a cura di Cornelio Galas
Ma Benito Mussolini era … pazzo? Aveva comunque problemi psichiatrici? Alla domanda hanno cercato di rispondere, nel 1985, due noti medici specialisti in questo settore: il trentino Beppino Disertori e Marcella Piazza, di Verona, scomparsi peraltro nello stesso anno, il 1992.
Alla fine degli anni Settanta, i due medici avevano già analizzato, dal punto di vista patobiografico, Hitler e Stalin. La parola “anamnesi” in campo medico indica la prima parte dell’esame clinico che consiste nella raccolta dettagliata di notizie sulla vita del paziente, dei suoi familiari e in particolare sui precedenti processi e sul decorso della malattia in atto. Un’anamnesi accurata costituisce la storia clinica di una persona malata, ovvero la sua patobiografia.
Hitler, secondo questi studi, fu affetto da una psicosi paranoica di grandezza e di persecuzione. Era un pazzo e anche un mostro. La sua pazzia fu relativamente lucida. Stalin fu invece soprattutto un mostro, cioè .un caso di teratologia psichiatrica. Disertori e Piazza precisano che i due dittatori, germanico e russo, presentavano quadri morbosi di grossolana anormalità mentale, mentre altrettanto non si può asserire del dittatore italiano.
In Mussolini distinguono, infatti, sul piano diagnostico da un lato la caratteropatia di fondo e dall’altro una distimia depressiva episodica, rientrante nella cerchia della psicosi maniaco-depressiva. Essi fanno riferimento, per quanto concerne la caratteropatia, alla teoria degli istinti (ormeteri e noormeteri), proposta da Constantin von Monakow e Mourgue, negli anni venti, rielaborata in seguito dal Disertori medesimo, ma soprattutto fanno richiamo alla teoria delle risposte psico-biologiche finalistiche.
Cosa sono le risposte psico-biologiche finalistiche? Consistono in comportamenti preformati più o meno arcaici. Alcune risalgono addirittura a fasi zoologiche della filogenesi, vale a dire a stadi pre-umani dell’evoluzione della specie umana ; e altre all’uomo primitivo. Possono emergere in determinate condizioni fisiologiche o patologiche della sfera degli istinti e affetti.
Le principali risposte sono: iperdifesa aggressiva, paleo psicomotilità, mimetica o isterica, panico ancestrale, spavento repulsivo e horror del tabù (fobie). Poi: rito propiziatorio e deprecatorio (ossessioni ), corto circuito (impulsi), all’erta (o nevrastenica), alterazione oniroide e agglutinante della realtà trasfigurata inconsciamente (allucinazioni e deliri), tossicotropa, disforia (depressioni), euforia, autoingrossamento e autodiminuzione. simulazione e dissimulazione.
Non possono sussistere dubbi – scrivono Disertori e Piazza – che la personalità caratteropatica di Mussolini si sia costantemente ripercossa sulle attività politiche del dittatore. Ma certo non minori furono gli effetti nocivi catastrofici della distimia depressiva ricorrente; sebbene di solito non riconosciuta dai medici e non adeguatamente puntualizzata dai biografi. Coincidenze cronologiche confermano la validità della tesi.
I due studiosi riferiscono anche un episodio del tutto inedito, ma documentato di prima mano, verificatosi durante la guerra di Grecia. Secondo Disertori e Piazza l’intera avventura di Benito Mussolini rimane sotto troppi lati incomprensibile su di un piano di razionalità, e non si fa ricorso a parametri coinvolgenti la psicopatologia.
BEPPINO DISERTORI
Chi era Beppino Disertori? Professione: medico psichiatra, filosofo, scrittore, umanista. Luogo e date di attività: Trento, Firenze, Genova, Milano, Svizzera, Padova. Cariche: Assistente presso la clinica delle malattie nervose e mentali all’Istituto neurologico di Milano, primario all’ospedale S.Chiara , docente di neurologia a Padova e docente a Sociologia a Trento, presidente Croce Rossa italiana. Nasce a Trento il 19 giugno 1907 ma subito la famiglia si sposta a Innsbruck.
