a cura di Cornelio Galas
Fonte: XVI Legislatura
SENATO DELLA REPUBBLICA
Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani
Rapporto conclusivo dell’indagine – 2011
sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia
L’ESPERIENZA DELLE ASSOCIAZIONI NELLE SCUOLE DI ROMA
Nel Comune di Roma da una ventina d’anni è attivo un servizio per la scolarizzazione dei bambini Rom e Sinti che vivono nei campi autorizzati, e che è attualmente gestito dalle associazioni Casa dei diritti sociali, Arci Solidarietà Lazio e Ermes, ascoltate in audizione dalla Commissione il 2 marzo 2010. Spiega Sergio Giovagnoli, presidente dell’Arci Lazio:
«A Roma nei primi anni ’90 erano iscritti a scuola e non regolarmente frequentanti solo poche decine di bambini su una popolazione che già allora si aggirava intorno alle 5-6.000 persone. Oggi, nei cosiddetti campi attrezzati o comunque in quelli nei quali vi è un intervento sociale da parte delle istituzioni e delle associazioni, pressoché tutti i bambini sono iscritti a scuola e la frequenza migliora, ovviamente, nei campi attrezzati, ovvero laddove il nucleo familiare è stato alloggiato in un container con acqua calda e una qualche forma di riscaldamento. La situazione rimane preoccupante per i campi non attrezzati. In tali situazioni la frequenza scolastica, purtroppo, si riduce e in alcuni casi anche notevolmente».
Aggiunge Salvo Di Maggio, presidente della cooperativa Ermes:
«Attualmente rispetto al risibile numero iniziale di inizio anni Novanta, i ragazzi e i bambini iscritti sono la maggioranza – parliamo di oltre 2.200 alunni nella fascia d‟età scolare – ed è andato sempre crescendo sia il numero dei ragazzi che frequentano le scuole elementari e medie, sia quello di chi frequenta la scuola materna con l‟acquisizione, quindi, di quei prerequisiti che migliorano le condizioni di ingresso nella scuola elementare e dunque favoriscono da parte di questi alunni il conseguimento di risultati analoghi a quelli dei loro coetanei italiani».
L’inserimento è facilitato dalla presenza di mediatori, come racconta Anita Maddaluna, responsabile dei progetti di scolarizzazione della Casa dei diritti sociali:
«Appare come elemento fondamentale ed irrinunciabile la partecipazione attiva e qualificata delle persone residenti nei campi, come anche l‟associazionismo espresso dai Rom. È importante perché sono essi stessi a mettere in gioco tutte le proprie risorse in un percorso di cittadinanza attiva, emancipazione ed autonomia. […] Negli ultimi due anni il 45% cento circa degli operatori coinvolti appartiene alle comunità Rom, alcuni dei quali peraltro ricoprono incarichi di responsabilità; essi sono i protagonisti di un percorso di confronto, di assunzione di responsabilità e di partecipazione attiva».
Conferma Salvo Di Maggio:
«È stato fondamentale il ruolo non soltanto degli operatori e degli educatori italiani, ma anche dei mediatori Rom, che si sono formati via via negli anni e che hanno messo le loro conoscenze a disposizione della comunità e del nostro sistema educativo. Nei primi anni l‟attenzione si è concentrata soprattutto sull‟inserimento scolastico, successivamente si è posto l‟accento anche sugli aspetti di cura del percorso scolastico. Tant‟è che nei primi anni, anche dal punto di vista delle amministrazioni si è teso ad attribuire una maggiore importanza al trasporto dei minori dai loro insediamenti alle scuole.
Successivamente, invece, anche su indicazione congiunta delle scuole e degli enti gestori della scolarizzazione, è stata avviata in collaborazione con gli istituti scolastici più sensibili alla problematica una serie di percorsi di scolarizzazione effettiva, che ha fatto sì che lo sforzo si concentrasse maggiormente sugli aspetti didattici e di valorizzazione del vissuto dei minori all‟interno della scuola e della partecipazione dei genitori. Di conseguenza, negli anni abbiamo assistito ad una presenza crescente di alunni Rom, non soltanto in termini di frequenza, ma anche di qualità.
Tant‟è che a partire dal 2002, un numero rilevante di minori ha conseguito la licenza media, un risultato che forse può sembrare banale, ma che negli anni precedenti aveva rappresentato un obiettivo difficilissimo da raggiungere. Nel periodo successivo, infatti, un numero sempre crescente di minori ha cominciato a frequentare le scuole superiori ed i corsi di formazione professionale, fino ad arrivare agli ultimi anni, in cui alcuni di questi hanno conseguito anche titoli di scuola media superiore».
Nonostante quindi importanti miglioramenti nel livello di istruzione dei Rom e dei Sinti, permangono alcuni grossi problemi. Spiega ancora il presidente di Arci Lazio, Sergio Giovagnoli:
«Un esempio valido per tutti è quello del quartiere San Paolo di Roma e nello specifico del campo di Vicolo Savini e della comunità che vi risiedeva che è stata però trasferita a venti chilometri dal centro abitato, praticamente a ridosso della città di Pomezia. Ricordo che i bambini presenti in quel campo venivano accompagnati dalle madri negli asili nido e nelle scuole materne. […] La nostra associazione seguiva anche alcuni ragazzi che andavano autonomamente sia alle scuole medie che alle superiori.
Ebbene, a seguito del suddetto trasferimento i 250 bambini iscritti a scuola sono stati distribuiti in 50 complessi scolastici collocati in quartieri che vanno da Spinaceto a San Paolo, passando per Tor de’ Cenci, il che significa che ogni giorno cinque pullman, con altrettanti operatori, devono accompagnarli scuola per scuola, affrontando serie difficoltà. […] Tutto ciò ha determinato un arretramento rispetto ad una soluzione che sembrava positiva ai fini del miglioramento delle condizioni di vita di una comunità insediata in un campo non attrezzato».
Un altro aspetto problematico è quello relativo allo status giuridico:
«Una delle difficoltà che si incontrano quando si comincia a registrare un numero consistente e gradualmente crescente di ragazzi che dopo la terza media si iscrivono alle scuole superiori, è il fatto che questi ragazzi molto spesso, a causa dello status giuridico, raggiunta la maggiore età, ritornano ad essere degli “invisibili”, anzi, a volte le difficoltà cominciano già a 16 anni, quando magari devono partecipare a stage di inserimento professionale.
La mancanza di uno status giuridico in tal caso diventa un handicap terribile ed è doppiamente negativo, sia per la storia del ragazzo sia per quello che potrebbe significare una sua eventuale esperienza positiva per i suoi fratelli, cugini e per tutti coloro che potrebbero considerarlo un modello».
BUONE PRATICHE DI INSERIMENTO E CASI CONCRETI
Secondo l’Anci:
«I dati circa l’aumento del tasso di scolarizzazione dei bambini e adolescenti che vivono in situazioni non degradate conferma il legame diretto tra le condizioni di vita e l’integrazione scolastica. Gli interventi più completi sono quelli che riescono ad agire sia nel sostegno alle famiglie affinché comprendano l’importanza della scuola e ne sostengano l’importanza da parte dei figli, sia nel supportare l’istituzione scolastica nell’accogliere, comprendere e adeguare le proprie strategie didattiche alle esigenze e bisogni di questi bambini e bambine».
Il Comune di Milano, nei progetti che ha finanziato volti a favorire il processo di scolarizzazione dei minori Rom e Sinti, ha promosso l’attivazione di un servizio svolto da mediatrici Rom che effettuano il loro lavoro sia all’interno delle classi sia delle comunità. Attraverso l’utilizzo delle mediatrici il Comune di Milano non solo interviene sui minori e sulle famiglie ma favorisce anche il processo di emancipazione delle donne della comunità.
Secondo Giovanna Zincone:
«Un esempio relativo al coinvolgimento degli alunni è il workshop di fotografia organizzato in una scuola media di Torino da un‟associazione locale. Si tratta di un progetto accompagnato dal centro di ricerca FIERI, nell‟ambito di un più vasto programma di importazione e adattamento di buone pratiche a livello europeo. In questo caso, riprendendo un‟esperienza di Budapest, alcuni alunni Rom hanno documentato la propria scuola attraverso fotografie, con il duplice obiettivo di prevenire la loro elusione scolastica e di migliorare la conoscenza degli alunni Rom da parte degli altri alunni.
Per favorire l‟interazione si dovrebbero estendere le pratiche di co-tutoring, cioè di accompagnamento nello svolgimento dei compiti a casa e nel superamento di difficoltà anche psicologiche ad opera di compagni di scuola più grandi e competenti».
Dal convegno nazionale di Opera Nomadi del 2009, emerge invece come a Napoli, dopo cinque di vita del progetto comunale Napoli-Zona Nord gestito da Opera Nomadi di Napoli (oggi ribattezzato “Attività specifiche per minori Rom ed extra-comunitari”), «la percentuale di minori Rom che frequenta le scuole materna ed elementare con una certa regolarità è del 50% circa. La percentuale scende a circa il 20% nella scuola media, per i motivi che ben conosciamo: necessità di contribuire all‟economia familiare, per le femmine al ménage domestico e, in più, precoce avviamento al matrimonio.
Il principale ostacolo alla frequenza è rappresentato dalla necessità economica della famiglia, che impiega i bambini per il mangel (termine romanés traducibile con mendicare o piccoli scambi, Ndr)». L’Opera Nomadi oltretutto segnala la mancanza «di mediatori culturali Rom, formati ufficialmente con un corso regionale, che intervengano nei rapporti con le maestre e nella promozione di un clima favorevole all‟apprendimento e vicino al vissuto dei piccoli Rom. I pochi mediatori che in passato si era riusciti a formare con enormi sforzi sono fuggiti nel Nord Italia per problemi con la comunità Rom ortodossa, ma anche per la discontinuità dei pagamenti e la mancata valorizzazione a livello locale del loro importantissimo ruolo interculturale».
LAVORO
Il lavoro è una questione centrale per valutare il grado di integrazione sociale delle popolazioni Rom all’interno del territorio. Di fatto, non esistono dati attendibili riguardanti il tasso di disoccupazione ma la condizione lavorativa di Rom e Sinti risulta problematica a livello nazionale, a causa delle costanti difficoltà di inserimento, della mancanza di qualificazione professionale, della marginalità sociale nella quale vengono a trovarsi.
