STRAGI NAZIFASCISTE IN ALTO ADIGE

a cura di Cornelio Galas

Stragi nazifasciste in Alto Adige: ne abbiamo riferito per sommi capi nelle puntate sulla “Resistenza in Trentino”. Soprattutto quando le vittime, trentine, furono recluse nel Lager di Bolzano. Quando il Tribunale Speciale del capoluogo altoatesino emise sentenze di morte per disertori, renitenti alla leva, partigiani. E’ dunque una lacuna da colmare. Perché, come si vedrà, in provincia di Bolzano ci furono orribili eccidi. In alcuni casi con decine di morti. Approfondiremo inoltre le stragi collegate alla repressione nazista dell’estate 1944 nel Basso Sarca e nel Roveretano. Infine allego un video con una relazione di Lorenzo Gardumi, noto storico al quale si deve la compilazione delle schede di questa mappa delle stragi nazifasciste in Trentino Alto Adige.

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IL VIDEO

Conciamo da Postal (Bolzano). Data imprecisata. Non si hanno informazioni precise su questa prima vittima in Alto Adige. Si sa solo che un certo Comber fu fucilato perché partigiano. Persone responsabili o presunte tali? Federico Schwerd, Maggiore delle SS. Nominativo emerso dalla documentazione giudiziaria della Procura Militare di Verona.

La mappa delle stragi nazifasciste in Alto Adige

La mappa delle stragi nazifasciste in Alto Adige

Arriviamo quindi al 9 settembre 1943, il giorno dopo l’armistizio firmato da Badoglio. Il piano Alarich (Alarico), approntato dall’esercito tedesco in vista di una prossima uscita di scena dell’Italia dal conflitto, scattò negli istanti immediatamente successivi alla capitolazione italiana (8 settembre 1943). La Heeresgruppe B (Gruppo armate B), al comando del feldmaresciallo Erwin Rommel, penetrò in Alto Adige disarmando e catturando le truppe di presidio.

ROMMEL

ROMMEL

Le unità del Regio esercito di stanza nelle province di Trento e Bolzano furono protagoniste di alcuni sporadici episodi di resistenza: a Bolzano, a Bressanone e in val Venosta, le forze italiane, tra cui si distinsero alcuni reparti delle Divisioni alpine Tridentina e Cuneense, tentarono di opporsi ma furono ben presto sopraffatte e travolte dopo aver lasciato sul terreno otto morti e 18 feriti.

POSTAL

É quindi nel contesto delle drammatiche ore successive al comunicato del maresciallo Badoglio che va inserito l’omicidio di due soldati (o carabinieri)  italiani. Stavano svolgendo servizio di guardia in piazza Parrocchia nel quartiere Oltrisarco di Bolzano quando furono fatti segno a colpi d’arma da fuoco sparati da soldati tedeschi rimasti ignoti che stavano occupando il capoluogo bolzanino.

Le vittime:

  • FALCHI, Giovanni
    23 settembre 1902 – Oltrisarco di Bolzano, 9 settembre 1943. Figlio di Angelo Salvator, militare del Regio esercito o milite dell\’Arma dei CCRR.
  • LELLA (O LELA), Stefano
    21 giugno 1928 – Oltrisarco di Bolzano, 9 settembre 1943. Figlio di Carlo Lella (o Lela), militare del Regio esercito o milite dell\’Arma dei CCRR.

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Furono sette invece le vittime dell’eccidio del 6 luglio 1944 a Brunico. Nella primavera-estate del 1944, il governo e le autorità della RSI cercarono di mobilitare la società italiana, quella rimasta sotto il dominio nazista, attraverso una propaganda diffusa e capillare nel tentativo di creare un nuovo esercito e, più in generale, per imporre alla «nazione» la propria volontà di continuare la guerra a fianco dei tedeschi.

Eine Erschießung serbischer Geiseln an der Friedhofsmauer von Pancevo bei Belgrad durch ein Kommando des Infanterieregiments "Großdeutschland". Der das Kommando führende Offizier gibt den sogenannten Gnadenschuß (22. April 1941). Dies ist eines der Bilder der umstrittenen Wehrmachtsausstellung des Hamburger Instituts für Sozialforschung, die seit März 1995 in Deutschland und Österreich gezeigt wird. Die 17. Station der Wanderschau ist ab 13.4.97 Frankfurt/Main. dpa (Nur zur Berichterstattung über die Wehrmachtsausstellung - nicht für Zeitschriften und Archive, nur s/w)

Per mettere in campo una forza militare efficiente, in grado di affiancare la Wehrmacht e dare il proprio contributo alla causa nazifascista, il governo repubblicano fece ricorso alla coscrizione obbligatoria, applicando metodi draconiani quali l’arresto dei familiari e la condanna a morte dei renitenti alla leva: molto spesso, alle chiamate della RSI si accompagnarono quelle dell’autorità tedesca nei Corpi armati (Luftwaffe, Flak, Wehrmacht, SS ecc.) e nelle formazioni lavorative (Todt, Speer).

I risultati sperati furono ampiamente disattesi: prive di qualsiasi credibilità, le autorità di Salò finirono col pubblicare bandi di arruolamento e di mobilitazione che affiancavano alle minacce di fucilazione di renitenti e disertori forme più blande, di assoluzione da qualsiasi reato, se i coscritti si fossero presentati.

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Le pressioni esercitate quasi quotidianamente dagli organi militari e di polizia nazifascisti ottennero l’effetto contrario, inducendo i giovani delle classi interessate a ignorare le chiamate e a portarsi in montagna. Solo una minima parte entrò effettivamente nelle file della Resistenza partigiana, ma certamente la coercizione imposta dalle autorità d\’occupazione spinse la maggioranza dei coscritti alla renitenza e alla diserzione, una scelta a suo modo anti-nazifascista.

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Nel corso del 1944, circa 150 coscritti lombardi e piemontesi, arruolati nel Distretto di Asti, furono prelevati da un reparto del genio tedesco e incaricati della posa di linee telefoniche alle spalle della linea Gotica, dapprima in Emilia e poi lungo il corso dell\’Adige fino a raggiungere Brunico. Il 25 giugno 1944, in due diversi momenti, otto di questi giovani fuggirono attraverso la val Badia verso Cortina d’Ampezzo nel tentativo di unirsi a qualche formazione partigiana. Alcune donne sudtirolesi li aiutarono offrendo loro vestiti e riparo, ma le forze di polizia naziste riuscirono a rintracciarli e arrestarli due giorni dopo la fuga (27 giugno).

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Ricondotti nell’allora Caserma Lugramani di Brunico (oggi Federico Enrico), furono fucilati come disertori dopo un processo sommario il 6 luglio successivo: fu graziato solo il più giovane, Franco Garattini, che comunque fu condannato a 15 anni di lavori forzati. L’esecuzione si svolse di fronte alla guarnigione, monito per eventuali altre diserzioni, e i corpi furono seppelliti in terra sconsacrata nei boschi lì vicino: le salme furono riesumate solo nel dopoguerra.

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Non si hanno informazioni circa i reparti o le autorità militari e di polizia tedesche responsabili dell’esecuzione: a Brunico, erano stanziati uffici (Aussenposten) della Sipo e dello SD ma non vi sono notizie circa un loro coinvolgimento nella faccenda. Soldati tedeschi e italiani della RSI erano acquartierati presso gli alloggi della caserma Lugramani. Si parla, in alcune testimonianze, del «Comando tedesco di Brunico».

Le vittime

1) BERGAMASCHI, Mario Raffaele
Lodi, 6 settembre 1923 – Brunico, 6 luglio 1944. Figlio di Sante Andrea e di Orsini Maria Domenica, residente a Lodi, 24 anni.
2) GUERRA, Sergio
† Brunico, 6 luglio 1944. Figlio di Arnaldo Guerra e Armelinda Zanacca, 20 anni, originario di Montechiarugolo (PR), residente a Parma, operaio, celibe.
3) ROSSETTI, Arnaldo
† Brunico, 6 luglio 1944. Originario di Corte dè Frati (CR), 19 anni.
4) UBERTI, Marino
Robecco d\’Oglio (CR), 10 febbraio 1923 – Brunico, 6 luglio 1944. 21 anni.
5) VEZZULLI, Giuseppe
Ticengo (CR), 8 giugno 1923 – Brunico, 6 luglio 1944. Figlio di Pietro Vezzulli e Palmira Tinti, residente a Soncino (CR).
6) VINONI, Luigi
Soncino (CR), 3 marzo 1923 – Brunico, 6 luglio 1944. Figlio di Pietro Michele Vinoni e Teresa Angela Pisoni, residente a Soncino (CR).
7) ZANDA, Senofonte
Brasile, 29 maggio 1923 – Brunico, 6 luglio 1944. Figlio di Camillo Zanda, ignoto il nome della madre, residente a Soncino (CR), meccanico. Soldato della Regia aeronautica, fu catturato dai tedeschi al momento dell\’armistizio e internato in Germania. Rientrato in Italia per adesione alla RSI, fu assegnato a Brunico (marzo-giugno 1944). Croce al merito di guerra per internamento in Germania.

