a cura di Cornelio Galas
L’entrata di palazzo Venezia al mattino del 26 luglio 1943. Con la porta chiusa e le garitte vuote. Nella notte il Gran Consiglio aveva votato la sfiducia a Mussolini – “ritengo necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali”, aveva detto Dino Grandi, attribuendole agli organi ad esse preposti, a cominciare dalla Corona – e il re aveva convocato il duce a villa Savoia per comunicargli la nomina a suo successore del maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.
Mussolini, che si era presentato al re indossando un semplice abito blu, fu portato via in autoambulanza dal capitano dei carabinieri Vigneri. Iniziava così la sua prigionia.
Poco prima di mezzanotte del 25 luglio la radio aveva dato la notizia della caduta del fascismo: l’indomani, 26 luglio, domenica, Roma si scosse all’improvviso e la popolazione si riversò per le strade al grido di “Libertà”, “Viva il re !”, “Viva Badoglio”.
E come Roma, anche altre città in Italia reagirono con lo stesso entusiasmo. Qui uno scorcio di via Roma a Torino con sullo sfondo la stazione.
Ancora Roma: via del Plebiscito. Ovunque bandiere con la croce sabauda, fotografie del re, in abito civile o con la divisa di primo maresciallo dell’Impero, e di Badoglio.
Sopra, due fotografie scattate a Milano con scritte contro Mussolini, la sua famiglia e la sua amante, Claretta Petacci.
Ancora Roma. “La guerra continua”, si proclamava nei messaggi del sovrano e del maresciallo, secondo la formula dettata da Vittorio Emanuele Orlando, ma che la guerra continuasse appariva un fatto secondario rispetto alla fine della dittatura.
Nelle tre foto sopra: ovunque si stracciavano i gagliardetti del regime, si abbattevano le aquile del ventennio e i busti del duce: tutta la simbologia che poteva ricordare i vent’anni passati sotto il dominio del fascismo.
Durante l’ultima seduta del Gran Consiglio, Grandi, rivolgendosi a Mussolini, aveva detto: “Credi ancora di avere la devozione del popolo italiano? La perdesti il giorno che consegnasti l’Italia alla Germania. Ti credi un soldato: lasciaci dire che l’Italia fu rovinata il giorno in cui ti mettesti i galloni di maresciallo. Ci sono già centinaia di migliaia di madri che dicono: Mussolini ha assassinato mio figlio!”
Tre scene di entusiasmo a Milano il 28 luglio 1943. La Galleria imbandierata e un corteo in Corso Vittorio Emanuele.
Picchetti e nuovi provvedimenti del governo. A Roma governava Badoglio. Il re lo aveva preferito a Caviglia, propostogli da Grandi. Il maresciallo Badoglio aveva settantadue anni e si era ritirato dalla vita militare alla fine del 1940, in coincidenza con le sconfitte sul fronte greco.
Il re gli affidava ora il compito di avviare il distacco dalla Germania e di stabilire contatti con gli anglo-americani per un’uscita il più possibile onorevole dalla guerra. Mentre dai confini settentrionali penetravano facilmente in Italia nuove e agguerrite divisioni tedesche, gli anglo-americani si mostravano irremovibili col nuovo governo italiano, dal quale reclamavano una resa incondizionata.
Il governo Badoglio, il re e l’intera famiglia reale poterono sventare il pericolo di essere catturati dai tedeschi fuggendo da Roma, lasciando la capitale e le regioni del centro-nord nella più assoluta anarchia e nelle mani delle forze naziste, mentre si dissolveva l’esercito italiano.
L’arrivo del duce e l’incontro con Hitler al Quartier Generale di Rastenburg. Dopo l’arresto avvenuto il 25 luglio, Mussolini passò da una prigione all’altra. Prima nella caserma di via Quintino Sella, poi in quella di via Legnano, poi ancora a Ponza, all’isola della Maddalena, fino al rifugio di Campo Imperatore sul Gran Sasso.
Il 14 settembre, un capitano delle SS, Skorzeny, riuscì a liberarlo con una “cicogna”. Dopo il volo di trasferimento Scorzeny annotò le sue impressioni: “Mi sembrava affetto da una grave malattia”. La sensazione era rafforzata dal fatto che “aveva la barba lunga di tre giorni” ma gli occhi, “neri e ardenti, erano sempre quelli del dittatore” (anche se altri sostennero che “gli occhi erano sbarrati in quel volto smunto … aveva un vestito blu sciatto e largo, una camicia larga e sciatta attorno a un collo disseccato”).
A bordo di uno Heinkel, Mussolini raggiunse Vienna dove avrebbe incontrato Hitler, un carceriere ben più difficile da eludere. Vittorio Mussolini così descrive l’arrivo: “Scese mio padre dall’aereo accennando un sorriso, salutando romanamente. Sul capo un cappello nero a cencio. Il volto pallido e l’aspetto malato. Era magro e stanco. Provai un profondo sentimento di pena e anche d’ira. Quarantacinque giorni di doloroso calvario”.
Aderenti al Partito Fascista Repubblicano si iscrivono a Roma, Palazzo Braschi. Il 18 settembre, Mussolini poté nuovamente parlare al pubblico, ma lo faceva dal microfono di Radio Monaco, un’emittente installata in un vagone ferroviario di Rastenburg, direttamente controllata dal Quartier Generale hitleriano.
“Dopo un lungo silenzio, ecco che nuovamente vi giunge la mia voce e sono sicuro che voi la riconoscete”.