Il censimento effettuato dalla Croce Rossa nei campi Rom romani, coinvolgendo 4.927 persone, ha constatato che, rispetto al campione intervistato, nel 72,60% dei casi non è possibile rilevare alcuna occupazione. Sempre rispetto al campione, i lavori più frequenti sono poi il ferraiolo (4,9% dei casi, che sale all’8,37% tra gli uomini), la casalinga (4,04%, ma il 7,99% tra la popolazione femminile), il venditore ambulante (3,51% dei casi, senza particolari differenze di genere), collaboratrice domestica (1,18% dei casi, 2,31% tra le donne) e manovale (1,16%, 2,32% tra gli uomini).
Le attività economiche in cui sono attivi Rom e Sinti sono estremamente diversificate. Esistono alcune attività tradizionali che vengono tuttora esercitate un po’ ovunque: il lavoro dei metalli (ad esempio stagnini, calderai, indoratori); il recupero dei materiali diversi e la loro vendita; il commercio dei cavalli; i mestieri dello spettacolo e del circo (come musicisti, giocolieri, acrobati, danzatori); le professioni legate allo spettacolo viaggiante, in particolare i giostrai; la vendita ambulante o nei mercati (frutta, legumi, robivecchi, tappeti, ecc.); la fabbricazione e la vendita di oggetti diversi come ad esempio violini, cinture, tovaglie, pizzi, oggetti in vimini; i lavori agricoli spesso stagionali. Altri mestieri invece sono in gran parte scomparsi: arrotini, ombrellai, fabbricanti di oggetti in ferro battuto e in legno. Sono invece attività in via di sviluppo il commercio di auto usate, il robivecchi, la manovalanza nell’edilizia, la manutenzione di strade.
Tutti questi mestieri sono concepiti come se si trattasse di una vendita, di beni e servizi, a clienti. Ciò che maggiormente caratterizza Rom e Sinti nello svolgimento di queste attività commerciali è la loro grande adattabilità secondo il luogo, il momento, l’occasione. Nella cultura Rom il lavoro viene tendenzialmente concepito come una necessità per la sopravvivenza e non come un fine, come una dimensione dell’identità.
Ad un esame più attento, mentre la realtà professionale dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia ha come caratteristica una notevole diversificazione, la condizione lavorativa dei circa 70 mila Rom, Sinti e Camminanti cittadini italiani appare più omogenea. Essa può essere messa più facilmente in relazione con le occupazioni tradizionali.
Fino agli anni ’60 in Italia circa 30 mila Sinti nel centro-nord erano dediti allo spettacolo viaggiante mentre altrettanti Rom nel centro-sud erano prevalentemente impegnati nell’allevamento e nel commercio degli equini e nella lavorazione dei metalli. La diffusione della televisione, del cinema, delle discoteche e dei videogiochi, ha tolto allo spettacolo viaggiante il monopolio del divertimento pubblico. Attualmente meno del 50% dei Sinti vive dei “mestieri” tradizionali.
Le attività invernali delle donne Sinte (la vendita porta a porta di fiori di carta, centrini, asciugamani, ecc.) fatica a supplire alla crisi dell’economia portante della famiglia. In misura sempre maggiore i Sinti da un lato si sono reinseriti nei circuiti produttivi legati all’artigianato dei bonsai artificiali e delle “bottiglie di vetro modellate sul fuoco”; dall’altro hanno cercato di ritagliarsi uno spazio in piccoli esercizi nel settore dell‟alimentazione o della rottamazione. Centinaia di adolescenti restano però esclusi dalle antiche attività lavorative e stentano a trovare un’occupazione.
Anche i Rom del centro-sud vivono sono fortemente in crisi. Soltanto a Isernia e in qualche Comune dell’Abruzzo, della Puglia e della Calabria si possono trovare singole famiglie in grado di sostentarsi attraverso il commercio di equini. Anche l’artigianato del ferro, un tempo rivolto a contadini, pescatori e casalinghe, è quasi scomparso.
Anche nel centro-sud sono centinaia i Rom che praticano la rottamazione, quasi sempre senza licenza o in centri di raccolta non autorizzati; molti lavorano nell’edilizia come precari; qualche decina è impiegata nelle amministrazioni come operaio e, in qualche isolato caso, in qualità di addetto amministrativo. Pochi sono attivi nella ristorazione; la cooperazione sociale costituisce un’attività recente e, almeno per ora, assistita dai fondi pubblici.
Tra i Rom provenienti dai Balcani i mestieri più diffusi sono i seguenti: la raccolta e la lavorazione del rame; la fabbricazione di oggetti vari (pentole, vasi, anfore, portafiori); il riciclo di oggetti trovati nelle discariche o nei cassonetti, come ad esempio il ferro, l’alluminio, le batterie di vecchie automobili; la raccolta di altri materiali, come ad esempio, i vecchi elettrodomestici o altri oggetti per la casa. Senza garanzie e con scarse forme di reddito, molti di questi Rom vivono di questua e di espedienti, strutturando una condizione di vita ai margini della legalità e senza garanzie per il futuro.
FINANZIAMENTI EUROPEI
Le politiche EU in favore delle popolazioni Rom nel tessuto sociale europeo sono supportate da sostanziosi finanziamenti da parte delle istituzioni di Bruxelles. Per incentivare la coesione sociale ed economica tra le differenti regioni europee e tra gli Stati membri, sono stati istituiti i Fondi strutturali e il Fondo di coesione dell’Unione Europea. I Fondi strutturali e il Fondo di coesione costituiscono gli strumenti finanziari della politica regionale dell‟Unione il cui scopo consiste nell‟equiparare i diversi livelli di sviluppo tra le regioni e tra gli Stati membri.
Essi contribuiscono pertanto a pieno titolo all‟obiettivo della coesione economica, sociale e territoriale. I Fondi Strutturali si articolano in due voci fondamentali: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito nel 1975 e utilizzato per la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi per la creazione di occupazione nelle imprese; e il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1958 allo scopo di favorire l‟inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali meno favorite finanziando in particolare azioni di formazione.
Inoltre dal 1994 l’Unione europea ha istituito il Fondo di Coesione per accelerare i tempi di convergenza economica, sociale e territoriale, dei paesi membri con un PIL medio pro capite inferiore al 90 % della media comunitaria (quindi rivolto maggiormente ai paesi dell’Est di recente ingresso nell’Unione Europa).
Lo stanziamento per queste Fondi rappresenta un elemento chiave della strategia UE 2020 per la crescita e l’occupazione, la cui finalità è migliorare la vita dei cittadini comunitari offrendo loro nuove competenze e maggiori opportunità di lavoro. Per il periodo 2007-2013, la dotazione finanziaria assegnata alle finalità descritte è pari a circa 348 miliardi di euro, di cui 278 miliardi destinati ai Fondi strutturali e 70 al Fondo di Coesione.
Tale importo rappresenta il 35% del bilancio comunitario, ovvero la seconda voce di spesa. Infatti l’attenuazione delle differenze economiche tra i Paesi membri della UE è diventato un obiettivo prioritario in seguito agli ultimi allargamenti dell’Unione del 2004 e del 2007 con il quale la superficie dell‟Unione è aumentata più del 25%, la popolazione più del 20% ma la ricchezza solo del 5%.
Nel quadro della armonizzazione economica delle diverse regioni europee e delle politiche occupazionali, è stato autorevolmente sottolineata l’importanza di utilizzare i Fondi Strutturali e il Fondo di Coesione anche per favorire l’inclusione di quei settori della popolazione europea maggiormente svantaggiati come le popolazioni nomadi. Tale concetto è stato a più riprese ribadito da László Andor, Commissario UE responsabile per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione.
Il 1° dicembre 2010 nel corso dell’audizione alla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento Europeo, il Commissario Andor ha espressamente sottolineato come i Fondi Strutturali siano un importante strumento finanziario dal quale gli Stati membri devono attingere per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni Rom.
In particolare ha ricordato come circa 10 miliardi di euro, parte del Fondo Sociale Europeo, siano allocati in tutto il territorio dell’Unione per finanziare misure che promuovano specificamente l’inclusione sociale delle fasce della popolazione maggiormente svantaggiate. Il Commissario ha riconosciuto che tali fondi vengono già utilizzati dagli Stati membri per l’inclusione dei Rom, ma non nella loro interezza e comunque non in maniera efficiente.
Per ovviare a queste carenze il 7 settembre 2010 la Commissione ha istituito una Task Force per i Rom incaricata di valutare l’uso dei fondi Ue da parte degli Stati membri. La Task Force esaminerà il seguito che gli Stati membri stanno dando alla comunicazione della Commissione del 7 aprile 201021, in cui venivano chiesti programmi concreti per favorire l’integrazione dei Rom, e valuterà l’uso che viene fatto dei finanziamenti Ue indicando come migliorarne l‟efficacia.
L’Italia appartiene ai paesi che utilizzano i Fondi Strutturali per favorire l’inclusione sociale delle popolazioni svantaggiate, tra cui le popolazioni Rom, anche se risulta che i finanziamenti utilizzati in questo settore siano inferiori rispetto alla media europea. Per il periodo quinquennale 2007-2013, l’Italia ha a disposizione 28 miliardi di euro nel complesso dei Fondi europei, di cui quasi 7 miliardi del Fondo Sociale Europeo che, come ha ricordato il Commissario László Andor, ha tra le sue finalità quella dell’inclusione sociale.
Analizzando l’utilizzo di tale Fondo nella programmazione effettuata dall’Italia per il quinquennio in corso, si nota che sono stati previsti 600 milioni di euro per l’attuazione di progetti volti all’inclusione sociale: secondo i dati della Commissione europea, i 600 milioni di euro previsti dall’Italia per l’inclusione sociale sono una cifra notevolmente inferiore rispetto alla media europea.
I ROM IN EUROPA
Gli studiosi hanno accertato che le popolazioni Rom in Europa discendono da comunità indiane le quali, intorno al XIV° secolo, migrando dall’Asia arrivarono nel territorio che corrisponde oggi all’Unione Europea.