Scherl: SS-Oberst-Gruppenführer und Generaloberst der Polizei Daluege überreicht den Offizieren und Männern des Polizei-Bataillons "Cholm", die der Kampfgruppe Scherer angehörten, den vom Führer verliehenen Cholm-Schild. 7053-42

Nel luglio 2001, presso l’’attuale caserma Federico Enrico di Brunico, fu posta una lapide con i nomi delle vittime. Alla cerimonia, parteciparono le sezioni ANPI di Bolzano, Cremona, Lodi, Parma e Trento, le Associazioni ex combattenti e reduci, le autorità municipali di Brunico e dei Comuni d’origine dei giovani fucilati. Da allora  ogni 6 luglio si tiene una cerimonia a ricordo dell’eccidio dei 7 giovani renitenti a Brunico.

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Il territorio del Basso Sarca (zona di Riva del Garda e Arco) occupa – come abbiamo già avuto modo di dire – una posizione chiave trovandosi a cavallo tra la Repubblica sociale italiana e la Zona d’operazione Alpenvorland che, dal settembre 1943, univa le province di Trento, Bolzano e Belluno, sotto il controllo tedesco.

La salvaguardia della linea del Brennero ricopre un obiettivo fondamentale nell’orientare la politica germanica, rivolta tendenzialmente a non terrorizzare la popolazione civile trentina. Allo stesso tempo, le modalità dell’azione repressiva nazista prefigurano l\’adozione di una strategia preventiva, tesa a colpire i resistenti prima ancora che questi riescano ad avviare una guerriglia vera e propria.

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Sorto nel settembre 1943, il CLN di Trento guidato da Manci aveva gettato le basi per costituire una brigata partigiana intitolata a Cesare Battisti e affidata all’ex ufficiale degli alpini Gastone Franchetti. Agli inizi del 1944, le autorità tedesche organizzano però un servizio d’intelligence in grado di controllare gli eventuali sviluppi del movimento d’opposizione trentino, dove l’austriaco Carlo von Stein fa da intermediario tra la polizia nazista e un nucleo d’informatori fascisti attivi nel Basso Sarca. In particolare, la Gestapo riesce a infiltrare la spia Fiore Lutterotti che fornisce ai Comandi nazisti di Trento e Bolzano tutte le informazioni su scopi e struttura del movimento d’opposizione clandestino.

GIANNANTONIO MANCI

GIANNANTONIO MANCI

Tra maggio e giugno 1944, la Resistenza trentina è così stroncata da una serie di operazioni di polizia, ad esempio, in Valsugana e val di Fiemme intorno alla fine di maggio 1944. All’alba del 28 giugno 1944, in diverse località tra Riva del Garda e Rovereto, furono giustiziate 11 persone. Nelle ore successive, i tedeschi arrestarono altre persone tra cui Giannantonio Manci, Gastone Franchetti, Giuseppe Porpora, Giorgio Tosi, Remo Ballardini, Giuseppe Ferrandi e Gino Lubich.

Sede del Comando del Corpo d’Armata di Bolzano dove dal 1943 al 1945 si insediò la “Gestapo”. Nella sala caldaie avvenivano interrogatori e sevizie. Qui furono “interrogati”, prima del processo davanti al Tribunale Speciale, Angelo Peruzzo, Manlio Silvestri e Armando Bortolotti. Nel cortile interno, il 7 luglio 1944, trovò la morte Giannantonio Manci, dopo essersi buttato dall’ultimo piano

Sede del Comando del Corpo d’Armata di Bolzano dove dal 1943 al 1945 si insediò la “Gestapo”. Nella sala caldaie avvenivano interrogatori e sevizie. Qui furono “interrogati”, prima del processo davanti al Tribunale Speciale, Angelo Peruzzo, Manlio Silvestri e Armando Bortolotti. Nel cortile interno, il 7 luglio 1944, trovò la morte Giannantonio Manci, dopo essersi buttato dall’ultimo piano

Manci si suicidò a Bolzano il 6 luglio 1944, Franchetti e Porpora furono fucilati nell’agosto successivo, mentre la maggior parte degli altri imputati (circa una sessantina) fu condannata a varie pene detentive da scontare nel campo di transito (Polizei Durchgangslager) di Bolzano o in altri lager nazisti.

L’operazione di polizia fu preparata dai Comandi della Gestapo di Bolzano e Trento con la partecipazione di alcuni militi del Südtiroler Ordnungsdienst (SOD, Servizio d’ordine sudtirolese). La documentazione prodotta dagli organismi militari giudiziari italiani in relazione all’eccidio del 28 giugno è stata messa a disposizione della ricerca storica solo nel 2005, attraverso la collaborazione tra la Procura militare di Verona e la Fondazione Museo storico del Trentino in concomitanza con il sessantesimo anniversario della liberazione.

Il comando del Corpo d'armata dall'interno del cortile. Dalla finestra centrale dell'ultimo piano si gettò Manci

Il comando del Corpo d’armata dall’interno del cortile. Dalla finestra centrale dell’ultimo piano si gettò Manci

Nel dopoguerra, la CAS di Trento aprì una serie di procedimenti a carico degli ufficiali nazisti e degli informatori al loro servizio. Thyrolf, Bunte e Schmidt non furono sottoposti a processo in quanto cittadini tedeschi, von Stein perché cittadino austriaco. Sigfried Hölzl, essendo d’origine altoatesina e dunque avendo la cittadinanza italiana, fu condannato a 30 anni di reclusione, di cui dieci condonati in virtù del decreto d’indulto del 22 giugno 1946: la Corte di cassazione, il 20 maggio 1949, annullò la sentenza rinviandola alla Corte d’assise di Verona.

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Un altro ufficiale nazista, sudtirolese di nascita, Friedrich Amorth, all’epoca dei fatti capitano delle SS di stanza ad Arco, fu condannato a 10 anni: nel dicembre 1946, la Corte di cassazione estinse la pena in virtù del decreto presidenziale d’amnistia del giugno 1946. Carlo Pedrini fu condannato a 12 anni di reclusione, ridotti a dieci per la concessione delle attenuanti generiche: pochi mesi dopo, nel dicembre 1946, la Cassazione dichiarò estinti i reati ascrittigli ordinandone la scarcerazione. Anselmo Brugnoli e Arrigo Badiani furono assolti per insufficienza di prove: d’accordo con l’Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo, il pubblico ministero della Corte trentina ricorse in Cassazione.

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Il 10 dicembre 1946 la Corte suprema confermò la fondatezza del ricorso ma, essendo intervenuta l’amnistia, non sussistevano più gli estremi per un ulteriore rinvio a giudizio e archiviò la pratica. Costante Bertamini fu condannato a 30 anni di reclusione, di cui dieci condonati in virtù del decreto d’indulto del giugno 1946: la Corte di cassazione, il 20 maggio 1949, annullò la sentenza rinviandola alla Corte d’assise di Verona. Giancarlo Poli fu assolto per «mancanza della capacità d’intendere e di volere».

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Gino Zagarella fu condannato a 10 anni di prigione, pena poi amnistiata. A carico di Lutterotti, si aprì un fascicolo processuale, subito chiuso in istruttoria per l’avvenuto decesso.

La vittima

  1. MANCI Giannantonio
    Trento, 14 dicembre 1901-Bolzano, 6 luglio 1944. Dopo l’avventura di Fiume, s’iscrive al Partito repubblicano italiano (PRI) opponendosi al fascismo. Nel 1924, si avvicina a Randolfo Pacciardi, tra i fondatori del movimento Italia Libera. Nel 1923, forma a Trento una sezione di Italia Libera; durante gli anni trenta, organizza con successo l’espatrio di numerosi antifascisti tra cui lo stesso Pacciardi. Dopo l’armistizio del settembre 1943, comincia a raccogliere munizioni ed esplosivo in vista della costituzione della Brigata partigiana Cesare Battisti. Autore di due Manifesti del socialismo trentino (agosto 1943 e febbraio 1944) in cui esalta la libertà, la democrazia e l’autonomia amministrativa entro la cornice di un\’Italia repubblicana e di un’Europa federale. Nominato presidente del CLN di Trento, è arrestato dalla Gestapo il 28 giugno 1944. Sottoposto a torture, muore suicida a Bolzano il 6 luglio 1944 per non tradire i compagni di lotta.

martiri_1Una lapide presso il Municipio (loggia pretoria) di Riva del Garda ricorda gli antifascisti e i partigiani caduti tra il 1943 e il 1945 nel Basso Sarca. Nel cimitero di Grez di Riva del Garda è stata posta un’ara dedicata a caduti nella seconda guerra mondiale, tra cui Meroni, Impera e Franchetti. Accanto alle scuole medie di Riva, il Parco della libertà ospita una stele dedicata alle vittime del 28 giugno 1944.

