ROM, SINTI E CAMINANTI IN ITALIA – 2

a cura di Cornelio Galas

Fonte: XVI Legislatura
SENATO DELLA REPUBBLICA
Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani
Rapporto conclusivo dell’indagine – 2011
sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia

GIUDIZI E PREGIUDIZI

La presenza di Rom e Sinti è percepita come un problema dalle amministrazioni e dall’opinione pubblica e questo è dovuto in parte a fenomeni oggettivi, quali appunto le differenze culturali e i diversi usi e costumi che sussistono tra le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti e la popolazione maggioritaria. L’Istituto per gli Studi sulla pubblica opinione ha provato a fornire i contorni precisi dell’atteggiamento nei confronti di Rom, Sinti e Caminanti in una conferenza, svoltasi a Roma il 22 e 23 gennaio 2008, in cui sono stati presentati i risultati dell’indagine «Italiani, Rom e Sinti a confronto. Una ricerca quali-quantitativa».

La conferenza ha messo in luce come il 35% del campione intervistato sovrastimi la presenza di Rom e Sinti in Italia, collocandola tra l’1 e i 2 milioni di persone. L’84% del campione è poi convinto che gli “zingari” siano prevalentemente nomadi. Questa scarsa conoscenza rispetto alla presenza di Rom e Sinti si accompagna a un’«immagine avversa» nel 47% dei casi, a un’«immagine di emarginazione» nel 35% dei casi, e solo nel 12% dei casi a un’immagine «neutra» o «positiva».

Inoltre il 92% degli intervistati è convinto che Rom e Sinti in molti casi sfruttino i minori; il 92% che vivano di espedienti e furtarelli; l’87% che siano chiusi verso chi non è zingaro; l’83% che abitino per loro scelta in campi isolati dal resto della città. Il 65% è persuaso infine che Rom e Sinti siano tra i popoli maggiormente discriminati. Ancora Zincone: «Inoltre, le iniziative locali sono spesso ostacolate dall’opinione pubblica che esprime malumori diffusi quando si tratta di aiutare “zingari”, percepiti come un fattore di rischio per il proprio benessere”.

La crisi economica attuale ha rafforzato tali malumori e può consolidare opinioni pericolose che già si esprimono in sedi insospettabili. Una recente sentenza del tribunale dei minori di Napoli rappresenta un segnale di pericolo. Il giudice, condannando una ragazzina Rom di 15 anni in primo grado e in appello a un anno e mezzo di reclusione, ha portato le seguenti motivazioni:

“Le conclusioni indicate sono sostanzialmente confermate dalla relazione depositata in atti dalla quale, a prescindere dalle cause, emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura Rom. Ed è proprio l‟essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva”.

E più oltre:

“Sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano infatti misure inadeguate anche in considerazione della citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole”.

Si tratta di un giudizio che contrasta con la linea ancora di recente ribadita dalla Corte Europea di Giustizia nel caso Paraskeva Todorova vs. Bulgaria (Application n. 37193/07), quando ha rilevato la discriminazione su base etnica di una donna Rom condannata alla reclusione.

Il 10 marzo 2010 la Corte ha cassato la sentenza di un giudice bulgaro che nel 2005 aveva negato la sospensione della pena a una donna Rom, malata perché quella “è una comunità per la quale la sospensione di una sentenza è una non sentenza”. I Rom sono catalogati persino dai togati come delinquenti per cultura, se non per natura. Aggressioni, omicidi, guida in stato di ubriachezza con il seguito di incidenti anche mortali da parte di Rom contro nazionali hanno occupato le cronache italiane. Minore spazio, anche se non nullo, hanno avuto gli assalti dei nazionali ai campi.

Ma contro i Rom si riportano diffuse aggressioni fisiche e verbali, comportamenti discriminatori, pure da parte delle forze dell’ordine, questi sono segnalati dalle agenzie specializzate, ma i media li ignorano. Insomma, se i risultati in termini di integrità e buona vita sono pessimi, quelli in termini di relazioni a basso conflitto non sono migliori.

I giudizi negativi sui Rom sono persistenti e diffusi. Nella scala di accettazione delle minoranze risultano sempre come i meno popolari. Da un sondaggio dell’Eurobarometro sulla discriminazione nell’Unione Europea, emerge che il 47% degli italiani intervistati si dichiara “a disagio” con l’idea di avere un Rom come vicino di casa, contro una media UE del 24%. Anche una ricerca italiana del 2010, rivolta ai giovani (18-29 anni), in una scala di simpatia che va da 1 a 10, assegna ai Rom il minimo del punteggio (4,1) seguiti da rumeni (5,0) e albanesi (5,2). È facile quindi ipotizzare che le posizioni di rigetto siano da addebitarsi non a pregiudizi etnici, ma a “opinioni sulla maggiore propensione dei gruppi sgraditi a commettere azioni delittuose».

Uno dei pregiudizi più diffusi è quello secondo cui “gli zingari rubano i bambini” benché dal dopoguerra ad oggi nessuna sentenza abbia mai condannato un Rom o Sinti per un simile reato (ad eccezione del caso di Angelica, la minorenne condannata per aver tentato di rapire una neonata a Napoli nel 2008). Ma, come ha spiegato il professore Leonardo Piasere nell’audizione presso la Commissione del 20 aprile 2010, esiste anche l’opinione reciproca, ovvero che i gagé, i non zingari, sottraggano i bambini a Rom e Sinti attraverso procedure di adozione e affidamento.

Una ricerca svolta su sette tribunali minorili in un periodo che va dal 1985 al 2005-2006 mostra che in 21 anni sono stati dati in adozione 258 bambini Rom e Sinti, di cui il 93% Rom e il 7% Sinti; questo dato rappresenta il 2,6% delle procedure di adottabilità portate a termine nel periodo preso in esame. Conclude Piasere: «I Sinti e i Rom in Italia rappresentano una percentuale tra lo 0,1 e lo 0,2 della popolazione totale (una media ipotetica dello 0,15). Se la percentuale delle procedure fosse in analogia con la percentuale della popolazione, le procedure di adottabilità riguardanti i Sinti e i Rom non dovrebbero ammontare a 227 ma dovrebbero essere 13″.

Piasere si è posto una domanda provocatoria: «In Italia siamo sulla via di un genocidio culturale?» per poi precisare: «La nostra non è una ricerca contro le adozioni, contro i tribunali o gli assistenti sociali, che in tutto il mondo si dice siano quelli che portano via i bambini. Ci mancherebbe! Non è questo il punto. La ricerca è contro le due posizioni estreme: quella secondo cui tutti i bambini Rom dovrebbero essere dati in adozione perché i Rom devono scomparire (dei presidenti di tribunale lo hanno detto chiaramente), e quella secondo cui, al contrario, nessun bambino Rom o Sinti deve essere dato in adozione perché appartenenti a culture diverse; e, proprio per questo motivo, noi abbiamo il diritto di intervenire».

DEVIANZA E CRIMINALITÀ

Sostiene Zincone: «La questione della criminalità di questa minoranza non può essere spazzata via da due atteggiamenti entrambi ideologici e frettolosi. Il primo rimuove il problema attribuendolo a pregiudizi o a mancanza di alternative, il secondo considera i comportamenti illegali “connaturati” a questa minoranza. Sarebbe invece opportuno capire prima quanti tra loro commettono atti delittuosi, quali atti e perché. Capire se ci siano state evoluzioni negative nel tempo: sfruttamento della prostituzione, traffico di armi e droga, anche se è la micro criminalità che incide di più sull’opinione pubblica, perché tocca da vicino e perché è più visibile.

A costruire l’immagine negativa contribuisce anche l’accattonaggio, specie se affidato a minori o a donne molto anziane. E su questo ultimo problema si è fatto poco, perché reprimerlo non basta, se non si indica quali alternative reali di ottenere un reddito da lavoro sono offerte ai Rom. Questa minoranza è intrappolata nel circolo vizioso della cosiddetta “discriminazione statistica”: “siccome pare che in quella comunità ci sia più devianza, non mi fido e non do lavoro”. Quindi gli individui di quella minoranza non hanno vie di uscita e ripiombano in comportamenti, come l’accattonaggio, fastidiosi per la maggioranza o, peggio ancora, si procurano reddito con atti delittuosi di varia gravità che rinforzano il pregiudizio statistico.

Quando si guarda all’incidenza della criminalità in questi gruppi, bisogna ricordare che, in generale, a delinquere sono soprattutto i giovani, i poco istruiti, i disoccupati. In generale i giovani maschi sono più propensi a commettere reati, nel caso dei Rom c’è però una forte incidenza tra le ragazze. È possibile che si tratti di un ulteriore sintomo di sfruttamento di genere più che di una male intesa parità. Le condizioni di disagio e di emarginazione costituiscono un terreno fertile per la devianza, occorre quindi bonificare quel terreno per il bene di tutti. Alzare muri può servire nell’immediato ad arginare i sintomi, a evitare che le interazioni diventino sempre più conflittuali, ma non è certo una strategia praticabile a lungo termine».

Il Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, prefetto Francesco Cirillo, ha inviato alla Commissione un documento in cui sono riassunte le «Operazioni di rilievo in Italia afferenti soggetti nomadi», portate a termine dal giugno 2007 al gennaio 2011. Dal documento si evince come nel periodo in esame siano state complessivamente condotte 155 operazioni, di cui 7 tra giugno e dicembre del 2007, 26 nel 2008, 70 nel 2009, 48 nel 2010 e 4 nel primo mese dell’anno in corso.

In tutto, sono stati emessi ordini di custodia cautelare per 542 soggetti; sono state arrestate in tutto 234 persone; sono stati emessi provvedimenti restrittivi per 105; sono stati eseguiti 33 fermi; sono state denunciate a piede libero 149 persone; sono stati emessi 11 mandati d’arresto europei.

Dal documento, emerge che i reati contestati più di frequente sono i furti (in generale), seguiti dai furti in appartamento, dalla detenzione, spaccio e/o traffico di stupefacenti, da rapine, ricettazione, usura, truffa, possesso illegale di armi e induzione, favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione. Sono stati anche portati a termine 26 operazioni di sequestro di beni. Il maggior numero di operazioni è stato condotto nelle aree urbane maggiori e nelle relative province (in particolare 41 operazioni a Roma, 20 a Milano).