Il progressivo aumento di flussi migratori delle popolazioni Rom in Europa si è avuto dalla fine del sistema bipolare nel 1989, evento che ha dato la possibilità alle popolazioni Rom e nomadi dell’est di spostarsi verso i paesi dell’Europa occidentale. Inoltre negli ultimi anni l’allargamento dell’Unione Europea verso est a paesi che tradizionalmente ospitavano numerose comunità Rom, ha allargato l’area Shengen e rimosso i controlli alle frontiere interne permettendo la libera circolazione dentro il territorio dell’Unione alle numerose comunità Rom.
Nel 2004 è stato formalizzato l’accesso all’Ue di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Ungheria, e nel 2007 di Bulgaria e Romania. Come accennato all’inizio di questa relazione, il Consiglio d’Europa, che dal 1995 ha istituito una Commissione di esperti incaricata di studiare la situazione dei Rom nei Paesi Membri, ha stimato la presenza delle popolazioni Rom in Europa in 11.155.000 persone.
Attualmente, secondo i dati del Consiglio d’Europa, la presenza più numerosa di comunità Rom in Europa è in Romania, con oltre 1 milione e 800 mila persone. È molto numerosa la comunità Rom in Spagna, 800 mila persone, in Ungheria e Bulgaria (in entrambi i Paesi si calcolano tra le 700 mila e le 750 mila presenze). All’interno del proprio territorio nazionale la Francia registra 400 mila persone Rom, mentre Gran Bretagna e Germania rispettivamente 250 mila e 105 mila. Secondo i dati raccolti dal Consiglio d’Europa in Italia sarebbero presenti circa 170-180 mila Rom. Si è visto come i dati raccolti da altre organizzazioni così come quelli del Ministero dell’interno siano diversi.
Le comunità Rom in Europa sono quindi presenti in tutti gli Stati membri e in quei paesi che si sono candidati ad entrare nell’Unione. Le principali istituzioni europee rilevano come le loro condizioni socio-economiche siano tendenzialmente peggiori rispetto al resto della popolazione, pur essendo generalmente in possesso della cittadinanza del paese in cui risiedono o comunque della cittadinanza europea. Sono indicativi alcuni dati riguardanti l’aspettativa di vita degli individui appartenenti alle comunità Rom in confronto con il resto della popolazione dell’Unione Europea.
La recente crisi economica ha inasprito i problemi strutturali che impediscono l’inclusione delle comunità Rom, rendendo più difficile il godimento di alcuni diritti cruciali, come ad esempio l’accesso al lavoro e all’istruzione, il diritto ad un alloggio dignitoso, l’accesso ai servizi pubblici, il diritto alla partecipazione politica attiva e passiva. Recenti studi hanno anche dimostrato che l’esclusione delle comunità Rom provoca importanti conseguenze economiche sia dirette, in termini di costi per le finanze pubbliche, sia indirette con la perdita di produttività.
La discussione a livello europeo sulle problematiche delle popolazioni Rom e nomadi si è intensificata dal 2008, anno dal quale le istituzioni comunitarie si sono dotate di strumenti più incisivi per l’inclusione delle minoranze in Europa. Dall’estate del 2008 il Consiglio, il Parlamento Europeo29 e la Commissione hanno posto questi temi nella propria agenda definendo in maniera più dettagliata le proprie politiche. Negli ultimi due anni le iniziative per l’inclusione dei Rom sono diventate parte di un più ampio lavoro della Commissione per l’attuazione del principio di uguaglianza in Europa. Tale impegno si è concretizzato in una più stretta cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione.
Le popolazioni Rom continuano però ad essere vittime di persistenti discriminazioni in molti Stati membri dell’Unione. Nel 2009 un elevato numero di casi di violenza a sfondo razzista contro le comunità Rom, sia contro le persone sia contro le loro abitazioni, è stata denunciato dall’Agenzia dell’Unione Europea per Diritti Fondamentali (EU Fundamental Rights Agency – FRA). Nell’aprile 2009 è stata pubblicata dalla FRA un’indagine EU-MIDIS (European Union Minorities and Discrimination Survey) sulle minoranze europee ed è emerso che i Rom subiscono continuamente violazioni dei loro diritti, abusi, molestie e minacce a sfondo razzista. E questo nonostante i nomadi siano un‟esigua minoranza, a fronte di un gran numero di famiglie e individui stanziali anche da molti anni.
Le difficoltà maggiori si hanno nell’Europa centrale ed orientale, dove il trattamento riservato ai Rom è peggiorato in particolare negli ultimi venti anni. Nella Repubblica Ceca il tasso stimato di disoccupazione dei Rom è quasi dieci volte superiore alla media nazionale, attestandosi al 70% a fronte dell’8% del resto della popolazione. Inoltre i Rom vengono impiegati come manodopera non specializzata, situazione aggravata dalla loro scarsa istruzione (in Romania il 40% dei Rom risulta analfabeta). Nell’Europa dell’est si sono registrate gravi discriminazioni anche nei confronti dei bambini, i quali spesso sono stati costretti a frequentare “scuole speciali per minorati psichici”.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte giudicato discriminatoria questa pratica molto diffusa nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Ungheria, in Romania e in Bulgaria. A titolo esemplificativo può essere citata la sentenza di appello della Corte Europea contro la Repubblica Ceca, che ha stabilito la violazione da parte dello Stato dell’Articolo 14 (divieto di discriminazione) congiuntamente all’Articolo 2 del primo Protocollo addizionale (diritto all’educazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo:
“Since it had been established that the relevant Czech legislation at the relevant time had had a disproportionately prejudicial effect on the Roma community, the applicants as members of that community had necessarily suffered the same discriminatory treatment. Consequently, there had been a violation of Article 14 of the Convention, read in conjunction with Article 2 of Protocol No. 132.”
E’ stata inoltre registrata una diffusa discriminazione anche da parte della società civile. Sempre nella Repubblica Ceca quasi l’80% della popolazione intervistata ha un’immagine negativa dei Rom. In un villaggio della Slovacchia è stato costruito un muro per separare i Rom dal resto della popolazione e sempre in Slovacchia vi sarebbero stati alcuni casi di sterilizzazione forzata da parte del personale medico durante un ricovero in ospedale.
DISCRIMINAZIONE MULTIPLA
Negli ultimi anni molti studiosi, analizzando le situazioni discriminatorie vissute dalle popolazioni Rom in Europa, hanno cominciato a parlare di “discriminazione multipla”. Tale concetto è stato ampiamente dibattuto all’interno dei centri di studio europei che analizzano la situazione dei Rom in Europa, come attesta un accurato rapporto pubblicato nell’aprile 2010 dall’ European Roma Rights Center – ERRC, Roma Rights 2, 2009 Multiple Discrimination, che raccoglie numerosi contributi sull’argomento.
L’atto discriminatorio viene definito “multiplo” laddove lo stesso gruppo sociale sia discriminato per più motivi e rispetto a più caratteristiche. Questa definizione, apparentemente ovvia, nasconde diverse accezioni. In senso proprio, infatti, tutte le forme di discriminazione sono multiple: per esempio, il fatto di essere discriminati per il colore della pelle determina pratiche sociali di discriminazione che investono automaticamente anche altri aspetti: dalle minori possibilità di poter affittare regolarmente un alloggio alla scarsa offerta di lavoro.
Tuttavia, parlando di discriminazione multipla si intende più frequentemente un fenomeno associato ad una pluri-appartenenza, ovvero al fatto che lo stesso soggetto viene osservato come appartenente a più gruppi sociali: ad esempio si può essere soggetti a discriminazione in quanto appartenente alla comunità Rom ed insieme al genere femminile. In questo caso, si ha la discriminazione multipla sia per l’origine Rom, sia per il genere di appartenenza.
Vi possono poi essere ulteriori problemi per il Rom che sia disabile, omosessuale o anziano. Alcune ricerche hanno dimostrato che il numero delle persone che hanno pregiudizi verso determinati gruppi etnici sono il doppio rispetto a coloro che hanno pregiudizi contro gli omosessuali e quattro volte più numerosi rispetto a coloro che hanno pregiudizi rispetto ai disabili. È in questo campo che si può generare una discriminazione multipla, quando si è soggetti ad un trattamento discriminatorio per un aspetto della propria individualità (l’essere omosessuale o disabile per esempio) in aggiunta all’esclusione sociale che può derivare dall’essere parte della comunità Rom.
La normativa europea non è però così chiara sulla “discriminazione multipla”. Le Direttive Europee che regolamentano le discriminazioni di genere, di razza e di orientamento sessuale non impongono agli Stati membri una legislazione che sanzioni espressamente i casi di discriminazione multipla. Spesso la normativa europea non prende in considerazione il fenomeno se non in maniera molto generica. Un accenno al concetto di discriminazione multipla si trova solo al paragrafo 14 della Direttiva 2000/43/CE del Consiglio dell’UE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica:
“Nell’attuazione del principio della parità di trattamento a prescindere dalla razza e dall’origine etnica la Comunità dovrebbe mirare, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, nel trattato CE, ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne, soprattutto in quanto le donne sono spesso vittime di numerose discriminazioni”.
DIRITTO DI SOGGIORNO NELL’UNIONE EUROPEA
L’Articolo 19 del Trattato sul funzionamento dell‟Unione europea riconosce alla UE la potestà legislativa in ordine al contrasto di qualsiasi forma di discriminazione35. Sulla base di tale Articolo a partire dal 2000 gli Stati membri hanno approvato alcuni strumenti legislativi che garantiscono ai Rom diritti di fondamentale importanza:
- La direttiva sull‟uguaglianza razziale (2000/43/CE), adottata nel 2000, vieta la discriminazione legata a motivi razziali o di origine etnica sul luogo di lavoro e in altri ambiti, quali l‟istruzione, la sicurezza sociale, la sanità e l‟accesso a beni e servizi.
- La decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (2008/913/GAI), approvata nel 2008, fornisce le linee guida per le disposizioni legislative e regolamentari che gli Stati membri devono applicare allo scopo di evitare reati di stampo razzista e xenofobo.
- La direttiva sul diritto di spostarsi e soggiornare liberamente entro il territorio dell‟UE (2004/38/CE), adottata nel 2004, garantisce il diritto di libera circolazione all‟interno dell‟UE a tutti i cittadini, a condizione che questi lavorino o siano in cerca di occupazione.
