a cura di Cornelio Galas
Abbiamo chiuso la precedente puntata con una serie di “segnalazioni” di Adolfo de Bertolini, commissario prefetto di Trento. Non si tratta di un episodio purtroppo, perché il 17 luglio 1944, de Bertolini scrisse in una lettera riservata al commissario prefettizio di Cavalese quanto segue:
“L’aggressione fatta sulla strada di San Lugano ai tre disgraziati che stavano nel camion della TOT (sic), ha qui destato la più profonda impressione. Non si arriva a comprendere come di pieno giorno i ribelli provenendo da Cadino abbiano potuto raggiungere il posto dell’aggressione senza essere veduti da molte persone. Se ne deduce, che sia per paura, sia per convinzione, molti dei Vostri valligiani facciano mostra di non vedere e serbino un silenzio colpevole.
Voi conoscete che nelle province del vecchio Regno ci siano state misure molto severe a carico di incolpevoli, solo perché l’autorità militare doveva ritenere almeno un tacito appoggio di gente, che aggredisce alle spalle. Sarebbe quindi molto utile se io, oltre ai rapporti che ho avuto dagli organi di sorveglianza, potessi avere da Voi la comunicazione delle Vostre impressioni. Le quali saranno poi quelle della pubblica opinione di Cavalese. Attendo Vostro sollecito riscontro, come lo esige l’oggetto della mia richiesta”.
Ci pensò poi Kesserling a portare alle estreme conseguenze la teoria della rappresaglia anche preventiva sugli “incolpevoli”. E il 1944 sarà l’anno delle grandi stragi: pochi generali capirono che, dopo la sconfitta di El Alamein dell’ottobre del 1942, di Stalingrado del gennaio successivo e con lo sbarco alleato in Normandia del 6 giugno 1944, era giunto l’inizio della fine. Molti continueranno a tener fede al giuramento di Hitler sperando nell’arma segreta.
Nel “regno” di Franz Hofer una macchina repressiva perfetta si mette in movimento sulla base di compiti ben precisi e suddivisi fra polizia militare e polizia politica, uomini del Sod (Sichereits und Ordnungdienst – servio d’ordine e sicurezza, corrispondente al Cst per la provincia di Bolzano) e delatori, tribunali speciali e plotoni di esecuzione, “killers” di varia estrazione e aguzzini del campo di concentramento di Bolzano.
Gli stessi commissari prefettizi (podestà) avevano funzioni di polizia locale quali rappresentanti del governo, e il Gauleiter ordinò loro di compilare uno schedario di sospettati politici. Si spiega così come in certi casi vennero eseguiti arresti simultanei di più persone a colpo sicuro. La tortura venne istituzionalizzata. Lo stesso Hofer, denominato la “iena del Tirolo”, a Buchenwald il 25 settembre 1943 aveva fatto impiccare per i piedi padre Otto Neururer, che morì dopo 36 ore di agonia. I partigiani del Bellunese, sapendo che era difficile resistere ai vari trattamenti una volta catturati, per non correre il rischio di rivelare i nomi dei compagni avevano adottato la norma di non farsi prendere vivi, di vendere cara la pelle, come ricordava Vittorio Gozzer.
Con l’arrivo degli alleati in Toscana, la famigerata banda dell’ufficiale della Gnr, Mario Carità riparò nel Veneto con uno spezzone distaccato a Rovereto: a quel branco di veri e propri criminali i tedeschi stessi a volte affidavano l’interrogatorio di persone che loro non riuscivano a far parlare. A Carità – il cui nome è di per sé un “puro purissimo accidente”, direbbe il Manzoni – sono associate alcune delle pagine più nere di quegli anni bui. Veniva usata anche la tortura psicologica.
Giorgio Tosi, uno degli arrestati a Riva del Garda il 28 giugno 1944, racconta che, prima dell’interrogatorio, fu portato negli scantinati del IV Corpo d’Armata di Bolzano. Un torturatore di professione, il viennese Hans Krones, aprì una porta e lo spinse dentro. “Nella stanza c’era Franchetti, seminudo, imbavagliato, a testa in giù, con i piedi legati a un anello del soffitto e le mani a un anello del pavimento. La schiena sanguina. Ai suoi fianchi due SS con gli staffili in mano. L’impressione è tremenda. – Ecco il tuo amato comandante, il tuo caro Franchetti, dice Krones, guarda cosa gli facciamo. Poi toccherà a te. Ricominciano a sibilare le fruste: ein, zwei, drei … “.
