a cura di Cornelio Galas
Fonte: Notiziario Comunale di Novaledo (TN) e giornale online IlFatto24ore
di PAOLO CHIESA
L’estate partigiana del 1944 – lo abbiamo già visto – rappresentò il massimo periodo di espansione della Resistenza armata anche nei territori della Zona d’operazione dell’Alpenvorland. Fra Trentino e Bellunese, operarono le formazioni legate al Gruppo Brigate Nannetti che, dal maggio-giugno 1944, aveva accresciuto enormemente i suoi organici grazie all’afflusso continuo di renitenti e disertori dai bandi d’arruolamento e dai reparti militari nazifascisti.
Pur comportando diversi problemi, l’aumento numerico dei partigiani aveva provocato una riorganizzazione e uno sviluppo della lotta armata con azioni e colpi di mano. L’imprevista espansione della guerriglia partigiana coincise, da parte nazista, con la realizzazione di una serie di operazioni che dovevano riportare in sicurezza le valli e le vie di comunicazione tra Veneto e Trentino in previsione di un ripiegamento tedesco che, nell’estate 1944, sembrava imminente.
Inoltre, il ripristino di un controllo militare sull’area avrebbe permesso la prosecuzione dei lavori di costruzione di una nuova linea difensiva (“Blaue linie”), ulteriore argine all’avanzata alleata verso Nord e la Germania. Il ciclo operativo repressivo tedesco ebbe inizio nel giugno 1944 e proseguì, tra agosto e ottobre 1944, con una serie di violenti rastrellamenti che avevano lo scopo di annientare le forze partigiane presenti.
Le operazioni antipartigiane condotte in autunno collimarono con l’inizio di una profonda crisi della Resistenza armata, costretta a smobilitare gran parte delle proprie forze. I partigiani meno compromessi rientrarono così in famiglia e nei paesi d’origine in attesa di superare l’inverno e aspettare tempi migliori per riprendere la lotta.

Un battaglione del CST (Corpo di sicurezza trentino) in assetto di marcia
Arruolato nel CST (Corpo di Sicurezza Trentino) nell’aprile 1944, Dionigio Costaraoss (Nago, 29 gennaio 1925-Trento, 26 gennaio 1945, contadino) fu trasferito col suo reparto nel Bellunese, a Villa di Villa, iniziando a svolgere compiti di polizia e partecipando a operazioni antipartigiane. Contrario a servire i tedeschi, tra il 3 e il 4 luglio 1944 disertò con altri 12 compagni unendosi alla Brigata Garibaldi Mazzini (Gruppo Brigate Garibaldi Nino Nannetti) attiva nella zona di Valdobbiadene.
Il gruppo di disertori fu sorpreso al momento della fuga da un sottufficiale del CST che rimase ucciso nello scontro a fuoco successivo. L’esperienza partigiana di Costaraoss durò dal 6 luglio al 30 settembre 1944: in ottobre, un rastrellamento portò alla disgregazione la formazione partigiana spingendo molti «ribelli» a rientrare presso le rispettive famiglie.

