TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 6

EDOARDO  FRANCESCO  DE BETTA

Malgolo (Romeno, Trento), 6 aprile 1822 – Marcellise (San Martino Buon Albergo, Verona), 4 novembre 1896

 

Edoardo De Betta

Edoardo De Betta

Nobile, politico, patriota, di professione legale, di vocazione naturalista, benestante. Discendente dai Betti o Betta o della Betta o De Betta, una delle famiglie patrizie più insigni della Galizia (Spagna), il cui ramo italiano risale al 1100.

Fin da bambino   ebbe «vera inclinazione e passione fortissima per lo studio delle scienze naturali», ma dovette, per volere paterno, seguire la carriera polito-legale. Terminati gli studi secondari al liceo milanese di S. Alessando, s’iscrisse all’università di Pavia dove nel 1844, all’età di 22 anni, conseguì la laurea in giurisprudenza.

Edoardo De Betta

Edoardo De Betta

Rientrato a Milano, lavorò, come praticante, nei tribunali milanesi civile (dal 1845) e penale (dal 1846), con l’intenzione di percorrere l’intera carriera giudiziaria. Il 24 febbraio 1848, però, moriva a Verona la cugina Teresa De Betta, vedova del conte Giovanni Battista Orti-Manara, che lo lasciava erede universale del suo ricchissimo patrimonio.

Ciò permise a Edoardo, che «aveva sempre nutrito una vera ripugnanza per gli studi legali e per la carriera giudiziaria», di abbandonare all’istante l’attività paterna.

Non solo, ma si trasferì a Verona e qui, ormai libero da ogni dipendenza o giogo famigliare, potè dedicar si finalmente alle mai dimenticate scienze naturali. E tra il 1848 e il 1853 trascorse tutto il tempo libero in ricerche archeologiche e zoologiche in Alto Adige, in Trentino e nel Veneto occidentale.

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L’11 giugno 1849 sposa a Trento Maria De Jnama di Campostellato, figlia della contessa Carlotta Martini di Calliano, che sarà sua «fedele compagna, consigliera sagace e prudente consolatrice» per 47 anni.

All’inizio degli anni ’50 nasce in lui l’interesse per l’attività politica e patriottica. Il 22 dicembre 1854 è nominato consigliere comunale, carica che mantiene fino al 1863 e poi ancora dal 1867 al 1891. Nel 1857 aderisce alla proposta per l’istituzione di una Associazione Agraria Provinciale il cui scopo apparente era quello «di curare gli interessi economici e materiali dei contadini», ma che in realtà doveva «riunire in un fascio le forze vive della Provincia veronese per una propaganda incessante ed una più energica azione di fronte al governo» asburgico.

L’Austria non approvò l’iniziativa e ordinò alla polizia locale di «sottoporre a speciale sorveglianza i promotori della impresa». Gli istitutori, allora, ripiegano sulla fondazione di una società che, sotto la scusa di promuovere studi letterari e scientifici, mira invece a preparare l’adesione della provincia all’Italia. A questa società, chiamata Ibis, E. De Betta è iscritto sotto lo pseudonimo di Oen.

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Il 28 novembre 1865 viene eletto podestà di Verona. La sua attività antiaustriaca si può sintetizzare con la frase, rivoltagli pubblicamente dal feldmaresciallo Jacobs, comandante militare della città: «… e si ricordi, Signor Podestà, che in caso di tumulto la prima palla sarà per Lei!».

Il 19 ottobre 1866 fu uno dei tre commissari che rappresentarono il governo italiano alla «consegna» delle Provincie Venete da parte dell’Impero Austro- Ungarico. Ingegno pronto e versatile, cittadino integro e operoso, magistrato e amministratore solerte e sagace, morì a 74 anni fedele al suo motto araldico «malo mori quam foedari».

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Fu di sicuro, come riconosce obiettivamente anche S. Ruffo, «la figura più interessante» nell’ambito degli zoologi veronesi della seconda metà dell’800. In qualità di zoologo e naturalista dilettante si interessò particolarmente di entomologia, di erpetologia, d’ittiologia, di malacologia, di ornitologia e di teratologia.

Tra il 1852 e il 1890 scrisse 56 saggi scientifici, di cui 48 riguardanti la faunistica. La sua collezione erpetologica, importante soprattutto dal punto di vista storico, è tuttora conservata a Verona, nel Museo civico di Storia Naturale. Per i suoi testi erpetologici (tra cui spicca Anfibi e Rettili d’Italia, Milano,1874) merita il titolo, in ordine di tempo, di 2° Erpetologo italiano.

In campo erpetologico, come già in quello malacologico, i suoi interessi furono essenzialmente sistematici e faunistici. De Betta possedeva, «per i suoi tempi, un’ottima conoscenza dei problemi tassonomici e un acuto senso critico nella valutazione delle differenze morfologiche degli animali che andava studiando, qualità che egli deve aver consolidato corrispondendo con i migliori malacologi ed erpetologi italiani e stranieri di quel tempo».

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Inoltre «era uno scrupoloso e ordinatissimo collezionista, come lo provano i cataloghi delle» sue «raccolte scritti di suo pugno e ricchi di annotazioni». Inoltre, «per i problemi pratici cui  era evidentemente spinto dalla pragmaticità del suo carattere e dalle sue esperienze di pubblico amministratore», fu uno zoologo applicato e quindi già moderno.

In Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, la vexata quaestio sulla morfologia delle «rane rosse o brune» da una parte e della distribuzione geografica dei Viperidae dall’altra (in particolare di Vipera berus nella Padania) diede la stura a discussioni più o meno scientifiche (1879-1887) che degenerarono in squallida polemica soprattutto quando ebbero come portavoce pure le pagine di alcuni quotidiani.

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Alla base delle critiche e delle bizze c’erano, da una parte, l’intento di focalizzare l’attenzione degli zoologi sopra un problema tassonomico, storico e geonemico di un certo interesse, attraverso review e ricerche originali o personali, e, dall’altra, presunzioni, mal celati complessi di protagonismo e di presenzialismo e la solita puerile astiosità dei professionisti nei riguardi dei dilettanti che s’interessano, spesso con successo maggiore dei loro, degli stessi argomenti faunistici.

L’obiettivo e signorile tentativo di mediazione dello zoologo, anatomo comparato, saggista e senatore biellese Lorenzo Camerano (1856- 1917) e dello zoologo e politico assese Pietro Pavesi (1844-1907) in primis verso De Betta e il suo principale critico, il conte e naturalista veneziano Alessan- dro Pericle Ninni (1837-1892), per riportare la serenità tra gli sparuti cultori italiani di erpetologia, non ebbe l’effetto sperato.

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Il Nostro non troncò i rapporti né con lo zoologo piemontese né con quello lombardo, ma evitò, dal 1887 qualsiasi relazione diretta con tutti i naturalisti, et praecipue con lo zoologo veneziano, già suo «amico gentile e carissimo», che lo avevano, apertamente e no, elevato a soggetto «delle loro maldicenze».

Dal punto di vista scientifico, De Betta era in errore sul tema delle «rane rosse» perché non aveva studiato a fondo l’argomento (per i motivi che lui stesso aveva in parte già avanzato nel 1887), ma non lo era, del tutto o in parte, sul tema geografico dei Viperidae, soprattutto là dove i suoi detrattori ricorrevano a motivazioni critiche che si rivolgevano contro se stessi perché invocate ma anche da loro non praticate.

 

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