DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO? – 4

a cura di Cornelio Galas

L’oro venduto alla BNS dalla Germania
Contesto generale e operatori

Oggi analizziamo le vendite di oro della Deutsche Reichsbank alla Banca nazionale svizzera (BNS). Sullo sfondo della situazione politica ed economica, indicheremo gli obiettivi e le considerazioni da cui si fecero guidare allora i responsabili delle decisioni; in questo senso tratteremo brevemente, anzitutto, i rapporti economici e finanziari tra Svizzera e Germania.

La politica degli scambi economici bilaterali

Nel commercio estero della Svizzera, il Reich figurava ai primi posti; durante la guerra importazioni ed esportazioni subirono un ulteriore, cospicuo incremento. Il valore passivo della bilancia commerciale con la Germania era ampiamente compensato da varie componenti della bilancia dei pagamenti (redditi di capitale, introiti del traffico assicurativo, tasse per licenze e brevetti ecc.); già nel 1931 la Svizzera era stata, dopo gli USA e l’Olanda, fra i maggiori creditori esteri del Reich.

In seguito alla crisi economica mondiale, tuttavia, i rapporti economici e finanziari elvetico-tedeschi si fecero molto problematici; data la sua scarsità di divise, nel luglio 1933 il governo tedesco dispose una moratoria dei trasferimenti per tutti i pagamenti finanziari a creditori esteri, salvo per le prestazioni comprese nell’accordo di moratoria del 1931.

Le trattative ufficiali fra Svizzera e Germania, avviate poco dopo, nel 1934 portarono alla firma di un accordo di compensazione; a parte alcune eccezioni, in tale sede tutte le operazioni di pagamento bilaterali furono inserite in un clearing. Grazie al sistema del clearing, ora i pagamenti non avvenivano più direttamente fra importatore ed esportatore, bensì tramite la cassa di compensazione annessa alla Reichsbank (a Berlino) e l’Ufficio svizzero di compensazione, creato nel 1934 e annesso in un primo tempo alla BNS di Zurigo.

Con il conguaglio reciproco di crediti e debiti fra i due uffici, gran parte delle operazioni di pagamento trasfrontaliere si riduceva ai contatti fra due organi di pagamento statali; il saldo rimasto via via – il cosiddetto surplus del clearing – veniva, a seconda delle nuove circostanze, riportato oppure rimborsato.

Per l’esecuzione di un ordine di pagamento tramite il clearing, era necessaria l’esistenza dei relativi fondi sul conto che un paese partner teneva presso l’istituto d’emissione dell’altro. Presupposto perché il sistema funzionasse era, quindi, un equilibrio approssimativo delle prestazioni e transazioni reciproche nell’ambito della bilancia dei pagamenti. Importazioni ed esportazioni, di conseguenza, erano limitate sul piano della quantità e del valore e soggette a un contingentamento per gruppi merceologici; la determinazione delle quote corrispondenti era oggetto, a scadenze regolari, di trattative economiche bilaterali.

Coi pagamenti pervenuti all’Ufficio di compensazione si dovevano onorare debiti in campo sia commerciale sia finanziario; il gruppo dei creditori finanziari era molto eterogeneo, comprendendo sia singole persone bisognose sia holding finanziarie e industriali attive su scala mondiale. La ripartizione dei mezzi di clearing era improntata a costanti conflitti fra i vari gruppi d’interesse; rispetto ai settori esportatori (industria e commercio) e al turismo, la Confederazione non considerava al primo posto gli interessi del settore finanziario.

Questi dissidi fra creditori svizzeri erano inaspriti dal fatto che la banca centrale tedesca chiedeva di disporre liberamente di un accredito dell’11,8% in franchi – il cosiddetto surplus-divise – su ogni importo versato nel clearing. Base giuridica degli accordi di clearing era, in Svizzera, il decreto federale concernente le misure economiche di fronte all’estero (14 ottobre 1933), che autorizzava la Confederazione a varare misure per proteggere la produzione nazionale, promuovere l’esportazione e pareggiare la bilancia dei pagamenti.