Corpo Sicurezza Trentino
Tornato a casa, il giovane fu convinto da un gendarme a presentarsi al Comando CST di Trento per spiegare la propria situazione ed evitare eventuali rappresaglie ai propri genitori (il padre era già stato detenuto presso il carcere di Rovereto). E così, Costaraoss si recò a Trento, dove fu arrestato, processato e condannato a morte tramite fucilazione.
Come abbiamo già visto in precedenti puntate, alla fine della guerra, la valle dell’Adige e le valli adiacenti, videro il passaggio di colonne tedesche in fuga dagli alleati e dalle incursioni partigiane: durante il ripiegamento, i reparti nazifascisti compirono saccheggi.
L’aumento delle razzie, delle spoliazioni e delle uccisioni, rifletteva comportamenti già sperimentati in altri contesti bellici e, per questo motivo, abitudinari; quei soldati non solo erano abituati alla violenza, ma si trovavano in uno stato di estrema tensione provocato da giorni di combattimenti, di marce forzate sotto la continua minaccia partigiana, vera o presunta che fosse: colonne più o meno organizzate, appiedate o motorizzate, cercavano di sfuggire alla tenaglia alleata e alle «imboscate» dei patrioti nella speranza di poter raggiungere la Germania.
Nel loro movimento, i soldati tedeschi uccisero chiunque si frappose sul loro cammino: partigiani (o supposti tali), disertori tedeschi e trentini del Corpo di sicurezza trentino (CST), civili innocenti ed ex detenuti del campo di concentramento di Bolzano. Tra il 25 aprile e il 5 maggio 1945, si contarono oltre 120 caduti: in certi casi, il ripiegamento tedesco e l’ormai imminente conclusione del conflitto spinsero partigiani, ex militi del CST e civili a intervenire.
Il 28 (o il 29, non è ben chiaro) aprile 1945 un gruppo di ex detenuti politici liberati dal campo di concentramento di Bolzano incontrò a Mattarello, alle porte di Trento, un reparto misto di militari SS e della Gestapo proveniente da Parma. Gli ufficiali nazisti riconobbero tra questi alcuni loro ex prigionieri e minacciarono di passarli per le armi. Il maggiore Casaburi s’interpose ma fu subito ucciso con colpi d’arma da fuoco.
Massimiliano (Max) Casaburi (Salerno, 1 gennaio 1906 (o 29 luglio 1906) – Mattarello di Trento, 28 o 29 aprile 1945) era Maggiore di cavalleria. Nel febbraio del 1941, era di servizio a Parma. Mobilitato con il Gruppo carri leggeri San Giusto, fu destinato al settore jugoslavo distinguendosi in Croazia. Una volta rimpatriato, prestò servizio a Roma partecipando agli scontri contro i tedeschi al momento dell’armistizio.
Catturato dai militari germanici e caricato sul treno che doveva portarlo in Germania, riuscì a fuggire in prossimità di Parma. Unitosi al movimento di resistenza locale con il nome di battaglia di “Montrone”, l’ufficiale fu nominato capo di stato maggiore del Comando Piazza di Parma. Caduto nelle mani dei tedeschi in seguito a delazione (marzo 1945), fu sottoposto a torture e sevizie.

Le celle del Lager di Bolzano
Tradotto a Bolzano, nel sottocampo di Gries, tornò in libertà alla fine di aprile. Durante il viaggio di ritorno a Parma, assieme ad altri ex internati, incontrò un gruppo di militari delle SS e della Gestapo già di stanza a Parma che, riconosciuti i prigionieri, minacciò di giustiziarli. Casaburi s’interpose e fu trucidato sul posto.
Passiamo ad un altro tragico fatto di quel periodo. Anche a Novaledo c’è una storia da raccontare su quei giorni. Percorrendo la via principale del paese in direzione Marter, poco dopo la fontana dei “Canopi”, sulla destra si incontra via Furlan. Non tutti sanno che l’uomo al quale è intitolata questa via è un patriota che ha partecipato attivamente alla Lotta di Liberazione trentina dal dominio nazista, pagando con la vita il suo altruismo.

Via Vittorio Furlan
Vittorio Furlan era nato a Novaledo il 12 aprile 1923. Figlio di Settimo Furlan e di Angelina Roat, viveva proprio in località “Canopi” con i fratelli Alice, Mario, Renzo e Giulietta. Si arruolò come allievo volontario nella Legione di Bolzano dei Carabinieri Reali l’11 aprile del 1942 e a causa dello stato di guerra fu aggregato alla Legione di Genova e l’anno successivo a quella di Verona. Dopo lo sbarco delle forze Anglo Americane in Sicilia, il 25 luglio 1943 Mussolini venne rimosso dalla carica di capo del governo che venne presa da Pietro Badoglio.
L’Italia, fino a quel momento alleata della Germania nazista, chiese l’Armistizio che venne firmato con gli Alleati l’8 settembre 1943. Subito dopo, il re Vittorio Emanuele III e Badoglio fuggirono a Brindisi, in Puglia, dove crearono il Regno del Sud sotto la protezione alleata. A causa della mancanza di una strategia politica e militare, la penisola fu di fatto abbandonata in balia delle truppe naziste.
Il 12 settembre del 1943, Mussolini venne liberato dai tedeschi e creò la R.S.I. “Repubblica Sociale Italiana” che era di fatto subordinata alla Germania, pur mantenendo alcune competenze importanti. Il 13 ottobre 1943 l’Italia dichiarò guerra alla Germania e l’esercito, privo di ordini chiari, si trovò allo sbando.
I militari che non furono catturati dai tedeschi e internati in Germania, fuggirono e si nascosero per evitare coinvolgimenti. Una parte di loro aderì in seguito alla Resistenza armata che era nata nel frattempo sul territorio italiano. Una sorte simile l’ebbe anche l’Arma dei Carabinieri Reali.
Il ministro della Difesa Graziani, spinto dai tedeschi, ordinò il disarmo e la custodia all’interno delle caserme di tutti i carabinieri in servizio a Roma. Questo provvedimento fu preso perché i carabinieri, avendo giurato fedeltà al Re e quindi allo Stato, non si sarebbero sicuramente schierati con la nuova Repubblica Sociale. I tedeschi costrinsero i carabinieri a entrare nella Guardia Nazionale Repubblicana e in seguito migliaia di loro furono internati o avviati come forza lavoro in Germania.