Il Museo alto Garda (MAG) presso la Rocca di Riva ha riservato una parte dei suoi spazi all’allestimento di una mostra dal titolo Achtung banditen! La Resistenza nel Basso Sarca 1943-1945, interamente dedicata ai fatti del 28 giugno e alle vicende della Resistenza partigiana locale.

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E’ stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria a Giannantonio Manci, con la seguente motivazione: «Educato alla scuola dei sommi apostoli dell’irredentismo, fece suo il credo che rese bello il morire per la Patria. Animatore e trascinatore di popolo, seppe fondere energie e volontà per la redenzione dell’Italia da asservimenti e tirannidi. Nel nuovo risorgimento italiano, seguendo gli ammaestramenti degli avi, prese il posto additatogli dai martiri che lo precedettero nel sacrificio.

Vile delazione lo dava nelle mani dei nemici che invano frugarono il nobile animo e piuttosto che procurare ad essi la sadica gioia di vederlo lentamente morire, dalla finestra della prigione si lanciava a capo fitto nel vuoto bagnando col sangue generoso la terra della Patria, che dal vermiglio amplesso fu fecondata per le future glorie».

Nella foto sopra il momento del suono della Renga, la campana della torre civica Apponale, che alle 8 del mattino dello scorso 28 giugno come ogni anno ha aperto la giornata delle commemorazioni; il primo a sinistra è il sindaco Mosaner, il primo a destra Giorgio Tosi.

Nella foto sopra il momento del suono della Renga, la campana della torre civica Apponale, che alle 8 del mattino dello scorso 28 giugno come ogni anno ha aperto la giornata delle commemorazioni; il primo a sinistra è il sindaco Mosaner, il primo a destra Giorgio Tosi.

Ogni 28 giugno, alle otto del mattino, i rintocchi della Renga, la campana della torre municipale, svegliano i rivani a ricordo dei drammatici fatti del 1944; la cerimonia è sempre seguita da iniziative commemorative e culturali dedicate alla Resistenza e all’eccidio del 28 giugno.

SS/SD Trento e Bolzano – Reparto Nazista – Nazionalità: Tedesca

Stragi di cui è responsabile o corresponsabile questo reparto:

  1. Arco 28-6-1944(quattro vittime)
  2. Limone 28-6-1944(una vittima)
  3. Nago 28-6-1944(una vittima)
  4. Riva del Garda 28-6-1944(quattro vittime)
  5. Rovereto 28-6-1944(una vittima)
  6. Bolzano 6-7-1944(una vittima)
  7. Fonzaso 10-8-1944(una vittima)
  8. Bolzano 29-8-1944(una vittima)

MERANO

Nell’agosto 1944, Giovanni Gasperin (17 marzo 1919) con due amici stava transitando per via Piave a Merano, quando incontrò due militari delle SS tedesche che gli auguravano la buona notte in tedesco.

La vittima e i compagni risposero al saluto in italiano, fatto questo che suscitò l’irritazione dei soldati tedeschi che, probabilmente sotto l’effetto di alcolici, iniziarono a offendere e insultare i tre uomini. I civili italiani non risposero alle provocazioni e tentarono di allontanarsi ma uno dei tedeschi, ubriaco, li inseguì sparando un colpo che raggiunse e uccise Giovanni Gasperin.

La vittima:

  • GASPERIN, Giovanni
    17 marzo 1919 – Merano, 19 agosto 1944.

Persone responsabili o presunte responsabili : Leopoldo Pietro L’Oscha, nominativo emerso dalla documentazione giudiziaria della Procura Militare di Verona.

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Bolzano, 29 agosto 1944. Viene fucilato a Bolzano Gastone Franchetti.

La vittima:

  • FRANCHETTI Gastone
    Castelnuovo Garfagnana (LU), 22 settembre 1920-Bolzano, 29 agosto 1944. Alpino del Battaglione Trento, Divisione Pusteria, combatte sul fronte greco-albanese. Rientrato in Italia nel giugno 1941, frequenta il corso per allievi ufficiali di complemento (AUC) diventando sottotenente nell’ottobre 1942 e partecipando alle operazioni antipartigiane nei Balcani. Tornato a Riva dopo l’8 settembre, collabora con Giannantonio Manci che lo incarica di inquadrare militarmente una formazione partigiana in via di costituzione, la Brigata Cesare Battisti. Tiene così contatti col generale Luigi Masini, già suo comandante e futuro responsabile delle formazioni partigiane di orientamento cattolico (Fiamme verdi). Arrestato agli inizi del 1944 da una colonna della Guardia nazionale repubblicana (GNR) di Verona, è rilasciato per volontà delle autorità tedesche dell’Alpenvorland. Catturato il 29 giugno 1944 a Pinzolo su delazione dell’ex compagno di scuola e spia della Gestapo Fiore Lutterotti, è trasferito a Bolzano, dove viene processato e fucilato il 29 agosto 1944.
Gastone Franchetti in divisa di alpino

Gastone Franchetti in divisa di alpino

Persone responsabili o presunte responsabili: Alois Schmidt, individuato sulla base di indagine o di procedimento italiano. Aggsbach (Austria), 24 luglio 1894. Capitano delle SS e capo della 4. Sezione della Gestapo di Bolzano (maggio-ottobre 1944). In precedenza, aveva prestato servizio a in Piemonte sin dal settembre 1943 macchiandosi di incendi, devastazioni ed esecuzioni di partigiani e prigionieri politici, tra dicembre 1943-maggio 1944 e settembre 1944.

Anselmo Brugnoli – Arco, 7 ottobre 1904. Pittore, nullatenente; iscritto al Partito fascista sin dal novembre 1923 e milite della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) dal settembre 1939. Spia dei tedeschi. Arrigo Badiani – Prato (Firenze), 15 aprile 1899. Residente a Riva del Garda, negoziante di vini. Fondatore del fascio di combattimento di Riva, squadrista e marcia su Roma, la sua taverna divenne ricettacolo per tutti gli informatori fascisti attivi nel Basso Sarca.

Copertina di un fascicolo del Tribunale Speciale riguardante i procedimenti contro i partigiani del Basso Sarca arrestati durante la notte del 28 giugno 1944: Gastone Franchetti, Giuseppe Porpora, Giuseppe Ferrandi, Luigi Lubich, Giorgio Tosi

Copertina di un fascicolo del Tribunale Speciale riguardante i procedimenti contro i partigiani del Basso Sarca arrestati durante la notte del 28 giugno 1944: Gastone Franchetti, Giuseppe Porpora, Giuseppe Ferrandi, Luigi Lubich, Giorgio Tosi

Carlo Pedrini –  Madruzzo, 8 agosto 1882. Residente ad Arco, proprietario coltivatore, condizione economica buona. Fascista e delatore. Carlo von Stein – Iglau (Moravia), 22 luglio 1894. Ex capitano di cavalleria dell’esercito austro-ungarico. Si trasferì in Italia nel 1938, al momento dell’Anschluss. Dopo l’occupazione tedesca (settembre 1943), divenne informatore al servizio della Gestapo di Trento.

Costante Bertramini – Smirne, 18 agosto 1905. Già sedicente ispettore dell’ufficio alimentazione di Riva, latitante. Informatore dei tedeschi. Fiore Lutterotti –  Pergine, 28 dicembre 1918-Salò (Brescia), 1 maggio 1945. Amico ed ex compagno di scuola di Gastone Franchetti presso il Liceo Maffei di Riva.

Partecipò alla guerra 1940-1943. Internato in Germania dopo l\’8 settembre 1943, rientrò in Italia dopo aver aderito alla RSI. Nel 1944, s’infiltrò nel movimento ottenendo la fiducia di Franchetti e confidando le informazioni raccolte a Carlo von Stein, intermediario con le SS di Riva del Garda e con la Gestapo di Trento: morì a Salò in circostanze mai chiarite nei giorni conclusivi del conflitto.

La domanda di grazia firmata dal padre di Gastone Franchetti. La carta intestata è quella del carcere di Trento dove i genitori di Gastone si trovano agli arresti dal 28 giugno (Museo Storico di Trento)

La domanda di grazia firmata dal padre di Gastone Franchetti. La carta intestata è quella del carcere di Trento dove i genitori di Gastone si trovano agli arresti dal 28 giugno (Museo Storico di Trento)

Friedrich Amorth –  Merano (Bolzano), 8 dicembre 1906. Segretario d’albergo. Capitano delle SS di stanza ad Arco dopo aver combattuto sul fronte orientale tra il 1941 e il 1942.

Giancarlo  Poli – Riva del Garda, 8 novembre 1927. Volontario nella Guardia nazionale repubblicana (GNR) e collaboratore dei tedeschi. Gino Zagarella – Villa San Giovanni, 7 dicembre 1908. Residente a Riva del Garda, commercialista. Fra il febbraio e il luglio 1944, collaborò con i tedeschi e ingaggiò alcuni giovani nella Decima MAS. Giovanni Krones – Tenente delle SS d’origine viennese.