In questo senso il sistema del clearing si contrapponeva all’atteggiamento della politica economica svizzera, orientato a principi di traffico economico relativamente liberali; data sia la forza tradizionale del loro paese nell’export di beni e capitali, sia la cronica carenza di divise della Germania, i partecipanti elvetici vedevano però nell’accordo di compensazione una possibilità di assicurare alla Svizzera «un minimo di prestazioni in denaro» da parte tedesca.

Nell’ottica della Germania il clearing non aveva solo una funzione di politica valutaria e commerciale. I nazisti lo usavano anche come strumento politico di potere: l’obiettivo era un sistema per egemonizzare l’Europa continentale trasformando gli accordi commerciali bilaterali esistenti in un futuro clearing multilaterale. Fondamento di questa linea era il pensiero di un «nuovo ordine europeo», con cui creare un blocco continentale a dominanza tedesca; da basi ideologiche in tal senso fungevano le teorie razziali e i concetti dell’«economia dei grandi spazi».

La realtà del conflitto si presentò diversamente. I paesi conquistati vennero sistematicamente spogliati e saccheggiati, mentre all’interno della Germania e nelle regioni annesse fu istituito un vasto sistema di economia di guerra. Il Reich restò visibilmente in ritardo nell’onorare i debiti verso la Svizzera; e ciò benché quest’ultima, come ricordò dopo il conflitto il diplomatico commerciale Jean Hotz, «dal territorio dell’Asse, … in termini di quantità e di valore, [avesse] acquistato ben più merci di quante gliene fornì».

La Confederazione mise ripetutamente crediti di clearing a disposizione della Germania nazista, concedendo una cosiddetta garanzia-trasferimenti: per evitare agli esportatori elvetici lunghe attese dei pagamenti loro dovuti per prestazioni già effettuate, si impegnò cioè a versare nel clearing i fondi mancanti da parte tedesca. Alla fine della guerra i crediti così concessi ammontavano a 1119 milioni di franchi.

Altre prestazioni a favore della Germania erano, per esempio, le transazioni in oro, che avvenivano al di fuori del clearing. Come già menzionato, la vendita di oro era uno dei mezzi più importanti per coprire il fabbisogno tedesco di divise; il ruolo della BNS e gli obiettivi della sua politica in fatto di oro saranno oggetto delle pagine seguenti.

Organi e funzioni della Banca nazionale svizzera

La BNS aprì i battenti nel 1907 come ente di diritto privato ma sotto controllo federale. La sua organizzazione non era disciplinata da uno statuto come in una normale società per azioni: i compiti e l’organizzazione della banca centrale erano regolati dalla legge. Due quinti del capitale azionario vennero riservati ai cantoni svizzeri, un quinto agli ex istituti d’emissione del paese e altri due quinti furono offerti alla pubblica sottoscrizione; la Confederazione esercitava il proprio diritto costituzionale di vigilanza grazie soprattutto alle sue vaste competenze nella nomina delle principali autorità bancarie e dei dirigenti.

Il governo elvetico designava non solo 23 dei 40 membri del consiglio di banca ma anche il presidente e il vicepresidente (preposti altresì al comitato di banca); su proposta del consiglio di banca, inoltre, sceglieva i tre membri della direzione generale. Aveva poi ulteriori competenze: relazione sulla gestione e rendiconto annuale, per esempio, prima di venire pubblicati e sottoposti all’assemblea generale andavano approvati dal Consiglio federale.

Base giuridica per l’attività commerciale della BNS erano le leggi sulla Banca nazionale, del 1905 e del 1921, e la legge federale sulle monete, del 3 giugno 1931; quest’ultima fissava la parità aurea e stabiliva che il contante svizzero circolante dovesse essere coperto con oro almeno nella misura del 40%. Contemporaneamente alla svalutazione del franco svizzero avvenuta nel 1936, le banconote acquisirono corso legale; la parità aurea fissa venne revocata e sostituita da una parità-quadro più bassa del 30%, cosicché il valore del franco poté oscillare, da allora in poi, nella fascia compresa tra i 190 e i 215 milligrammi d’oro fino.