MUSSOLINI CON GRAZIANI
Molti riuscirono a darsi alla macchia, unendosi poi alle formazioni della Resistenza partigiana. Vittorio Furlan, sfuggito all’internamento in terra tedesca, dopo essersi inizialmente rifugiato in famiglia, entrò il 25 luglio del 1944 nel Gruppo Autonomo dei Carabinieri della Provincia di Trento, per essere in seguito assegnato al Comando dei Carabinieri di Levico Terme.
Va detto che nell’Alpenvorland, la “zona di operazione delle Prealpi” costituita dalle provincie di Bolzano, Trento e Belluno, in quel periodo le cose andarono diversamente dal resto dell’Italia. Qui i tedeschi attuarono una politica più morbida, fatta di concessioni materiali e di un uso controllato della violenza che interessò solo alla fine della guerra la popolazione civile.
Questa politica incontrò il favore di una comunità che, ne abbiamo già riferito in precedenti puntate – per diversi motivi fu meno interessata che in altri luoghi a un coinvolgimento effettivo nella Resistenza. Un’altra differenza riguardò proprio i Carabinieri Reali trentini che poterono mantenere un certo ruolo anche se verso la fine del 1944 i loro compiti furono presi dai gendarmi tedeschi della Feldgendarmerie.

Vittorio Furlan
Vittorio Furlan, insofferente a quanto stava succedendo, aderì alle formazioni partigiane, entrando nel “Battaglione Valsugana” comandato dal tenente colonnello Angelo Scalfo e composto soprattutto da militari dell’ex Regio Esercito sfuggiti alla cattura e all’internamento in Germania. Questa formazione partigiana che operava nell’Alta Valsugana, durante l’occupazione mantenne un atteggiamento “attendista”, evitando di impegnare seriamente i tedeschi anche per non scatenare rappresaglie sulla popolazione.
Alla fine del 1944, forse proprio per questo atteggiamento di cautela, una parte della formazione decise di fuoriuscirne, dando vita al “Battaglione Panarotta”, nell’organico della “Brigata Pasubiana” del “Gruppo Brigate Garibaldine Garemi”. Anche Vittorio si unì a loro, ansioso di dare il proprio contributo per la liberazione del Trentino e dell’Italia dal dominio nazista.