Dopo la prima guerra mondiale rientra a Trento dove si iscrive al Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi alla facoltà di Medicina e Chirurgia a Firenze e quindi si trasferisce a Genova dove si laurea nel 1931 con una tesi di fisiopatologia del sistema nervoso centrale. Successivamente si trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Carlo Besta. Torna poi a Trento dove esercita la libera professione (la carriera pubblica gli era preclusa in quanto privo della tessera del Partito nazionale fascista).
Nel 1939 sposa Rosita Banfi dalla quale ha due figli, Donatella e Marcello. Negli anni ’40 partecipa attivamente alla resistenza dove incontra fra gli altri Egidio Reale, Randolfo Pacciardi, Gigino Battisti, Egidio Bacchi, Giannantonio Manci. Nel 1943 è esiliato in Svizzera.
Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di neurologia dell’ospedale Santa Chiara e docente presso la Facoltà di medicina dell’Università di Padova e presso la Facoltà di sociologia di Trento. Fu anche presidente della Croce Rossa italiana. Muore a Trento il 5 maggio 1992.
MARCELLA PIAZZA
Marcella Piazza nasce a Verona il 24 agosto 1931. Ordinario di scienze umane e Celebre neurologo, oltre a esercitare la professione medica si impegnò attivamente anche nel campo della ricerca, dell’insegnamento e dell’attività congressuale per la quale fu molto richiesta all’estero, specialmente in America latina. La sua attività scientifica si esplicò attraverso numerose pubblicazioni in tema di neurologia e neuropsichiatria (fra tutte Trattato di psichiatria e sociopsichiatria), che redasse spesso in collaborazione con Beppino Disertori. Muore a Trento il 3 ottobre 1992.
Mussolini, dunque, non era – stando a questa analisi – un pazzo e non era nemmeno un mostro, fuori dall’umanità, né per costituzione, né per malattia mentale. Ma disturbi psichici caratteriali, notevoli e anche episodi distimici, ascrivibili, come vedremo, a una forma frusta di depressione recidivante, influirono, secondo Disertori e Piazza, sulla sua attività politica, contribuendo a portarlo e a portare l’Italia alla catastrofe. I quali disturbi ed episodi, proprio per gli effetti che provocarono sulla società, rientrano di diritto nella socio-psichiatria.
La lettura del Mussolini dello storico inglese Denis Mack Smith, 1981, biografia ricca di notizie utili ai fini della indagine, ci tolse le ultime perplessità ad affrontare il problema del caso clinico Benito Mussolini, sotto l’angolo visuale della socio-psichiatria, nonostante – e su ciò insistono i due medici – l’assoluta diversità di natura e di grado rispetto ai casi clinici dei due dittatori tedesco e russo.
“Vogliamo e dobbiamo premettere – precisano subito Disertori e Piazza – la nostra sincera intenzione di svolgere l’assunto senza pregiudizi politici, bensì con l’assoluta obiettività del medico che aspira a stabilire una diagnosi. Ossia senza coinvolgimenti affettivi, malgrado la nostra avversione a tutte le ideologie totalitarie, sia fasciste, sia naziste, sia comuniste, e nonostante l’aver uno di noi (Disertori) partecipato di persona alle lotte per il Secondo Risorgimento d’Italia e alla Resistenza.
Sono passati ormai tanti anni dagli eventi storici ai quali sarà fatto richiamo, per cui è ben possibile guardare a quegli eventi con il necessario distacco: sine ira et sine metu.
Comunque l’enucleazione di componenti psicopatologiche non mira necessariamente a dipingere tutta di nero una personalità, ma può anzi condurre al riconoscimento di attenuanti nella valutazione degli effetti storici disastrosi d’una condotta influenzata dal submorboso e dal patologico”.
CARTELLA CLINICA
Un abbozzo di cartella clinica. Benito Mussolini, nato il 29 luglio 1883 a Dovia, frazione di Predappio, provincia di Forlì.Di professione giornalista, poi capo del governo e duce del fascismo. Morto fucilato a Giulino di Mezzegra, provincia di Como, il 28 aprile 1945.
