Regno Unito il 7 dicembre. Il 5 era stato spedito a Winant un cablogramma importantissimo: recava la firma di Hull ed aveva il benestare di Roosevelt. Winant ebbe istruzione di darne lettura a Eden e di non consegnarne ufficialmente copia alle autorità britanniche.

Nel messaggio si diceva che: “ci sono testimoni della nostra buonafede nei confronti dell’U.R.S.S. gli impegni presi dai nostri rappresentanti a Mosca, cui adempiamo puntualmente”. Ci si riferiva naturalmente, agli impegni per gli aiuti materiali presi dalle missioni Beaverbrook-Harriman.

E il messaggio continuava affermando che riguardo alle direttive del dopoguerra, i lineamenti essenziali di essa: “si trovano nella Carta Atlantica che rappresenta oggi l’atteggiamento non solo degli Stati Uniti, ma anche della Gran Bretagna e dell’Unione Sovietica … Considerando ciò, sarebbe dannoso per qualsiasi dei nostri tre Governi … pendere impegni specifici e particolari sull’aspetto del dopoguerra … Soprattutto non ci devono essere accordi segreti. Si devono tenere presenti le limitazioni costituzionali cui è legato il nostro Governo”.

Winant comunicò il tenore del telegramma a Eden la mattina del sabato 6 dicembre e nella notte il ministro inglese degli Esteri lasciò Londra per Invergordon, per imbarcarsi per la Russia; in quel momento gli Stati Uniti non erano ancora usciti dalla non belligeranza.

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