MOSTRI TRENTINI – 6

a cura di Cornelio Galas

DUCCIO CANESTRINI

DUCCIO CANESTRINI

Torniamo al saggio di Duccio Canestrini sui “mostri”. “Oltre i confini della normalità e della civiltà greco-latina, l’unica concepibile, c’è soltanto la barbarie: questo – scrive il noto antropologo trentino – è l’assunto  confermato dalla scienza ottocentesca. Tramontata la lieta novella del buon selvaggio, sui libri del secolo scorso gli «altri» tornano a incarnare il peggio, in una forma di esotismo dalla faccia scura che ora converge con i nuovi interessi coloniali. Se gli idioti sono selvaggi, i selvaggi sono idioti. In ogni caso, entrambe le categorie necessitano autorevoli tutori.

Rudolf Virchow assiste ad una autopsia

Rudolf Virchow assiste ad una autopsia

Scrive il medico e antropologo tedesco Rudolf Virchow, nel 1881, a proposito dei nativi di Ceylon: «Apprendiamo dai resoconti di diversi osservatori che i Vedda non sono capaci di particolare profondità di sentimenti. Quanto alla più rinomata delle loro incapacità, quella di ridere, occorre aggiungere che essi disprezzano chi vi riesce. Per quanto ne sappia, questa peculiarità si riscontra soltanto in certi idioti».

Vedda

Vedda

Lo stesso Darwin, imbarcato a bordo del brigantino Beagle, nel descrivere i nativi della Terra del Fuoco annota: «Vedendo questi uomini difficilmente si può credere che siano nostri simili e abitanti dello stesso nostro mondo (…) Non avrei mai pensato quanto fosse grande la differenza fra l’uomo civile e quello selvaggio».

Il colmo è che prima d’imbarcarsi Charles Darwin ebbe una spiacevole discussione con il capitano FitzRoy, al quale, appassionato di fisiognomica, non piaceva il naso dello scienziato poiché secondo lui tradiva una tendenza alla pigrizia.

Robert FitRoy

Robert FitRoy

Il supposto legame tra degenerazione e ordinamento razziale ci ha comunque lasciato qualche eredità, per esempio la designazione di «idiozia mongoloide» per il disordine cromosomico propriamente detto sindrome di Down. La complessione patologica «mongoloide» (occhi obliqui, zigomi sporgenti, ecc.) esprime un esotismo alla rovescia. Il dottor John Langdon Down la descrive nel 1866, in un articolo intitolato «Osservazioni su una classificazione etnica degli idioti», nel quale cita anche idioti di tipo malese e di tipo etiope.

Down

John Langdon Down

E a riprova della coerenza di un universo mentale in cui l’esotico e il mostruoso tornano a coincidere, ricordiamoci che per designare il frutto di un parto abnorme che genera una creatura toracopaga, usiamo ancora la locuzione «gemelli siamesi». Al Museo Civico di Rovereto, intanto, come in uno «strano bazar», affluiscono lance, scudi, suppellettili, orpelli e reperti di popolazioni lontane, altrettante testimonianze di incommensurabili diversità culturali. Emblematici due doni fatti nel 1883 e nel 1889 dal roveretano Luigi Canestrini, direttore del frenocomio di Trieste, ma già medico di bordo su navi in rotta per l’estremo Oriente.

Tridacna gigas

Tridacna gigas

Il primo è un mollusco bivalve gigante (tridacna gigas), il secondo un arazzo di seta raffigurante le famigerate torture cinesi. Sono gli anni, d’altronde, in cui l’editore Sonzogno di Milano pubblica con successo il Giornale illustrato dei Viaggi e delle avventure di terra e di mare, il quale ha come sottotitolo Drammi, popolazioni, scoperte geografiche, supplizi, notizie e varietà. Inutile dire che le figure di atrocità e le scenette cannibalesche vi abbondano. Quello degli altri, insomma, è un mondo cane.

VICTOR FRANCONI

VICTOR FRANCONI

Anche i soggetti esotici finiscono al circo, insieme ai mostri. Le esibizioni etnologiche si alternano e talvolta coincidono con quelle teratologiche. È Victor Franconi a introdurre per primo, nel 1847, una troupe di Exotiques (così vengono presentati) all’Hippodrome di Parigi. Si tratta di una compagnia di acrobati e cavallerizzi arabi che montano anche dromedari e struzzi.

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Dieci anni più tardi, Lord Sanger ingaggia una troupe di nordafricani per contrastare il circo americano Howes and Cushing, che sta invadendo l’Inghilterra con uno show di pellerossa. Nel 1887 Karl Hagenbeck, rampollo di una famiglia olandese di commercianti di belve, mette su un circo per esibire in Germania la sua troupe di singalesi, dopo i quali «importa» zulù, ottentotti, fuegini, mongoli e lapponi. Sull’onda di quella nuova moda, un certo baleniere Maurice rapisce il piccolo indigeno della Terra del Fuoco José, per esibirlo in gabbia, con altri «cannibali» conterranei, all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1889.

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Interpellati dal Comune di Genova che sta preparando una grande esposizione coloniale per il quarto centenario della scoperta dell’America, i padri Salesiani allestiscono un padiglione dove rinchiudono in dorata prigionia due famiglie di fuegini. Vestiti da damerini europei, gli ex-cannibali redenti vengono condotti a Roma e presentati al Papa, a dimostrazione del lavoro di evangelizzazione compiuto dai missionari.

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Il cerchio si chiude. Partiti dalle antiche eteromorfie, siamo arrivati a una teratologia sui generis dove i mostri da esibire sono uomini dai comportamenti che la nostra cultura considera immorali: nudità, libertà sessuale, poligamia, mancanza di gerarchia, uso tradizionale di droghe.

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Del resto, in positivo o in negativo, l’esotismo – sempre basato sul malinteso e sull’incapacità di comuni- care la diversità – è ancora un fenomeno d’attualità. Alcune riviste illustrate, i dépliant dei tour operator e molti spot pubblicitari battono con ostinazione questa pista. Comunque sia, i funamboli giapponesi, gli arcieri Sioux, i nani africani, i «gemelli siamesi», gli ermafroditi, gli antropofagi pentiti, i clown e i fakiri, dando spettacolo, forniscono un’idea della varietà del mondo, dentro un apposito spazio protetto: museale, circense, mediatico.

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Un’idea certamente confusa, eppure sufficiente a soddisfare primordiali brame di normalità: quell’opaco desiderio di conformità e di omologazione che ciascuno di noi – a cavallo tra biologia e sociologia – cova nel profondo.

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Forse la funzione del diverso è proprio quella di stimolare una reazione psicologica e comunitaria di tipo aggregativo. Il mostro è necessario all’integrità mentale di tutti noi e, suo malgrado, aumenta la coesione dei cosiddetti normali contro le forme di devianza. Anche se – conclude Duccio Canestrini – come dimostra il film capolavoro di Tod Browning intitolato Freaks (1932) – di cui sono protagonisti autentici mostri umani che lavorano in un circo – non è vero che noi siamo migliori di loro.

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