Infine, in una scheda sulla situazione dei Rom e Sinti in Italia inviata sempre dal prefetto Cirillo, si sottolinea che in data 2 settembre 2010, è stato istituito l’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), presieduto dal Vice Direttore Generale della P.S. – Direttore Centrale della Polizia Criminale, con i seguenti compiti:

  • ricevere le segnalazioni trasmesse da istituzioni, associazioni o privati cittadini riguardanti atti discriminatori attinenti alla sfera della sicurezza commessi nei confronti di soggetti appartenenti a minoranze;
  •  attivare , sulla scorta delle segnalazioni di cui al punto precedente, interventi mirati sul territorio;
  • seguire l‟evoluzione delle denunce presentate direttamente alle Forze di Polizia di atti discriminatori commessi in danno di minoranze;
  • convocare, anche a richiesta, in relazione all‟oggetto della segnalazione o della denuncia, i rappresentanti delle minoranze interessate; ove necessario possono essere chiamati a partecipare i rappresentanti delle competenti articolazioni Dipartimento della P.S. e degli organismi centrali delle Forze di Polizia;
  • proporre alle forze di Polizia l‟utilizzo di strumenti, anche informatici, per facilitare e incentivare i canali di comunicazione tra cittadini discriminati e il sistema di sicurezza;
  • proporre moduli formativi per qualificare in materia gli operatori delle Forze di Polizia;
  • favorire i collegamenti con le istituzioni pubbliche o private che si occupano di atti discriminatori (in particolare con l‟UNAR, l‟ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni basate su razza e origine etnica).

L’organismo è composto:

  • dal Direttore dell‟Ufficio di Staff del Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza – Direttore Centrale della Polizia Criminale;
  • dal direttore dell‟Ufficio Tecnico Giuridico e Contenzioso della Direzione Centrale della Polizia Criminale;
  • dal direttore del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale;
  • dal direttore del Servizio Informazioni Generali della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione;
  • dal direttore del Servizio Immigrazione della Direzione Centrale dell‟Immigrazione e della Polizia delle Frontiere;
  • dal direttore del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato;
  • dal Capo del II Reparto del Comando Generale dell‟Arma dei Carabinieri.

PORRAJMOS: UNO STERMINIO DIMENTICATO

È il termine con cui i Rom indicano il genocidio subito durante la Seconda Guerra mondiale a opera della Germania nazista. Porrajmos (o Porajmos, Poraijmos), in lingua romanés, vuole dire «divoramento», «devastazione». Uno sterminio che al pari di quello degli ebrei fu condotto con scientificità e meticolosità in tutti i paesi occupati dai nazisti. Alla base vi era la considerazione che i Rom fossero una razza inferiore. Le deportazione in massa nei campi di concentramento e sterminio iniziarono nel maggio del 1940 con un primo rastrellamento di oltre 2800 Rom e proseguirono fino al 1944.

Mancano dati certi riguardo al numero delle vittime, ma le stime fornite da studiosi quali Ian Hancock, direttore del programma di studi Rom presso l’Università del Texas ad Austin, e Sybil Milton, storico dell’Holocaust Memorial Museum, suggeriscono una cifra che oscilla tra le 500 mila ed il milione e mezzo di vittime.

Per quanto riguarda la persecuzione dei Rom in Italia ad opera del regime fascista, i dati storici raccolti sono scarsi tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e in che misura gli zingari siano stati perseguitati in Italia. Rom e Sinti furono imprigionati nei campi di concentramento di Agnone (convento di San Berardino), Berra, Bojano (capannoni di un tabacchificio dismesso), Bolzano, Ferramonti, Tossicìa, Vinchiaturo, Perdasdefogu e nelle Tremiti.

Si trattava di Rom italiani così come appartenenti ad altre nazionalità, in particolare Rom slavi, fuggiti in Italia a seguito delle persecuzioni in patria. Quello dei Rom è uno sterminio dimenticato. Nella legge 20 luglio 2000, n. 211 che istituisce il «Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti» si parla, all’articolo 1, «di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Non si fa alcun cenno al genocidio dei Rom.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E L’ITALIA

La situazione dei Rom e dei Sinti in Italia, le loro condizioni abitative, di salute, di accesso al lavoro e ai servizi scolastici, sono stati oggetto di rilievi e osservazioni da parte sia di organismi internazionali, (ad esempio le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, l’Osce) sia di grandi organizzazioni non governative umanitarie (per esempio, Amnesty International e Human Rights Watch).

Nazioni Unite. Nel corso della Universal Periodic Revue (Upr) cui il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha sottoposto l’Italia tra febbraio e giugno 2010 a Ginevra, sono state rivolte e al Governo italiano 92 raccomandazioni, dieci delle quali riguardavano la condizione delle minoranze Rom e Sinti nel nostro paese. In particolare il Governo italiano ha accettato le seguenti raccomandazioni:

n. 24 (Cile); chiedeva al nostro paese di portare avanti misure effettive per combattere la discriminazione razziale nei confronti di gruppi vulnerabili di donne, in particolare migranti e Rom.

n. 25 (Bangladesh); invitava a eliminare ogni forma di discriminazione verso le comunità Rom, oltre che nei confronti delle minoranze religiose e dei migranti, per assicurare pari opportunità per il godimento dei diritti sociali, culturali e economici, inclusi il diritto alla casa, alla salute e all’educazione.

n. 28 (Bangladesh, Norvegia, Pakistan e Austria); chiedeva da parte del nostro paese l’adozione di misure contro chi compie atti razzisti contro Rom, Sinti, migranti e musulmani; di condannare duramente gli attacchi contro migranti, Rom, e altre minoranze etniche assicurando al contempo indagini complete da parte della polizia in modo che i responsabili di tali fatti fossero perseguiti dalla Giustizia.

n. 57; sollecitava il Governo italiano a compiere ulteriori sforzi per integrare le comunità Rom e Sinti attraverso azioni positive nell’area dell’educazione, del lavoro, dell’abitazione e dei servizi sociali (Australia); di continuare a contribuire all’integrazione dei Rom e Sinti all’interno delle comunità locali allo scopo di dare loro accesso alla casa, al lavoro, all’educazione e alla formazione professionale (Russia); di continuare gli sforzi per contrastare la discriminazione verso le persone Rom in tutti i settori della società; di cercare di assicurare l’effettiva partecipazione delle persone Rom a un percorso per assicurare loro un trattamento partitario e non discriminatorio (Finlandia); di assicurare pari diritti ai membri delle minoranze Rome e Sinti, di assicurare che tutti i bambini Rom e Sinti siano iscritti a scuola e di incoraggiare una regolare frequenza scolastica (Svezia); di adottare una legge in via generale un legge contro le discriminazioni tale da garantire che i Rom possano godere di piena eguaglianza nelle possibilità di accesso al lavoro, all’educazione e alla salute (Stati Uniti).

n. 60 (Stati Uniti); suggeriva di continuare a operare per porre fine a intolleranza e discriminazione sociale contro i Rom e, a tale riguardo, assicurare che la polizia e le autorità locali fossero ricevano una formazione adeguata a dare risposte appropriate alle denunce per crimini in cui siano coinvolti Rom, evitando un profiling etnico inappropriato.

Queste sono le raccomandazioni che il Governo Italiano ha accettato in quanto le misure richieste sarebbero già in essere o in corso di attuazione. Il Governo ha poi accettato tre ulteriori raccomandazioni, fornendo alcune precisazioni:

n. 59 (Serbia); invitava a prestare un’attenzione particolare alla preparazione, realizzazione e valutazione di un progetto pilota per il rimpatrio di un numero di Rom, di origine serba, che attualmente vivono nei campi dislocati in Italia centrale e meridionale, in modo da agevolare politiche adeguate, dignitose ed efficaci per la popolazione Rom. Il Governo ha specificato che è stato costituito un gruppo di lavoro ad hoc composto da rappresentanti italiani e serbi per elaborare un protocollo di intesa (Mou) che specifichi le misure per il rimpatrio, conforme agli accordi bilaterali.

n. 61; che chiedeva, con riguardo agli sgomberi forzati, di assicurare la piena corrispondenza con il diritto internazionale (Svezia); e la 62, che invitava a valutare tutte le alternative agli sgomberi forzati di Rom e Sinti, anche consultando coloro che sono direttamente colpiti da questi provvedimenti (Australia). Queste due raccomandazioni sono state accolte ma il Governo ha precisato che le operazioni di sgomberi forzati portate a termine dalla forze di polizia avevano spesso l’obiettivo finale di fornire una migliore sistemazione abitativa per le famiglie Rom. Gli insediamenti non autorizzati, per loro stessa natura, non possono assicurare condizioni di vita appropriate. Nel guardo della legislazione nazionale, restituire buone condizioni di vita è nell’interesse della società intera, ivi incluse le comunità Rom, Sinti e Camminanti, che sono le più esposte al rischio di abuso e sfruttamento.

Infine sono state respinte le raccomandazioni 56 e 58. La prima esortava ad accrescere gli sforzi per raggiungere e assicurare i diritti dei membri delle minoranze, in particolare delle comunità Rom (Stati Uniti); a proteggere i Rom e Sinti come minoranze nazionali e assicurare che non fossero oggetto di discriminazione da parte di alcuno, compresi i media (Cuba). La seconda sosteneva la necessità di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire i diritti dei Rom come indicato dall‟articolo 27 del Patto internazionale dei diritti civili e politici, specificamente emendando la legge del 1999 che richiede il collegamento con un territorio specifico (Danimarca).

Il Governo ha spiegato che già ora i principi costituzionali e leggi specifiche assicurano misure per la protezione delle minoranze linguistiche a tutti i livelli: scolastico, nella pubblica amministrazione, nel settore dei media, e nella topografia municipale. Queste leggi pongono tuttavia per le minoranze linguistiche la condizione della stabilità e della durate degli insediamenti in una determinata area del paese. Dal momento che le comunità Rom e Sinti non ottemperano questi criteri, non possono essere incluse nella lista nazionale delle minoranze linguistiche storiche. Attualmente, la lista cui si riferisce la legge 482/1999 include dodici minoranze ed è aperta a nuovi membri.

Consiglio d’Europa. Il commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani Thomas Hammarberg ha presentato nel febbraio del 2009 un rapporto sull‟Italia, redatto dopo una visita nel nostro paese effettuata nel gennaio dello stesso anno. In questa relazione, composta da quattro capitoli e suddivisa in 119 paragrafi, un capitolo (per un totale di 29 paragrafi) è dedicato alla situazione dei Rom e dei Sinti.