L’albergo Regina a Levico, sede del Comando della Kriegsmarine
Il suo ruolo di carabiniere gli dava accesso a informazioni che lui riusciva con grande pericolo a far pervenire ai compagni partigiani e per questo, il Comando della Gendarmeria tedesca di Levico, sospettando questa sua attività di collegamento, lo teneva sotto sorveglianza.
Gli ultimi mesi del 1944 e i primi del 1945, con gli Alleati che tenevano sotto controllo l’Italia al di sotto della Linea Gotica (che tagliava l’Italia dal Mare Adriatico alla Toscana) e i tedeschi che vedevano venire meno il proprio controllo sul nord della penisola, furono decisivi anche per il Trentino.
L’armata tedesca, spinta dagli alleati a sud che ne bombardavano continuamente i convogli e attaccata dai partigiani, iniziò la ritirata verso nord chiedendo l’armistizio. Il passaggio dei tedeschi in Trentino fu contrassegnato da rapine, razzie, violenze e in alcuni casi da uccisioni. In quei giorni, per tentare di dare il colpo finale al regime tedesco, il Comitato di Liberazione Nazionale esortò tutte le forze della Resistenza all’insurrezione generale.
Il 25 aprile 1945 la Liberazione di Milano e di Torino sembrava sancire la fine del conflitto, ma i tedeschi, diretti verso la Germania, erano decisi a usare ogni mezzo di difesa e di terrore contro chi li attaccava. E fu proprio quello che avvenne. I documenti dei partigiani riportano che in quei giorni ci fu la cattura del comandante della Marina Repubblicana di stanza a Levico Terme, con rilevante reperimento di armi e materiale.
Furono compiute molte azioni di disturbo contro un presidio di paracadutisti tedeschi e venne attuato lo sgombero delle truppe germaniche dalla parte settentrionale del paese. Molti furono anche i sabotaggi ai convogli tedeschi in ritirata con mine anticarro e attacchi a posti di blocco e ai magazzini di via Fonda, del “Quisisana” e dell’“Ognibeni”. Fu in questo clima incerto e pericoloso che ritroviamo Vittorio Furlan fare la sua parte.
Il 28 aprile 1945 alle 12,30, Vittorio, in abiti civili e accompagnato da un partigiano del “Battaglione Panarotta”, andò a Santa Giuliana, dove vennero recuperate delle armi automatiche sequestrate la sera precedente al comando della Marina Repubblicana. Terminato questo incarico, i due uomini andarono nella vicina Caldonazzo dove consegnarono armi e documenti al gruppo partigiano presente in paese e parteciparono al disarmo di 150 militari nemici.
I tedeschi furono poi accompagnati a Pergine da un gruppo di partigiani, mentre un altro gruppo di 8 patrioti dei quali faceva parte anche Vittorio Furlan, si avviarono verso Levico Terme a bordo di una Fiat Balilla. Arrivati in località “Ciocheti” (Chiocchetti), furono bersagliati da alcune raffiche di mitragliatore sparati dal soprastante Colle di Tenna.
I partigiani scesero dall’automezzo per cercare riparo e nel farlo si accorsero che sul vicino ponte della ferrovia c’era un presidio tedesco di una ventina di uomini, con il quale iniziarono subito un conflitto a fuoco. Visto il numero maggiore dei tedeschi, Vittorio Furlan e i suoi compagni iniziarono a retrocedere per mettersi in salvo.
Questa, al riguardo, la relazione del Comitato di Liberazione Nazionale di Levico Terme: «Fu allora che, mentre i patrioti cercavano di disperdersi per non cadere nelle mani del nemico, fu colpito il carabiniere Furlan Vittorio da due pallottole di mitragliera antiaerea; una all’avambraccio destro e l’altra all’addome, dall’arma che era postata sul Colle di Tenna».
In un’altra relazione depositata alla Fondazione Museo Storico di Trento si parla invece di due colpi di moschetto. In ogni caso Vittorio fu ferito gravemente, mentre gli altri partigiani, bersagliati dal tiro nemico, si dispersero. Passato un po’ di tempo, uno dei suoi compagni, Edoardo Lenz, che si era diretto con l’automobile verso Caldonazzo, fece ritorno sul luogo dell’agguato per soccorrere Vittorio. Mentre si avvicinava al carabiniere ferito, arrivò un camion di tedeschi.
L’ufficiale del gruppo, individuando Vittorio come un partigiano, estrasse la pistola per finirlo ma Edoardo Lenz ebbe la prontezza e il coraggio di intervenire, affermando che Vittorio era un carabiniere che si era trovato a passare di lì e che era stato colpito per caso. L’ufficiale tedesco si convinse e fece trasportare Vittorio all’ospedale civile di Levico Terme dove venne soccorso.