Helmut Bunte –  Colonia, 1905/1906. Oste. Capitano delle SS e capo della 3. Sezione della Gestapo di Bolzano. Sigfried  Holz – Lagundo (Bolzano), 8 luglio 1906. Laureato in scienze commerciali. Dopo l’occupazione tedesca dell\’Alto Adige (settembre 1943), entra nelle SS con il grado di tenente divenendo poi comandante della Gestapo di Trento.

Gastone Franchetti fucilato a Bolzano il 29 agosto 1944

Gastone Franchetti fucilato a Bolzano il 29 agosto 1944

Rudolph  Thyrolf  – Varsavia, 1906. Maggiore delle SS, responsabile della polizia di sicurezza e della SD di Bolzano.

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Il 12 settembre 1944 a Oltrisarco saranno ben 23 le vittime di un eccidio nazifascista. Ma vediamo di capire in quale contesto accadde questa tremenda strage. A seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, il governo italiano trasferitosi a Brindisi autorizzò il Servizio informazioni militari (SIM) dell’Esercito a studiare una serie di operazioni volte a mantenere i collegamenti con i territori dell\’Italia centro-settentrionale rimasti sotto il controllo delle autorità nazifasciste. Soprattutto a partire dalla metà d\’ottobre 1943, cioè dalla dichiarazione di guerra del Regno del Sud alla Germania e dalla co-belligeranza con gli alleati, queste iniziative assunsero carattere ufficiale e realmente operativo con la collaborazione e l’assistenza alleata.

Victims of German SS and Hungarian Arrow Cross terror in the ghetto

Si trattava d’inviare nei territori occupati alcune missioni, gruppi composti da militari e civili italiani, con incarichi di carattere informativo e di sabotaggio. Ancora prima che il movimento di Resistenza assumesse dimensioni tali da suscitare l’interesse alleato (estate 1944), queste missioni avevano il compito di allacciare contatti con le nascenti organizzazioni resistenziali. Paracadutate o giunte nelle retrovie del fronte nemico attraverso sbarchi sulle coste settentrionali, queste missioni avrebbero poi inviato ai comandi alleati e italiani dislocati nel Meridione le informazioni raccolte sul campo.

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I 23 agenti facevano parte di nove missioni (Rye, Berardinelli/Rick, Croft/Adolfo, Dulwich/Ambleside, Prune team Lemon/Lupo, Advent, Prune/Grape I, Viola, Nino/La Fonte Chain), più alcune anglo-americane non meglio specificate, lanciate a partire dal dicembre 1943 e fino al maggio 1944.

Catturati in tempi diversi dalle autorità della RSI, i 23 uomini passarono tutti dalle carceri di Verona per poi essere consegnati ai tedeschi che, tra la fine d’agosto e i primi di settembre 1944, ne organizzarono il trasferimento presso il campo di concentramento di transito (Polizei-Durchgangslager di Bolzano), già campo di Fossoli/Carpi.

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Giunti nel Lager di via Resia, i 23 non furono nemmeno immatricolati, mantennero i loro abiti e furono tenuti separati dagli altri internati del campo. All’alba del 12 settembre, furono prelevati e condotti presso l’ex caserma d’artiglieria Francesco Mignone, situata nel quartiere Oltrisarco sempre a Bolzano, e qui furono giustiziati presso le stalle della caserma, ognuno con un colpo d’arma da fuoco alla nuca.

ANDREA DEI GRANDI

ANDREA DEI GRANDI

I corpi furono in seguito portati presso il Cimitero Maggiore e gettati in una fossa comune, in terra sconsacrata e senza alcun segno di riconoscimento. Dietro l’eccidio non risulta esserci alcuna motivazione di carattere militare – per anni si è ipotizzato che l’eccidio fosse una rappresaglia per un attacco subito dalle forze d\’occupazione, in realtà mai compiutosi – ma solo la volontà di giustiziare degli uomini che avevano opposto un rifiuto alle violenze e alle brutalità tedesche e fasciste, dirette a strappare informazioni e notizie sulla loro attività militare e d’intelligence.

Le celle del Lager di Bolzano

Le celle del Lager di Bolzano

Karl Gutweniger fu processato dalla CAS di Bolzano per essere stato una delle guardie del Lager di Fossoli e di Bolzano. Il 13 dicembre 1946 fu condannato a 18 anni di reclusione in contumacia, pena ridotta a 12 anni in virtù delle attenuanti, per il reato di «collaborazione con il tedesco invasore» in relazione alle uccisioni compiute a Fossoli, mentre fu assolto per insufficienza di prove in relazione all\’eccidio dei 23 a Bolzano. Notizie circa l’eccidio sono desumibili anche dai procedimenti avviati dalla PMT di Verona contro Karl Friedrich Titho e Hans Haage.

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ANTONIO BALDANELLO

Le vittime

1) APOLLONI, Vilores
Pola, 12 marzo 1923 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Giovanni e di Mozzetti Celestina, celibe.
2) BALDANELLO, Antonio
Bologna, 21 novembre 1912 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Giuseppe e Prosdocimi Dora, residente a Venezia, coniugato, studente di musica, militare.

SERGIO BALLERINI

SERGIO BALLERINI

3) BALLERINI, Sergio
Firenze, 4 novembre 1919 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Roberto e di Borgonetti Elisa, celibe, militare.

FRANCESCO BATTAGLIA

FRANCESCO BATTAGLIA

4) BATTAGLIA, Francesco
Bitonto (BA), 6 settembre 1919 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Vincenzo e di Abbatanduono Anna Maria, celibe.

CESARE BERARDINELLI

CESARE BERARDINELLI

5) BERARDINELLI, Cesare
Venezia, 5 maggio 1917 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Alfredo e di Galvagna Alba, residente a Roma, coniugato con due figli, militare.

FRANCESCO COLUSSO

FRANCESCO COLUSSO

6) BOTTA, Guido
Bari, 1 giugno 1895 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Antonio e di Maggio Concetta, domiciliato a Roma, celibe, militare.
7) COLUSSO, Francesco
San Michele al Tagliamento (Venezia), 12 aprile 1916 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Guglielmo e di Moni Anna, celibe, maestro e laureando in giurisprudenza, tenente di complemento del 26. Reggimento fanteria, Divisione Bergamo, medaglia di bronzo al valor militare ottenuta sul fronte dell\’Africa settentrionale nel 1942.
8) DEI GRANDI, Andrea
Venezia, 3 novembre 1919 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Romano e di Spinola Elisa, celibe, meccanico e motorista navale nell\’esercito.

DOMENICO DI FONZO

DOMENICO DI FONZO

9) DI FONZO, Domenico
Campodimele (Latina), 15 marzo 1917 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Antonio e di Capriccio Giuseppa, residente a Pizzighettone (Cremona), coniugato con tre figli, maresciallo del Regio esercito, addetto al reclusorio militare di Pizzighettone.
10) FAGGIANO, Pompilio
San Donaci (Brindisi), 4 giugno 1916 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Vincenzo e di Sturdà Vita Maria, coniugato con tre figli, militare.

POMPILIO FAGGIANO

POMPILIO FAGGIANO

11) FERLINI, Ferdinando
12) FIORENTINI, Antonio
Bologna, 8 ottobre 1900 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Alfonso e di Forni Giuseppina, coniugato con due figli.
13) FOGLIANI, Domenico
Reggio Emilia, 17 aprile 1921 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Leonida e di De Pietri Giuditta, residente a Verona, celibe, capostazione radiotelegrafista presso lo Stato maggiore regio esercito (SMRE).

TITO GENTILI

TITO GENTILI

14) GENTILI, Tito
Fano (Pesaro), 3 ottobre 1921 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Vito e di Porfiri Maddalena, celibe, assistente edile, aviere.
15) LENCI, Dante
Arcevia (Ancona), 1 dicembre 1919 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Amato e di Branchini Maria, residente a Sassoferrato (Ancona), celibe, ex ufficiale della Regia marina.

DANTE LENCI

DANTE LENCI

16) MAROCCO, Gian Paolo
Varese, 1 aprile 1920 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Domenico e di Rossi Giuditta, celibe, articolatore, marinaio sottocapo e radiotelegrafista sulla nave corazzata Vittorio Veneto.
17) MONTEVECCHI, Domenico Aldo
Faenza (Ravenna), 6 agosto 1909 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Santo e di Succi Virginia, coniugato, sarto.

DOMENICO ALDO MONTEVECCHI

DOMENICO ALDO MONTEVECCHI

18) PAIANO, Ernesto
Maglie (Lecce), 28 novembre 1917 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Angelo e di Cassa Leonida, coniugato.
19) PAPPAGALLO, Antonio
Molfetta (Bari), 2 gennaio 1898 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Domenico e di Del Vescovo Rosa, domiciliato a Roma, coniugato con due figlie, maresciallo della Regia marina.