ANAMNESI FAMILIARE
Il padre Alessandro e il nonno paterno, ribelli per temperamento, avevano sùbìto la prigione per le loro idee. Il padre era un artigiano: un fabbro. La madre Rosa Maltoni era la maestra del paese. Cattolica convinta fece battezzare i figli e li fece frequentare la messa domenicale.
Fu il padre a scegliere il nome di Benito in omaggio al famoso rivoluzionario e poi presidente del Messico, Benito Juarez.
Alessandro Mussolini considerava suoi maestri Marx, Mazzini, Machiavelli; si dichiarava socialista rivoluzionario. Trasmise al figlio un coacervo degli ideali di costoro. Il suo eroe esemplare era Garibaldi. Ci teneva a dichiararsi ateo.
Era una famiglia povera, che viveva in ristrettezze. Benito divideva con il fratello minore Arnaldo un materasso di foglie di granoturco in una piccola stanza adibita a cucina.
ANAMNESI PERSONALE
I primi anni di vita furono caratterizzati non solo dalle sofferenze dovute alle privazioni economico-sociali ma da sentimenti d’oppressione e isolamento. Furono anni di frustrazione, almeno patita come tale. Poi in un collegio di religiosi a Faenza, come Stalin nella scuola teologica di Gori e nel seminario di Tiflis.
Fu la faentina un’esperienza dolorosa, subìta come punizione, qualificata da umiliazioni, castighi, repressioni, imposizioni, che egli collegava con il fatto di essere figlio di un capopopolo: un’esperienza che favorì atteggiamenti violenti, di avversione alla società costituita e di intolleranza alla disciplina . In quel clima psicologico maturò in Benito un profondo complesso d’inferiorità fonte di un bisogno di risarcimento sociale.
Soprattutto l’aveva offeso la suddivisione nel refettorio degli alunni in classi a seconda del censo; nel terzo gruppo, al quale Benito apparteneva, si davano gli avanzi della cucina. Alquanto propenso alle risse, si dimostrò sin d’allora in preda alla volontà di emergere e di dominare.
Espulso dal collegio, passò alla scuola di Forlimpopoli, donde fu più volte espulso temporaneamente. Temuto e poco amato. Ma vi ebbe la gratificazione, a 17 anni, di venire invitato a pronunciare in teatro un discorso commemorativo di Giuseppe Verdi. Conseguì il diploma magistrale nel 1901.
Maestro supplente in Gualtieri, Emilia. Torna a palesare propensione alla violenza. Usa portare un pugno di ferro, corre voce abbia ferito con una coltellata una sua amante. L’anarchico Enrico Malatesta disse che Mussolini vagava da una opinione all’altra e che dava l’impressione di essere un rivoluzionario che non sapeva bene quale rivoluzione volesse.
Emigrato in Svizzera nel 1902, vi rimase sino al 1904, senza riuscire a inserirsi in un’attività lavorativa permanente. Visse il soggiorno nella vicina repubblica sfiorando alle volte la vie de Bohème . Ci fu chi notò che dietro ai suoi modi energici e duri covava un complesso d’inferiorità.
Le sue posizioni politiche lo collocavano fra i comunisti e i rivoluzionari autoritari. Propugnava la lotta di classe oltranzista, l’abolizione della proprietà privata , la non collaborazione con la borghesia. Esibiva l’ateismo. Sono noti episodi in cui invitò Dio, se esisteva, a dimostrare la sua esistenza fulminandolo immediatamente.
Affermò che la religione era una malattia di competenza psichiatrica e che il socialismo, diversamente dal cristianesimo, doveva insegnare le virtù della violenza e della ribellione. Rientrato in Italia a 21 anni assolse il servizio militare. Quindi insegnò a Tolmezzo e Oneglia.
Nel 1909, all’età di ventisei anni, si trasferì nel Trentino, che faceva parte della monarchia austro-ungarica, e vi soggiornò per sette mesi. Segretario della locale camera del lavoro, poi redattore del «Popolo», giornale socialista di Cesare Battisti.
