DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO ? – 10

a cura di Cornelio Galas

Il mercato dell’oro e il ruolo delle banche commerciali

Illustrando le vicende avvenute sul mercato svizzero dell’oro nel periodo 1939–1945, questa puntata è imperniata sulle transazioni in oro delle grandi banche, che accanto alla Banca nazionale svizzera (BNS) occupavano una posizione importante sul mercato. Non va però trascurato che la piazza finanziaria elvetica era una struttura molto più complessa, comprendendo le grandi banche e gli altri istituti privati di credito ma anche parecchi altri operatori; fra questi ultimi c’erano compagnie assicurative, gestori di patrimoni, fiduciari, avvocati e notai nonché numerose persone che agivano in proprio e tenevano contatti commerciali con istituti consolidati.

Sarebbe restrittivo, inoltre, puntare lo sguardo solo sull’interno del paese: proprio le grandi banche non solo erano tradizionalmente molto orientate alla realtà economica internazionale, ma disponevano di rappresentanze e società affiliate in paesi quali Stati Uniti, Gran Bretagna e Argentina.

Come partecipante al mercato dell’oro andrebbe considerata, in linea di principio, anche l’industria di lavorazione del metallo. La Commissione d’inchiesta cui facciamo sempre riferimento fin dalla prima puntata ha però escluso dalla trattazione il complesso della domanda industriale di oro, perché questo aspetto è in rapporto soltanto indiretto con i quesiti affrontati dal presente rapporto intermedio. Ampiamente esclusi dal discorso restano, per ora, anche il commercio di oreficeria nonché il contrabbando e il mercato nero legati all’oro; sul mercato nero, però, dalle fonti finora analizzate si possono già trarre spunti interessanti, che qui parzialmente verranno indicati.

L’esposizione che segue si concentra su aspetti precisi del commercio di oro praticato dalle
grandi banche durante la guerra, trattandoli in forma esemplificativa; particolarmente considerata è la questione del tipo e della mole delle transazioni con la Germania nazista, segnatamente con la banca centrale tedesca. I microfilm dei registri della Reichsbank, oggi
accessibili negli USA, hanno consentito nuove scoperte sulle forniture a banche svizzere, scoperte già pubblicate dalla Commissione nella sua panoramica statistica commentata del
dicembre 1997.

Qui non verrà approfondita ulteriormente l’analisi di quei registri; in primo piano saranno, piuttosto, i risultati provvisori di ricerche della Commissione negli archivi delle banche svizzere.

Il mercato dell’oro e i suoi partecipanti

Durante la seconda guerra mondiale, il contesto giuridico del commercio svizzero di oro si
modificò. La cesura più rilevante fu l’introduzione dei controlli statali sul mercato, varata il 7 dicembre 1942; da quella data il commercio del metallo giallo, prima ampiamente incontrollato, divenne soggetto a concessione e fu sottoposto a molte altre condizioni (prezzi massimi, obbligo di autorizzazione per import/export ecc.).

L’elenco dei concessionari svizzeri per il periodo posteriore al dicembre 1942, comprendente oltre 100 nomi, indicava aziende dei rami più diversi, che in una forma o nell’altra figuravano nel mercato dell’oro fra esse c’erano, oltre agli istituti finanziari e alle fonderie specializzate, molte ditte medie e piccole che soprattutto commerciavano in gioielli e monete. Sul gran numero dei concessionari e sulle loro transazioni in oro durante la seconda guerra mondiale, attualmente sappiamo ancora molto poco; le operazioni compiute da commercianti di monete, gioiellieri e altri piccoli concessionari restano ampiamente avvolte nel buio.

Come era logico attendersi data la domanda allora fitta di metallo, dopo l’introduzione dei
controlli di mercato e dei prezzi massimi (fine 1942) le attività sul mercato nero interno divennero più intense; tali attività consistevano soprattutto nel commercio di monete d’oro. In generale si può assumere che, durante la guerra, le transazioni sul mercato svizzero non controllato dell’oro non diminuirono ma aumentarono. A favore di quella fioritura del mercato nero parla, anzitutto, una nota regola dei manuali di economia: ogniqualvolta regolamentazioni crescenti limitano il margine per le operazioni legali, aumenta lo stimolo a passare nell’illegalità, specie se la domanda non subisce interruzioni.