Organo supremo della BNS era il consiglio di banca, i cui membri rappresentavano interessi dei vari settori economici e delle varie regioni; presidente e vicepresidente di quest’organo ricoprivano d’ufficio le stesse funzioni nel comitato di banca, che sorvegliava e controllava da vicino l’andamento e la direzione degli affari. Il comitato corrispondeva quindi, approssimativamente, al consiglio d’amministrazione di una società per azioni, ma non aveva altrettante competenze decisionali; su questioni determinanti, perciò, in qualche caso non poteva imporsi contro l’opposizione compatta della direzione generale.

Nel periodo della seconda guerra mondiale il comitato comprendeva sette membri. Lo presiedeva l’ex presidente della direzione generale Gottlieb Bachmann; da vicepresidente fungeva Léon Daguet, presidente della banca cantonale friburghese. La direzione generale era composta dai responsabili dei tre dipartimenti: Ernst Weber (presidente), Paul Rossy e Fritz Schnorf. Quando quest’ultimo lasciò la BNS, nel 1942, il suo posto di direttore generale fu assunto da Alfred Hirs.

Serie di dati: visione sinottica

La panoramica statistica del capitolo 1 indica la mole delle transazioni in oro compiute durante la guerra fra la BNS e la Reichsbank; il grafico I sottostante, invece, illustra i trasferimenti di oro all’istituto d’emissione svizzero e alle banche commerciali sotto il profilo cronologico. In totale la Reichsbank fornì oro per un importo di 1922 milioni di franchi (equivalenti a 444 milioni di dollari), di cui 1679 andarono alla BNS e 244 alle banche commerciali11; queste cifre si riferiscono al valore in franchi delle forniture, non agli importi d’acquisto.

L’oro trasferito fisicamente alla BNS giungeva dapprima, di norma, al deposito che la Reichsbank teneva a Berna presso l’istituto d’emissione svizzero; come acquirenti di quell’oro figuravano, oltre alla BNS, altre banche centrali europee che disponevano di un deposito a Berna. Il grafico comprende anche l’oro inviato dalla Reichsbank a banche commerciali svizzere.

Queste forniture dirette ebbero luogo fino all’autunno 1941 e raggiunsero, complessivamente, una mole nettamente minore rispetto ai trasferimenti verso la BNS; all’inizio della guerra, tuttavia, la Reichsbank preferì i servizi degli istituti finanziari privati. Dell’oro inviato alle banche commerciali, attualmente non è possibile accertare in modo affidabile la quota che esse acquistarono in proprio. Conosciamo, viceversa, le quantità che nel corso della guerra la BNS comperò dalla Reichsbank; il grafico II presenta i valori corrispondenti per trimestre.

Circa i tre quarti delle forniture tedesche giunte durante la guerra alla BNS furono acquistate da quest’ultima in proprio. Il resto andò ad altre banche centrali che erano in rapporti con la BNS, oppure restò inizialmente nel deposito bernese della Reichsbank. A parte l’istituto d’emissione tedesco e la Banca dei regolamenti internazionali (BRI), oltre una dozzina di banche centrali si avvalsero, per le loro transazioni in oro, dei servizi della BNS; acquirenti dell’oro fornito dalla Germania furono soprattutto gli istituti d’emissione portoghese, svedese e rumeno.

Operazioni in oro fra la BNS e la Reichsbank: cronologia

La politica della BNS in materia di oro e valute fu caratterizzata, durante la guerra, da molte peripezie e difficoltà derivanti da cambiamenti della realtà militare e politica. Per tale motivo, la suddivisione diacronica delle operazioni in oro fra BNS e Reichsbank segue in primo luogo l’andamento del conflitto; per presentare le transazioni nel loro contesto, inoltre, vengono tracciate relazioni con questioni generali della politica e dell’economia di guerra elvetiche.