Dopo aver attribuito ogni responsabilità del colpo di Stato alla casa Savoia con la complicità di “generali imbelli e imboscati”, si richiamava ai principi repubblicani e incoraggiava gli italiani a riprendere le armi al fianco della Germania. E concludeva: “Contadini, operai e piccoli impiegati ! Lo Stato che uscirà da questo immane travaglio sarà il vostro. Viva l’Italia! Viva il Partito Fascista Repubblicano!”
Ravenna. Un padre accompagna il figlio ad arruolarsi come legionario alla fine del 1943
Una madre cuce le mostrine sulla divisa del figlio, mentre la sorella osserva tenendo in mano un numero del “Fiocco Nero”.
Arruolamento “volontario” nell’esercito della RSI a Roma.
… e a Venezia nel novembre 1943. La questione della ricostruzione su base nazionale dell’esercito (e non soltanto il dar vita a minoritarie formazioni armate di volontari e di militanti del Partito Fascista Repubblicano) significò per Salò, come ha scritto Giampaolo Pansa, “conquistare due obbiettivi vitali. Primo: dimostrare la legittimità della RSI come nuovo Stato. Secondo: provare in concreto che gli italiani rifiutano il 25 luglio e l’armistizio, sono decisi a riprendere la lotta accanto ai nazisti e credono ancora nel fascismo, pronti a morire, come hanno fatto per ventun anni, sotto le sue bandiere.
Per questo “la battaglia per l’esercito” è uno dei nodi della storia di Salò”. E infatti Mussolini scriveva il 1° novembre 1943 a Hitler: “Fra pochi giorni dovranno presentarsi alle caserme i giovani del 1924. Se si presentano al completo, questo sarà il segno decisivo che la crisi è superata”.
In Croazia alcuni legionari che costituivano la seconda Legione d’assalto si sono presentati dopo l’8 settembre ai comandi tedeschi di Lubiana per continuare la lotta. “Dopo un mese d’addestramento vengono inviati nella Slovenia tedesca dove collaborano con le FF.AA. tedesche”.
Presenza delle forze tedesche in Italia. Stranamente, o forse comprensibilmente, la presenza delle forze tedesche in Italia non è molto evidenziata nelle fotografie dell’Istituto Luce. Questa mostra la consegna alle autorità italiane, a Roma, da parte di Goering, delle opere d’arte della Biblioteca del Museo di Napoli, il 4 gennaio 1944.
Padova, 11 novembre 1943. Queste immagini ritraggono le madri e le sorelle di caduti che offrono doni alle reclute del 1924 e 1925 e a soldati tedeschi. Il 16 ottobre 1943, il ministero della Guerra aveva preannunciato la chiamata dell’ultima aliquota del 1924 e dell’intera classe del 1925. L’annuncio venne diffuso per radio alle 14,50 e ripetuto ogni 24 ore, sempre alla stessa ora.
Parte così la caccia alla recluta che Mussolini stesso, Ricci, Graziani, Pavolini e Buffarini Guidi, ciascuno per motivi diversi, avevano tentato di evitare, suggerendo a Hitler di procurarsi dei volontari tra i 600.000 soldati internati nei lager tedeschi.
Ma Hitler “non si fida degli uomini rinchiusi nei campi nazisti, sono difficili da addestrare, hanno il morale a terra e per di più sono “Badoglio-truppen”, e quindi inutilizzabili”. (Pansa) La caccia alla recluta si serve all’inizio delle armi della propaganda, ma passerà ben presto alle armi più concrete della polizia, della Milizia e, talvolta, dei carabinieri.
E i rastrellamenti colpiscono non solo le reclute renitenti, ma anche le loro famiglie. “in caso di mancata presentazione dei militari soggetti agli obblighi di leva, oltre alle pene stabilite dalla vigente regolamentazione militare, saranno presi immediati provvedimenti a carico dei podestà e dei capi famiglia”, scrive il generale di corpo d’armata Gastone Gambara, capo di stato Maggiore dell’Esercito.
E i provvedimenti consistevano nell’arresto del padre del ragazzo, ma talvolta anche della madre, nel ritiro immediato delle carte annonarie a tutti i parenti di primo e secondo grado esclusi soltanto i bambini inferiori ai 10 anni, ritiro immediato delle licenze di esercizio e di circolazione delle autovetture per tutti i parenti di primo e secondo grado, sospensione immediata del pagamento delle pensioni ai genitori, sospensione immediata dagli impieghi statali e parastatali dei famigliari di primo e secondo grado (Pansa).
Deakin, forse il maggiore storico della Repubblica Sociale, sostiene che dei 180.000 che ricevettero la chiamata alle armi, se ne presentarono, in queste condizioni, circa 87.000, vale a dire il 48,3 %.
Villa Feltrinelli, a Gargnano, ironicamente chiamata Villa Torlonia, dove Mussolini si trasferì alla fine dell’ottobre 1943.
Quartier Generale a Gargnano. Mussolini avrebbe voluto tornare a Roma, ma i tedeschi bocciarono tassativamente la sua richiesta, e gli imposero di risiedere al nord, sulle rive del lago di Garda, per averlo più a portata di mano.
I ministeri repubblichini, secondo una definizione di Umberto Calosso che aveva tratto il termine “repubblichini” dalle opere di Vittorio Alfieri, furono disseminati in vari luoghi della zona lacustre, mentre Salò, finta capitale, ospitava il ministero degli Esteri e il Minculpop di Mezzasoma.