Per gli anni del conflitto ci sono chiari segnali di tali attività, che in parte videro coinvolte anche le grandi banche elvetiche e la BNS. Gli ispettori interni della Banca Popolare Svizzera (BPS), per esempio, nel dicembre 1944 riferirono su vaste vendite di monete d’oro a prezzi superiori al massimo legale, compiute dalla succursale dell’istituto a Tramelan; i pezzi venivano acquistati al Credito Svizzero di Ginevra e rivenduti tramite terzi.

Le transazioni sul mercato nero erano anche oggetto di colloqui fra la BNS e quella che allora era la più grande banca commerciale del paese, la Società di Banca Svizzera (SBS). Maurice Golay, presidente della sua direzione generale, in un appunto dell’ottobre 1942 scrisse che Rossy, direttore generale della BNS, lo autorizzava a un’operazione con cui la SBS voleva rifornirsi di oro sul mercato nero; l’istituto d’emissione, a quanto sembra, era disposto a tollerare in una certa misura affari simili, mentre la SBS si garantiva in anticipo con quella presa di contatto ad altissimo livello.

Perché la banca centrale si prestasse a pratiche siffatte, oggi si può solo supporre; possiamo pensare che grazie ai buoni contatti personali la situazione restasse ben visibile, consentendo quindi alla BNS di seguire molto da vicino quanto avveniva sul mercato. Golay specificava:
«J’expose à M. Rossy que le Banco de España dispose encore, d’après les renseignements que nous avons, de 35 millions de dollars en eagles. Il serait très important pour nous de pouvoir nous assurer l’échange de ces monnaies et, pour ce faire, nous devons rester en contact avec le Banco de España et lui offrir de temps en temps des échanges.

Cependant, nous ne désirons plus diminuer notre stock de lingots, car nous considérons qu’il est dans l’intérêt suisse que nous en conservions une certaine quantité. Nous avons trouvé un de nos amis, courtier en métaux précieux, qui serait disposé à nous vendre des lingots au cours de frs. 4,970.– le kg. Nous avons la conviction que ce courtier se procurerait ces lingots dans le marché noir à un cours de x dont nous aurions à lui tenir compte sous une autre forme dans les affaires en compte-joint que nous pourrions traiter avec lui.

Il faut remarquer à ce sujet qu’il y a fort peu de chance que ces transactions viennent à la connaissance de la Banque Nationale Suisse, car elles se feront très probablement sur un maximum de 500 kg. Je demande donc à M. Rossy, dans l’intérêt de nos relations avec le Banco de España, de fermer les yeux pour le cas où la chose viendrait à sa connaissance, et je m’engage de mon côté à ne pas traiter avec ce courtier pour plus de 500 kg. M. Rossy se déclare d’accord.»

La stragrande maggioranza delle transazioni svizzere in oro durante la guerra, tuttavia, avvenne in tutta legalità e ai prezzi massimi ufficiali. L’operatore di gran lunga più importante fu la BNS, che almeno dalla fine del 1942 dominò il traffico trasfrontaliero di lingotti e monete; particolare peso sul mercato, inoltre, ebbero le grandi banche e – per le operazioni in Svizzera – alcune importanti banche cantonali.

In questa sede non possiamo esporre per esteso la struttura della piazza finanziaria elvetica e le diverse funzioni dei singoli gruppi bancari, ma alcuni chiarimenti sono indispensabili per capire quanto segue. Come nell’uso comune, in questo testo il termine «banche commerciali» indica tutti gli istituti bancari tranne la BNS, che in quanto istituto centrale d’emissione non persegue scopi commerciali.

Per la Svizzera il settore delle banche commerciali si può suddividere in quattro grandi gruppi: grandi banche, banche cantonali, banche private e altri istituti (banche locali, casse di risparmio ecc.). La tabella sottostante, basata sulla statistica ufficiale della BNS per il 1940, dà un’idea di quali fossero in quell’anno i rapporti di grandezza sulla piazza finanziaria elvetica.

Quanto al totale del bilancio, allora le banche cantonali formavano il gruppo più importante; la sola Zürcher Kantonalbank (ZKB) esibiva un totale di 1,4 miliardi di franchi.  La Commissione non ha esaminato da vicino le attività delle banche cantonali, perché questi istituti, in massima parte muniti di garanzia statale, operavano soprattutto nella gestione di piccoli risparmi e nel credito ipotecario svizzero. La loro importanza nel commercio di oro, specie nelle attività internazionali, è quindi da considerare ridotta; lo stesso vale per il gran numero degli altri istituti che solo in casi isolati figuravano sul mercato dell’oro.