ANTONIO PAPPAGALLO

ANTONIO PAPPAGALLO

20) PAVANELLO, Milo
Barbona (Padova), 10 ottobre 1909 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Domenico Giuseppe e di Gasparini Lavinia Celeste, residente a Milano, coniugato, disegnatore e elettrotecnico del Regio esercito.
21) PREDA, Angelo
Verano Brianza (MB), 17 ottobre 1917 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Achille e di Viganò Giuseppa Maria, residente a Monza, celibe, panettiere e marconista del Regio esercito.

ERNESTO PAIANO

ERNESTO PAIANO

22) PUCELLA, Ernesto
Castel Madama (Roma), 9 settembre 1918 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Luigi e di Chicca Francesca, soldato presso l\’81. Reggimento fanteria, Divisione Torino.
23) VENTURI, Annibale
San Felice sul Panaro (Modena), 20 febbraio 1911 – Bolzano, 12 settembre 1944. Figlio di Enrico e di Guidetti Aldina, residente a Ferrara, vedovo e nuovamente coniugato don due figli, impiegato.

ANGELO PREDA

ANGELO PREDA

Responsabili o presunti responsabili: Befehlshaber dello Sicherheitsdienst (SD) di Verona – Polizei-Durchgangslager Bolzano. Tipo di reparto: Polizei

Hans Haage – Vicecomandante del Lager di via Resia. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger. Nome ignoto, Cognome Guardia, presso il Lager di via Resia, di origine russa. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger.  Karl  Gutweniger – Merano, 1903. Fornaio e guardacaccia, già optante per la Germania, si arruolò della Polizia di sicurezza tedesca (SD) all’indomani dell\’8 settembre 1943 prendendo servizio come guardia presso i Lager di Fossoli e di via Resia a Bolzano. Al momento della smobilitazione del campo di Fossoli/Carpi, il 12 luglio 1944 aveva partecipato all’eccidio del Cibeno, nel quale furono uccisi 67 internati del campo.

Imputato dinnanzi alla CAS di Bolzano. Karl  Rotter –  Agente della Gestapo giunto da Verona. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger. Karl Friedrich Titho – Comandante del Lager di via Resia. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger.  Kurt Hasenstein – Agente della Gestapo giunto da Verona. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger.

Karl Friedrich Titho

Karl Friedrich Titho

Paola Plattner – Guardiana presso il Lager di via Resia. Nominativo emerso dalla testimonianza dell’imputato Gutweniger.

Una lapide, con i nomi delle 23 vittime, fu collocata presso il Cimitero militare di San Giacomo al momento della traslazione delle salme dal Cimitero comunale.

Nel 2004, il Comune di Bolzano ha posto una lapide a ricordo dell’eccidio su uno dei muri ancora esistenti dell’ex caserma Mignone, abbattuta nel 1999.Nel 2010, il Comune di Bolzano ha intitolato una piazzetta (I 23 del Mignone) nel nuovo quartiere che ora sorge sul terreno della caserma abbattuta.

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E’ stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare a Cesare Berardinelli con la seguente motivazione: «Esente da obblighi militari abbandonava la famiglia e passava le linee per mettersi a disposizione di un comando italiano, offrendosi volontariamente per missioni di guerra nel territorio occupato dal nemico. Sbarcato a tergo delle linee avversarie e catturato, dopo lunga e penosa detenzione in un campo di concentramento veniva fucilato. Esempio di amor patrio e di grande coraggio. Fronte italiano, novembre 1943 – settembre 1944».

Medaglia d’argento al valor militare alla memoria concessa a Pompilio Faggiano con la seguente motivazione: «Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma, 20 gennaio 1948. Volontario per una missione di guerra in territorio italiano occupato dal nemico, veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie.

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Arrestato nell’adempimento del dovere sopportava serenamente lunghi mesi di prigionia. Inviato in un campo di concentramento dell’Italia settentrionale vi cadeva vittima delle barbarie tedesche. Italia settentrionale, 28 febbraio 1944 -19 settembre 1944». Medaglia d’argento al valor militare alla memoria concessa a Tito Gentili con la seguente motivazione: «Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma, 14 marzo 1948. Offertosi volontario per operare in territorio italiano occupato dai Tedeschi, veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie in qualità di R.T. di una missione di collegamento.

Dopo un breve periodo di attività veniva arrestato dal nemico nell’adempimento del proprio dovere. Deportato in un campo di concentramento dell’Italia settentrionale sopportava stoicamente maltrattamenti e disagi rifiutandosi di rivelare le fila dell’organizzazione cui apparteneva. Per reazione alla passiva resistenza, determinato da elevato senso del dovere, veniva fucilato. Italia settentrionale, 15 febbraio 1944 – 12 settembre 1944».

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Medaglia d’argento al valor militare alla memoria concessa a Dante Lenci con la seguente motivazione: «Volontario per una operazione di guerra, sbarcato clandestinamente come capo missione militare in territorio occupato dal nemico, riusciva, superando con abilità e coraggio impreviste difficoltà, ad impiantare una efficiente organizzazione. Arrestato dal nemico, sotto i duri interrogatori teneva contegno degno di un soldato, chiudendosi in un orgoglioso silenzio. Dopo nove mesi di detenzione veniva fucilato in un campo di concentramento. Fronte italiano, 29 settembre 1943 – 11 settembre 1944».

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GIAN PAOLO MAROCCO

Medaglia di bronzo al valor militare alla memoria concessa a Gian Paolo Marocco con la seguente motivazione: «Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma, 20 maggio 1948. Volontario per una rischiosissima missione di guerra veniva sbarcato clandestinamente nel territorio italiano occupato dal nemico. Catturato allo sbarco, duramente interrogato e detenuto per otto mesi, veniva successivamente fucilato in un campo di concentramento tedesco. Fronte italiano, 30 novembre 1943 – 11 agosto 1944».

Medaglia d’argento al valor militare alla memoria concessa a Ernesto Paiano con la seguente motivazione: «Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma, 14 marzo 1948. Volontario per una missione di guerra in territorio occupato dal nemico veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie.

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Arrestato nell’adempimento del compito assegnatogli, sopportava lunghi mesi di prigionia. Inviato in un campo di concentramento dell’Italia settentrionale sopportava stoicamente maltrattamenti e disagi rifiutandosi di rivelare le fila dell\’organizzazione cui apparteneva. Per reazione alla passiva resistenza, determinata da elevato senso dovere, veniva fucilato. Italia settentrionale, 28 febbraio 1944 – 12 settembre 1944».

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Dal 1945 al 1950, si tennero a Bolzano il 12 settembre di ogni anno commemorazioni a ricordo dell’eccidio, con il coinvolgimento delle autorità civili e religiose cittadine e i familiari, presso il cimitero comunale. A partire dal 1950, con la traslazione delle salme nel Cimitero militare l’iniziativa andò scomparendo fino all’inizio del nuovo secolo, quando l’Archivio storico di Bolzano diede avvio a una nuova stagione di ricerche relative alla storia del campo di Bolzano approfondendo anche gli eventi legati all’eccidio dei 23. Dal 2004 in poi, si è ripreso a celebrare pubblicamente l’eccidio, ogni 12 settembre.

 

Heinrich von Vietinghof

Heinrich von Vietinghof

Nove le vittime (tra le quali anche un bambino e un anziano) il 30 aprile 1945 a Merano. Nelle ultime settimane del conflitto, Bolzano aveva cominciato ad accogliere gli stati maggiori dei generali Heinrich von Viethingoff e Karl Wolff, protetti da un contingente di soldati via via accresciutosi con l’inizio del ripiegamento delle armate tedesche: verso la fine del conflitto, le forze di stanza in Tirolo assommavano a circa 70 mila uomini cui si aggiungevano altre migliaia dei presidi e delle forze di polizia dell’Alpenvorland.

KARL WOLFF

KARL WOLFF

Una presenza militare ragguardevole e potenzialmente in grado di organizzare l’ultima, disperata difesa nazista. Intorno alla fine di aprile, le trattative dell’operazione Sunrise si accavallarono e sovrapposero a quelle condotte da Bruno De Angelis, nuovo responsabile del ricostituito CLN di Bolzano, che aveva preso contatto con le massime autorità militari germaniche.

L’obbiettivo di De Angelis era ottenere il controllo della provincia in nome del governo italiano e nel contempo impedire che i tedeschi, sobillati dai circoli filo-nazisti sudtirolesi, potessero sfruttare la situazione per scatenare un massacro dei cittadini di lingua italiana, e avanzare poi pretese nazionalistiche sulla zona.

Per questo motivo, De Angelis e i suoi collaboratori volevano ottenere al più presto il passaggio di consegne; approfittando del caos di competenze che si stava profilando negli organi di occupazione tedeschi, il CLN bolzanino decise d’intervenire allo scopo di dimostrare in maniera sostanziale l’italianità dei territori altoatesini.