Hammarberg, dopo aver espresso apprezzamento per il costante impegno del Governo italiano nella cooperazione con il Consiglio d’Europa e nella costante attenzione riservata alle questioni sollevate nel Memorandum, specie in relazione alle questioni che riguardano Rom e Sinti; e dopo aver accolto con favore le azioni positive intraprese per proteggere e promuovere i diritti umani di Rom e Sinti, ad esempio sostenendo la campagna «Dosta!» del Consiglio d’Europa, finanziando le scuole con un alto numero di immigrati e Rom e sostenendo gli sforzi per l’accesso a un’abitazione per Rom e Sinti, ha mosso alcuni rilievi.

In primo luogo Hammarberg ha sottolineato con preoccupazione alcuni casi di cronaca nei confronti di Rom e Sinti, come il pestaggio di una bambina Rom a Pesaro nell’agosto del 2008, lo sgombero forzato per tre volte di 45 famiglie Rom dal campo abusivo di via Salamanca a Roma, gli attacchi ai campi di Ponticelli a Napoli nel maggio del 2008, o gli incendi ai campi Rom milanesi nell’ottobre-novembre 2007. Inoltre, a seguito di una visita ai campi Rom di Roma, quali Casilino ‘900 (ora sgomberato), Cava di Pietralata, Quintiliano, Monte Tirburtino, e via Togliatti, Hammarberg ha riferito delle precarie condizioni di vita in quegli insediamenti, del clima di ansia degli abitanti circa l’intolleranza dei residenti locali e della difficile situazione dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia, che sono de facto o de jure apolidi.

Nelle conclusioni e raccomandazioni Hammarberg ha esortato il Governo ad adottare strategie nazionali e regionali coerenti e adeguatamente finanziate per attuare piani d’azione di breve e lungo periodo, obiettivi e indicatori per implementare politiche in grado di contrastare efficacemente la discriminazione legale e/o sociale di Rom e di Sinti.

Ulteriori osservazioni hanno riguardato il censimento condotto dalle forze di Polizia, insieme alla Croce Rossa e i Vigili Urbani, nelle città di Roma, Napoli e Milano a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza «in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia» (21 maggio 2008). La dichiarazione osserva sostiene che «detti insediamenti, a causa della loro estrema precarietà, hanno determinato una situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali».

Hammarberg ha ricordato che «i dati personali raccolti e elaborati in questo caso sono per definizione “sensibili”, in quanto riguardano esclusivamente persone di una specifica origine etnica o razziale» ed ha sottolineato come il loro utilizzo debba «essere assolutamente necessario per il raggiungimento del proposito delle autorità di assicurare “l’adozione di misure sociali, di integrazione e di welfare, improntate a migliorare le condizioni di vita delle persone Rom”».

Da ultimo Hammarberg ha raccomandato di mettere a punto a) un sistema di tutela legale; b) un meccanismo consultivo, a livello nazionale, regionale e locale, di dialogo tra istituzioni e rappresentanti del mondo Rom e Sinti; c) meccanismi idonei ad evitare sgomberi forzati in assenza di una soluzione abitativa alternativa; d) strumenti di tutela dei diritti dei bambini Rom e Sinti.

Nella risposta del marzo 2009 al rapporto Hammarberg, il Governo italiano ha precisato che gli sgomberi dei campi Rom abusivi hanno avuto per lo più lo scopo di realizzare una migliore situazione abitativa per le famiglie con donne bambini. Rispetto alla salute nel campo abusivo del Casilino ‘900 l’amministrazione comunale di Roma ha prolungato un accordo in base al quale la Asl competente veniva delegata a seguire le attività di controllo e prevenzione, ivi compreso un piano di vaccinazioni per i bambini. Inoltre un protocollo redatto per coinvolgere i rappresentanti delle comunità Rom interessate avrebbe regolato sia la gestione dei nuovi campi sia le procedure di trasferimento da quelli abusivi a quelli regolari.

Riguardo al censimento, il Governo ha ricordato come il censimento sia stato considerato necessario per ottenere informazioni dettagliate sul numero di tutte quelle persone (non solo Rom e Sinti) che vivevano nei campi allo scopo sia di garantire loro un maggiore livello di sicurezza sia di per migliorare le loro condizioni di vita. Inoltre, ha precisato il Governo italiano, i dati sono stati raccolti non per costruire database o archivi separati, ma unicamente a fini amministrativi, in conformità alle leggi sulla protezione dei dati personali: l’utilizzo dei dati è stato limitato a scopi umanitari e di assistenza sociale proibendo la raccolta dati sull’appartenenza etnica o religiosa.

Rispetto infine alla condizione minorile il Governo ha fatto presente come lo sfruttamento dei bambini fosse diffuso nelle aree metropolitane di Roma, Milano e Napoli, e per questo fosse necessario intervenire con misure repressive nei confronti degli sfruttatori; il Governo ha sottolineato l’istituzione in alcuni insediamenti di scuole del pre-obbligo e di servizi di accompagnamento a scuola.

Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Nel luglio del 2008 una delegazione dell’Osce ha effettuato una vista in Italia, in particolare a Roma, Milano e Napoli, per verificare la situazione dei Rom e Sinti, a seguito di alcuni gravi episodi di cronaca (l’omicidio Reggiani del novembre 2007 e i roghi di Ponticelli nel maggio 2008) e dopo la dichiarazione, da parte del Governo, dello stato di emergenza e la nomina di commissari straordinari a Roma, Milano e Napoli, nel maggio 2008.

Il rapporto ha rilevato innanzi tutto come la questione Rom in Italia abbia attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e una copertura negativa da parte dei media: «Questo è dovuto alla loro alta visibilità, perché sono arrivati in gruppi numerosi, spesso con famiglie allargate e in molti casi perché occupano illegalmente terreni e edifici. I campi illegali o informali sono stati sempre più identificati con i Rom romeni e sono stati oggetto di sensazionalismo mediatico».

Rispetto al ruolo dei media, aggiunge «che hanno contribuito a esaltare gli aspetti di sicurezza legati a Rom e Sinti. La copertura mediatica ha messo in rilievo un numero di incidenti e crimini che hanno coinvolto immigrati irregolari, inclusi Rom e Sinti. I titoli negativi hanno contribuito ad una maggiore diffusione del risentimento popolare e hanno fatto aumentare l’ostilità verso Rom e Sinti».

Rispetto allo stato di emergenza, la delegazione Osce ha ritenuto tale provvedimento «sproporzionato in relazione all’attuale dimensione delle minacce alla sicurezza dovute all’immigrazione irregolare e agli insediamenti di Rom e Sinti». Inoltre la delegazione si è detta preoccupata «che le misure adottate, individuando di fatto una particolare comunità denominata Rom o Sinti (o “nomadi”), insieme con i racconti spesso allarmisti e infiammatori dei media […], abbiano fomentato un sentimento anti-Rom in larga parte della società e abbiano contribuito alla stigmatizzazione delle comunità Rom e Sinti in Italia».

Rispetto alla situazione abitativa, la delegazione Osce ha osservato che «i campi autorizzati costruiti di recente, in aggiunta a un numero limitato di centri di accoglienza, rimangono l’unica strada che le autorità utilizzano per indirizzare la situazione abitativa dei Rom e Sinti […] La segregazione residenziale de facto dei Rom e dei Sinti in campi e insediamenti non conduce alla loro integrazione nella società e contribuisce a un’ulteriore marginalizzazione. L’accesso ai servizi pubblici per le persone che vivono nei campi o negli insediamenti illegali è ridotto. Inoltre, c’è un generale sentimento di insicurezza tra i Rom e i Sinti che vivono in questi campi, per paura di sgomberi forzati da parte delle autorità e di atti ostili da parte della maggioranza della popolazione intorno».

In particolare rispetto agli sgomberi la delegazione ha osservato che spesso sono stati portati a termine senza che fosse stata offerta un’abitazione alternativa pur aggiungendo di apprezzare «gli sforzi compiuti a livello municipale per trasferire i Rom da campi illegali a quelli autorizzati e da questi in case regolari (queste politiche sono state implementate con successo a Bologna, per esempio)».

La delegazione, oltre a soffermarsi sui problemi legati al lavoro, alla salute, e alla scolarizzazione dei minori, si è soffermata sulla questione del coinvolgimento delle rappresentanze di Rom e Sinti: «La delegazione nota con rammarico il basso livello di coinvolgimento e rappresentanza dei Rom e Sinti nel dialogo diretto e nelle consultazioni con le autorità. A questo proposito, è stato anche notato che gli interessi e le lamentele delle comunità Rom e Sinti spesso non sono rappresentate direttamente da loro stessi, ma piuttosto attraverso intermediari».

L’Osce ha espresso l’auspicio che l’Italia dia vita ad una «strategia comprensiva tesa a integrare Rom e Sinti» ed ha offerto la propria collaborazione al Governo italiano per redigere un programma nazionale atto allo scopo. Da ultimo ha formulato all’Italia le seguenti raccomandazioni:

  • di riconoscere i Rom e Sinti come minoranza nazionale;
  • di non designare tale minoranza con il termine “nomadi” ma piuttosto con “Rom” e “Sinti”;
  • di stimolare le amministrazioni regionali e locali a utilizzare i fondi nazionali, locali e europei per promuovere misure di integrazione;
  • di creare una struttura governativa di coordinamento per le politiche sui Rom e Sinti;
  • di intraprendere un dialogo diretto con una varietà di rappresentanti Rom e Sinti;
  • di trovare una soluzione duratura al problema dei Rom e Sinti apolidi;
  • di utilizzare le best pratices locali per affrontare la questione abitativa;
  • di non ammettere discorsi improntati all’odio o alla xenofobia da parte di privati cittadini o pubblici ufficiali.

Amnesty International. Da parte sua, Amnesty International, nel rapporto annuale sull’Italia del 2009, ha aggiunto aggiunge che a causa di sgomberi forzati e illegali, molti Rom sono stati costretti a vivere in condizioni di maggiore povertà. Le conseguenze negative hanno colpito sia Rom di nazionalità italiana, sia quelli con cittadinanza di paesi dell’Unione europea o di altri paesi. In contrasto con le norme del diritto interno, che prevedono che le autorità notifichino lo sgombero a ogni persona interessata o pubblichino un ordine o un preavviso di sgombero, i membri della comunità in alcuni casi non erano stati avvisati.

Human Rights Watch. HRW nella parte dedicata all’Italia nel World Report 2010 si limita a riportare le preoccupazioni espresse da Hammarberg rispetto alle condizioni di Rom e Sinti, in particolare per quanto riguarda l’aspetto abitativo.