Resta da citare il fatto che gli importi a bilancio delle banche private attive in Svizzera (allora oltre 80) non compaiono nella statistica pubblicata dalla BNS; questo gruppo manca, perciò, nella tabella soprastante. Per l’intensa attività da loro svolta sul mercato dell’oro durante la guerra, fra gli istituti di credito svizzeri i più interessanti sono le grandi banche. A mo’ di semplice orientamento, la tabella seguente espone il totale del bilancio per il 1940 nelle sette grandi banche allora attive.

Stato della ricerca sul ruolo delle banche commerciali nel mercato dell’oro

Gli autori segnalano regolarmente che le transazioni in oro ebbero una notevole importanza, nel complesso, per la posizione internazionale della piazza finanziaria elvetica; le indagini storiche, però, in genere si concentrano sul ruolo della BNS e trattano solo marginalmente l’attività degli istituti commerciali. Finora non esiste uno studio che affronti sistematicamente il commercio privato di oro e riesca a dare un quadro riassuntivo di quanto avveniva allora sul mercato; anche le pubblicazioni aziendali e commemorative delle grandi banche tacciono ampiamente sulle operazioni legate all’oro.

Come già ammesso, quelle operazioni erano piuttosto accessorie per la sfera bancaria, non rientrando nelle attività principali degli istituti di credito. Prima della seconda guerra mondiale, inoltre, su scala internazionale la Svizzera era piuttosto trascurabile come piazza commerciale dell’oro; solo dopo il 1945, ma allora molto rapidamente, in concorrenza con Londra quello zurighese divenne un mercato d’importanza internazionale per il transito dell’oro.

In retrospettiva, vista la funzione subordinata che aveva il metallo giallo per il ramo bancario, ci si può domandare se il suo commercio debba proprio rappresentare un autentico filone di ricerca; solo se si tiene presente la specifica posizione della Svizzera come polo di scambio delle divise durante la guerra, le operazioni in oro diventano centrali e assumono la loro rilevanza in termini storico-economici e politici.

Un motivo naturale per l’emarginazione storiografica delle operazioni private in questo settore potrebbe essere la cattiva situazione delle fonti: diversamente da quanto avveniva nella BNS, il commercio privato svizzero era oggetto di ben pochi rilevamenti statistici. Per quanto riguarda l’ordine di grandezza delle vendite e degli acquisti compiuti dalle banche durante la guerra, in base ad archivi pubblici si possono ricostruire solo le transazioni trasfrontaliere, ma anche qui non completamente e solo per il periodo successivo all’introduzione dei controlli sul commercio di oro (fine 1942).

Accesso agli archivi bancari e stato delle fonti

Dall’inizio delle sue ricerche negli archivi bancari privati (giugno 1997), la Commissione ha
individuato e analizzato, in parte, i fondi delle tre grandi banche odierne che hanno importanza centrale per uno studio sulla problematica dell’oro. Al riguardo occorrono due osservazioni fondamentali. In primo luogo, ancora oggi, l’inventariazione degli atti storici non è interamente conclusa in nessuno dei tre istituti; in secondo luogo, la prassi attuale d’inventariazione delle banche non corrisponde sempre agli standard scientifici necessari.

Gli sforzi archivistici più progrediti sono quelli dell’ex Credito Svizzero: l’archivio aziendale centrale dell’odierno Credit Suisse Group (CSG), che custodisce anche le fonti documentarie di tutti gli istituti bancari rilevati dal gruppo fin dal 1945, nell’agosto 1997 ha consegnato alla Commissione il suo inventario, che stando all’azienda viene continuamente rielaborato. Questo inventario si distingue per il suo buon livello qualitativo ed è utile per la ricerca. Dall’Unione di Banche Svizzere (UBS) la Commissione ha ricevuto, all’inizio dell’ottobre 1997, un ampio elenco dei suoi fondi storici.

La Società di Banca Svizzera (SBS) ha fornito alla Commissione un quadro sinottico dei fondi che si trovano da tempo nell’archivio storico del gruppo finanziario basilese; attualmente il rilevamento e l’inventariazione completi dei fondi rilevanti per le indagini della Commissione erano ancora in corso durante l’elaborazione di questo capitolo sono stati terminati nel fratempo.