Il 10 marzo 1945 Mario Pasi dovette essere portato all’impiccagione dagli altri nove compagni di sventura, prima sdraiato su una scala e poi a spalle lungo l’ultimo tratto del sentiero che portava sul colle del patibolo, il “Bosco dei Castani”, nei pressi di Belluno. In carcere gli aguzzini gli avevano traforato con ferri roventi le ginocchia. Fra una tortura e l’altra aveva invocato che i compagni gli inviassero del veleno. Le esecuzioni capitali, per fucilazione o impiccagione, avvenivano spesso sulle pubbliche piazze di località anche distanti dalla sede del Tribunale di Bolzano, allo scopo di terrorizzare la popolazione e distoglierla dall’appoggiare i partigiani.
“Sappada venne invasa dai tedeschi e colpita a morte il 29 luglio 1944. Davanti all’artistica chiesa, alle ore 17.30 un lugubre plotone di esecuzione si avanzò: pioveva. La voce che condanne a morte stavano per essere eseguite corse di casa in casa, di bocca in bocca, i popolani sparirono come per incanto, il paese rimase deserto. Tra i patrioti vennero condotti al supplizio Bortolotti Armando da Castel di Fiemme, nato il 27 dicembre 1900, Silvestri Manlio da Saccolongo (Padova), nato il 9 marzo 1916 e Peruzzo Angelo da Enego, nato il 31 agosto 1894. Chiesero di consegnare al parroco l’indirizzo dei parenti e gli ultimi ricordi dei quali erano in possesso perché giungessero alle loro famiglie. L’ufficiale tedesco si oppose, ritirò tutto, credendo di scoprire in quei biglietti, in quei pochi oggetti, nomi di altri patrioti da passare al capestro (…)”.
“10 agosto 1944 – Fucilazioni a Fonzaso. Alle ore 18, provenienti da Bolzano, i tedeschi fecero scendere da un autocarro sei partigiani condannati a morte. La piazza fu rapidamente sgomberata, i negozi chiusi, così le porte e le finestre. I sei patrioti furono addossati al muro di cinta della casa De Boni e fucilati. Gli esecutori del misfatto partirono subito lasciando i cadaveri sul posto, i quali vennero raccolti da gente del paese, deposti in cimitero e due giorni dopo sepolti decorosamente”.
Una lapide,in piazza Municipio di Fonzaso, li ricorda: tenente avvocato Giuseppe Porpora da Napoli. Tullio Franch da Molina di Fiemme, Alessandro Montibeller da Enego, Luigi Paganin da Taibon, Augusto Tafner da Primiero, Angelo Valcozzena da Agordo. I due crimini nazisti (ne abbiamo riportato tra virgolette alcuni stralci) si trovano sul libro di Luigi Boschis “Le popolazioni del bellunese nella guerra di liberazione 1943-1945, Feltre, Istituto storico bellunese della Resistenza, 1986. Tranne il gruppo di Pasi, gli altri erano stati condannati a morte dal Tribunale Speciale di Bolzano.
Un’ordinanza tedesca del 6 gennaio 1944 chiamò alle armi le classi dal 1894 al 1926. Per i renitenti: la pena di morte, l’arresto dei familiari e altre pene previste dal codice militare di guerra germanico. Nello stesso mese venne costituito il Corpo di Sicurezza Trentino (Trientiner Sicherungsverband), al quale “sarà affidata la tutela dell’ordine pubblico nella nostra provincia”. Come si vedrà, quanto stabilito non verrà rispettato.
De Bertolini, sempre assistito dal consigliere tedesco Kurt Heinrich, che praticamente era il vice di Hofer a Trento, inviò ai comuni la richiesta di trasmettere nominativi da reclutare nel Cst, almeno uno per ogni cento abitanti, femmine comprese, affermando che “l’appartenenza a questo corpo costituirà un titolo di onore già per le qualità morali che saranno richieste a chi ne farà parte”. Gli aderenti furono 3.200, suddivisi in tre battaglioni di quattro compagnie ciascuno, più una compagnia pesante (schwere Kompanie): nel complesso un miscuglio di volontari e non, attendisti, filotedeschi, austriacanti e militaristi.