ASPETTI SPECIFICI

UN POPOLO DI BAMBINI

Secondo le stime di Opera Nomadi, le comunità dei Rom e Sinti «sono caratterizzate dalla presenza di un’alta percentuale di minori». Il 60% della popolazione Rom e Sinti, prosegue l’Opera Nomadi, ha meno di 18 anni, e di questi il 30% ha un’età tra gli 0 e i 5 anni, il 47% ha dai 6 ai 14 anni e il 23% tra i 15 e i 18 anni. Dal già citato censimento della Croce Rossa Italiana, sul campione dei 4.927 censiti, il 53,37% ha fino a 20 anni di età (il 29,26% ha meno di 11 anni, il 42,52% meno di 16); mentre appena il 6,32% appartiene alla fascia di età tra i 50 e i 60 anni e solo il 2,81% ha più di 60 anni.

Un dato particolarmente interessante e indicativo delle più generali condizioni di vita dei Rom, è quello relativo all’aspettativa di vita, che può essere considerato come un indicatore sintetico della condizione umana. Henry Scicluna, coordinatore per i Rom e Sinti presso il Consiglio d’Europa, in un documento trasmesso alla Commissione, riporta alcuni dati: «Uno studio fatto in Slovacchia dimostra che le donne Rom vivono 17 anni in meno che il resto della popolazione femminile.

Lo stesso studio dimostra che “gli uomini vivono 13 anni di meno che il resto della popolazione maschile.[…] La speranza di vita dei Rom in Europa orientale è di dieci anni di meno del resto della popolazione. […] In Spagna la speranza di vita dei Rom è di 8-9 anni di meno del resto della popolazione e la mortalità infantile 1,4 volte maggiore. […] In Ungheria la speranza di vita dei Rom é di 10-15 anni di meno che il resto della popolazione . […] In Serbia solo una su sessanta persone riesce a vivere fino a 60 anni. Quelli che vivono di riciclaggio di materiali recuperati nei depositi di rifiuti hanno una speranza di vita di 45 anni. […]. Uno studio fatto nel 1989 dimostra che la speranza di vita in Cecoslovacchia è di 12,1 anni di meno per gli uomini Rom e di 14,4 anni di meno per le donne Rom».

Per quanto riguarda l’Europa dei 27 Stati membri il 51% della popolazione raggiunge i 75 anni, mentre tra le popolazioni Rom la media è del 25,7%; la forbice è ancora più ampia se si considera l’obiettivo degli 85 anni, raggiunto solo del 4,5% degli appartenenti alle popolazioni Rom, ma dall’11,2% della popolazione dell’Unione Europea.

NOMADI CHI?

A differenza di quanto comunemente si crede, la stragrande maggioranza dei Rom, Sinti e Caminanti presenti sul territorio italiano non è nomade e ha anzi uno stile di vita sedentario. Spiega Leonardo Piasere, nel volume I Rom d’Europa: «[…] stabilità e mobilità costituiscono i poli di un continuum di situazioni di vita di cui è impossibile tracciare un confine netto» aggiungendo che più dell’80% di Rom e Sinti in Europa sono da tempo sedentari”.

Secondo il Ministero dell’interno nel nostro paese le famiglie che ancora viaggiano in carovana rappresentano il 2-3% dei Rom, Sinti e Caminanti. Ne è convinta anche l’Anci: «In realtà Rom e Sinti non sono da considerare minoranze “nomadi” ma si compongono di famiglie che oramai, per diversi motivi, sono sedentarizzate. […] Le famiglie appartenenti a gruppi nomadi sono pochissime e riguardano soprattutto alcuni gruppi di Sinti giostrai e Rom Kalderasha. Entrambi i gruppi menzionati sono peraltro in gran parte di nazionalità italiana».

Tali considerazioni sono condivise dall’Opera Nomadi e dal Ministero dell’interno, che precisa: «La maggioranza delle famiglie ancora nomadi si ritrova tra i Sinti. Il fenomeno è minimo tra le famiglie Rom e non è mai elettivo, bensì forzato per mancanza di altre possibilità di abitazione o sopravvivenza: le famiglie Rom, nell’ex Jugoslavia, erano infatti sedentarizzate».

La Comunità di Sant’Egidio, al riguardo, sostiene, in un’analisi dettagliata:

«Per tanti anni in Italia si è utilizzato il termine “nomadi” come sinonimo intercambiabile di Rom, Sinti o zingari. Ma negli ultimi anni, con l‟affermazione di un linguaggio politically correct “nomadi” ha avuto molta fortuna per definire le popolazioni zingare presenti in Italia. I media lo hanno scelto e lo utilizzano comunemente e molte amministrazioni lo hanno introdotto nei propri documenti. Il termine però definisce popolazioni che vivono itinerando di luogo in luogo, senza una base o forma di stanzialità: non è più la realtà degli zingari presenti in Italia. […]

Proprio per questo è necessario affrontare con chiarezza il discorso legato al nomadismo: gli 8-10 milioni di Rom/Zingari europei (Roms, Sintés, Kalés, Kaalés, Romanichels, Boyash, Ashkali, Manouches, Yéniches, Travellers, ecc – secondo una delle definizioni del Consiglio d‟Europa) sono all‟85-90% sedentari. Questo per motivi storici: circa l‟80% dei Rom/Zingari proviene dai paesi dell‟Europa centro orientale, dove già nell‟impero austro-ungarico furono in parte sedentarizzati; successivamente nei paesi comunisti i Rom/Zingari subirono le misure di collettivizzazione con l‟inserimento nelle strutture abitative.

Ai Rom/Zingari dell‟est si possono aggiungere i gitanos spagnoli, che da secoli vivono in abitazione, o i Rom/Zingari di antico insediamento in Francia e Italia, come i Rom abruzzesi. Gli unici gruppi ancora nomadi o semi-nomadi sono alcuni manouches in Francia, gruppi Sinti in Italia settentrionale e in Germania, i Travellers in Gran Bretagna e pochi altri. L‟idea degli zingari come un “popolo nomade” è spesso frutto della precarietà di vita in cui versano da anni. In quasi tutti i paesi dell‟Europa Orientale esistono quartieri di antico insediamento di Rom/Zingari: le mahalle. Alcune hanno più di 150 anni e dimostrano come la sedentarizzazione sia “antica”. […]

In Italia da sempre si è guardato ai Rom/Zingari come a popolazioni nomadi. Da un lato perché esistono gruppi da secoli legati allo spettacolo viaggiante (i più famosi sono i circensi), dall‟altro perché ancora in tempi recenti (negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale) anche gruppi di calderai e ramai vivevano in maniera itinerante interagendo con una economia essenzialmente agricola. Nei paesi e villaggi di campagna, i più anziani ancora ricordano piccole carovane spesso con carri e cavalli che si fermavano nelle periferie. Gli zingari offrivano soprattutto alcuni servizi legati alla lavorazione dei metalli: stagnare, riparare o realizzare pentole, affilare e riparare utensili, ecc.; altri Rom viaggiavano per commercio – i più noti forse, erano i commercianti di cavalli.

Negli anni però è viepiù mutato il contesto socio-economico della nostra società, facendo perdere di utilità gran parte delle occupazioni tradizionali praticate dagli zingari. Non viaggiando più per motivi di lavoro, gli zingari hanno iniziato sempre più a radicarsi in un territorio. Ma al mutato contesto sociale e politico italiano ed europeo non ha corrisposto un mutamento di visione dei Rom/Zingari. L‟arrivo dei Rom/Zingari dell‟est ha reso il fenomeno della sedentarizzazione ancora più evidente».

IL PAESE DEI CAMPI E IL POPOLO DELLE DISCARICHE

Sono circa 40 mila i Rom, Sinti e Caminanti che vivono nei campi: questo dato rappresenterebbe quindi tra un quarto e un quinto della popolazione complessiva. Tuttavia non esistono poiché è difficile conoscere la quantità e l’ubicazione esatta di questi campi, in quanto molti insediamenti sono abusivi, abitati da poche decine di persone, oppure resistono per poco tempo.

In ogni caso, la popolazione Rom, Sinti e Caminanti che vive nei campi si concentra principalmente nelle grandi città. A Roma sono stati censiti oltre 100 campi, di cui 7 villaggi autorizzati, 14 campi tollerati e oltre 80 insediamenti abusivi: in questi spazi vivono 7.177 persone. A Milano (dati Ismu) esistono 45 campi (con una popolazione di circa 4.310 persone) ai quali ne vanno aggiunti un centinaio (2.300-3.100 persone) nel resto della provincia.

I campi consistono in roulotte, container o piccole baracche in lamiera o altri materiali di fortuna. In quelli non autorizzati manca l’acqua corrente, i sistemi fognari, l’illuminazione e il riscaldamento. Le condizione igieniche e sanitarie sono molto precarie.

La politica dei campi, spiega Piasere, inizia verso la metà del Novecento, in seguito all’arrivo dei Rom dalla ex Jugoslavia, non come una precisa scelta nazionale ma come «una politica locale che si allarga a contagio a partire dalle città del nord e che dagli anni Ottanta è supportata finanziariamente e legislativamente da alcune Regioni. In base a questa politica e a questi interventi”.

L’Italia diventa il “paese dei campi”[…]. Una volta arrivati nel “paese dei campi”, molti Rom da secoli sedentari in Jugoslavia devono “riziganizzarsi” alla occidentale e devono, se non diventare nomadi, vivere comunque in un campo senza fognature, in abitazioni con ruote o baracche. Fatti aderire all’immaginario corrente dello “zingaro ex nomade e inurbato”, essi lo nutrono e lo modernizzano: oggi per tanti italiani lo zingaro è per definizione quello che abita in un campo fatiscente! La maggioranza di questi Rom, invece, i quali non hanno mai abitato in abitazioni mobili né in un”campo” di cui non hanno nemmeno il termine nella loro lingua, sperano che o kampo sia un momento transitorio della loro vita di profughi».

Ancora la Comunità di Sant’Egidio osserva: «La risposta istituzionale è stata quella di trovare soluzioni per popolazioni nomadi. Molte regioni italiane hanno approvato leggi che prevedevano la creazione di “campi”. Ma i campi realizzati (generalmente) sono state strutture pensate per la sosta temporanea e non per l‟abitazione di gruppi sedentari.