Vittorio Furlan
Le ferite riportate erano però troppo gravi e Vittorio Furlan morì alle 12,30 del giorno successivo, il 29 aprile 1945. Dopo qualche giorno, l’arrivo degli Alleati a Trento pose fine di fatto alla guerra. Una guerra che tra i suoi caduti annovera anche il carabiniere partigiano Vittorio Furlan di Novaledo.
Un’altra terribile storia: quella di Gardolo. Nei giorni immediatamente successivi alla capitolazione delle forze armate tedesche i soldati tedeschi rimasero in gran numero nel paese di Gardolo e nelle campagne circostanti e commisero non poche sopraffazioni e atti di violenza.
Operaio ventunenne, Ignazio Paissan (Trento, 8 agosto 1924 – 6 maggio 1945), fu incaricato dalla ditta aeronautica Caproni di sorvegliare il cantiere dell’Organizzazione Todt esistente in paese, cantiere che i tedeschi avevano intenzione di incendiare in caso di ritirata. Il 6 maggio Paissan fu aggredito nella propria abitazione e ucciso con un colpo di rivoltella da un soldato tedesco della Todt. La Commissione patrioti assegnò 20 mila lire alla famiglia come risarcimento per la perdita.
E arriviamo alla fucilazione di due partigiani bolognesi a Brentonico, in Vallagarina. Rilasciati dal campo di concentramento di Bolzano, Romolo Mezzetti, Romolo (nome di battaglia, Uragano, operaio, Malalbergo (Bologna), 2 ottobre 1917 – Brentonico, 2 maggio 1945) e Orazio Mignani nome di battaglia “Ateo”, meccanico (Anzola Emilia (Bologna), 18 luglio 1920 – Brentonico, 2 maggio 1945) si diressero a Sud portandosi a Brentonico, probabilmente perché pensavano così di evitare le principali vie di ritirata dell’esercito tedesco.
Il 2 maggio giunsero a Brentonico tentando di collegarsi con il locale CLN per avere aiuto e informazioni ma furono fermati da una pattuglia di SS appartenenti alla Kampfgruppe Schintlholzer, reparto che si era trasferito da Predazzo a Brentonico nell’aprile 1945 con il compito di occupare le posizioni difensive della “Blaue linie” presenti sul vicino monte Altissimo e in vista dell’offensiva alleata.
Durante la perquisizione, i militari nazisti rinvennero i documenti di rilascio dal campo di via Resia che li identificavano come ex prigionieri politici comunisti: i due partigiani furono così costretti a lavori di sgombero, di trasporto e interramento di alcune casse di munizioni. Picchiati con i calci dei fucili e insultati, furono uccisi dai militari che li avevano in custodia e seppelliti sommariamente.
I cadaveri furono poco dopo ricomposti nel cimitero locale dove ebbero sepoltura: alcuni mesi dopo le salme furono riesumate e trasferite nei paesi d’origine. Al comando del maggiore Alois Engelbert Schintlholzer, l’unità delle Kampfgruppe SS Schintlholzer era acquartierata dal luglio 1944 presso le caserme della Guardia di finanza di Predazzo, abbandonate dai militari italiani dopo l’8 settembre.

Alois Schinthlholzer
I tedeschi le avevano così riutilizzate come sede di due scuole militari: il gruppo da combattimento Schintlholzer frequentava i corsi della Scuola di guerra alpina delle Waffen-SS (Gebirgskampfschule der Waffen SS). Nell’agosto 1944, il reparto partecipò alle stragi realizzate nella valle del Biois, nel vicino Bellunese.
Verso la fine del conflitto, fu inviato a presidiare le posizioni della Blaue linie nei pressi di Brentonico (Trentino sud-occidentale): durante il ripiegamento verso Predazzo, tra il 3-4 maggio 1945 fu responsabile delle stragi di Stramentizzo e Molina di Fiemme. Come il suo comandante, gran parte dei militari in servizio aveva prestato servizio sul fronte orientale o nei Balcani.

Case di Stramentizzo in preda alle fiamme
Nel dopoguerra, la Corte d’assise straordinaria di Trento aprì un procedimento giudiziario contro i tre ignoti militari SS per «omicidio di due connazionali bolognesi Mezzetti Romolo fu Romeo e Mignani Orazio fu Vittorio, il dì 2 maggio 1945 in Brentonico mediante fucilazione ad opera di due sottoufficiali e di un soldato tedeschi delle SS Schindholzer». Il 5 agosto 1946 il procedimento fu archiviato per essere rimasti ignoti gli autori.
Romolo Mezzetti, Comandante della terza Compagnia Sap Brigata Garibaldi Irma Bandiera, operò a Bologna fino alla cattura, avvenuta nel dicembre 1944. Tradotto nelle celle di San Giovanni in Monte (BO), fu poi trasferito nel campo di transito di Bolzano. Rilasciato alla fine di aprile del 1945, cercò di raggiungere la famiglia ma, a Brentonico, fu, come detto, fermato assieme al compagno Orazio Mignani e fucilato il 2 maggio 1945.