In nessuno degli archivi bancari restano dossiers che permettano di ricostruire senza soluzione di continuità le transazioni in oro compiute dalla singola azienda durante la guerra. Le tabelle statistiche e le fonti contabili sull’oro ancora ritrovate sono incomplete, oppure riguardano solo una parte delle operazioni; dalla contabilità generale si apprende poco sul traffico di oro.

Nel periodo in esame, di norma i proventi derivanti dal commercio di metalli preziosi erano conteggiati a un livello contabile inferiore, insieme con altre voci; le cifre aggregate delle contabilità trimestrali, semestrali e annuali non dicono nulla, perciò, sui profitti relativi al solo commercio dell’oro. Sotto questo aspetto la ricerca deve accontentarsi degli scarsi ragguagli che sporadicamente venivano annotati allora nei verbali degli organi direttivi; gran parte delle informazioni che la Commissione ha potuto trarre dagli archivi aziendali, in effetti, proviene anche da singoli verbali e da altri documenti rimasti.

Dati preziosi, inoltre, emergono in fondi in cui a priori non si penserebbe di trovarli; è presumibile che lavorando ulteriormente si reperisca altro materiale e che alla luce di nuove fonti il quadro qui tracciato subisca modifiche. Possiamo escludere con certezza che le transazioni in oro di un’impresa bancaria si possano ricostruire interamente solo in base alle sue fonti d’archivio; tale fatto si può illustrare con un esempio.

Sappiamo da un verbale della direzione generale della BNS, riferito alla seduta del 31 luglio 1940, che in quel mese la banca Leu, su incarico della Reichsbank, comprava grosse quantità di oro sul mercato svizzero: «Con questo metodo la banca domina momentaneamente il mercato dell’oro.» Si potrebbe supporre che affari così importanti dessero abbondante materia di discussione negli organi decisionali di una banca relativamente piccola come la Leu; nei suoi verbali, viceversa, non se ne trova alcuna traccia.

Dal mercato libero dell’oro a quello controllato

All’inizio della seconda guerra mondiale la Svizzera era, con la Turchia, l’unico paese europeo in cui il traffico di oro non fosse soggetto a regolamentazioni incisive. Le banche, che sapevano sfruttare le particolari libertà del mercato elvetico e le occasioni del momento, nella misura del possibile s’impegnavano nell’arbitraggio sul metallo: in quel commercio con quantità piuttosto cospicue di lingotti e di monete, giocando sulla differenza fra prezzo d’acquisto e prezzo di vendita si potevano lucrare guadagni interessanti.

In tale contesto vanno viste anche le operazioni compiute dall’UBS e dalla SBS, negli anni 1940 e 1941, con lingotti d’oro di provenienza sovietica. Poiché la sua direzione generale temeva che lingotti con «punzonatura russa» non si prestassero al mercato, la SBS compì rifusioni nella propria fonderia specializzata di Le Locle.

Per motivi di politica valutaria, l’istituto d’emissione svizzero non vedeva di buon occhio le
operazioni speculative delle banche commerciali sul metallo, perché spingevano al rialzo i prezzi dell’oro monetario e quindi provocavano una tendenza al rincaro. La BNS poteva costatare che l’aumento di prezzo del metallo, dopo lo scoppio della guerra, solo in piccola parte era da ricondurre alla domanda interna per scopi di tesaurizzazione: la maggior parte dell’oro ceduto al mercato finiva in Francia, come risultò da un’inchiesta fra le quattro banche commerciali particolarmente attive nel commercio di monete.

Nella sua relazione sulla gestione 1942, l’UBS spiegò la faccenda con la «tendenza dell’estero a convertire parzialmente in oro i suoi averi in Svizzera, il che, nel contesto del comprensibile riserbo della Banca nazionale sulla cessione di oro, ha avuto come conseguenza un aumento del prezzo, sia per i lingotti sia per le monete».

La BNS dapprima cercò di evitare una regolamentazione legale del commercio di oro e di risolvere il problema discutendone con le banche. Un gentlemen’s agreement dell’agosto 1942 in questa direzione, mirante a fermare l’ascesa dei prezzi e l’esodo dell’oro all’estero, deluse però le aspettative connesse, perché singole banche non si attennero a quanto raccomandato dall’Associazione svizzera dei banchieri (ASB).