Inoltre molte municipalità hanno dato autorizzazioni (temporanee) a “campi” senza le minime strutture d‟accoglienza previste dalla legge (acqua corrente, fogne, luce) e ciò ha comportato che 2-3 generazioni di Rom/Zingari siano sostanzialmente nate e vissute in luoghi non molto dissimili dalle discariche, con tutte le conseguenze umane e sociali. Cito come esempio più clamoroso quello dei circa 30-35.000 rom di origine ex jugoslava.

Il primo gruppo è arrivato negli anni ‟60-„70 proveniente dalle diverse regioni del paese (Rudari e Kanijarija dalla Serbia, Kalderasa dalla Croazia, Korakané dalla Bosnia e dal Montenegro), il secondo a partire dagli anni ‟90, a causa della guerra (da Bosnia e Kosovo). Il gruppo giunto quarant‟anni fa è sostanzialmente vissuto e cresciuto in vere e proprie discariche nelle nostre città in totale isolamento dalla vita civile e da qualsiasi rapporto positivo con le istituzioni.

Tutto ciò ha creato spaesamento soprattutto tra le nuove generazioni, cresciute nella realtà opulenta delle città senza possedere gli strumenti culturali e relazionali per confrontarsi con la società circostante. Una delle conseguenze di questa condizione è indubbiamente stata la crescita della devianza minorile. Ormai in Italia vi sono due o tre generazioni di Rom che sono cresciuti in “discariche” , in perenne ritardo nelle relazioni con il resto del mondo, paria in una società che non li considera e li rifiuta».

ISPEZIONI DELLA COMMISSIONE AD ALCUNI CAMPI

Roma. Mercoledì 27 ottobre 2010 ha avuto luogo una visita al campo Rom di Castel Romano, presso Roma, vicino Pomezia. Il campo, istituito dal Comune di Roma nel 2005, è articolato in due settori, il campo M e il campo K, e in totale ospita circa 900 persone. Si tratta di un campo attrezzato, vale a dire di abitazioni realizzate in container, con allacci di corrente elettrica, ma prive di acqua corrente. Per cucinare si usano le bombole a gas. I Rom che si trovano a Castel Romano vengono in massima parte da vicolo Savini, in massima parte, e formano oggi una comunità di oltre mille persone.

I Rom di Castel Romano sono per lo più di origine balcanica, ma le comunità insediate nei campi M e K non hanno buoni rapporti tra loro. Durante la visita, nonostante li separino non più di venti metri, nessuno transita da un campo all’altro: le due comunità sono in aperto contrasto fra loro. Nel campo M ci si lamenta che l’attesa per i primi container sia durata più di sei mesi e che in ciascun container si sia costretti a vivere in sette – otto persone.

I bambini del campo M sono 245, ma si tratta comunque di numeri che nessuno può verificare. Questi bambini – così sostengono gli abitanti del campo – non vengono aiutati in alcun modo. In tutti e due i campi si lamenta l’assenza di una fermata dell’autobus in corrispondenza dell’insediamento, il che costringe tutti – soprattutto le donne sulle quali grava quasi per intero il peso della gestione famigliare – a lunghe, faticose camminate. Nel campo M solo 10 abitanti circa su 300 sono italiani.

Una gran parte è sprovvista di documenti e molti, per evitare i controlli, appena arrivati hanno lasciato il campo. La destinazione di coloro che fossero trovati privi di documenti sarebbe il CIE più vicino. Molti dei presenti lamentano discriminazioni sul luogo di lavoro: per evitarle debbono fare in modo di non far sapere di essere Rom. Nel campo K vi sono circa 160 nuclei famigliari, con 5-6 bambini per nucleo (sono gli stessi Rom a riferirlo).

Le condizioni di disagio sono palpabili anche qui: pochi lavorano e pochi hanno quindi modo di sostenere le famiglie; l’acqua deve essere prelevata dalle cisterne poste in fondo al campo e comunque il rifornimento non è continuo a causa di frequenti guasti alla pompa. Si cercherà di ovviare al problema attraverso l‟allaccio al vicino acquedotto comunale. Per quanto riguarda l’attività di assistenza sanitaria, nei campi manca un presidio medico permanente, ma ogni settimana un pullman gestito da volontari accompagna chi ne fa richiesta alla Asl di zona. Da quanto si apprende sono stati vaccinati duecento bambini nel corso dell‟anno.

Napoli. La visita ha avuto luogo il 2 novembre 2010 ed è stata preceduta da un incontro presso l’Ufficio Rom e patti di cittadinanza che mette capo al Servizio Contrasto Nuove Povertà e Rete delle Emergenze Sociali del Comune di Napoli. L’Ufficio si occupa della popolazione Rom della città di Napoli. I compiti dell’ufficio riguardano la scolarizzazione, la tutela dei minori Rom, l’accompagnamento sanitario. I campi visitati dai senatori fanno parte dei sei insediamenti che insistono su Napoli est e che sono il frutto di una recente aggressione ai campi Rom di Ponticelli.

I Rom a Scampia sono 1500, di cui 460 ospitati in Villaggi di Accoglienza Comunale dove sono stati attivati progetti di vigilanza sociale, di inserimento scolastico, di educazione alla legalità da più di 10 anni. Inoltre a Soccavo, in una ex struttura scolastica, vengono accolti 150 Rom rumeni con numerosi progetti di integrazione, sopratutto riferiti a minori.

Il primo campo visitato dalla commissione si trova nel quartiere Ponticelli sotto il viadotto della tangenziale. In alcune baracche protette da una palizzata di fortuna vivono circa cinquanta persone tutte di nazionalità rumena. Si tratta di Rom che lì hanno cercato rifugio dopo gli incendi nel quartiere di Scampia. La corrente elettrica viene assicurata per sole due ore da un generatore. L’acqua viene raccolta nei contenitori di fortuna da una fontana pubblica posta a poche decine di metri dal campo.

Proprio di fronte alle baracche si trova una discarica abusiva la cui presenza, sebbene sia utilizzata ampiamente anche dai residenti, viene addebitata ai Rom. I servizi igienici sono assicurati da piccole fosse scavate nei dintorni del campo sulle quali è stata realizzata una piccolissima baracca nella quale è posto un rudimentale wc in legno. Quando la fossa si riempie ne viene scavata un’altra. Le baracche destinate ad abitazione sono comunque piccole e molto umide, il terreno è fangoso. I bambini in età scolare raggiungono gli istituti grazie all’impegno del Comune e degli educatori dell’associazione Nea (Napoli Europa Africa): la frequenza pare essere costante fino alla quinta elementare, con l’inizio delle scuole medie la dispersione cresce nettamente.

Il secondo campo risulta dall’occupazione di fatto di una fabbrica abbandonata della Coca Cola nei pressi dell’aeroporto Capodichino (la proprietà del fabbricato chiede che venga sgombrato perché vorrebbe ricavarne un albergo). I Rom hanno realizzato una baraccopoli nel cortile della ex fabbrica, mentre in una parte degli edifici vivono alcuni marocchini e due italiani, uno dei quali usa una decina di cani randagi per proteggere il suo spazio.

Le baracche sono state costruite con assi di legno, cartone, infissi e porte dismessi, materiale vario. Per la corrente elettrica ci si serve di generatori, per l’acqua ci si reca all’esterno presso fontane pubbliche. In queste condizioni vivono circa trecento persone. Molti i bambini. In diversi punti del cortile si vedono gatti, che i Rom, così si apprende, hanno portato lì per contrastare la presenza di topi. All’accompagnamento a scuola si dedicano le associazioni convenzionate con il Comune assistite da alcuni abitanti del campo. Le motorette sovraccariche e il materiale accatastato mostrano che qui per sopravvivere ci si dedica alla raccolta del ferro: 13 centesimi al chilo.

Milano. La commissione si è recata nel campo Rom di via Triboniano il 12 novembre 2010. Via Triboniano è un‟ampia strada che costeggia il cimitero Maggiore (Musocco), nel centro di Milano. I primi insediamenti Rom hanno avuto luogo nel 2000, in prossimità di un laghetto vicino al quale alcuni milanesi hanno costruito delle villette. I Rom sono giunti dapprima in alcune decine, successivamente sono diventati sempre più numerosi, fino a giungere intorno alle mille unità.

I primi gruppi provenivano dall’aera balcanica, (soprattutto Bosnia e Macedonia), successivamente sono arrivati Rom della Romania. Nel tempo sono stati realizzati quattro insediamenti di una certa consistenza. Oggi sono presenti in via Triboniano 99 famiglie, 425 persone in tutto, con 176 minori. La città di Milano ha iniziato tardi a preoccuparsi di questa difficile realtà. Si è trovata in affanno nel tentativo di dare una sistemazione agli abitanti del campo, così come rispetto allo sforzo di rendere più ordinato e vivibile l‟insediamento. Tra gennaio e giugno 2007 sono giunti i container.

Oggi nel campo l’acqua corrente è assicurata, così come i servizi igienici. Gli allacci elettrici sono in massima parte regolari e solo in parte di fortuna: in un settore del campo (ma solo in quello) l‟Enel chiede il pagamento della bolletta. L‟accelerazione nello sgombro del campo è data dal fatto che una delle strade che porterà all‟Expo di Milano 2015 passerà per di qua. Dal mese di settembre 2009 si è cercato di stringere con gli abitanti degli insediamenti un Patto di legalità, impostando su questa base soluzioni articolate, come ad esempio le borse lavoro (un meccanismo in virtù del quale viene assicurato un lavoro nei luoghi di origine, spesato nei primi tempi dall’Italia), o l’assegnazione di alloggi popolari.

Alcuni tra gli abitanti di via Triboniano hanno preso una casa in affitto, alcuni sono riusciti ad acquistarne una; altri hanno fatto ritorno in Romania. Quando la questione di via Triboniano appariva ormai sostanzialmente risolta, in particolare attraverso l‟assegnazione di alcuni appartamenti Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale): tutto si è temporaneamente fermato in ragione della imminenza, nel 2011, delle elezioni comunali, e delle esigenze di comunicazione politica, finché il 19 dicembre il tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da dieci Rom del campo di via Triboniano contro il sindaco di Milano Letizia Moratti in merito alla mancata assegnazione delle case popolari.

Quanto ai problemi della scolarità dei minori del campo, il Comune è in possesso dei seguenti dati: il totale dei minori iscritti nelle scuole è 88. Tra questi la frequenza della scuola primaria è così ripartita: in 8 frequentano meno del 50%; in 51 tra il 50% e l’80%; in 29 oltre l’80%. La frequenza della scuola secondaria risponde alla seguente statistica: : in 8 frequentano meno del 50%; in 30 tra il 50% e l’80%; in 2 oltre l’80%.