- Merita di essere presa in particolare considerazione la direttiva sul diritto di soggiorno all’interno del territorio dell’Unione, che è stata oggetto di analisi da parte dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali – FRA, attraverso un rapporto pubblicato nel novembre 2009, The situation of Roma EU citizens moving to and settling in other EU Member States.
Attraverso lo studio delle legislazioni nazionali europee ed eseguendo numerose interviste all’interno dei campi nomadi in Europa, la FRA ha analizzato la situazione nel nostro continente giungendo a denunciare il mancato rispetto nei confronti dei Rom, possessori di cittadinanza europea, del diritto di circolare e soggiornare all’interno del territorio dell’Unione. La relazione pubblicata dall’Agenzia mette in evidenza la situazione dei Rom e le sfide cui essi devono far fronte nell’esercizio di tale diritto che, va ricordato, quando viene negato determina a cascata una diffusa esclusione per quanto riguarda gli alloggi, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’assistenza sociale.
Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.
L’articolo 6 della Direttiva sul diritto di soggiorno dei cittadini comunitari37 sancisce il diritto di soggiorno in capo ai cittadini Ue in tutti i Paesi membri per un periodo di tre mesi senza alcuna limitazione. Il diritto di soggiorno per un periodo superiore ai tre mesi deve essere garantito ai cittadini Ue, sebbene debbano sussistere determinate condizioni: che siano lavoratori subordinati o autonomi nello Stato ospitante, che dispongano di risorse economiche e che siano iscritti ad un istituto pubblico o privato per seguire un corso di studi o di formazione professionale.
Gli Stati membri possono richiedere ai cittadini europei la registrazione presso le autorità competenti nel caso di periodi di soggiorno superiori ai tre mesi. Secondo la Direttiva queste procedure di registrazione dovrebbero riguardare solo il possesso di un valido documento di riconoscimento e le condizioni di soggiorno. E’ inoltre garantito il diritto di soggiorno permanente ai cittadini che hanno regolarmente soggiornato nel paese ospitante per almeno 5 anni.
Quindi, secondo la Direttiva, i cittadini UE, tra cui i cittadini Rom europei, hanno il diritto di poter liberamente soggiornare nei paesi ospitanti dell’Unione. L’articolo 24 della Direttiva stabilisce anche che «[….].ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato». Viene quindi garantito a tutti i cittadini regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato ospitante il pieno diritto d’accesso alle strutture sociali statali.
Questa Direttiva, molto importante sotto il punto di vista dell’integrazione, ha però avuto significativi problemi nella trasposizione nelle normative nazionali degli Stati membri. In tutte le legislazioni nazionali l’adattamento ai contenuti della Direttiva è stato parziale od omissivo, volto più che altro a complicare le procedure amministrative necessarie per garantire il diritto di soggiorno ai cittadini stranieri comunitari e il conseguente accesso ai servizi sociali nazionali.
Nel dicembre 2008, la Commissione UE ha redatto un rapporto sull’applicazione della Direttiva 2004/38/EC nel quale lamenta che, nonostante in alcuni settori gli Stati membri abbiano adottato misure più favorevoli per i cittadini comunitari e per i loro familiari rispetto a quanto richiesto dalla direttiva stessa, «in generale l’adattamento alla Direttiva 2004/38/EC è stato piuttosto deludente. Nessuno Stato membro ha attuato la Direttiva effettivamente e correttamente nella sua interezza [….].. Nei trenta mesi successivi all’applicabilità della Direttiva, la Commissione ha ricevuto più di 180 reclami individuali, 40 interrogazioni dal Parlamento e 33 petizioni sulla sua applicazione».
La ricerca della FRA mostra che numerosi cittadini comunitari Rom che si stabiliscono in un altro Stato membro sono soggetti ad atti di discriminazione ed esclusione sociale, specialmente in conseguenza al fatto che non viene loro garantito il diritto di soggiorno come previsto per i cittadini europei. In tutti i paesi oggetto dello studio, molti cittadini intervistati hanno segnalato principalmente due problemi: le difficoltà connesse alla registrazione ai fini del soggiorno e la difficoltà di trovare un’occupazione sul mercato del lavoro ufficiale del paese di destinazione.
Questi due ordini problematici incidono direttamente sull’effettivo godimento del diritto di soggiorno e quindi sulla possibilità di usufruire di un trattamento sociale equiparato rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, come previsto all’articolo 24 della Direttiva. Il rapporto della FRA descrive una situazione di disagio per le popolazioni Rom europee, legate alle difficoltà di godimento effettivo di taluni diritti civili, politici, economici e sociali fondamentali (ad esempio il diritto di votare nelle elezioni locali ed europee o di accedere ai sistemi sanitari nazionali, agli alloggi pubblici, all’assistenza sociale e alle misure di integrazione nel mercato del lavoro).
Coloro che non riescono a trovare occupazione nell‟economia “emersa” dei paesi di destinazione sono quei cittadini Rom “economicamente inattivi” che finiscono per alimentare gli stereotipi e i commenti più negativi. Tuttavia in realtà, la maggior parte di queste persone è tutto fuorché inattiva. Non essendosi integrate nel tessuto economico sono per la maggior parte occupate in quelle che sono definite “attività economiche marginali”, quali il riciclaggio del vetro o del metallo, la vendita ambulante, la tinteggiatura di edifici, e così via.
IL CASO FRANCESE
La recente decisione del Governo francese (28 luglio 2010) di effettuare sgomberi in oltre 300 campi nomadi dislocati in prossimità delle maggiori città francesi e di rimpatriare i cittadini Rom europei non regolari presenti nei campi, ha suscitato nuove polemiche sulla corretta applicazione della Direttiva 2004/38.
La Direttiva è molto precisa nell’individuare i casi in cui gli Stati possono limitare il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini europei. All’Articolo 27 si legge infatti che «gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».
Al comma 2 viene inoltre specificato che tali provvedimenti, adottati per motivi di ordine pubblico o sicurezza, possono essere esclusivamente correlati a comportamenti individuali e che solo in casi individuali è possibile intervenire. La normativa prevede che prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o sicurezza, lo Stato ospitante debba tenere conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare ed economica, l’integrazione sociale e culturale nello Stato ospitante ed eventuali legami con il suo paese di origine.
La politica di allontanamento dei cittadini Rom non regolari dallo Stato francese è iniziata nel mese di marzo 2010 ma è stata perseguita con maggiore intensità da luglio dello stesso anno in seguito ad uno specifico problema di ordine pubblico avvenuto a Saint-Aignan, nella Loira. Dopo esser scappato da un controllo della polizia locale, un ragazzo Rom è morto in circostanze poco chiare provocando la reazione della comunità nomade della zona che ha assaltato la questura e il centro del paese provocando ingenti danni.
Il Governo francese ha annunciato l’irrigidimento della politica nei confronti di tutti i cittadini Rom presenti sul territorio francese prevedendo lo sgombero di 300 campi nomadi entro ottobre 2010 e l’espulsione dei cittadini Rom non regolari (vale a dire coloro che si trovano in Francia da oltre tre mesi e non sono in possesso di un contratto di lavoro o non si sono iscritti ad un corso di studi o di formazione professionale).
Malgrado l’intenzione francese fosse di operare le espulsioni solo nei confronti di quei cittadini europei trovati non in possesso dei requisiti per soggiornare nello Stato francese, tale politica è stata fortemente criticata dalle istituzioni europee. Essa andava infatti ad incidere su un intero gruppo etnico e non si fermava all’esame dei casi singoli come imposto dalla Direttiva.
I provvedimenti del Governo francese sono però basati sullo strumento del “rimpatrio volontario”, che in teoria non è contemplato dalla Direttiva 2004/38 (le limitazioni ed espulsioni considerate dalla normativa sono di origine coatta e devono essere giustificate da motivi di ordine pubblico). Il “rimpatrio volontario” consiste nel dare del denaro a quei cittadini europei sprovvisti dei documenti necessari affinché tornino volontariamente nel proprio paese di origine.
Durante il mese di agosto 2010, la Francia ha sgomberato oltre 100 campi nomadi e rimpatriato circa 700 cittadini rumeni e bulgari versando 300 euro per adulto e 100 euro per minore. La Francia aveva ampiamente utilizzato questa procedura per il rimpatrio di immigrati irregolari ma i risultati erano stati giudicati inadeguati. Nel 2010 è stato adottato un sistema di identificazione, chiamato OSCAR, che attraverso la registrazione delle impronte digitali evita che le persone rimpatriate ritornino in Francia allo scopo di farsi nuovamente espellere ed ottenere un ulteriore pagamento di 300 euro. Anche la procedura di identificazione attraverso le impronte digitali è stata fortemente criticata dalle istituzioni europee.
Oltre ai dubbi di liceità e compatibilità con la Direttiva 2004/38, la pratica del rimpatrio volontario si pone in contrasto con il Principio di non discriminazione enunciato all’Articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea adottata dalle istituzioni UE nel 2007, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha acquisito valore giuridico vincolante.
L’Articolo 21 della Carta vieta solennemente ogni forma di discriminazione basata su razza o origine etnica e sociale o appartenenza ad una minoranza nazionale. Tali critiche sono state mosse al Governo francese anche dal Parlamento europeo che il 9 settembre 2010 ha approvato una specifica risoluzione di condanna, e da Viviane Reding, Commissario di giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione Europea.
I PROGRESSI IN AMBITO EUROPEO
Malgrado le persistenti difficoltà legate principalmente al riconoscimento del diritto di soggiorno che determina un effetto domino sulle limitazioni di tutti i servizi sociali statali, fin dal 2008 sono state adottate dall’Unione Europea una serie di importanti misure che hanno progressivamente guidato verso una maggiore cooperazione tra attori nazionali, europei ed internazionali.
In particolare il 2 luglio 2008 la Commissione dell’Unione Europea ha emanato la Comunicazione “Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato” al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Con tale strumento la Commissione ha riaffermato il suo impegno nella lotta alla discriminazione e nella promozione delle pari opportunità, definendo un approccio globale volto a rafforzare le azioni europee anche riguardo le politiche di integrazione delle popolazioni Rom. Il conseguente documento di lavoro della Commissione sugli strumenti e le politiche comunitarie per l‟inclusione dei Rom è stato poi oggetto di discussione e dibattito durante il primo Vertice Europeo sui Rom che si è svolto a Bruxelles il 16 settembre 2008.