Osservando il confronto militare fra i belligeranti, si possono distinguere diverse fasi; la prima è costituita dal periodo che va dall’apertura delle ostilità all’armistizio franco-tedesco e all’entrata in guerra dell’Italia (giugno 1940). La seconda è il lungo intervallo compreso fra la metà del 1940 e l’anno 1943, in cui il Terzo Reich si espanse militarmente e potenziò in misura massiccia, anche a livello economico, il suo dominio sul continente europeo; in questo periodo la Svizzera era circondata dai paesi dell’Asse.

Una svolta importante fu il passaggio alla terza fase, quando all’inizio del 1943 la Wehrmacht fu battuta a Stalingrado; dall’autunno dello stesso anno cominciò a delinearsi la futura sconfitta tedesca. Nel giugno 1944 gli Alleati sbarcarono sulla costa atlantica, e in agosto truppe americane raggiunsero il confine elvetico; la liberazione della Francia, che terminava l’accerchiamento quadriennale della Svizzera ad opera delle potenze dell’Asse, diede il via alla quarta fase, durata fino alla resa della Wehrmacht (maggio 1945).

In parallelo allo spiegamento di forze della Germania fino a tutto il 1942 e alla sua successiva perdita d’influenza militare e territoriale, con un ritardo di alcuni mesi le forniture di oro della Reichsbank alla Svizzera aumentarono dapprima nettamente, per poi calare di nuovo (vedi grafico I).

Le vicende sui fronti militari non si possono assumere direttamente come spiegazione per la sequenza temporale degli acquisti di oro tedesco; il ritmo di tali acquisti, ampiamente sincrono rispetto all’andamento della guerra, suggerisce però che le decisioni sulla mole mutevole delle transazioni non fossero prese indipendentemente dalle aspettative sull’esito della guerra, e di questa circostanza occorre tenere conto soprattutto quando si analizzano le linee-guida e le motivazioni dei responsabili sul piano svizzero.

Oltre agli eventi bellici veri e propri, sulla politica della BNS in materia di oro incisero pesantemente soprattutto misure di politica economica e commerciale, sia dell’Asse sia degli Alleati; da citare in questa sede, anzitutto, il blocco degli averi dei paesi neutrali varato dagli Stati Uniti nel giugno 1941. Questi e altri fattori vanno coinvolti nell’analisi, per spiegare il comportamento della BNS; all’interno della lunga fase tra il giugno 1940 e l’autunno 1943, infine, va evidenziata come cesura importante l’introduzione del controllo statale sul commercio svizzero di oro (7 dicembre 1942).

Dal marzo 1939 al giugno 1940

Già nel marzo 1939, con l’invasione tedesca della Cecoslovacchia, si vide con che rapidità la Germania potesse, nell’ambito della sua politica espansionistica, portare sotto proprio controllo l’oro d’istituti d’emissione stranieri. Già l’8 marzo, quindi una settimana prima che la Wehrmacht entrasse in Praga, a Berna una parte delle riserve cecoslovacche venne trasferita dal deposito della banca centrale ceca a quello della Reichsbank, e lo stesso mese fu inviata a Berlino.

Diversi fatti rafforzarono timori che la BNS nutriva già da tempo: come la maggior parte delle altre banche centrali nell’Europa continentale, già molto prima che scoppiasse la guerra essa aveva cominciato a trasferire forti quote delle sue riserve auree negli USA e in Gran Bretagna, sottraendole quindi a una possibile cattura tedesca. Poiché questa prassi proseguì fino al giugno 1940, alla fine di quel mese lo stock di oro della BNS rimasto in Svizzera era sceso a un valore di 730 milioni di franchi, pari a un buon terzo delle riserve complessive; gli altri due terzi si trovavano a New York e a Londra, ove anche in caso di occupazione della Svizzera sarebbero stati al sicuro dai tedeschi e scambiabili in qualsiasi momento con divise.

Come componente delle riserve valutarie, l’oro della Banca nazionale aveva un’importanza centrale per il «peso» del franco: la BNS doveva essere sempre in grado di cambiare in oro o in divise legate all’oro (dollari) i franchi che le fossero offerti, e ciò benché l’obbligo legale alla conversione di banconote in metallo prezioso fosse soppresso fin dal 1936.