L’assistenza medica è assicurata dalle Asl di zona. Il tentativo di realizzare un presidio medico fisso, con medici volontari, non è riuscito, perché gli abitanti del campo hanno fatto registrare la tendenza a non recarvisi (prevalentemente per diffidenza e paura di controlli sulla regolarità del loro soggiorno). Viene segnalata su questo una mentalità legata non alla prevenzione ma alla cura: solo in presenza di sintomi si chiede l’intervento del medico.

Torino. Nel pomeriggio del 12 novembre 2010 la visita ha avuto luogo a Torino. La commissione ha visitato dapprima l’insediamento abusivo realizzato lungo il fiume Stura. Si tratta di una baraccopoli che si estende per un paio di chilometri, invisibile dalla strada (il Lungostura Lazio). Si tratta di quattro insediamenti successivi realizzati in condizioni di estrema precarietà, dal primo, detto “la Fossa”, all’ultimo.

La comunità Rom, prevalentemente di rumeni e di kalderasa, vi si è insediata circa quattro – cinque anni fa e comprende 520 persone (ma una stima precisa è impossibile, considerata la velocità di sostituzione dei singoli nuclei). I minori sono circa 80. Le abitazioni sono state realizzate con materiali di fortuna (assi di legno, porte rimediate, pannelli in plastica), prive di acqua, corrente elettrica, riscaldamento. Sulle baracche le associazioni e le autorità hanno apposto un numero identificativo, in base al quale tenere il conto delle strutture realizzate.

L’approvvigionamento di acqua deve aver luogo prelevando quanto è necessario da una fonte pubblica che si trova a circa un chilometro di distanza. La luce è assicurata dalle candele e da pochi generatori che funzionano solo per poche ore. Le strutture sono riscaldate da stufe a legna nelle quali vengono bruciati materiali di ogni tipo, spesso tossici. I servizi igienici vengono assicurati da baracchini realizzati su piccole buche. Nel tempo l’area intorno al campo si è trasformata in una gigantesca discarica a cielo aperto: solo in parte si tratta di rifiuti provenienti dagli stessi insediamenti; molti residenti hanno da tempo preso l’abitudine di scaricare lì i rifiuti.

Grazie all’attività delle associazioni, in particolare Terra del Fuoco, tra settembre e dicembre 2010, i rifiuti sono stati ripuliti. Tuttavia la situazione è ancora gravissima: tra i rifiuti, specie nelle immediate prossimità del fiume, si vedono i topi. L’assistenza medica è assicurata da volontari della Croce Verde che settimanalmente si recano al campo e prestano le cure necessarie in base alle segnalazioni ricevute sul posto. Le associazioni cercano di assicurare la frequenza scolastica dei bambini e tuttavia segnalano anche le difficoltà connesse alla impossibilità di garantire ai piccoli l’igiene personale quotidiana.

Per sopravvivere i Rom ricorrono all’accattonaggio, riciclano il rame, il ferro, vendono mobili restaurati. Qualcuno ricorre ad attività illegali: nel corso dell’ultimo anno vengono segnalati venti tra fermi e arresti. La sistemazione precaria ha comunque un valore. Viene riferito che una baracca è valutata 200 euro, una roulotte dismessa. Ci si sposta successivamente ai campi di via Germagnano, sulla strada per l’aeroporto di Torino-Caselle.

Vi si trovano due tipi di insediamento, uno regolare ed uno, proprio di fronte, irregolare. Nel 2004 il campo attrezzato dell’Arrivore è stato spostato a via Germagnano. Il campo ospita oggi quasi esclusivamente Rom Korahkané slavi, provenienti prevalentemente da Bosnia e Croazia. Si tratta di una comunità formata da circa 220-250 persone, sistemate in strutture in muratura, dotate di acqua corrente, allacci alla rete elettrica, servizi igienici. In un edificio comune è stato realizzato un asilo per i bambini più piccoli, gestito da volontari.

La frequenza scolastica dei bambini in età scolare viene gestita attraverso un servizio regolare di pullman. Anche in questo caso l’attività che viene svolta principalmente per acquisire le risorse necessarie alla sopravvivenza consiste nel riciclaggio del ferro, accatastato qua e la nel campo, o caricato sulle motorette.

Sempre su via Germagnano, proprio dall’altro lato della strada hanno preso vita insediamenti abusivi di Rom nella cornice tristemente consueta di baracche prive di tutto. L’acqua viene portata con taniche e altri recipienti, dopo un lungo cammino. Qui vivono circa 300 persone e vicino ai baracchini costruiti sulle buche di cui ci si serve per le necessità fisiologiche, sono ben visibili i topi. Anche qui, nei pressi di un viadotto della tangenziale, si estende una discarica abusiva piena di topi; le baracche vengono riscaldate attraverso stufe in cui si brucia di tutto, comprese plastiche e altri materiali, i cui miasmi risultano irrespirabili.

FOCUS. L’ESPERIENZA DI ROMA: POSITIVITÀ E CRITICITÀ

Il Piano nomadi lanciato dal Comune di Roma il 31 luglio 2009 si pone come obiettivo la realizzazione di tredici villaggi autorizzati, per un totale di circa 6.000 nomadi sul territorio romano, a fronte dei quasi 7.200 attuali. In particolare è prevista la chiusura degli 80 campi abusivi e dei nove tollerati, la ristrutturazione dei villaggi autorizzati e la realizzazione di nuovi insediamenti.

Roma dovrebbe avere in futuro 13 campi autorizzati con all’interno “presìdi di vigilanza e socio-educativi”. In base al piano, Rom e Sinti aventi diritto dovrebbero essere in parte ricollocati in alcuni dei campi ristrutturati e ampliati e nelle nuove strutture. Ciò dovrebbe avvenire in seguito al censimento operato dalle forze dell’ordine e agli eventuali nuovi arrivi, in base ai posti disponibili.

In parallelo ai lavori negli insediamenti il piano prevede un censimento nei campi abusivi e in quelli cosiddetti “tollerati”. Ai campi autorizzati dovrebbero poter accedere i Rom e Sinti in possesso del DAST (Documento di Autorizzazione allo Stazionamento Temporaneo), il documento che attesta il diritto a sostare grazie al possesso dei requisiti – in particolare per gli extracomunitari il possesso del permesso di soggiorno e del passaporto (o documento equipollente). Grazie al DAST dovrebbe poter restare nel campo indicato per un massimo di quattro anni.

Per avere il DAST, Rom e Sinti dovranno sottoscrivere un atto d’impegno con il Comune. Questi gli obblighi previsti: fare la piccola manutenzione della piazzola assegnata; rispettare e mantenere efficienti le strutture comuni; pagare le utenze per i consumi familiari, il canone mensile per l’uso della piazzola e dei servizi del campo nonché la tassa dei rifiuti. Infine mandare a scuola i ragazzi: i minori in età scolare alle scuole dell’obbligo, gli altri (non più soggetti all’obbligo scolastico) alle scuole superiori, ai corsi professionali o a svolgere un’occupazione.

Nel corso dell’audizione in Commissione (23 febbraio 2010) Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma e commissario delegato per l’emergenza nomadi nella Regione Lazio, ha affermato:

«Gli obiettivi che intendiamo perseguire e realizzare sono rappresentati innanzitutto dalla sicurezza e, quindi, dall‟integrazione. Quando parlo di sicurezza mi riferisco sia alla posizione amministrativa sia all‟esigenza di accogliere i Rom in un campo vigilato 24 ore su 24 a cura del Comune di Roma, che può allo scopo eventualmente avvalersi di istituti di vigilanza.

L‟integrazione deve avvenire ovviamente in più fasi, a partire in primo luogo dalla scolarizzazione dei bambini e quindi investendo sui minori e sui giovani, attraverso un‟attività di formazione per i giovani e per gli adulti finalizzata a favorire l‟occupazione sia di questi soggetti, sia di chi sta cercando lavoro e ha già una formazione o, infine, di chi già lavora. […]

L‟integrazione ovviamente deve essere collegata anche ad un‟attività sanitaria, tant‟è che negli stessi campi che intendiamo realizzare o quelli che abbiamo provveduto ad ampliare abbiamo previsto un presidio sanitario con il compito di provvedere alla vaccinazione dei bambini e ad interventi immediati di soccorso nei confronti degli occupanti del campo. […] L‟auspicio è comunque che in futuro i campi vengano eliminati, magari non quelli di sosta, perché ovviamente ci sarà sempre qualcuno che avrà questo tipo di esigenza. Non bisogna prendere in considerazione solo la stanzialità, tenuto conto che si tratta di nomadi e quindi vi è l‟eventualità che vogliano spostarsi».

Amnesty International, nell’audizione dell’11 marzo 2010, durante la quale ha presentato il rapporto «La risposta sbagliata», sul Piano nomadi di Roma, sottolinea alcuni aspetti positivi del piano stesso, in particolare per quello che riguarda le condizioni abitative:

«Per alcune persone che non hanno accesso all‟acqua corrente o all‟elettricità e che vivono in pessime condizioni sanitarie il trasferimento in un campo dove questi servizi esistono costituisce senz‟altro un miglioramento»; e sulla possibilità di ottenere il permesso di soggiorno: «Ovviamente il permesso di soggiorno in Italia è essenziale per gli stranieri sotto molti aspetti, il fatto è che per ottenere il permesso di soggiorno bisogna avere un lavoro e un indirizzo, laddove molti Rom vivono in campi abusivi o simili e quindi non sono in grado ovviamente di dare un recapito. Nello specifico del Piano nomadi accadrà quindi che tutti i nomadi che saranno inviati nei 13 campi avranno un proprio indirizzo, il che certamente faciliterà l‟accesso al permesso di soggiorno».

Amnesty International sottolinea non poche criticità: «Il Piano prevede il trasferimento di circa 6.000 Rom alloggiati in diversi insediamenti tra autorizzati e tollerati in appena 13 campi situati nella periferia di Roma. Secondo l‟ultimo censimento del Comune i Rom sarebbero oltre 7.200, il che significa che il Piano è destinato a lasciare senza alloggio oltre 1.000 Rom. L‟interrogativo che pertanto al riguardo si pone è chi avrà diritto ad un posto in uno di questi 13 campi e di conseguenza anche quale sia il criterio che stabilisce il possesso o meno di tale diritto.