Più volte condannato e messo in prigione per ragioni politiche. Scrisse (ne abbiamo già riferito in “Mussolini e il Trentino”) una importante monografia Il Trentino veduto da un socialista, pubblicata nei Quaderni de «La Voce» su richiesta di Prezzolini.
Una persona che l’aveva conosciuto e frequentato a Trento, raccontò a Beppino Disertori il seguente episodio. Suoi compagni di partito gli avevano regalato un cappello nuovo di zecca: ebbene, prima di metterlo sul capo lo buttò per terra , sgualcendolo, al fine di garantire meglio la propria immagine di rivoluzionario. Il racconto concorda con una testimonianza di Leda Raffanelli sul suo «presentarsi malvestito, sporco e con la barba lunga, quando doveva comparire in tribuna, perché tale era la sua idea dell’aspetto confacente a un dirigente proletario».
E questo comportamento, secondo Disertori, rientra “nel ricorso a quella che ho definito risposta psico-biologica finalistica arcaica di simulazione-dissimulazione. La quale risposta, se usata a dismisura, appartiene ai Randgebiete della psicopatologia ossia alle terre di confine fra psicologia normale e psicopatologia conclamata.
Mack Smith annota che Mussolini in quegli anni «stava imparando a fabbricarsi una maschera per celare la sua vera personalità». Ed aggiunge il medesimo storiografo inglese che «nelle sue relazioni con gli altri si muoveva, e lo ammise lo stesso Mussolini, come su un palcoscenico, impegnato a recitare una parte, anzi una serie di parti, onde è spesso impresa disperata tentar di districare l’una dall’altra e a maggior ragione di ricondurre a unità … Un attore di grande talento … un uomo che si contraddiceva con tanta disinvoltura».
Dalla citata Raffanelli, anarchica e convertita all’islàm, risulta sottolineato anche un altro aspetto submorboso della personalità: l’ipertrofia dell’autoaffermazione, l’esagerata indomita volontà di potenza: «ho bisogno di gloria, di ricchezza , di novità, di tumulto» egli le disse. Voleva «diventare l’uomo del destino», «come Napoleone»; commentò lei. «Più di Napoleone» egli rispose.
Nel 1914-15 si verifica la maggiore crisi politica ed esistenziale nella vita di Mussolini. Egli che nel frattempo era divenuto un leader del socialismo in Italia e direttore dell’«Avanti», organo del partito, da internazionalista, antimilitarista, neutralista, pacifista a oltranza, che aveva asserito «essere la bandiera nazionale uno straccio da piantare nel letame», da intransigente assertore di un socialismo massimalista si tramuta nell’opposto. Dichiara sull’«Avanti» di essersi sbagliato e che i socialisti non potevano restare meri spettatori della tragedia europea.
Fu costretto a dare le dimissioni da direttore e venne espulso dal partito. Si rimise in sella dando vita a un suo proprio giornale «Il popolo d’Italia», che propugnò l’intervento armato contro l’Austria-Ungheria, mentre il partito socialista espelleva l’ex direttore dalle proprie fila.
Mussolini nel settembre del 1915 andò al fronte. Nel ’17 durante un’esercitazione fu ferito dallo scoppio di un lanciabombe: una quarantina di schegge in corpo. Dato il capovolgimento di idee correlato con la brusca conversione all’interventismo , è ovvio che molti la ritennero insincera e opportunista, tanto più che corsero voci di finanziamenti che avrebbero confortato Mussolini a mutare avviso e rotta.
Insomma il mutamento radicale di opinioni, anzi di idee, sarebbe stato connesso con la risposta psico-biologica di simulazione-dissimulazione, della quale s’è detto in apertura.
“Non ne sono persuaso, indipendentemente dal fatto che finanziamenti e contributi interessati effettivamente ci furono. Sono persuaso invece – scrive Disertori – che il mutamento corrispondesse ad autentici convincimenti maturati nell’intimo, cioè a una vera metamorfosi. Non si simulano atteggiamenti che hanno per conseguenza di portarti al fronte e di introdurti un sacco di schegge nel corpo.