Il Vertice Europeo sui Rom di Bruxelles ha portato ad una generale mobilitazione ad alto livello delle istituzioni europee, dei governi, delle Organizzazioni Internazionali e della società civile. Il vertice ha messo in evidenza la responsabilità degli Stati e dell’UE sul problema dell’integrazione dei Rom. Durante lo svolgimento del meeting c’è stato un largo consenso sulla necessità di una nuova e più forte partnership tra tutti gli attori chiave in questo settore. Inoltre è risultato evidente come solo un approccio specifico e rispettoso delle diversità culturali potesse portare ad un effettivo progresso e all’inclusione delle popolazioni Rom.
Il messaggio è stato recepito dal Consiglio Affari Generali dell’UE, che nel dicembre 2008 ha approvato un documento con il quale ha accolto i lavori svolti a Bruxelles e ha esortato la Commissione a «continuare e approfondire le discussioni e organizzare un ulteriore Vertice sulle popolazioni Rom» in collaborazione con le successive tre Presidenze dell’Unione a partire dal 2010.
Il Consiglio, attraverso le tali conclusioni, unitamente alla richiesta di indire un secondo Vertice, ha approvato pienamente il documento di lavoro della Commissione sugli strumenti comunitari e le politiche per l‟inclusione dei Rom del luglio 2008. Quest’ultimo testo dava mandato agli Stati membri e alla Commissione di sostenere azioni a medio termine volte all’inclusione delle popolazioni Rom. La Presidenza spagnola dell’UE, nel primo semestre del 2010, ha poi recepito l’invito del Consiglio ad organizzare un secondo Vertice. Tale secondo Vertice Europeo sui Rom si è tenuto a Cordoba nel mese di aprile del 2010.
L’anno prima, nel 2009, l’interazione tra Commissione e Stati membri aveva portato ad un’altra importante iniziativa in ambito europeo: l’European Platform for Roma Inclusion, vertice che si è svolto nell’aprile 2009 in collaborazione tra la Commissione e la Presidenza di turno dell’Unione Europea della Repubblica Ceca. Il vertice, tenutosi a Praga il 24 aprile 2009, ha riunito, sotto la Presidenza di turno dell’Unione, le Presidenze UE del semestre precedente e del semestre successivo, esperti dei Paesi membri e delle Organizzazioni Internazionali, quali il Consiglio d’Europa, la Banca Mondiale, lo UNDP e l’OSCE, e i rappresentanti della Serbia. In Serbia, peraltro, si sono svolti tra il 2008 e il 2009 i lavori di un altro progetto: la Decade per l’Inclusione dei Rom 2005-2015 allargata anche a paesi non europei.
A conclusione del Vertice di Cordoba sono stati approvati i 10 Common Basic Principles on Roma Inclusion, fatti propri l’8 giugno 2009 dalle Istituzioni europee con l’approvazione all’unanimità delle conclusioni del Consiglio dell’Unione europea EPSCO (Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori). L’obiettivo dei 10 principi è di offrire alle istituzioni dell‟Unione europea e agli Stati membri una guida per le politiche volte all’inclusione dei Rom, e, malgrado i principi rappresentino una dichiarazione politica non vincolante dal punto di vista giuridico, gli Stati si sono impegnati ad adottarli come piattaforma di base per future iniziative.
Nelle sue conclusioni, il Consiglio EPSCO (Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori) invita «la Commissione e gli Stati membri, in stretta cooperazione, e secondo le loro rispettive competenze, a prendere in considerazione i Common Basic Principles, ove appropriato, nella definizione e attuazione di politiche per promuovere la piena inclusione dei Rom, così come nella definizione e attuazione di politiche per la difesa dei diritti fondamentali, in modo che sostengano l’uguaglianza di genere, combattano la discriminazione, la povertà e l’esclusione sociale, e assicurino l’accesso all’educazione, al diritto all’alloggio, alla salute, al lavoro, ai servizi sociali, alla giustizia, allo sport e alla cultura, anche nelle relazioni tra l’UE e i Paesi terzi».
Nel marzo del 2009 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla situazione sociale delle popolazioni Rom e sulla loro possibilità di accesso al mercato del lavoro. La risoluzione è centrata sulle modifiche legislative in ambito europeo necessarie per contrastare l’esclusione dei Rom nel settore lavorativo e impostare una politica coordinata europea volta a migliorare le condizioni di vita delle comunità Rom.
Le modifiche devono essere effettuate alla luce di tre fondamentali obiettivi:
- 1. il miglioramento delle opportunità economiche per i Rom;
- 2. la creazione di capitale umano spendibile nel mondo del lavoro;
- 3. l’incremento delle risorse per lo sviluppo delle condizioni di vita delle comunità Rom.
Il Parlamento europeo ha posto l’accento sulla necessità di accrescere le possibilità di accesso ad un livello più elevato di educazione e formazione per minori e adolescenti Rom. Allo stesso tempo ha rimproverato gli Stati membri per la carenza di politiche di integrazione a livello formativo e professionale. Tale carenza favorisce un inasprimento del livello di discriminazione subito dai Rom in Europa. Specie con riguardo al mercato del lavoro il Parlamento europeo ha auspicato che vi siano maggiori sforzi da parte delle autorità amministrative anche con politiche specifiche di microcredito o strumenti sussidiari all’integrazione dei Rom.
Inoltre, il Parlamento europeo ha stanziato nel 2009 un finanziamento di 5 milioni di euro per il progetto pilota “Pan-European Coordination of Roma Integration Methods”, volto a rafforzare nel corso del 2010 gli strumenti di sostegno in quattro ambiti di intervento:
- a) l’educazione della prima infanzia;
- b) il microcredito e l’impiego;
- c) l’informazione e la sensibilizzazione delle problematiche Rom;
- d) gli strumenti e i metodi per la valutazione e l’elaborazione dei dati statistici sulle comunità Rom in Europa.
IL CASO DELLA SPAGNA
Gli sforzi profusi negli ultimi due anni dalle Istituzioni europee per definire le linee guida sulle quali basare le differenti legislazioni nazionali sono stati solo parzialmente recepiti dai singoli Stati membri. Permane, in effetti, una diffusa esclusione dei Rom dai servizi di base in quasi tutti gli Stati europei. Nel primo semestre del 2010 le iniziative degli organismi europei sul tema dei Rom hanno avuto maggiore impulso per merito della Presidenza di turno UE, la Spagna, paese da sempre particolare attento alla questione.
Lo svolgimento del Secondo Vertice Europeo sui Rom a Cordoba nell’aprile 2010, di cui si è detto, ha valorizzato l’impegno del paese iberico per promuovere una maggiore sensibilizzazione sulle problematiche vissute dalle comunità Rom a livello europeo. La Spagna è, ad oggi, lo Stato in Europa che presenta la legislazione più avanzata riguardo l’accesso ai servizi sociali da parte dei Rom, ed ha appena promulgato, sotto l’egida del Ministerio de Sanidad y Política Social, un Piano d’azione ministeriale per gli anni 2010-2012 al fine di migliorare ulteriormente le condizioni di vita delle popolazioni gitane e perseguirne la piena integrazione.
Il Piano si colloca nel quadro della più ampia politica di inclusione dei Rom promossa da diversi Governi spagnoli. Negli anni ha preso forma una legislazione nazionale particolarmente apprezzabile, anche in considerazione dell’elevato numero di nomadi presenti in Spagna (circa 650-800 mila persone).
Le popolazioni Rom e nomadi, chiamate comunemente Gitanos, sono presenti nella penisola iberica fin dal XIV° Secolo ed hanno da sempre mantenuto una propria cultura peculiare. In epoca contemporanea, per tutto il periodo franchista e fino alla promulgazione della Costituzione democratica spagnola nel 1978, i nomadi spagnoli sono stati oggetto di discriminazione e vittime di una legislazione repressiva. La Costituzione del ’78 riconosce loro la cittadinanza e garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Per altro verso la lunga storia di intolleranza e di rifiuto dei Gitani da parte della popolazione aveva favorito la coesione delle persone di etnia Rom aggravando i problemi legati all’integrazione sociale e culturale.
La Costituzione spagnola stabilisce il principio di “uguaglianza” come valore superiore dell’ordinamento giuridico e come diritto fondamentale della persona. Tutti i cittadini spagnoli sono uguali davanti alla legge, lo stato è obbligato ad attuare politiche dirette ad impedire qualsiasi forma di discriminazione. Nel 1978 è stata creata la Commissione Interministeriale per lo studio delle problematiche della comunità nomade, sotto la supervisione del Ministero della Cultura.
Nello stesso anno è stata abrogata una norma specifica dell’ordinamento giuridico spagnolo che colpiva le comunità cosiddette zingare. Altre iniziative governative sono state adottate nel corso degli anni ’80, come il Programma del “Desarollo Gitano” (1989) con il quale è stata creata un’unità amministrativa – che attualmente dipende dal Ministero della Sanità e della Politica Sociale di Spagna – che ha il compito di formulare proposte legislative appropriate.
A livello parlamentare il Congresso dei Deputati ha creato nel 1999 una Sottocommissione per lo studio della problematica della popolazione nomade, in seno alla Commissione parlamentare sull’impiego e le politiche sociali, incaricata di redigere un rapporto sulle questioni non ancora risolte riguardo le popolazioni Rom in Spagna. Tra il 1986 e il 1999 il sistema di integrazione spagnolo ha portato all’elezione dell’unico parlamentare europeo di origine nomade, Juan de Dios Ramirez Heredia, attuale rappresentante dell’Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia e fondatore della Union Romanì, federazione delle associazioni gitane spagnole.
Nel 2005 il Consiglio Statale del Popolo Gitano, organo consultivo del Governo che promuove la partecipazione e la collaborazione delle strutture pubbliche con la popolazione Gitana. Nel 2007 è stato avviato l’Istituto di Cultura Gitana. Entrambi coinvolti nella stesura del Piano di azione 2010-2012 per le popolazioni nomadi in Spagna. L’obiettivo del Piano è diffondere i valori della comunità nomade, rafforzarne le istituzioni che promuovono la cultura gitana in Spagna, e stabilire una normativa volta ad incrementare la partecipazione delle comunità nomadi nella vita culturale e politica della Spagna.