Solo disponendo di riserve sufficienti essa poteva conservare la convertibilità della sua moneta e mantenere stabile il corso del franco rispetto all’oro; restava obbligata, inoltre, a non far cadere le sue riserve auree sotto la soglia del 40%. Per legge tali riserve minime dovevano trovarsi in Svizzera, ma da questa condizione la BNS venne esonerata, su sua richiesta, da un decreto segreto varato dal Consiglio federale il 17 maggio 1940; con i sistematici trasferimenti a New York e a Londra, perciò, le riserve auree rimaste nel paese continuarono a calare, e negli anni 1942–1945 il grado di copertura con l’oro presente in Svizzera fu solo di poco superiore al 30% (vedi tabella VI).

Una volta allentato l’obbligo di tenere riserve, sul piano giuridico per la BNS non aveva più alcuna importanza, provvisoriamente, se il suo oro fosse depositato in Svizzera o negli USA; a metà del 1940, tuttavia, non si poteva ancora prevedere che già un buon anno più tardi gli USA avrebbero bloccato – quindi reso non più disponibili liberamente – gli averi svizzeri, ivi comprese le riserve valutarie della BNS. La distribuzione delle riserve auree riposava su un conflitto fra obiettivi: da un lato considerazioni di sicurezza, dall’altro la necessità di disporre di oro in Svizzera.

Non era solo la Banca nazionale a trasferire, per motivi di sicurezza, il suo denaro negli USA: fino a metà del giugno 1940 la Svizzera registrò, in generale, un cospicuo deflusso di capitali. Per finanziare l’esodo dal franco, l’istituto d’emissione dovette allora ricorrere alle sue riserve valutarie; il continuo deflusso di oro e divise indusse i responsabili della valuta svizzera a vagliare seriamente l’idea d’introdurre un regime di controllo dei cambi, anche se in linea di massima erano contrari a un intervento così incisivo sul libero traffico dei pagamenti.

Nel maggio 1940 la BNS parlò della cosa con il consigliere federale competente, Ernst Wetter, e  discusse al proprio interno vari modelli per il controllo dell’esportazione di divise. Secondo il presidente della direzione generale, Ernst Weber, non c’era «più alcun dubbio che prima o poi dovremo ingoiare il rospo e introdurre il regime dei cambi controllati»; provvisoriamente, però, la direzione generale decise di attenersi alle istruzioni date alle banche commerciali per limitare le vendite di dollari ad autoctoni, quindi non chiese ancora una limitazione legale dell’esportazione di divise.

Dopo la sconfitta della Francia, nel giugno 1940 i flussi di capitale invertirono bruscamente la loro direzione; poiché quasi da un giorno all’altro, perciò, il problema dell’esodo di valute fu risolto per la BNS, la discussione su un ampio controllo delle divise perse il suo carattere d’urgenza. Nel secondo semestre del 1940, anzi, il timore di un eventuale blocco finanziario negli Stati Uniti portò a cospicue liquidazioni di dollari; nella tarda estate dello stesso anno le riserve della BNS in oro e divise cominciarono sensibilmente a migliorare.

La posizione particolare del franco come valuta di riserva e come mezzo di pagamento convertibile, quindi ambito su scala internazionale, apparve chiara solo alla metà del 1940. Prima della guerra, incontestabilmente, il ruolo di valute-guida internazionali era spettato al dollaro statunitense e alla sterlina britannica; quest’ultima perse tale funzione alla scoppio del conflitto, perché Londra introdusse una rigida sorveglianza delle divise.

Il dollaro, invece, poté conservare la sua posizione di «valuta mondiale»; inizialmente, perciò, anche la Reichsbank scambiò non solo con franchi ma anche con forti quantità di dollari l’oro che forniva alla BNS. Con l’inasprimento della guerra economica e con l’intervento militare degli Stati Uniti, tuttavia, negli anni seguenti la valuta svizzera divenne notevolmente più importante all’interno dell’Europa continentale.