Ciò non toglie che il ricorso alla risposta della simulazione-dissimulazione fu un elemento caratteriale submorboso permanente, che accompagnò Mussolini lungo l’intero arco della vita, come si vedrà anche più avanti”.
Ritornato a Milano zoppicante, soffrì nell’ottobre di un episodio depressivo, che richiese l’uso della morfina. È il primo evento depressivo, di cui si trova notizia nella patobiografia di Mussolini.
Sulla riunione di Piazza San Sepolcro a Milano, marzo 1919, si suole far cadere la nascita del movimento fascista, che sarebbe divenuto partito due anni di poi. Da quel momento la biografia di Mussolini procede in parallelo con le vicende del fascismo. Ma si noti che ancora nell’anno 1920 egli continuava a considerarsi socialista, sebbene dissidente e avverso al partito ufficiale.
Ammirava Lenin e la sua conquista del potere in Russia, ma combatteva il bolscevismo, dal cui pericolo si vanterà in seguito di aver salvato l’Italia. Di Lenin, pur ammirandolo, diceva che aveva generato una dittatura non del proletariato e nemmeno del socialismo, ma di un pugno di intellettuali.
A sua volta Lenin, come anche Trotzkij sostenne che l’unico uomo in Italia capace di guidare una rivoluzione socialista sarebbe stato proprio Mussolini. Il movente fondamentale di quest’uomo che si dibatteva fra le incoerenze, rimaneva la conquista del potere politico; di conseguenza il fa scismo rappresentava per lui la via da percorrere per ottenere il potere. La tattica della violenza, anzi del terrore, gli parve il mezzo più confacente allo scopo.
Di questa scelta furono determinanti , più che una valu tazione intellettualistica, la sua propensione submorbosa alla risposta psicologica d’iperdifesa aggressiva e perciò alla violenza, nonché una certa mancanza di scrupoli nei confronti di quest’arma . Dittatore in fieri, apparve appunto a molti un uomo totalmente privo di scrupoli, ossia un amorale costituzionale.
Lo stesso suo fratello Arnaldo si lasciò sfuggire che «nel fondo del temperamento di Benito c’è qualcosa che rasenta la criminalità ». Comunque l’aggressività violenta costituì una nota caratteriale psicopatica presente sin dall’infanzia, una nota che nella fase anteriore alla marcia su Roma si fece particolarmente manifesta, mentre gli obiettivi ufficialmente dichiarati dal fascismo erano di assicurare l’ordine nello Stato e implicitamente la fine delle azioni faziose violente.
Alla giornalista Clare Sheridan, cugina di Winston Churchill, Mussolini dichiarò che in politica non c’era ragione, né torto, ma solo la forza, e che il segreto del successo stava nel «fare del proprio cuore un deserto»; e che si sentiva ossessionato dal bisogno di piegare le persone alla sua volontà. Insistette sulla parola «piegare», accompagnandola con un gesto.
Emergevano dunque, come sempre in lui, la volontà di affermazione e di potenza , a costo di annullare ogni remora morale, non senza una sfumatura sadica inerente all’impulso ossessivo a piegare gli altri alla sua volontà.
La giornalista pensò che quell’uomo recitasse la parte del forte, ma che fosse probabilmente un debole. Lenin, Kemal e altri capi da lei conosciuti le erano sembrati personalità più spiccate. Sotto il profilo teorico e morale le citate dichiarazioni facevano di Mussolini l’Antimazzini per eccellenza . Nel pensiero di Mazzini la politica non era che un ramo della morale, applicato alla cosa pubblica. Per Mussolini era invece la negazione della morale.
“Non è il caso qui – scrive Disertori – di fare richiami superficiali a Machiavelli o al Nietzsche o a d’Annunzio, bensì di sottolineare l’aspetto submorboso inerente alla personalità di Mussolini, tanto più che essa si collega alla risposta psico-biologica di simulazione-dissimulazione e a una irrefrenabile esigenza di apparire, alimentata dalla risposta d’autoingrossamento”.
Salito al potere il 28 ottobre 1922, il giovane Presidente del Consiglio presenziò dopo una settimana alla Conferenza di Losanna per la pace con la vincitrice Turchia. Ai giornalisti esteri apparve «egocentrico, goffo, estasiato dalla novità della pubblica attenzione massimamente rivolta su di lui».