Amnesty International naturalmente ritiene che il diritto ad un alloggio adeguato debba essere comunque garantito, a prescindere dalle circostanze, da qui le nostre principali preoccupazioni rispetto al Piano nomadi». Altro aspetto critico è quello relativo al modo in cui vengono smantellati i campi abusivi:

«Nel merito ci risulta, infatti, che dalla sua applicazione centinaia di Rom siano rimasti senza alloggio; molti di essi hanno quindi subito la violazione di alcuni diritti umani, in particolare del diritto a fruire di un alloggio adeguato. […] Abbiamo contattato i rappresentanti di alcune comunità Rom, in particolare degli insediamenti di Centocelle e Casilino 700, che sono stati oggetto di sgombero senza però alcun preavviso, anzi è risultato che le persone in essi alloggiate non erano neanche al corrente dell‟esistenza del Piano nomadi e in effetti il sindaco di Roma recentemente ci ha confermato come lo sgombero del campo di Casilino 700 non fosse previsto nel suddetto Piano».

Un altra debolezza del Piano, secondo Amnesty, è la mancanza di soluzioni che puntino al superamento dell’idea dei campi: «Il Piano nomadi non prevede alcuna misura volta a facilitare l‟accesso dei Rom ad un alloggio convenzionale, anzi, non ne contempla nemmeno la possibilità. Esiste quindi una «emergenza nomadi» ed un Piano nomadi, ma nessun regolamento vero e proprio che disciplini la situazione di queste persone».

Forti perplessità sono state sollevate da Kasim Cizmic, presidente dell’Associazione Unirsi: «Come sono stati fatti questi campi? È stato detto tante volte che sono campi regolarizzati ed attrezzati, ma questi campi non sono affatto attrezzati. Noi che conosciamo bene queste realtà possiamo dire che sono “mezzi-attrezzati”. Campi come quelli non dovrebbero esistere. Abbiamo dato tantissimi progetti al Comune per cercare di migliorare la situazione ma finché questi campi ospiteranno fino a 2.000 persone e oltre non si potrà mai risolvere il problema».

In definitiva, sostiene Amnesty International, «Il “Piano nomadi” è concepito in modo inadeguato. Non risolverà i problemi sociali da cui ha preso le mosse né assicurerà il godimento del diritto all’alloggio alla maggior parte degli interessati».

OLTRE I CAMPI: BUONE PRATICHE NEL SETTORE ABITATIVO

L’esperienza del Piano nomadi di Roma mette in luce tutta una serie di criticità che suggeriscono come, per risolvere la questione Rom in modo efficace sia sotto il profilo della sicurezza sia dell’integrazione, sia utile provare ad esplorare nuove strade e nuove soluzioni che vadano al di là della cosiddetta “campizzazione”. Alcuni esempi di alternative che hanno avuto esito abbastanza positivo, sono stati forniti dall’Anci.

«Rispetto al tema del superamento dei “macro-campi” interessante appare l’approccio scelto dal Comune di Modena. Sul territorio di Modena il percorso di creazione delle microaree inizia nel 1996, e si conclude nel 2007 con la definitiva chiusura del campo nomadi di strada Baccelliera 25 e l’insediamento di 75 nuclei in 13 nuove aree famigliari. La metodologia scelta è stata il rispetto dell’organizzazione della famiglia allargata tipica di queste comunità. […]

Si è proceduto ad assegnare uno spazio definito ad ogni famiglia allargata, conferendo precise responsabilità di mantenimento e gestione delle aree assegnate. […] Si è così attivato un processo di conoscenza reciproca in grado di accorciare le distanze, permettendo un “riconoscimento reciproco di attori dello stesso territorio”».

«Il Comune di Padova, grazie a un finanziamento ministeriale, ha promosso, attraverso il metodo dell’autocostruzione, la realizzazione di 11 appartamenti in cui risiedono 32 persone che vivevano nel campo nomadi. Nella realizzazione degli appartamenti sono stati coinvolti 8 Sinti che hanno seguito un percorso di formazione. I nuclei famigliari residenti hanno sottoscritto un regolare contratto di affitto Ater, con un canone calcolato in base al reddito».

Un progetto simile si è avuto a Settimo Torinese, in provincia di Torino, come ricorda Giovanna Zincone, già citata più avanti: «Autocostruzione e autorecupero, come nel caso del Progetto Dado di Settimo Torinese, dove nel 2007 Rom romeni assieme ad altri cittadini stranieri hanno contribuito alla costruzione della comunità dove ora abitano, e dove possono risiedere per tre anni in vista di un alloggio definitivo. È una comunità perfettamente integrata nel tessuto sociale locale e gestita da un‟associazione locale (l’Associazione Terra Del Fuoco, Ndr)».

Sempre l’Anci presenta il caso di Bologna:

«A Bologna, nel corso del 2007, il Servizio di Integrazione culturale del Comune ha completato i percorsi di accompagnamento all’integrazione sociale dei nuclei famigliari di Rom romeni ospitati fino ad allora in strutture di emergenza. […] Il Servizio ha condotto il percorso di integrazione sociale attraverso il reperimento di risorse abitative, la progettazione e l’affidamento in gestione del servizio di accompagnamento all’inserimento abitativo. Il percorso si è concluso con l’inserimento in appartamento di un numero complessivo di 44 famiglie, per un totale di 198 persone».

Giovanna Zincone osserva ancora:

«È evidente però che non solo le diverse esigenze delle comunità chiedono risposte diverse, ma anche che contesti diversi (città grandi rispetto a medie o piccole), atteggiamenti dei residenti limitrofi ed altro contano nel condizionare le soluzioni. Contemperare esigenze talora confliggenti, non è un‟operazione politicamente facile, ma imboccare, da una parte, frettolose scorciatoie o, dall‟altra, retoriche di rifiuto a priori di qualunque soluzione appena sub ottimale non aiuta. Certo le soluzioni dovrebbero tener conto della necessità prioritaria che bambini e ragazzi possano frequentare la scuola».

Per affrontare il problema dell’abitazione, tenendo conto delle diverse esigenze delle popolazioni Rom e Sinti e dei differenti contesti sociali e urbani, esiste una gamma di strumenti e di possibilità abitative-insediative:

  • abitazioni ordinarie, di produzione pubblica;
  • abitazioni ordinarie, di produzione privata di cui sostenere l’acquisto, ad esempio con strumenti di accesso al mutuo;
  • abitazioni ordinarie, di produzione privata da affittare sul mercato privato, eventualmente con sostegni pubblici;
  • autocostruzioni, accompagnate e sostenute dal movimento cooperativo, con progetti di inserimento sociale;
  • affitto di cascine in disuso di proprietà pubblica;
  • aree di sosta per i gruppi che hanno uno stile di vita itinerante;
  • regolarizzazione della presenza di roulotte in aree agricole di proprietà di famiglie Rom e Sinte;
  • in via transitoria, miglioramento dei campi.

MINORI, SCUOLA, ISTRUZIONE, FORMAZIONE PROFESSIONALE

Anche per quanto riguarda il livello di scolarizzazione di Rom, Sinti e Caminanti i dati, per quanto sempre difficili da verificare, forniscono un quadro di forte ritardo e di grande penalizzazione. Secondo Opera Nomadi, sarebbero almeno 20 mila i Rom sotto i dodici anni, in grandissima parte romeni e jugoslavi, che evadono l’obbligo scolastico in Italia e si stima che «i restanti coetanei Rom e Sinti siano in un generalizzato ritardo didattico di non meno di tre anni».

Il già citato censimento della Croce Rossa nei campi Rom di Roma, sui 4.927 censiti, nel 41,42% dei casi non ha rilevato alcun livello di istruzione, anche se probabilmente questo dato non coincide con il tasso reale di analfabetismo; l’8,44% ha completato il ciclo di studi elementari e il 13,29% ha conseguito la licenza media. Soltato l’1,10% ha ottenuto un diploma quinquennale di scuola superiore e solo lo 0,26% è giunto alla laurea quinquennale.

Le radici di questa scarsa scolarizzazione, scrive il Ministero dell’interno nel già citato rapporto, andrebbero ricercate non tanto nel nomadismo, quanto nelle «difficili condizioni economiche nonché in una certa diffidenza verso la scuola, vista come espressione di una società che si è mostrata ostile e che per la sua azione assimilatrice è vista come pericolosa per la propria identità». Nelle comunità zingare che vivono in buone condizioni economiche «i giovani cominciano a frequentare le scuole superiori e qualcuno anche l’università, fatto questo ormai non eccezionale in altri paesi europei».

Per quanto riguarda poi le difficoltà di inserimento e di apprendimento scolastico Opera Nomadi, nel convegno nazionale del 3 e 4 dicembre 2009, ha provato ad individuare alcune cause: l’appartenenza a una cultura prevalentemente orale, il fatto che all‟interno di molti gruppi familiari i minori parlino il romanès e che l‟italiano sia la seconda quando non la terza lingua, la mancanza di un percorso pre-scolastico che favorisca la socializzazione con l’ambiente formativo, il forte analfabetismo ancora diffuso in alcuni gruppi di Rom e Sinti, la mancanza in molti casi di una politica di accoglienza da parte delle scuole.

Secondo la Comunità di Sant’Egidio «La legislazione italiana relativa all‟accoglienza di minori Rom e sinti è piuttosto avanzata nel panorama europeo (che non di rado vede la presenza di “classi speciali” o l‟automatica equiparazione dei minori Rom con i bambini disabili). […] Che l‟evasione esista è fuor di dubbio, e in alcuni casi sarebbe talmente semplice “scovarla” ed evitarla, che è evidente una mancanza di volontà in questa direzione.

Un esempio su tutti: nelle grandi città nei “campi” autorizzati esistono censimenti piuttosto precisi delle persone – e quindi dei minori – presenti; ma questi dati non sono mai “incrociati” con quelli delle iscrizioni o della frequenza scolastica. Così possono esserci “evasori” totali in strutture “pubbliche”. Ancora più grave è il problema legato agli abitanti dei “non luoghi”: quasi sempre si tratta di minori Rom romeni o di “slavi” che per vari motivi non rientrano nei “campi” autorizzati e vivono in piccole baracche sparse sul territorio o in camper. Spesso le amministrazioni hanno osteggiato il loro inserimento scolastico motivando questa scelta con il fatto che le famiglie “non dovevano fermarsi, e l‟inserimento scolastico avrebbe costituito una scusa per farlo”.