Il documento precisa che le Amministrazioni pubbliche hanno il dovere di intervenire con politiche volte quotidianamente a superare gli effetti negativi di esclusione, discriminazione e disuguaglianza sociale che affliggono le comunità Rom a livello nazionale, tenendo conto degli impegni internazionali ed europei. Viene infatti esplicitamente richiamata la Direttiva del Consiglio sull‟uguaglianza razziale (2000/43/CE), adottata nel 2000, che vieta la discriminazione legata a motivi razziali o di origine etnica sul luogo di lavoro e in altri ambiti.
Il principio di uguaglianza è stato recentemente ribadito anche con riguardo alla discriminazione multipla attraverso la Ley Orgánica 3/2007 del 22 marzo 2010, che contiene riferimenti al divieto di discriminazione su più livelli: «L’obiettivo deve essere la lotta contro tutte le forme di discriminazione della popolazione Gitana diretta e indiretta, così come le discriminazioni multiple, tenendo anche conto degli altri fattori diversi da quelli dell’origine etnica, come il sesso, le disabilità, la nazionalità, ecc., garantendo l’uguaglianza di trattamento e di non discriminazione».
Vengono individuate otto diverse aree di intervento che vanno dalle attività economiche alla promozione della cultura gitana fino alle azioni necessarie da intraprendere in ambito europeo. Per ogni area vengono stabiliti gli obiettivi da raggiungere nel biennio 2010-2012 specificando gli strumenti che la pubblica amministrazione spagnola deve utilizzare per il loro raggiungimento.
Tra gli obiettivi più significativi va ricordato il diritto all’alloggio per i nuclei familiari, diritto che viene garantito attraverso specifici programmi urbanistici già avviati negli anni precedenti (programma ARIS per i centri storici e i municipi rurali, e ARUS per i centri urbani). Il diritto ad un alloggio dignitoso è definito dal Piano come aspetto centrale del processo di integrazione.
Secondo stime del 2007, l’88% della popolazione Rom spagnola dispone di una abitazione stabile e il 12% vive in baracche dislocate nelle periferie delle maggiori città. Il Piano di azione si pone l’obiettivo di rendere disponibile un alloggio alla totalità delle comunità nomadi e di migliorare le condizioni generali di abitabilità. Il problema abitativo viene affrontato dal Piano in un quadro nazionale (e non locale), in quanto rappresenta una priorità politica. Tali politiche abitative devono essere sviluppate in base ad azioni legislative generali e con i mezzi di finanziamento stabiliti dal Piano Statale sull’Abitazione, che fa riferimento al Ministerio de Vivienda, piano predisposto per risolvere i problemi abitativi di tutti i cittadini spagnoli.
Un altro settore sul quale il Piano di azione concentra la sua attenzione riguarda le politiche nel campo dell’educazione e dell’istruzione. Malgrado gli obiettivi già raggiunti dai governi spagnoli, la scolarizzazione delle popolazioni nomadi viene giudicata insufficiente, sia per l’assenteismo dei ragazzi, sia per il rendimento scolastico al di sotto della media. I dati più significativi riguardano la scuola secondaria. L’80% degli studenti di popolazioni nomadi abbandonano gli studi prima del completamento del ciclo scolastico.
Questi fattori incidono poi esponenzialmente sulla possibilità degli studenti di iscriversi a corsi di formazione universitaria: nell’anno accademico 2004-2005, fra 1.462.771 studenti universitari in Spagna, non più di 1000 erano di provenienza Rom (in proporzione rispetto alla popolazione essi avrebbero dovuto essere oltre 28.600). Inoltre altri studi hanno evidenziato che il numero degli analfabeti appartenenti alle comunità Rom spagnole è di 4,6 volte superiore rispetto alle persone analfabete registrate dal censimento della popolazione spagnola eseguito nel 2001 dall’Institudo Nacional de Estatística.
IL CASO DELLA SERBIA
La comunità Rom è la più grande minoranza presente in Serbia; rappresenta circa il 6% della popolazione totale. Il governo di Belgrado ha posto come punto principale della propria agenda politica la ricerca di soluzioni efficaci dirette al miglioramento delle condizioni di vita e ad una più efficace integrazione sociale. L’impegno serbo per migliorare l’integrazione delle comunità nomadi con il resto della popolazione ha avuto inizio nel 2001 con il varo della bozza della Strategia per l’Integrazione e la Responsabilizzazione dei Rom, il primo documento strategico per migliorare la situazione dei Rom in Serbia.
A partire dal 2005 l’impegno della Serbia nei confronti dei Rom è stato ribadito in ambito internazionale con la partecipazione di Belgrado all’iniziativa della Decade dell’Inclusione dei Rom 2005-2015, la cui Dichiarazione finale è stata firmata a Sofia. La Dichiarazione, appoggiata dai dodici Paesi che hanno preso parte all’evento (Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovacchia e Spagna), definiva gli obiettivi programmatici, da realizzare nell’arco di dieci anni.
Nel 2009 la Serbia ha assunto la Presidenza nei lavori del Summit della Decade dell’Inclusione dei Rom 2005-2015. L’impegno si è tradotto sul piano nazionale in due importanti risultati: da un lato la revisione e l’attuazione della Strategia per l’Integrazione e la Responsabilizzazione dei Rom; dall’altro l’implementazione di un Piano d’Azione Nazionale per i Rom in Serbia.
L’Ufficio per la Strategia Nazionale per i Rom, sotto la supervisione del Ministero per i Diritti Umani e delle Minoranze della Repubblica di Serbia, ha coordinato tutte le attività per lo sviluppo della Strategia e del Piano d’Azione attraverso pubbliche audizioni. Nel corso di numerosi dibattiti svolti in una Conferenza tematica organizzata nel 2008 hanno avuto luogo discussioni ed approfondimenti di notevole interesse. I lavori della Conferenza hanno coinvolto i rappresentanti del Ministero per i Diritti Umani e l’Ufficio per la Strategia per i Rom, oltre a membri di ong, esperti indipendenti e autorità locali.
Il risultato dei dibattiti è stato la stesura del Piano d’Azione Nazionale, che ha stabilito l’azione del Governo in 13 aree di intervento: educazione, abitazione, impiego, sanità, cultura, media e informazione, protezione sociale, accesso ai documenti personali di riconoscimento, partecipazione politica, lotta alla discriminazione, tematiche femminili, status giuridico e intesa politica con i paesi di provenienza.
Il Piano d’Azione della Repubblica di Serbia individua alcune tematiche prioritarie richiamando la necessità di interventi ancora più incisivi. Tra le molte emergenze viene messa in particolare evidenza l’importanza dell’educazione e dell’istruzione come strumenti principali di integrazione sociale delle popolazioni Rom. Secondo i dati dell’UNICEF sulle condizioni di vita dei fanciulli in Serbia (2006), quasi il 70% dei bambini Rom sono poveri e oltre il 60% delle famiglie Rom con bambini vivono al di sotto della soglia di povertà. I più vulnerabili sono dunque i più piccoli. Oltre i 4/5 dei bambini Rom poveri vivono in famiglie i cui genitori non hanno la licenza elementare.
La popolazione Rom in Serbia è molto giovane. Le statistiche ufficiali indicano che i bambini fino ai 6 anni sono il 15% della popolazione Rom in Serbia e che oltre il 16% della popolazione è composta da fanciulli tra i 7 e i 14 anni. Si stima che il numero di bambini Rom che dovrebbe iscriversi alle scuole elementari e materne sia tra 60 mila e i 100 mila.
Il Piano d’Azione richiama specificamente alcuni dei testi fondamentali riguardanti i diritti dell’uomo, come la Dichiarazione Universale (Articolo 26), il Patto internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (Articolo 13) e la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD, Articolo 5). In questo contesto può essere ricordato che con riguardo ai diritti dei minori la Convenzione internazionale sui Diritti dei fanciulli agli articoli 28 e 29 obbliga gli Stati firmatari ad assicurare l’educazione gratuita e a provvedere ad adeguate condizioni di vita per una regolare educazione.
Il Governo serbo si pone obiettivi da attuare all’interno degli interventi programmati dalla Decade dell’Inclusione dei Rom 2005-2015. Per quanto riguarda l’istruzione il piano si propone in particolare:
- 1) la piena inclusione dei Rom nella scuola assicurando continuità nella formazione;
- 2) la promozione dell’alta formazione, di secondo livello ed universitaria;
- 3) la sensibilizzazione della società allo scopo di ottenere condizioni di maggiore tolleranza;
- 4) la tutela delle diversità culturali.
Il piano precisa gli strumenti con i quali questi obiettivi debbono essere conseguiti (solo per fare menzione di due misure: la creazione di staff specifici di personale docente di supporto per le famiglie disagiate; una maggiore attenzione al nucleo familiare in modo da motivare gli stessi genitori al prosieguo scolastico dei propri figli).
IL CASO DELLA ROMANIA: VISITA DELLA COMMISSIONE A BUCAREST
Lunedì 25 e martedì 26 ottobre 2010 il presidente Pietro Marcenaro e i senatori Salvo Fleres e Massimo Livi Bacci hanno effettuato una visita in Romania. La visita – su invito della Commissione per i diritti dell’uomo, culti e minoranze del Senato di Romania – ha avuto lo scopo di approfondire la condizione dei Rom in quel paese.
Al mattino di lunedì la delegazione ha incontrato il dottor Valentin Mocanu, Segretario di Stato del Ministero del lavoro. Il Segretario di Stato, ricordando di essere stato incaricato di seguire la questione Rom con riferimento alle ultime scelte compiute dalla Francia, ha sottolineato la grande complessità dei problemi legati alla condizione dei Rom in Romania e nel resto d’Europa, trattata troppo spesso con eccessiva superficialità. In attesa di un censimento che l’anno prossimo dovrebbe consentire di misurarne l’effettiva consistenza numerica, ha riferito che i dati ufficiali parlano di 535 mila Rom presenti in Romania.
Ma le stime non ufficiali dicono di un numero molto superiore che oscilla tra il milione e mezzo e il milione e 800 mila. Resta peraltro il problema se sia possibile e etico un censimento su base etnica o se non sia preferibile un censimento indiretto fondato sul dialogo che arrivi a contare le famiglie e i gruppi. Quanto alle politiche di inclusione, esse oggi appaiono insufficienti perché insufficiente è il coordinamento delle politiche condotte dal governo centrale con le politiche delle comunità locali. Gli stessi studi che riguardano le comunità Rom andrebbero realizzati d’intesa con le autorità locali.