Nel primo semestre 1940 le transazioni in oro fra BNS e Reichsbank restarono a un livello proporzionalmente modesto. Nei mesi di marzo e maggio la BNS acquistò oro tedesco per un valore complessivo di 27,3 milioni di franchi; in luglio poi, per la prima e ultima volta durante la guerra, vendé alla Reichsbank partite di metallo per un controvalore totale di 19,5 milioni di franchi.

Nel marzo di quell’anno, quando inaspettatamente giunse a Berna una prima spedizione di 162 lingotti, la BNS corrispose senza obiezioni all’istituto d’emissione tedesco il controvalore di circa 9,8 milioni di franchi; la direzione generale si vide obbligata, però, a chiedere alla Reichsbank di annunciare in anticipo le sue future spedizioni. Dapprima, apparentemente, a quelle cessioni di oro tedesco la direzione generale non attribuì particolare importanza in termini di politica estera, pur cogliendo sicuramente segni che indicavano come problematici simili acquisti.

Agli inizi del maggio 1940, quando giunse da Berlino la partita successiva, la direzione della banca discusse se, nell’ambito della politica di mantenimento delle riserve, l’oro andasse trasferito negli Stati Uniti; visto però che per ogni sua spedizione di oro a New York la BNS doveva consegnare un certificato d’origine agli organi alleati di blocco, i direttori generali decisero «di tenere provvisoriamente in Svizzera, cioè di non spedire, i lingotti d’oro pervenuti dalla Germania».

All’inizio, comunque, la maggior parte delle operazioni in oro compiute dalla Reichsbank non si svolse con la BNS bensì con gli istituti bancari commerciali. Nel solo primo semestre 1940, le banche commerciali svizzere accettarono dall’istituto d’emissione tedesco forniture di oro per un valore globale di 115,2 milioni di franchi. Di queste transazioni complessivamente si sa poco.

Fra i lingotti spediti dalla Reichsbank alle banche commerciali elvetiche nel primo semestre 1940 c’era anche oro della banca centrale sovietica; quell’oro, usato almeno in parte per le operazioni di pagamento con gli Stati Uniti, in Svizzera si accontentò di transitare. Nel febbraio 1940 la BNS era già stata avvisata dal Ministero pubblico della Confederazione che a Le Locle la Società di Banca Svizzera (SBS) aveva ritirato 5000 kg di oro russo proveniente da Berlino.

La direzione generale dell’istituto d’emissione orientò la SBS sul fatto che «simili transazioni in oro non [erano] viste volentieri». Il presidente della direzione generale, Weber, disse all’allora vicepresidente della SBS, Armand Dreyfus, che si trattava di «operazioni in oro prima effettuate tramite l’Olanda. Non toccano affatto la situazione valutaria della Svizzera, perché si svolgono in cambio di dollari. Il 1° dipartimento [Weber] è dell’opinione che queste transazioni, benché forse dal punto di vista soprattutto politico non siano molto auspicate, non possano essere proibite, perché manca in tal senso la base legale. La cosa però va seguita”.

I responsabili della BNS erano preoccupati che i suddetti transiti di oro per la Svizzera potessero essere visti con diffidenza negli USA: tra il febbraio e l’aprile 1940, in effetti, la Legazione americana a Berna aveva fatto le sue rimostranze al direttore generale Rossy. All’inizio del maggio successivo, infine, intervenne anche il ministro delle finanze francese, lamentandosi di quei trasferimenti di oro russo presso la rappresentanza diplomatica svizzera a Parigi: «Gli Alleati sarebbero decisi a por fine a questo traffico con ogni mezzo», scrisse il ministro di Svizzera in Francia, Walter Stucki, al consigliere federale Ernst Wetter, che in seguito s’informò della vicenda presso la BNS.

Un’ingerenza negli affari della SBS, peraltro, a quell’epoca non fu presa in seria considerazione né dal governo né dalla BNS; un buon anno più tardi, invece, entrambi ricorsero a misure che limitarono massicciamente il commercio di oro in Svizzera.

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