Considerazione che viola le leggi italiane sui minori e che si è comunque dimostrata miope: le famiglie sono rimaste sul territorio e i minori non sono stati scolarizzati. A ciò si aggiunge una “normale” indifferenza istituzionale verso le situazioni di maggiore marginalità sociale: chi comunica alle famiglie arrivate che i minori devono andare a scuola? Generalmente nessuno, e sebbene la legge non ammetta ignoranza a fare le spese di questa indifferenza sono sempre i minori.

Esiste peraltro un protocollo d’intesa “per la tutela dei minori zingari, nomadi e viaggianti tra Ministero Istruzione, Università, Ricerca Direzione Generale per lo Studente e Opera Nomadi”, stipulato nel 2005, con validità di tre anni, rinnovato nel 2009, che non ha dato grandi risultati, a detta dell’organizzazione, per mancanza di finanziamenti. Ma diversi enti locali, in convenzione con associazioni e cooperative, hanno da anni avviato progetti di scolarizzazione che hanno contribuito all‟inserimento scolastico di migliaia di bambini Rom nati e cresciuti in Italia non ancora scolarizzati.

Li dove è accaduto, l‟aver attrezzato adeguatamente delle aree abitative fornite di rete idrica ed elettrica ha favorito l’inserimento e la frequenza scolastica. D’altra parte, la creazione di inserimenti molto grandi e densamente abitati e spesso concentrati nelle medesime aree della periferia (fenomeno presente nei grandi centri urbani) non ha favorito l’inserimento scolastico: gravitando in molti sulla stessa area geografica le scuole non “riescono” ad accogliere tutti. Si verifica una comprensibile parcellizzazione delle iscrizioni – per evitare grandi concentrazioni in una classe –; si adotta una sorta di numero “chiuso”, con conseguente “sparpagliamento” dei vari minori in più plessi scolastici.

Questo fa si che quando l‟accompagnatore è unico (ad esempio l‟ente che gestisce per conto dell‟amministrazione) l‟arrivo nelle scuole dei bambini provenienti dal medesimo insediamento avvenga in tempi diversi: se il primo entrerà puntuale alle 8,30, l‟ultimo non sarà in classe prima delle 9,30, e lo stesso avverrà al momento dell‟uscita.

Si è poi spesso proposto un processo di intervento che ha nei fatti totalmente deresponsabilizzato i genitori dinanzi all‟istituzione scolastica, ma anche in relazione ai propri figli: è sempre qualcun altro ad esercitare compiti e funzioni spettanti ai genitori, lo iscrive a scuola, lo accompagna, parla con gli insegnanti, ritira la scheda di valutazione, si confronta coi genitori degli altri bambini, ecc.

Tutto ciò ha portato, in taluni casi, ad una pericolosa situazione di “separazione” nella testa e nella vita di alcuni bambini Rom e Sinti, che spesso vedono l‟istituzione scolastica come qualcosa di lontano ed estraneo al loro mondo. L‟insuccesso peggiora questa situazione, alcune volte in maniera irreparabile. Bisognerebbe sempre più coinvolgere gli adulti Rom e Sinti nel percorso scolastico dei propri figli: solo così si può evitare ai piccoli l‟umiliazione di presentarsi “orfani” al mondo della scuola, e ai genitori Rom e Sinti di vivere una “genitorialità limitata” e continuare a guardare con diffidenza al medesimo mondo. Anche la formazione e la presenza di mediatori culturali Rom e Sinti contribuirebbe a superare il gap tra famiglia e scuola.

Un altro punto dolens è rappresentato dalla proposta educativa e dai risultati. Talvolta ci si accontenta del fatto che i bambini Rom e Sinti frequentino le scuole e lo facciano senza disturbare: come se questo fosse l‟unico obiettivo. Spesso problemi oggettivi – come quello della scarsa igiene personale di alcuni bambini, o della mancanza di materiale didattico – sembrano inficiare a priori la possibilità di un positivo inserimento e di buoni risultati didattici. Accade così che bambini nati in Italia, che frequentano la scuola dalla prima elementare, finiscano il primo ciclo senza una corretto apprendimento della lettura e scrittura.

E non è raro riscontrare casi in cui i minori Rom e Sinti sono tenuti in classe a “disegnare”, mentre il gruppo classe fa altro. Anche in questo bisognerà con più risolutezza compiere il passo dall‟accoglienza della diversità, alla parità di trattamento. Il sottolineare le criticità non deve far scomparire tanti esempi di buon inserimento e successo che esistono: insegnanti encomiabili, scuole aperte a molte iniziative, genitori presenti e partecipi. Ma un grande numero di bambini – soprattutto tra chi proviene dai campi – ancora deve quotidianamente fare i conti con quanto esposto».

La Comunità di Sant’Egidio avanza una proposta: «Proprio per dare un segnale nel campo della scolarizzazione e mettendo a frutto 30 anni di presenza accanto a Rom e Sinti, nel 2008 la Comunità di Sant‟Egidio ha fatto nascere il programma “Diritto alla Scuola, Diritto al Futuro”, pensato per ottenere quello che al livello europeo si definisce scolarizzazione di qualità: una frequenza assidua, un apprendimento come gli altri minori, buoni risultati.

Il programma, implementato e realizzato in collaborazione con le scuole del territorio e le associazioni che in questi anni si sono occupate della scolarizzazione, nel suo primo anno di attuazione ha dato risultati eccezionali, facendo si che il programma divenisse una best practice al livello europeo. Il programma ha come obiettivi la prevenzione e il contrasto dell‟evasione scolastica e la promozione di una piena partecipazione degli alunni Rom alla vita della scuola; aumentare la percentuale di successo nel completamento dei differenti percorsi scolastici, educando le famiglie alla piena comprensione del ruolo della scuola nella crescita dei minori. I primi due anni di implementazione del progetto hanno portato la frequenza dei borsisti dal 52% all‟82%.

Prevede dei criteri cardine: Concessione Borse di studio per alunni Rom e Sinti meritevoli concesse direttamente alle famiglie Rom; interventi di coinvolgimento dei genitori e delle famiglie rudare e delle famiglie del territorio; interventi di sensibilizzazione finalizzati al contrasto dell’antigitanismo; attività extracurricolari a cui partecipano minori Rom aperte a tutti i minori della scuola; docenza aggiuntiva in orario extrascolastico; utilizzo di un mediatore culturale Rom con funzione di raccordo con le scuole e le istituzioni del territorio; coinvolgimento dei genitori dei minori coinvolti dal progetto.

Il Progetto ha peraltro anche un forte radicamento civico, rifacendosi all‟art. 34 della Costituzione, “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore,(…) è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze(…). Articolo costituzionale nato in un contesto umano e sociale della società italiana non molto dissimile da quello che oggi vivono i Rom. Un esempio innovativo che potrebbe facilmente estendersi».

Risultati raggiunti

Le borse di studio erogate inizialmente solo ad alcuni alunni Rom e le attività di laboratorio aperte a tutti i bambini hanno avuto un effetto moltiplicatore che ha profondamente trasformato la frequenza scolastica non solo dei bambini beneficiari della borsa di studio, ma dell‟intera popolazione Rom della scuola con progressivo aumento della frequenza scolastica di tutta la popolazione Rom a partire proprio da febbraio 2009.

Così come per il problema dell‟abitazione anche per quanto riguarda l‟adempimento dell‟obbligo scolastico la partecipazione appare una risorsa essenziale. Osserva ancora Zincone: «Le famiglie Rom sono talvolta restie a mandare i figli a scuola, sia perché considerano inutile un‟istruzione che poi non produce né occupazione né reddito, sia perché temono sia portatrice di valori antitetici destabilizzanti della loro autorità. Le famiglie italiane a loro volta resistono alla presenza di Rom, come di altre minoranze, perché temono lo scadimento della didattica.

Per questo e altri motivi si rileva una maggiore propensione dei bambini e ragazzi Rom a frequentare la scuola irregolarmente, a non completare l’istruzione dell’obbligo, a ottenere peggiori risultati. Tra i motivi dei ritardi nel percorso educativo e degli abbandoni, c’è anche la difficoltà a svolgere i compiti a casa per l’assenza di spazi adeguati, per le difficoltà dei genitori, di qui l’utilità di approntare dopo scuola destinati soprattutto a loro. Purtroppo i ragazzi Rom si allontanano dall’istruzione anche perché hanno il timore fondato di essere oggetto di mobbing, e di questo rischio anche i loro genitori sono consapevoli.

L’ostilità nei confronti dei Rom riguarda non singoli comportamenti, ma un’intera comunità, bambini inclusi. Questo induce ad una considerazione di fondo. Per i Rom più che per altre minoranze è cruciale accettare la ricetta del filosofo canadese, Charles Taylor. Non si possono privare gli individui di un elemento essenziale per il loro benessere, che consiste nel “riconoscimento” di dignità alla loro comunità di appartenenza. Gli individui che appartengono a quel gruppo sono constretti in una condizione di terribile inferiorità, se – come osserva la nostra filosofa politica Elisabetta Galeotti – devono vergognarsi di apparire in pubblico per quello che sono, cioè se il loro aspetto esteriore rivela un’appartenenza comunitaria disprezzata.

La ricetta è eticamente ancora più cogente, quando si parla di bambini, ma non si può applicare solo a loro, non si può applicare solo nella scuola, se vogliamo che funzioni. Un conto è disapprovare alcune prassi e reprimere comportamenti delittuosi, un altro conto è manifestare un continuo indistinto disprezzo per la comunità nel suo insieme».

Da un altro punto di vista, che integra e non contraddice queste affermazioni, la Comunità di Sant’Egidio afferma: “D‟altra parte – è l‟altra faccia della medaglia – con l’alibi della differenza “culturale”, si transige abbastanza a cuor leggero su alcune realtà largamente diffuse: basti pensare all‟inottemperanza dell‟obbligo scolastico o ai matrimoni degli infradiciotenni. Ma il problema non è il rispetto di presunti dati culturali, bensì far osservare a tutti la legge italiana e le norme che tutelano i minori e inserirli in un sistema di diritti/doveri.

Talvolta sembra che l‟atteggiamento delle istituzioni ondeggi tra il romanticismo e la fuga dalle responsabilità. La sintesi di questi due atteggiamenti è quella di non considerare i minori Rom (nel bene e nel male) uguali agli altri bambini. Vi sono stati dei comportamenti schizofrenici da parte delle istituzioni su cui occorre riflettere, perché hanno ricadute gravi sui Rom.”

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