Il corrispondente Ernest Hemingway osservò che il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano «recitava la parte del dittatore: chino su di un libro, sopracciglia corrugate, pretendeva di non aver notato che il suo uditorio era pronto». Hemingway si avvicinò in punta di piedi e vide che il libro era un dizionario francese-inglese in posizione capovolta.
Un altro giornalista trovò il presidente Mussolini affascinante fuori dalla scena, ma che appena una conversazione privata si trasformava in occasione pubblica subito egli mutava drasticamente modi, assumendo un atteggiamento “duro e sprezzante, estremamente sgradevole».
Entrambi i racconti confermano l’abuso sub-morboso della risposta psicobiologica di simulazione-dissimulazione, che appare sempre più una nota permanente della personalità caratteropatica mussoliniana, insieme con il bisogno di apparire.
La propensione alla soluzione violenta dei problemi si manifestò in modo paradigmatico nelle circostanze che condussero alla soppressione dell’avversario, l’onorevole Giacomo Matteotti, leader socialista.
La responsabilità più o meno indiretta è accertata. Dumini, l’esecutore materiale dell’omicidio, rilasciato dopo due anni di carcere, andava dicendo che il capo del governo era responsabile diretto. Gabriele d’Annunzio parlò di «fetida ruina».
Il 1924 è l’anno dell’uccisione di Matteotti, e delle conseguenze politiche che misero in gravissimo pericolo la posizione di Mussolini a capo del governo; ed è anche l’anno della riacutizzazione dei dolorosi crampi allo stomaco, dei quali aveva cominciato a soffrire durante l’esilio in Svizzera.
Con il discorso del 3 gennaio 1925 Mussolini riprendeva l’offensiva ricorrendo alla risposta psico-biologica dell’iperdifesa aggressiva, consolidava definitivamente la dittatura personale e il regime”, mentre le squadre passavano all’azione violenta: saccheggi e pestaggi di oppositori. In febbraio nominava segretario del partito nazionale fascista l’estremista avv. Roberto Farinacci .
Ma poco tempo dopo il duce cadde seriamente ammalato: dovette scomparire dalla scena politica per più di un mese. Si sospettò la ripresa di una forma sifilitica, per la quale sarebbe stato curato in precedenza lungo una quindicina di anni. Ma la reazione risultò negativa.
Subisce un collasso in automobile. Vomita sangue. L’esame radiologico rivela una grave ulcera gastroduodenale. Da allora verrà sottoposto a una dieta rigorosa. Nel 1929 incombe minaccia d’emorragia; ricorso ad antiacidi e antispastici. Tre litri di latte al giorno e frutta sino a sei ·volte.
Risulta pure che nei primi anni Trenta egli dava chiari segni «d’incapacità a concentrarsi». Nel frattempo si fa sempre più dominante in lui un’idea submorbosa: quella di voler modificare il carattere degli italiani. «Li porterò … – egli dice – al punto di sfilare dinanzi a un berretto, piantato su di un palo, e salutarlo».
Se quattro secoli prima c’era stato il tipo dell’italiano rinascimentale, ora egli avrebbe creato il tipo dell’italiano fascista, dell’italiano di Mussolini. La gioia della vita si sarebbe resa manifesta nell’obbedire a una sola volontà.
Era un’idea subdelirante. Del resto già nel 1926 un ambasciatore aveva formulato il sospetto che il duce soffrisse di uno squilibrio mentale e di una «forma paranoica incipiente».
Che il potere critico presentasse nel duce sicure carenze risulta comunque dal fatto che si meravigliava di non ottenere il premio Nobel per la pace, mentre parlava dell’Italia come di un paese in permanente stato di guerra e dichiarava progetti megalomani circa le forze armate di cui intendeva disporre per praticare una politica estera sempre più bellicosa.
Nel 1933 ripresa dei disturbi gastro-duodenali, accompagnati a un cresciuto distacco da chiunque potesse fornirgli aiuto e consigli. Il successo della conquista dell’Etiopia a metà degli anni Trenta lo rafforza nell’idea megalomaniaca di essere infallibile.