Questo aspetto, vale a dire la collaborazione con le comunità Rom e con le autorità locali, proprio la settimana scorsa – ha riferito il dottor Mocanu – è stato sottolineato con forza dal Consiglio d’Europa. Le politiche di inclusione – sia che si basino su fondi nazionali sia che siano alimentati da risorse europee – dovrebbero essere attuate pragmaticamente, in sintonia con le stesse comunità Rom ed in modo da non finire impastoiate nei meccanismi delle burocrazie. Di questo si è occupata una conferenza a Bucarest (12 e 13 ottobre 2010) sul contributo dei fondi europei all’integrazione della popolazione Rom.
Si tratta comunque di un lavoro che deve tenere conto delle specificità culturali dei Rom. Va tenuto conto del fatto che fino a tre generazioni fa le popolazioni Rom in Romania non avevano una cultura scritta. Addirittura fino alla scorsa generazione gli appartenenti a queste comunità erano privi di documenti di identità. Questo ha ovviamente reso più complesso attuare politiche abitative o occupazionali. Negli ultimi cinque anni, anche grazie alle risorse europee, la scolarizzazione dei bambini Rom è cresciuta significativamente. Per agevolare l’attuazione di queste politiche e facilitare il ricorso alle risorse stanziate dalle istituzioni europee, si è pensato in Romania di coinvolgere autorità locali, comunità Rom e ong.
Sul piano internazionale, invece, qualsiasi decisione che riguardi la condizione dei Rom nei singoli paesi – così si è espresso il Segretario di Stato Mocanu – deve essere adottata in piena sintonia con le normative europee e d’intesa con i paesi verso i quali si intendessero espellere singoli individui (ove si volessero adottare questo tipo di provvedimenti) e sempre in un quadro di legalità internazionale.
Non vi sarebbero, al riguardo, denunce specifiche fatte da cittadini rumeni discriminati da procedure improprie di espulsione attuate all’estero, ma, comprensibilmente, la Romania segue l’intera vicenda con grande preoccupazione, consapevole che le procedure di espulsione, in base alle normative europee, debbono essere individuali e non collettive. Ai francesi, che hanno offerto la loro collaborazione per l’attuazione di politiche di inclusione in Romania, il Segretario di Stato Mocanu ha riferito di aver fatto osservare che su questo vi sarebbe un imprescindibile problema di sovranità.
Peraltro, sempre secondo il Segretario di Stato, da quanto si è potuto accertare gli stessi Rom sarebbero estremamente diffidenti verso le autorità francesi. La Francia dovrebbe affrontare l’intera questione in termini meno propagandistici e, in ogni caso, non si potrebbe impedire ai cittadini Rom di fare ritorno in Francia o di recarsi in un altro paese dell’Unione europea.
Successivamente la delegazione ha incontrato il Dottor Anton Nicolescu, Segretario di Stato per lo sviluppo istituzionale e i rapporti con il Parlamento del Ministero degli affari esteri. Il Segretario di Stato ha ricordato le sue competenze che vanno dai rapporti con il parlamento ai settori della comunicazione con l’opinione pubblica fino ai rapporti di cooperazione nelle aree europea, del mare Adriatico e del Mar Nero.
Quanto alla questione dei Rom, dopo aver ricordato di aver lavorato con la fondazione di George Soros a Bucarest, il Segretario di Stato ha messo in evidenza gli aspetti che rendono simili le comunità Rom e la minoranza magiara in Romania, di cui egli fa parte, minoranza che ora, organizzata politicamente, ha molto più peso nella vita civile del paese.
Anche i Rom sono stati pesantemente discriminati, basti pensare che si trattava fino a centocinquanta anni fa di comunità ridotte in schiavitù. Più recentemente essi hanno esercitato mestieri tipici che il passato regime comunista non ostacolava e l’opinione pubblica aveva verso di loro un atteggiamento ben più benevolo di oggi. Solo negli anni novanta è iniziato ad emergere un problema legato alle comunità Rom, problema reso più complesso dalla mancanza di una organizzazione unitaria e di una élite riconosciuta e stimata da parte di tutte le comunità Rom.
Vi sarebbe anzi sfiducia verso chi pretende di rappresentare queste comunità, così ha riferito il Segretario di Stato, tanto da indurre a parlare di “etnobusiness”. In generale il quadro normativo non è sfavorevole ai Rom. Basti pensare vi sono posti riservati ai Rom nelle amministrazioni locali e nelle università. Se fossero organizzati meglio avrebbero certamente un loro partito ed una consistente rappresentanza in parlamento, se si pensa che i magiari – i quali sono autorevolmente rappresentati in parlamento – sono circa un milione e mezzo e rappresentano il 6,5% della popolazione.
Le stime sulla consistenza numerica dei Rom sono di circa sette – ottocento mila. Ma c’è chi parla di anche di più di due milioni. Il punto è che essi non sono organizzati. Non mandano i bimbi a scuola e per sopravvivere spesso si affidano all’accattonaggio o ad altre attività minori. Negli anni ottanta essi venivano impiegati ampiamente nell’edilizia, come pittori o muratori, ma ora questi impieghi, anche per effetto della crisi economica, non costituiscono più una soluzione valida per queste comunità. L’aiuto dell’Unione europea per l’attuazione di progetti di inclusione sociale è fondamentale, ma il timore, riferisce il Segretario di Stato, è che gli stessi Rom non vogliano essere aiutati o non credano nell’aiuto.
Alle 12.00 dello stesso giorno la delegazione ha incontrato il Dottor Attila Marko, Segretario di Stato per le relazioni interetniche, unitamente ad alti funzionari del dipartimento. Il Segretario di Stato ha illustrato le competenze del suo dipartimento, che vertono sulla collaborazione con le organizzazioni delle minoranze nazionali, la promozione di provvedimenti legislativi specifici e il monitoraggio della loro attuazione. Per svolgere i suoi compiti il dipartimento può contare su un budget annuo di circa un milione di euro.
Dal 2004 il dipartimento si è dotato di una struttura specifica per i rapporti con i Rom e rispetto ai Rom ha competenze in materia di politiche di formazione e culturali, ma non abitative. L’ultimo censimento, nel 2002, ha fatto emergere una popolazione Rom di 535 mila persone, ma le stime semi ufficiali parlano di circa due milioni e mezzo di persone, vale a dire quasi il 10% della popolazione rumena. Si spera che il censimento dell’anno prossimo dia risultati più vicini alla realtà. Gli individui nomadi sono pochi e, malgrado non esistano al riguardo dati certi, si stima che siano meno del 10% del totale.
Quanto ai documenti di identità personale, anche qui non si hanno dati certi, ma si ritiene che i Rom privi completamente di documenti siano diverse decine di migliaia. Ciò che il Segretario di Stato ha voluto sottolineare è che con questi numeri sarebbe facile per i Rom avere una rappresentanza anche importante nelle istituzioni, ma la scarsa organizzazione dei Rom – in questo assai diversi dalle minoranze ungherese e tedesca – lo impedisce. Vi è un solo deputato Rom eletto in parlamento che può contare su un consenso costante di circa 60 mila elettori e a ben vedere è poca cosa.
L’assenza di un unico interlocutore che rappresenti istituzionalmente le comunità Rom complica moltissimo il lavoro delle strutture che si occupano di loro, in quanto le costringono – per evitare di creare attriti tra le singole comunità – a svolgere un lavoro indiretto attraverso il dialogo con le ong e altre organizzazioni le quali, pur volenterose e capaci, non hanno gli stessi strumenti conoscitivi dei Rom. Questo fa sì che i programmi destinati ad altre minoranze, quindi non esclusivamente ai Rom, risultino maggiormente efficaci.
Si può dire, approssimando, che le comunità Rom operino in una sorta di autoisolamento, che se da un lato consente loro di vivere secondo la propria tradizione, anche con una certa efficacia – ad esempio i meccanismi di autotutela e di giustizia auto-amministrata funzionano abbastanza bene – dall’altro impedisce una effettiva integrazione con tutte le conseguenze negative che si possono immaginare. Il dottor Grosaru, dirigente del dipartimento, ha ricordato infine l’impegno per i minori ed ha sottolineato il fatto che una imminente legge per le minoranze etniche dovrebbe consentire di migliorare la situazione generale dei Rom affrontando anche il problema della cittadinanza.
Nel pomeriggio la delegazione ha incontrato il Senatore Gyorgy Frunda, presidente della Commissione per i diritti dell’uomo, culti e minoranze del Senato di Romania. Il presidente Frunda, parlamentare del principale partito della minoranza ungherese (UMDR), ha confermato che un censimento del 2002 attesta in 535 mila le presenze Rom in Romania, ma che questo dato non è certo attendibile, mentre sarebbero più vicine al vero le stime che collocano tale numero tra i due e i tre milioni.
Durante il passato regime comunista, ha sottolineato il presidente Frunda, il problema dei Rom era stato sostanzialmente rimosso. Solo dopo il 1990 esso ha ricevuto maggiore considerazione anche in relazione ad alcuni episodi di intolleranza che dopo il ’90 sono stati registrati, episodi dai quali è emerso un generale clima di intolleranza che persiste ancora oggi. Oggi la minoranza Rom non solo ha un seggio in parlamento, ma ha uno spazio notevole nelle istituzioni locali, in particolare i municipi, e anche nelle università vi sono casi di posti riservati ai Rom.
Resta comunque prioritario attuare una politica di reale integrazione e di scolarizzazione. La Romania ha approvato una legge in base alla quale si fa divieto di uscire dal paese per reati gravi per un periodo di tre anni. Quanto alla situazione all’estero, ha destato molto scalpore l’episodio della uccisione della signora Reggiani in Italia e tuttavia l’aspettativa in Romania è che l’Italia faccia di più in materia di integrazione dei Rom. Quanto alla Francia, ha sottolineato il presidente Frunda, di certo i sistemi di espulsione collettiva non possono risolvere il problema.
