IL PENSIERO FUORVIANTE

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Propone ma non dispone. Prepara il viaggio nei dettagli. E poi, all’ultimo minuto, decide di non partire, con te. Ti lascia solo. Già, solo. Era – dirà – un suggerimento. Una bozza. Una minuta. O quella che un tempo chiamavano “brutta copia”.

Quindi qualcosa da correggere, da precisare, da approfondire, da rendere migliore. O accettabile (da chi?), o controcorrente (rispetto a cosa?), o clamoroso (perché?), o ancora, che ne so (perché dici di non saperlo?) qualcosa di … di … Ma non è questo quello che volevo dire (e allora cosa volevi dire?), no, no, lasciami stare, in realtà (ma di quale realtà parli?), volevo dire (e perché non lo dici allora?)

E’ che … che (incidentale … arriva al nocciolo, soggetto, predicato verbale, oggetto, in mezzo avverbi e aggettivi, quello che vuoi purchè sia …) è che probabilmente non capirai quello che (tu parla, ti ascolto, non essere prevenuto) non riesco a spiegarmi. Non puoi nemmeno intuire la bellezza di un pensiero incompiuto. Che vola libero. Senza logica, sintassi, proprietà di linguaggio. Senza ancore e corde che lo possano tenere legato ad un porto conosciuto.

Libero proprio perché sfrontatamente nemico del destino. Anzi, degli stessi presagi. Leggero, perché senza fardelli letterari e filosofici. Incosciente, come chi è sul letto di un ospedale, in coma profondo. E cinico pure: per il solo motivo di non provare emozioni di fronte a uno specchio che riflette nel tutto il nulla.

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