Un episodio depressivo ipodinamico caratterizza la fine del ’39 e tutto il gennaio del ’40; ed è seguito da uno stato di superficialità euforica. Durante la fase disforica il dittatore è perplesso, incapace di decidere, intollerante di qualsiasi discussione e contraddizione, incostante; muta idea dall’oggi al domani. Ciano e il capo della polizia pensano alla sifilide. Altri lo trovano irriconoscibile e come uscito di senno.
Circa lo stato psichico di Mussolini c’è una notizia importante in un documento. Si tratta di un breve ritratto di Edda Ciano Mussolini scritto da Allen W. Dulles, responsabile in Europa dell’Off ice of strategie service. Scrive il Dulles che Edda aveva creduto che l’Italia fosse pronta per conquistare un ,impero coloniale più vasto. E che cominciò a dubitare del padre soltanto nel 1941, quando «non sembrava più sè stesso. Le sembrava diventato un confusionario».
Anche il periodo delle gravissime sconfitte militari e delle frustrazioni .inferte da Hitler, periodo che precede il 25 luglio, è contrassegnato da disforia e da un atteggiamento d’inadeguatezza e ipodinamismo , con inefficienza rispetto alle critiche esigenze.
Dopo la liberazione dalla prigionia sul Gan Sasso appare in condizioni di salute pessime: «sembrava quasi moribondo». Non risulta però che soffrisse di nessuna malattia organica. Dopo parecchie settimane era praticamente guarito. Il merito fu attribuito alle cure del medico tedesco Zacchariae, ritenuto eccellente psicologo, il quale conversava due volte al giorno con l’ammalato.
Ma, a parte l’opportuna soppressione della dieta carenzata a base di latte e frutta, la guarigione può facilmente attribuirsi allo spontaneo recupero da una sindrome distimica. L’ultimo episodio depressivo si manifesta nella primavera del ’45, mentre la situazione precipita in Italia come in Germania.
Un episodio questo che coglie Mussolini nel momento delle estreme decisioni . Scrive Denis Marck Smith: “… Non era in grado di decidersi per la semplice ragione che attraversava un altro di quei periodi in cui gli venivano meno ogni energia e forza di volontà. Conservava bensì un’apparenza di tranquillità, ma sembrava la tranquillità dell’impotenza e dell’esaurimento nervoso. Una persona che lo rivide in quei giorni dopo parecchi mesi, lo descrisse come un uomo distrutto».
Nell’ultimo giorno di libertà, 27 aprile, la sua incapacità a pren dere decisioni raggiunge l’acme: «perse molte ore a non fare assolutamente nulla». Si rassegna a indossare un cappotto e un elmetto della Luftwaffe e a trasferirsi su di un camion di soldati tedeschi quando la colonna che procede verso nord viene fermata da partigiani della III brigata Garibaldi presso Dongo, Lago di Como.
Viene fatto prigioniero e fucilato l’indomani, 28 aprile, da partigiani comunisti, insieme con Clara Petacci, l’amica fedele che scelse di morire con lui. Seguì lo scempio dei cadaveri appesi per i piedi in Piazzale Loreto a Milano, esposti al ludibrio della gente.
CONSIDERAZIONI DIAGNOSTICHE
“Dopo quanto esposto non possono rimanere dubbi – scrivono Disertori e Piazza – sul fatto che Mussolini fu un ragazzo difficile e in seguito una personalità psicopatica alterata nel versante istintivo-affettivo, ossia un caratteropatico, in cui le diverse tendenze istintive, gli stati d’animo e le risposte psico-biologiche finalistiche andavano al di là della norma, per eccesso o per difetto.
Ma dobbiamo anche riconoscere come accertata la presenza di una malattia psichica vera e propria a decorso ricorrente, rappresentata da episodi di distimia depressiva. La caratteropatia e la distimia depressiva andranno valutate separatamente”. E di questo e del nesso tra lo stato di salute mentale di Mussolini e le sue decisioni politiche, militari, parleremo nella prossima puntata.