Venne promesso che non sarebbero stati spediti al fronte. Si rivelò una beffa: il fronte loro riservato sarà la lotta contro i coetanei partigiani sia in Trentino che nelle province limitrofe di Belluno, Vicenza, Verona, Brescia. Gli ufficiali comandanti erano tutti tedeschi, ai trentini venivano riservati al massimo i gradi di sottufficiale. Le classi sociali di provenienza andavano dalle più disagiate a quelle benestanti e il livello scolastico dall’elementare al medio superiore.
Pio Fantoma da Strembo, appartenente al Cst, era interprete del capitano delle SS Hegenbart, comandante della gendarmeria e del secondo battaglione del Cst di stanza prima a Roncegno e poi a Strigno, e Mario Dalprà di Roncegno, pure del Cst, era il suo portaordini. Nell’elenco dei nominativi delle varie compagnie del Cst, Guido Tomasi annovera alcuni personaggi che poi in Valsugana operarono con cariche politiche diverse. Nella sesta compagnia c’è l’avvocato Dario Vettorazzi, futuro consigliere e assessore in Provincia, nella decima compagnia troviamo Guido Lorenzi, anche lui in seguito assessore provinciale. Nella dodicesima sono elencati “alcuni graduati italiani: maresciallo Rocca, maresciallo Balduzzo di Castello Tesino, Remo Segnana da Borgo Valsugana che sarà senatore della repubblica”. Quest’ultimo si adopererà negli anni sessanta in consiglio provinciale a far riconoscere il servizio prestato nel Cst per il Terzo Reich equivalente, agli effetti pensionistici, a quello prestato all’Italia.
In verità in Trentino ci furono anche defezioni e ci fu chi, prima di un rastrellamento, avvisava i partigiani di mettersi in salvo; alcuni passarono nella resistenza. La compagnia pesante fu formata dopo il rastrellamento del Grappa, nel settembre 1944, utilizzando gli uomini indisciplinati o da isolare dalle varie compagnie. Il soldo era eguale a quello delle forze armate tedesche e per divisa quella della Wehrmacht con l’aquila nera trentina stampata sul braccio sinistro. “Gott mit uns” sul cinturone dei pantaloni completava l’abbigliamento. Concludeva l’addestramento il giuramento a Hitler. Nessun cappellano militare accettò di fare parte del Corpo.
E ben presto il Cst fu chiamato a dimostrare le proprie “qualità morali” anche fuori provincia. Ma ecco quanto scrive Luciano Dallabernardina di Rovereto, della seconda compagnia:
“Un episodio è quello della spedizione fatta da una ventina di uomini di Borgo a Bassano dove requisiscono 122 vacche e si avviano a piedi per portarle a Trento: ne arrivano dodici, le altre sono state vendute o barattate con cibo durante il percorso. Nel gruppo dei vaccai c’è anche un graduato tedesco, consenziente (…). Vengono effettuati rastrellamenti sul Monte Grappa: in una di tali operazioni, presenti in appoggio anche i due plotoni della seconda compagnia, ad opera della Kriegsmarine saranno catturati ed uccisi i trentasei partigiani poi appesi agli alberi del viale di Bassano. In totale 124 patrioti impiccati ed ventidue fucilati nei vari paese del massiccio specie in Bassano alt. Mussolini habet elogiato brigata nera di Vicenza maggiore esecutrice di tali criminose esecuzioni alt”.
Dal 20 al 30 settembre 1944 l’undicesima compagnia partecipò all’operazione militare in Valsugana a sostegno dei nazisti che stavano rastrellando i “Banditen” del Grappa.
“A Carpanè viene formato, con pochi uomini della compagnia, il plotone di esecuzione per fucilare un gruppo di partigiani catturati. Passano lungo la strada di fondovalle lunghe colonne di bovini sospinte avanti da civili e vecchi territoriali e riesce anche l’undicesima ad accaparrarsi un montone che verrà arrostito nella grande cucina dell’Addolorata”.
In quel gruppo di partigiani caduti c’era anche il sottotenente dottor Angelo Valle. La moglie Gianna Giglioli, incinta, appena saputo della morte del marito e che lei sarebbe stata avviata in un campo di concentramento in Germania, chiese piuttosto di essere uccisa. Era già notte quando venne assassinata alla luce dei fari di un’auto. A ricordare quel massacro, lungo la strada che fiancheggia la stazione ferroviaria, rimane una lunga serie di croci.
L’undicesima compagnia “per la sua efficienza in ogni campo venne insignita del titolo di Ehrekompanie (compagnia d’onore) e le vengono assegnati incarichi di prestigio”.