De Angelis col governatore alleato McBratney

De Angelis col governatore alleato McBratney

Nella mattinata del 30 aprile, il CLN di Merano ordinò l’occupazione del Municipio cittadino da parte di un gruppo di armati, composto di patrioti e vigili urbani, che furono però subito arrestati e dispersi. Un’azione non voluta da Bruno de Angelis, favorevole semmai a una manifestazione patriottica e pacifica. Nel frattempo, infatti, si era andata diffondendo la voce che la «guerra era finita» e molti meranesi di lingua italiana erano scesi in strada a festeggiare la conclusione del conflitto: un mini-corteo di 30 persone, poi ingrossatosi a qualche centinaio, si radunò in piazza del Grano.

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Qualcuno aveva un bracciale tricolore al braccio e qualche bandiera, ma la folla era completamente disarmata. A un certo punto, il corteo si divise: una parte, giunta in corso Principe di Piemonte, fu fatta segno a colpi d’arma da fuoco da parte di tre soldati tedeschi, sobillati da alcuni giovani abitanti sudtirolesi. Il primo a cadere fu un bambino di 7 anni, Paolo Castagna; pochi istanti e anche Otello Neri, che aveva cercato di prestare soccorso al ragazzino, fu ucciso.

Nel frattempo, all’incirca a mezzogiorno, la parte restante del corteo si stava dirigendo verso il centro cittadino quando fu bersagliata da colpi d’arma da fuoco sparati da alcune SS. Sempre istigati da alcuni sudtirolesi, i militari cominciarono a inseguire i manifestanti sparando all’impazzata raffiche di fucileria e mitragliatrice uccidendo così Orlando Comina, Andrea D’Amico, Dino Ferrari, Benone Vivori, Luigi Zanini, Gino Berini e Giulio Bertini; altri 11/12 italiani rimasero feriti, tra questi Luigi Boschesi, Pietro Lonardi, Mario Miglioranzi e Ugo Donati.

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Probabilmente, l’attacco al Municipio aveva allarmato ufficiali e soldati tedeschi spingendoli ad adottare una linea dura di fronte all’improvvisato corteo. È altrettanto certo che pesarono gli incitamenti manifestati da alcuni abitanti di lingua tedesca.

Nel dopoguerra, la CAS di Bolzano giudicò i meranesi di lingua tedesca che avevano istigato i soldati tedeschi e partecipato in qualche modo alle uccisioni: Giacomo Martinger, Giovanni Mittelberger, Augusto Knoll, Carolina Knoll, Siglinda Heidenreich, Luisa Weirauther, Herta Maringele; Ugo Knoll riuscì invece a darsi latitante.

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Gli otto furono accusati di avere collaborato col tedesco invasore nella sanguinosa repressione di una pacifica manifestazione concorrendo con i militari tedeschi nell’uccisione di Benone Vivori, Otello Neri, Luigi Trabacchi, Andrea d’Amico, Luigi Zanini, Giulio Bertini, Dino Ferrari, Orlando Comina e di avere concorso al ferimento di altre 11 persone.

Carolina Knoll fu condannata all’ergastolo, mentre Herta Maringele, Augusto e Ugo Knoll a 30 anni di prigione – quest’ultimo sarà catturato nel novembre 1946 a Prato allo Stelvio. Assolti per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove: Luisa Weirauther, Siglinda Heidenreich, Giacomo Martinger. Nel luglio 1946, l’«amnistia Togliatti» portò alla scarcerazione dei quattro condannati.

L'esumazione delle salme dei fucilati a Brunico

L’esumazione delle salme dei fucilati a Brunico

Come per la «Battaglia di Bolzano», anche per Merano esiste una memoria frammentata dal punto di vista della ricostruzione storica. Alcuni, come ad esempio Giovanni Perez, sostengono che la strage di Merano fu un atto barbarico compiuto contro una folla di manifestanti inermi e pacifici, che intendevano festeggiare la fine del conflitto – anche se l’annuncio ufficiale fu dato il 2 maggio 1945 e non il 30 aprile; altri, ad esempio Gerald Steinacher e Carlo Romeo, tendono a sottolineare il carattere politico di una manifestazione voluta (non senza divergenze) dai CLN di Merano e Bolzano e avvertita dai militari tedeschi e dalle autorità d’occupazione come un tentativo d\’insurrezione armata, come quelli che stavano contrassegnando le metropoli del Nord Italia.

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Questi studi, condotti da studiosi di lingua italiana e tedesca, hanno posto l’accento sulla disorganizzazione di entrambe le autorità, quella ciellenistica e quella tedesca, in una delicata fase di passaggio dalla guerra alla pace, non tralasciando di elencare, tra le possibili cause, anche il tentativo di garantire la sovranità italiana in un territorio difficile e problematico, caratterizzato da un aspro conflitto interetnico.

Le vittime

1) BERINI, Gino
† Merano, 30 aprile 1945. Civile. Non è stato possibile reperire altre informazioni presso l\’Ufficio anagrafe di Merano.
2) BERTINI, Giulio
Fiume, 10 marzo 1923 – Merano, 1 maggio 1945. Figlio di Giacomo Bertini e Antonietta Lugi, residente a Monza, celibe, civile.
3) CASTAGNA, Paolino Pietro
Tregnago (VR), 3 giugno 1937 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Riccardo Castagna e Maria Vanti, residente a Merano, celibe, civile.
4) COMINA, Orlando
Merano, 7 dicembre 1927 – 30 aprile 1945. Figlio di Antonio Comina e Linda Bragagna, residente a Merano, celibe, partigiano.
5) D\’AMICO, Andrea Carlo
Caltanisetta, 13 giugno 1914 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Orazio D\’Amico e Gius Giannellina, residente a Merano, coniugato con Anna Wilhelm, partigiano.
6) FERRARI, Dino
Lendinara (RO), 15 ottobre 1926 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Guglielmo Ferrari e Isolina Santato, residente a Bolzano, celibe, partigiano.
7) NERI, Otello
Lucca, 25 agosto 1911 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Roberto Neri e Giuseppina Borghi, residente a Lagundo (BZ), coniugato con Caterina Cainelli, partigiano.
8) VIVORI, Benone
Vezzano (TN), 12 novembre 1888 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Dositeo Vivori e Elvira Garbari, direttore didattico, residente a Merano, coniugato con Emma Felin, partigiano.
9) ZANINI, Luigi
Migliarino (FE), 12 maggio 1925 – Merano, 30 aprile 1945. Figlio di Antonio Zanini e Rina Reali, residente a Roma, celibe, partigiano.

Nel dopoguerra, fu posta in piazza Teatro a Merano una lapide dedicata ai civili caduti il 30 aprile 1945 per mano dei soldati tedeschi.Nel maggio 1946, si tennero a Merano delle cerimonie a ricordo dei fatti occorsi l’anno precedente. Da quel momento in poi, ogni 30 aprile l’episodio viene ricordato con manifestazioni e con la deposizione di corone di fiori presso la lapide di piazza Teatro a Merano.

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Il 30 aprile un corteo di italiani, scesi in strada a Merano con bandiere e bracciali tricolori, fu accolto a fucilate dalle SS tedesche: sul terreno rimasero nove morti e 11 feriti. Questi avvenimenti furono accompagnati da altre violenze: il 2 maggio, presso la polveriera di Cengles (Lasa) un gruppo di operai italiani della Todt cominciò a festeggiare la fine del conflitto facendo anche sparire un certo quantitativo di munizioni.

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Il piccolo distaccamento tedesco, incaricato della sorveglianza, si squagliò in fretta mentre veniva pre-allertato della «sommossa» un reparto della Feldgendarmerie di Silandro che inviò una squadra di soldati sul posto. Furono catturati e condotti nella piazza di Lasa 11 operai: qui un ufficiale della polizia militare cercò di linciare uno dei prigionieri ma gli abitanti di Lasa si opposero all\’esecuzione degli italiani in paese e convinsero i militari germanici a spostarsi fuori dal centro abitato.

In questo modo, i tedeschi condussero i prigionieri a mezzo chilometro di distanza: durante le operazioni di discesa dai mezzi, uno degli ostaggi riuscì a fuggire firmando però la condanna a morte degli altri 10 che furono fucilati uno dopo l’altro – solo uno riuscì a salvarsi perché svenne al momento della raffica e fu creduto morto.

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L’uccisione del medico condotto è più incomprensibile: intercettato nella notte mentre rientrava da una visita compiuta a Silandro, fu fucilato sullo stesso luogo e abbandonato accanto agli altri cadaveri.

L’eccidio non ha dato luogo a una memoria divisa: le vittime sono tutte italiane, fucilate senza un motivo oggettivo. Il problema è diverso se si guarda al particolare contesto etnico dell\’Alto Adige, dove l’esistenza di gruppi e gruppuscoli dell’estrema destra nazista, fortunatamente non diffusi, continua a offendere il ricordo dell’eccidio con atti vandalici e danneggiamenti, azioni intese in senso nazionalistico e ideologico.