Romolo Mezzetti
Orazio Mignani prestò servizio nella Guardia alla frontiera (GAF) dal gennaio 1941 al settembre 1943. Subito dopo l’armistizio, organizzò i primi nuclei armati e, nei mesi successivi, operò nei ranghi della 63^ Brigata Garibaldi Bolero attiva tra Zona Predosa e Calderara di Reno. Catturato il 14 dicembre 1944, fu rinchiuso nelle prigioni di San Giovanni in Monte (Bologna); deportato a Bolzano nel febbraio 1945, uscì dal lager assieme a Romolo Mezzetti alla fine di aprile cercando di raggiungere la famiglia a Bologna. Anche lui fu fermato da un reparto SS nei pressi di Brentonico, fu fucilato il 2 maggio 1945.

Orazio Mignani
Le ultime giornate di aprile 1945 furono dense di avvenimenti, soprattutto per le azioni compiute dai partigiani del Battaglione Monteforte che avevano iniziato non solo a disarmare i militari tedeschi ma anche a presidiare infrastrutture, centrali e depositi. Il 25 aprile, a Cles, un camion tedesco fu mitragliato; il 29, a Romallo, altri tre autocarri colpiti e incendiati, mentre un’autocisterna militare saltava in aria a Cloz, più o meno nelle stesse ore.
Il 2 maggio alcuni partigiani (una quindicina) del Battaglione Monteforte, Distaccamento di Coredo, si disposero a presidio del magazzino di Dermulo: la notizia della cessazione delle ostilità e della resa delle forze armate tedesche era ormai di pubblico dominio. Sembra che l’arrivo dei partigiani a Dermulo fosse stato concordato col capitano tedesco, ufficiale responsabile del magazzino, e che questi fosse intenzionato a passare le consegne ai partigiani e a lasciare generi e materiali a disposizione della popolazione.
Giunti a notte inoltrata, i partigiani si misero di guardia disponendosi all’esterno del magazzino. Dopo poco tempo, sopraggiunse un auto con a bordo due ufficiali delle SS che, dopo aver chiesto informazioni al bar del paese, si diressero verso il deposito: a questo punto, il partigiano Stancher intimò l’alt ai due militari che si lasciarono disarmare.
Purtroppo, uno dei due impugnò rapidamente una pistola facendo fuoco sul giovane partigiano uccidendolo sul colpo, dopodiché le due SS chiamarono rinforzi: nello scontro che ne seguì rimasero uccisi altri quattro partigiani (di cui due rimasti ignoti) e un numero imprecisato di tedeschi.
Durante il conflitto a fuoco, Fortunata Inama fu uccisa sulla porta di casa: secondo alcuni, perché stava per soccorrere un ufficiale tedesco gravemente ferito. Il presidio tedesco di Dermulo abbandonò il paese negli istanti successivi, portandosi dietro come ostaggio un civile (Livio Emer) che fu costretto ad accompagnare il reparto fino a Sanzeno.
Le vittime di quest’ultima strage:
- ALBA Enrico – Caraglio (Cuneo), 1909 – Dermulo, 3 maggio 1945. Sfollato dal Piemonte, si aggregò negli ultimi giorni del conflitto al Battaglione garibaldino Monteforte.
- STANCHER Franco – Rovereto, 25 aprile 1925 – Dermulo, 3 maggio 1945. Studente universitario, originario di Rovereto, sfollato a Coredo (val di Non) da Milano, dove risiedeva con la famiglia e dove studiava, trovò occupazione come segretario e poi come insegnate presso il Centro scolastico di Coredo. Si aggregò al Battaglione garibaldino Monteforte nell’ottobre 1943 raggiungendo il grado di comandante di squadra. –
- REBAUDENGO Pasquale – Torino, 12 aprile 1903 – Dermulo, 3 maggio 1945. Sfollato dal Piemonte, si aggregò negli ultimi giorni del conflitto al Battaglione garibaldino Monteforte.
- IGNOTO
- IGNOTO
- INAMA Fortunata Taio – 13 dicembre 1875 – Dermulo, 3 maggio 1945. Casalinga, vedova e madre di otto figli.