Le persone espulse, che hanno ricevuto per questo un indennizzo dalla Francia, torneranno con i parenti allo scopo di avere più soldi. Secondo il presidente Frunda sarebbe invece necessario pomuovere forme di collaborazione fra le politiche nazionali in modo da applicare correttamente la Convenzione sulle minoranze nazionali e gli altri atti internazionali. Di queste cose, ha ricordato il senatore Frunda, si è discusso il 4 luglio scorso nel quadro di un incontro a Roma tra una delegazione del gruppo di amicizia Italia-Romania dell’Unione Interparlamentare e il presidente della Commissione Affari esteri, on. Stefano Stefani.
In quella sede, e va ribadito anche oggi, è stata segnalata la necessità di garantire maggiore spazio alla Chiesa ortodossa rumena in Italia. Altri problemi sono stati segnalati con riguardo alla concessione del credito ai cittadini rumeni in Italia. Il presidente Frunda ha affermato che non risultano organizzazioni criminali Rom operanti in Italia.
Subito dopo la delegazione ha incontrato il Sen. Mircea Geoana, presidente del Senato di Romania. Il presidente Geoana ha ricordato l’incontro con il presidente del Senato della Repubblica italiana, Renato Schifani, lo scorso 17 aprile in margine ai lavori della riunione dei Senati d’Europa che ha avuto luogo a Palazzo Madama a Roma. Il presidente Geoana ha poi messo in rilievo l’elevata presenza di rumeni in Italia, stimata in circa un milione di presenze, ed ha espresso apprezzamento per l’idea del ministro degli Esteri Frattini di organizzare in margine al prossimo vertice intergovernativo un forum della società civile aperto alle ong, ai media e al mondo delle imprese.
I rapporti tra la Romania e l’Italia sono eccellenti – ha sottolineato il presidente Geoana – e proprio per questo occorre lavorare d’intesa per rimuovere prevenzioni e pregiudizi, pregiudizi che si sono rafforzati anche a seguito della grave crisi economica in corso, la quale induce una pubblica opinione spaventata e disorientata a cercare inesistenti capri espiatori. I pregiudizi gravano ancor più sulle comunità Rom presenti in Europa.
Un grande problema, ad esempio, di cui però si parla meno, riguarda le comunità Rom in Slovacchia. Secondo il presidente Geoana occorrerebbe favorire una maggiore cooperazione a livello europeo – ed è quanto è stato detto alla Commissione per le politiche sociali del Parlamento europeo nella recente visita a Bucarest – per favorire l’integrazione delle comunità straniere nei singoli paesi dell’Unione europea e in particolare delle comunità Rom.
Nel tardo pomeriggio la delegazione ha incontrato il Dottor Csaba Ferenc Asztalos, presidente del Consiglio nazionale per la lotta alla discriminazione, insieme alla Capo di Gabinetto e ad alla responsabile Stampa e Esteri. Il presidente Asztalos ha rilevato come in materia di lotta alla discriminazione esistano a livello europeo due importanti direttive, la direttiva 2000/43/CE e la direttiva 2000/78/CE, che in Romania costituiscono il presupposto giuridico per l’attuazione dei principi di non discriminazione nell’ordinamento nazionale. Il Consiglio nazionale per la lotta alla discriminazione, istituito nel 2001, è un organismo indipendente che fino al 2005 ha riferito al Governo, successivamente al parlamento.
I componenti del Consiglio sono nominati dal parlamento per un periodo di cinque anni ed eleggono tra loro il presidente. Il Consiglio accoglie richieste dei cittadini e di ong e promuove campagne contro la discriminazione. Può effettuare ispezioni presso enti pubblici o privati o chiedere informazioni e può comminare sanzioni amministrative in caso di rifiuto, ma non può fare denunce alla magistratura, dalla quale, tuttavia, può essere consultata facoltativamente, con parere non vincolante rispetto alla sentenza. Ogni anno giungono circa otto- novecento domande di cui circa 200 riguardano problemi attinenti la discriminazione e circa 50-70 si riferiscono a comunità Rom.
I fondi del Consiglio si sono progressivamente ridotti nel tempo e nel 2010 ammontano a 900 mila Euro. Tanto per dare un’idea, ha riferito il presidente Asztalos, l’omologa istituzione francese può contare su un finanziamento annuo di circa due milioni di Euro. I finanziamenti comunitari, malgrado siano rilevanti sotto il profilo quantitativo, non riescono ad essere utilizzati efficacemente.
Proprio a questo proposito una importante conferenza ha avuto luogo a Bucarest il 12 e 13 ottobre 2010 sul contributo dei fondi europei all’integrazione della popolazione Rom. Nonostante l’impegno, ha rilevato con dispiacere il dottor Asztalos, i meno preparati ad accogliere gli aiuti comunitari sembrano essere proprio i Rom. Le comunità Rom, infatti, sono poco organizzate e chi si propone quale loro rappresentante gode spesso di scarsa credibilità personale finendo per ricadere nel fenomeno, del tutto peculiare, del cosiddetto etnobusiness.
Un’altro elemento divide le generazioni giovani da quelle più anziane: i giovani, specie se riescono ad affrancarsi attraverso un lavoro, cercano di dissimulare le loro origini per poter meglio essere accettati dalla società. Per restare al contesto internazionale, ha osservato il presidente Asztalos, andrebbe valorizzato il fatto che i Rom di origine rumena fanno ormai parte dell’Unione europea e che in questo senso non dovrebbero esservi problemi, almeno per loro, quanto alla cittadinanza.
Per la stessa ragione – ha proseguito il dottor Asztalos – non può che essere condannata la politica di espulsioni attuata dalla Francia. In questo senso andrebbe attuato un controllo più rigido sulla applicazione delle direttive comunitarie da parte dell’Unione europea. Sul punto specifico del trattamento riservato ai Rom dovrebbe attivarsi l’Agenzia per i diritti umani Ue di Vienna. Infatti, da un sondaggio del 2009 è emerso che i gruppi maggiormente discriminati in Romania sono i malati di Aids, gli omosessuali, le persone con disabilità mentali, le comunità Rom.
Il 78% degli intervistati ritiene che i Rom delinquano abitualmente, il 60% non vorrebbe in alcun caso trovarsi a vivere accanto ad un insediamento Rom. Tra poche settimane si avranno i risultati di un altro sondaggio dal quale ci si aspetta purtroppo una conferma di questi dati. In Romania, ha affermato il presidente Asztalos, troppo spesso i Rom vengono considerati solo un utile serbatoio di voti, dato il loro numero, circa due milioni, e la loro scarsa organizzazione.
Il contesto è dunque molto sfavorevole ai Rom, e questo nonostante normative che facilitano l’accesso dei Rom ai posti di lavoro pubblici e nonostante gli atti di discriminazione siano severamente sanzionati. Può essere ricordata al riguardo una multa di 10 mila Euro comminata ad una scuola che aveva pretestuosamente rifiutato l’iscrizione ad una bimba Rom. Resta comunque una comunità povera ed emarginata e vittima di pesanti pregiudizi, sia in Romania sia all’estero. E’ noto quali conseguenze negative in termini di pregiudizi abbia avuto sui Rom il caso Reggiani in Italia. Non è il solo caso di questo tipo; tre mesi dopo vi è stato un altro clamoroso caso in Ungheria relativo a un giocatore di pallamano ucciso da un Rom.
L’attuale crisi economia ha aggravato il quadro alimentando gesti di insofferenza e, purtroppo, di aggressione violenta. Negli ultimi nove mesi si sono avuti diversi morti a seguito di aggressioni alle comunità Rom; si tratta di episodi che si sono verificati anche in altri paesi, come ad esempio la Slovacchia, e che sono stati puniti severamente dalla giustizia.
Al mattino di martedì 26 ottobre, la delegazione della commissione per i diritti umani del Senato ha incontrato Ilie Dinca, presidente dell’Agenzia nazionale per i Rom. L’incarico è stato conferito a Ilie Dinca dal Primo ministro nel 2009 ed ha rango di Segretario di Stato. L’incarico segue il lavoro svolto da Ilie Dinca per molti anni in favore delle comunità Rom. In particolare Ilie Dinca è stato segretario del Partida Romilor, la formazione politica che dalla fine del comunismo rappresenta in parlamento gli interessi dei Rom.
Su questo aspetto, vale a dire sul problema della partecipazione politica dei Rom, Ilie Dinca ha osservato come non sia vero che le comunità Rom non partecipino alla vita civile del paese; i votanti nella comunità Rom raggiungono percentuali anche elevate, 60%-70%, ma in gran parte si tratta di voti che i grandi partiti riescono a comprare con promesse elettorali e dazioni in beni di consumo. Il presidente Dinca ha sottolineato lo stretto rapporto dell’Agenzia con gli enti territoriali locali, rapporto indispensabile perché è a quel livello istituzionale che si possono acquisire le maggiori e più attendibili informazioni.
E’ d’intesa con le autorità locali che è stato possibile sviluppare un piano per i Rom, piano destinato ad essere attuato nei prossimi quattro anni. Quanto ai dati relativi alla reale consistenza delle comunità Rom, Ilie Dinca ha ripetuto ciò che più volte è emerso nel corso della visita, vale a dire che non vi sono dati certi, anche perché gli stessi Rom rifiutano di dirsi tali.
Più tardi, nel corso della mattinata, la delegazione del Senato italiano, insieme a Ilie Dinica, ha visitato il quartiere Rom di Ferentari. Il quartiere, nel quale abitano 60-70 mila persone, si trova alla periferia di Bucarest. L’ex dittatore Ceausescu volle che Ferentari diventasse il quartiere Rom di Bucarest, obbligando ciascuno a lavorare ed imponendo un rigido controllo. Oggi i palazzi che vi si trovano sono in condizioni estremamente precarie. Tra i palazzi si vedono baracche fatiscenti tirate su alla bell’ e meglio.
Le strade non sono tutte asfaltate e sono devastate dalle buche. La spazzatura è accumulata disordinatamente nelle strade. Le abitazioni sono dotate di acqua corrente ma gli allacci della corrente elettrica non sono presenti ovunque e gli abitanti suppliscono a tale carenza con allacci abusivi alla rete cittadina. Nello stesso quartiere di Ferentari, la delegazione del Senato è stata accompagnata a visitare un asilo-modello (“Gradinita nr. 245”), frequentato indifferentemente da bambini romeni e Rom: in un clima di gioco e in un ambiente pulito i bambini condotti dalle mamme trascorrono gran parte della giornata ed apprendono le regole di base della convivenza e della socialità.