Le vittime

1) ABOLIS, Mario
19 gennaio 1921 – Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
2) ALCHISI O ALGHISI, Battista
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. 53 anni, operaio della Todt.
3) BERIOLO, Emilio
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
4) CARLIN, Italo
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
5) DI LORENZI, Antonio
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
6) EPIS, Bonaventura
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
7) INDOVINA, Michele
† Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Medico condotto di Lasa.
8) LA ROCCA, Rocco
18 gennaio 1916 – Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
9) MAGRO, Gino
16 maggio 1920 – Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.
10) SARTORI, Fabio
11 aprile 1920 – Lasa (BZ), 2 maggio 1945. Operaio della Todt.

Responsabili o presunti responsabili: Nome: ignoto, Cognome: Burk – Maresciallo. Nominativo emerso dalla documentazione giudiziaria della Procura Militare di Verona. Nome: ignoto, Cognome: Wendermuth – Capitano. Nominativo emerso dalla documentazione giudiziaria della Procura Militare di Verona.

Un anno dopo l’eccidio, nel 1946, fu posto un cippo sul luogo dell’eccidio, tuttora esistente. Purtroppo, nel corso degli anni, il monumento è stato spesso oggetto degli atti vandalici dei gruppi neonazisti. Ugo Knoll, già implicato nell’eccidio di Merano del 30 aprile 1945, nel 1966 fu condannato dalla giustizia italiana a 2 anni e 3 mesi di reclusione per aver fatto saltare con la dinamite la lapide di Lasa nell’ottobre 1963. Episodio che andava comunque inserito nelle tensioni etniche e nel terrorismo sudtirolese del periodo a cavallo degli anni cinquanta-sessanta.

Il 3 maggio 1945 a Bolzano scoppiarono incidenti e scontri a fuoco tra reparti tedeschi e pattuglie della Divisione partigiana Alto Adige che provocarono 41 caduti tra partigiani (24) e civili (17), 35 feriti, e un numero imprecisato di morti e feriti da parte tedesca. Sullo stesso numero delle vittime italiane, del resto, le fonti non sempre concordano.

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Gli scontri si svolsero per lo più intorno alla zona industriale cittadina e presso gli stabilimenti della Lancia, ch’era stata praticamente occupata dai partigiani e dai patrioti, impegnati pure nel disarmo dei soldati tedeschi e delle colonne di passaggio. Secondo la ricostruzione compiuta dallo storico Carlo Romeo, una volta scoppiati gli incidenti, i soldati tedeschi, probabilmente paracadutisti, circondarono l’intera area e cominciarono a penetrare nei fabbricati fermando chiunque incontrassero: il ritrovamento dei corpi di alcuni militari, precedentemente caduti in un agguato, scatenò la reazione germanica.

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Il giovane Irfo Borin fu ritrovato con una pistola e passato per le armi; almeno una ventina di persone, per lo più operai ed ex internati in Germania, fu rastrellata e uccisa con raffiche di mitragliatrice lungo il muro della Lancia, mentre diverse decine furono tenute in ostaggio per il resto della giornata. Le origini della cosiddetta «Battaglia di Bolzano» andavano ricercate prima di tutto nei comandi germanici e nella confusa gestione della ritirata attraverso la città; in secondo luogo, pesarono la totale assenza di coordinamento dei comandi partigiani e l’avventatezza dei loro subordinati.

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Mentre ancora i combattimenti erano in corso, Wolff e Vietinghoff firmarono il documento in base al quale Bruno De Angelis assumeva l’amministrazione della provincia in nome del governo italiano, primo passo verso il mantenimento del Brennero da parte dell’Italia.

Considerata la varietà di reparti che affluirono a Bolzano nei giorni conclusivi del conflitto, non si hanno indicazioni precise sull\’eventuale reparto o i reparti autori delle violenze: alcuni testimoni parlano di paracadutisti, altri di militari della Wehrmacht.

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Risulta difficile (se non impossibile) individuare i partigiani effettivamente uccisi nei combattimenti rispetto a quelli deliberatamente giustiziati dai tedeschi.Dal dopoguerra in poi, si è mantenuto aperto un contenzioso storiografico, che sembra non aver lasciato traccia invece nella memoria della comunità bolzanina.

Il tema delle responsabilità ha, di fatto, catalizzato l’attenzione degli storici: chi sparò il primo colpo scatenando la «Battaglia di Bolzano»? Le tesi furono fin da subito diverse: i diretti protagonisti dell’insurrezione armata nel capoluogo altoatesino accusarono i soldati e le autorità militari tedesche di aver acceso la miccia sparando sugli operai della zona industriale che festeggiavano la fine del conflitto e che erano intervenuti allo scopo di salvare le installazioni industriali; la colpa ricadeva insomma sulla «brutalità» germanica.

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Studi più approfonditi, condotti da studiosi di lingua italiana e tedesca, hanno posto l\’accento sulla disorganizzazione di entrambe le autorità, quella ciellenistica e quella tedesca, in una delicata fase di passaggio dalla guerra alla pace, non tralasciando di elencare, tra le possibili cause, anche il tentativo di garantire la sovranità italiana in un territorio difficile e problematico, caratterizzato da un aspro conflitto interetnico. Si tratta tuttavia di episodi, quelli di fine guerra in Alto Adige, ancora al centro della discussione storica, come gli scritti di Gerald Steinacher e Giovanni Perez dimostrano.

1) BONCHIONI, Giovanni
† Bolzano, 3 maggio 1945. Civile. Non è stato possibile reperire altre informazioni presso l\’Ufficio anagrafe di Bolzano.
2) DE BRAITENBERG, Paolo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Merano, figlio di Carlo de Braitenberg e Irene de Zallinger, 50 anni, ingegnere, residente a Bolzano, coniugato con la contessa Amelia Hartig, civile.
3) BRUSCIA, Remigio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Lisciano Niccone (PG), figlio di Enrico Bruscia e Concetta Ciaccini, 30 anni, celibe, civile.
4) CAVALIERE, Giuseppe
† Bolzano, 3 maggio 1945. Civile. Non è stato possibile reperire altre informazioni presso l\’Ufficio anagrafe di Bolzano.
5) COSTA, Antonio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Masi (PD), figlio di Ernesto Costa e Antonia Costa, 30 anni, carpentiere, residente a Bolzano, coniugato con Gina Melon, civile.
6) CRESSOTTI, Bortolo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Brenzone (VR), figlio di Lorenzo Cressotti e Domenica Rigatelli, 46 anni, manovale, residente a Bolzano, coniugato con Elvira Vedovelli, civile.
7) DE PASQUALE, Francesco
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Spinazzola (BA), figlio di Mauro De Pasquale e Rosa Galantucci, 45 anni, residente a Bolzano, coniugato con Adelaide Rosati, civile.
8) FERRARI, Gino
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Pannone (TN), 51 anni, civile.
9) GABRIELLI, Andrea
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Trodena (BZ), figlio di Giuseppe Gabrielli e Anna Finatzer, 62 anni, impiegato, residente a Bolzano, coniugato con Elisabetta Ludwig, civile.
10) GENTILI, Giuseppe
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Bolzano, figlio di Pietro Gentili e Maria Sandri, 62 anni, agricoltore, residente a Bolzano, coniugato con Angelina Partolan, civile.
11) GIURIOLA, Vittorio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Costa (RO), figlio di Michele Giuriola e Angelica Osti, 42 anni, operaio, residente a Bolzano, coniugato con Angela Freddo, civile.
12) LIGUORI, Angelo (o Angiolino)
San Demetrio Corone (CS), 21 maggio 1909 – Bolzano, 3 maggio 1945. Figlio di Domenico Liguori e Giuseppella Azzinnari, muratore, residente in San Demetrio Corone, coniugato con Elena Provenzano, civile.
13) MURARI, Rita
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originaria di Castelnuovo (VR), figlia di Giuseppe Murari e Teresa Busi, 44 anni, casalinga, residente a Bolzano, nubile, civile.
14) PONTALTI, Arturo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Cles (TN), figlio di Vincenzo Pontalti e Speranza Ranzi, 37 anni, carpentiere, residente a Bolzano, coniugato con Elisa Penasa, civile.
15) SARRI, Giorgio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Bolzano, figlio di Gastone Sarri e Maria Manetti, 15 anni, studente, residente a Bolzano, celibe, civile.
16) STOFFIE, Natalia
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originaria di Moena (TN), figlia di Tommaso Stoffie e Apollonia Vadagnini, 24 anni, operaia, residente a Bolzano, nubile, civile.
17) TRABACCHI, Luigi
† Bolzano, 3 maggio 1945. Civile. Non è stato possibile reperire altre informazioni presso l\’Ufficio anagrafe di Bolzano.
18) BALDO, Angelo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Pozzonovo (PD), figlio di Angelo Baldo e Teresa Galuppo, 19 anni, apprendista, residente a Bolzano, celibe, partigiano.
19) BERTOLINA, Annibale
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Torino, figlio di Lorenzo Bertolina e Caterina Bondini, 35 anni, partigiano.
20) BONANI, Ermanno
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Fumane (VR), figlio di Arturo Bonani e Maria Martinelli, 18 anni, studente, residente a Bolzano, celibe, partigiano.
21) BONATO, Fausto
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Verona, figlio di Gaetano Bonato e Maria Dalle Vedove, 37 anni, operaio, coniugato con Raffaela Ramus, partigiano.
22) BORIN, Irfo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Trento, figlio di Mario Borin e Maria Gasperetti, 19 anni, studente, residente a Bolzano, celibe, partigiano.
23) CANAZZA, Napoleone
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Solesino (PD), figlio di Eugenio e Pasqua Borsetto, 48 anni, operaio, residente a Bolzano, coniugato con Rosa Gò, partigiano.
24) CEOLA, Emilio
Isola Vicentina (VI), 5 giugno 1893 – Bolzano, 3 maggio 1945. Partigiano.
25) CUDIN, Gino
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Portogruaro (VE), figlio di Vincenzo Cudin e Domenica Zanotto, 28 anni, ebanista, residente a Bolzano, coniugato con Ariele Miorali, partigiano.
26) DANTI, Aldo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Bergamo, figlio di Antonio Danti e Virginia Fenocchio, 36 anni, impiegato, residente a Bolzano, coniugato con Anita Turatti, partigiano.
27) DE BIASI, Arrigo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Castelbelforte (MN), figlio di Giovanni De Biasi e Eleonora Rossi, 51 anni, muratore, residente a Bolzano, coniugato con Bruna Sassi, partigiano.
28) DONADON, Maurizio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Aosta, figlio di Andrea Donadon e Teresa Bortoluzzi, 18 anni, residente a Milano, celibe, partigiano.
29) FOGLIANI, Domenico
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Reggio Emilia, figlio di Leonida Fogliani e Giuditta Dipietri, 23 anni, militare (telegrafista presso lo SMRE), residente a Verona, celibe, partigiano.
30) GASPERINI, Severino
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Grigno (TN), figlio di Pietro Gasperini e Domenica Mocellini, 38 anni, tramviere, residente a Bolzano, coniugato con Maddalena Stefani, partigiano.
31) LAGHI, Sergio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Polesella (RO), figlio di Alfredo Laghi e Giovanna Garvina, 23 anni, partigiano.
32) LEONARDI, Luigi
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Trento, figlio di Silvio Leonardi e Giuseppina Bernardi, 26 anni, ingegnere, residente a Bolzano, celibe, partigiano.
33) LORENZETTO, Virgilio
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di (PD), figlio di Angelo Lorenzetto e Giuseppina Malin, 38 anni, manovale, residente a Bolzano, coniugato con Clelia Bellini, partigiano.
34) NICOLIS, Luigi
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Fumane (VR), figlio di Luigi Nicolis e Cesira Lonardi, 44 anni, minatore, residente a Bolzano, coniugato con Concetta Maria Savoia, partigiano.
35) PERRETTO, Antonio Bruno
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Masi (PD), figlio di Giuseppe Perretto e Teresa Massari, 45 anni, residente a Cornedo all\’Isarco (BZ), coniugato con Emma Avanzo, partigiano.
36) POLLI, Ildo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Partigiano. Non è stato possibile reperire altre informazioni presso l\’Ufficio anagrafe di Bolzano.
37) PONTIGLIO, Francesco
Cocconato (AT), 8 aprile 1903 – Bolzano, 3 maggio 1945. Emigrato a Mezzaselva (BZ) nel maggio 1941. Partigiano.
38) RE, Romolo
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Modena, figlio di Vittorio Re, 40 anni, impiegato, partigiano.
39) SABIA, Germano
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Capaccio (SA), figlio di Alfonso Sabia e Filomena Lembo, 31 anni, agente di custodia, residente a Bolzano, coniugato con Giovanna Grattacaso, partigiano.
40) SAUDO, Walter
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Badia Polesine (RO), figlio di Lodovico Saudo e Luigia Paglierini, 59 anni, carpentiere, residente a Bolzano, coniugato con Amalia Zorzan, partigiano.
41) STADIK, Sandro
† Bolzano, 3 maggio 1945. Originario di Innsbruck, 40 anni, senza fissa dimora, partigiano.

Nel 1946, si scoprì, all’interno dell’ex Distilleria federale, un cippo dedicato agli operai Virgilio Lorenzetto e Romolo Re: oggi il monumento si trova in via Siemens sempre a Bolzano.

Cimitero militare di Bolzano

Cimitero militare di Bolzano

Una targa fu collocata sul muro dello stabilimento Lancia che aveva visto cadere oltre 20 persone, vittime della repressione nazista. Nel 1957, la targa fu poi spostata in via Volta.

Nell’immediato dopoguerra, si tennero commemorazioni soprattutto in occasione della collocazione del cippo e della targa a ricordo delle vittime.

SALORNO

Il 3 maggio 1945 Vincenzo Gallo, falegname di origini siciliane residente a Salorno, che aveva sempre difeso «la sua Italianità contro le false dottrine nazi-fasciste», fu tra i primi a presentarsi armato presso il CLN locale: incappato in un reparto di SS fu inseguito e obbligato a consegnare il fucile. Mentre tentava di opporsi, fu «colpito con una raffica di mitra […] sulla soglia della propria casa».

La vittima:

Gallo, Vincenzo
Messina, 17 febbraio 1900-Salorno, 3 maggio 1945. Falegname, coniugato con nove figli.

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Mentre l’Alto Adige diveniva luogo di concentramento delle forze tedesche presenti in Italia, dalla Germania cominciavano a rimpatriare attraverso il passo del Brennero centinaia di persone (ex deportati, lavoratori coatti, ex internati militari ecc.) in condizioni penose, lacere e affamate. Intorno alle 10 del 4 maggio giunse, proveniente dall’Italia, un convoglio carico di sacchi postali pieni di viveri e vestiario che fu subito saccheggiato da allogeni e militari tedeschi: gli italiani invece furono esclusi.

Nel frattempo, arrivò un altro treno pieno di ex internati militari italiani di ritorno dalla Germania; forse, anche partigiani italiani saliti a Fortezza con l’intenzione di liberare Bressanone (aspetto questo però non suffragato da alcun tipo di documentazione). I reduci furono immediatamente avvertiti di quanto accaduto e alcuni scesero dal treno tentando di partecipare alla razzia.

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Malgrado la resistenza dei soldati tedeschi, gli italiani riuscirono a metterli in fuga. Negli stessi istanti, sopraggiunse però una pattuglia mista composta di paracadutisti tedeschi e soldati della Flak che cominciò a sparare e a lanciare granate a mano contro gli italiani: sul terreno rimasero tre internati, due ferrovieri e due passanti; altre tre persone furono ferite.

Il numero delle vittime fu contenuto grazie all’intervento del capostazione, il ferroviere Luigi Manani, che all’inizio della sparatoria fece subito ripartire il treno dei rimpatriandi; anche il Comandante militare della stazione, capitano Kahlenberg, assistito dal ferroviere tedesco Hans Zohn intervennero cercando di evitare un bagno di sangue. Gli alleati giunsero poche ore dopo. Sui fatti di Bressanone, l\’allora sindaco Alberto Onestinghel stilò una relazione consegnandola ai competenti uffici della Pretura locale ma i responsabili dell’eccidio non furono mai rintracciati.

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Le vittime:

1)CARERA, Antonio
Averara (BG), 1 ottobre 1886 – Bressanone (BZ), 6 maggio 1945. Già operaio della Speer presso i cantieri di Fortezza (BZ), morì a seguito delle ferite d’arma da fuoco riportate due giorni prima.
2) CICOLIN, Luigi
Badia Polesine (RO), 23 dicembre 1908 – Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Ferroviere in servizio presso la Stazione di Bressanone.
3) LOMBARDELLLI, Giovanni
† Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Originario di Roma, 30 anni, rimpatriando dall\’internamento in Germania.
4) PARSANI, Luigi
1 dicembre 1894 – Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Residente a Scanzorosciate (BG), rimpatriando dall’internamento in Germania, morì a seguito delle ferite d’arma da fuoco riportate poche ore prima.
5) PONTIGLIO, Francesco
† Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Originario di Santhià (VC), 42 anni, residente a Fortezza (BZ). Ferroviere in servizio presso la Stazione di Bressanone, morì a seguito delle ferite d’arma da fuoco riportate poche ore prima.
6) PUTELLI, Andrea
† Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Originario di Breno (BS), 65 anni, giardiniere, residente a Bressanone presso l’Hotel Jarolim.
7) VALERO, Silvio
† Bressanone (BZ), 4 maggio 1945. Originario di San Maurizio Canavese (TO), rimpatriando dall’internamento in Germania.

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1 risposta a STRAGI NAZIFASCISTE IN ALTO ADIGE

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