Le vendite del metallo giallo erano un affare troppo redditizio perché le banche vi rinunciassero spontaneamente: marenghi che alla BNS si potevano avere per 30 franchi venivano ceduti al pubblico, talvolta, anche a più di 40 franchi. Su richiesta dell’istituto d’emissione, con decreto del 7 dicembre 1942 il Consiglio federale dispose prezzi massimi per i lingotti e le monete, sottopose il commercio dell’oro a un obbligo di concessione e vincolò ogni export/import a un’autorizzazione rilasciata dalla BNS; le banche videro in questa regolamentazione un’ingerenza sensibile nei loro affari.

Nella relazione sulla gestione 1942 della SBS, per esempio, si legge al riguardo: «È deplorevole che si sia dovuto adottare quest’altro provvedimento di ostacolo alla libertà di scambio, ed è da sperare che presto queste norme vengano abolite.» Di fatto i controlli statali furono soppressi, in condizioni mutate di politica valutaria, solo qualche anno dopo la guerra.

Le banche eludono all’estero

I grandi istituti finanziari svizzeri trovarono, sotto il nuovo regime, mezzi e canali per aggirare gli svantaggi dei controlli sui prezzi massimi. Già nella primavera 1942, per esempio, il Credito Svizzero (CS) aveva aperto un deposito di oro in Argentina, tramite cui poteva compiere operazioni senza alcun controllo della BNS; già nel dicembre 1942 le riserve auree del CS, complessivamente pari a un valore di 12,5 milioni di franchi, per la stragrande maggioranza (circa 11,75 milioni di franchi) si trovavano nel paese sudamericano, ove l’istituto compiva vasti affari con la banca statale argentina (il Banco Central).

Dopo l’introduzione della sorveglianza del commercio in Svizzera, il CS si domandò se tale sorveglianza colpisse il commercio di oro all’estero, segnatamente in Argentina, ma l’ufficio giuridico della sua centrale zurighese giunse alla conclusione opposta: dalle norme emanate dall’Ufficio federale di controllo dei prezzi nel dicembre 1942, infatti, si deduceva «che il prezzo massimo si [riferiva] solo a oro presente in Svizzera nonché a oro da importare o da esportare».

Su quella faccenda, del resto, ci si era intesi anche col vicepresidente della BNS, Paul Rossy, secondo cui le operazioni in oro depositato all’estero non erano soggette a registrazione: le attività che si svolgevano oltreconfine restavano estranee alle condizioni federali, e ciò valeva anche per la determinazione dei prezzi. Sempre secondo la perizia interna dell’ufficio giuridico, il corso a cui il CS scambiava con pesos il suo oro in Argentina poteva essere superiore al prezzo massimo svizzero; non faceva differenza, inoltre, se il venditore o l’acquirente del metallo abitasse all’estero o fosse domiciliato in Svizzera.

La BNS non aveva obiezioni alle operazioni internazionali in oro delle banche svizzere, purché avvenissero fuori dei confini nazionali; in un’ottica di politica valutaria, in effetti, sul loro conto non c’era nulla da ridire, perché non influenzavano il franco in termini di stabilità del suo valore. La cosa, nello stesso tempo, apriva alle banche commerciali interessanti possibilità di guadagno; su questo punto il direttore del 2° dipartimento nella BNS, lo stesso Rossy, era in piena sintonia con gli istituti di credito, come risulta da un appunto personale di Maurice Golay, presidente della direzione generale della SBS.

Il 16 marzo 1944 Golay gli fece visita e parlò con lui di una transazione in oro prevista con la Deutsche Orientbank37 di Istanbul: l’istituto tedesco si era rivolto alla SBS, insieme a cui voleva commerciare metallo in Turchia. Il quesito era se la BNS avesse dubbi giuridici contro tale operazione:
«Je demande à Monsieur Rossy s’il estime qu’une transaction comme cela serait contraire à la loi sur le commerce des banques. Personnellement j’envisage que la transaction serait parfaitement correcte, puisque nous vendrions au prix officiel au compte joint et que les opérations subséquentes se feraient entièrement à l’étranger. Après avoir réfléchi un très court instant Monsieur Rossy me déclare qu’il est tout à fait de mon avis et que nous pouvons traiter ces opérations sans arrière-pensée.»

Il fatto che così la SBS collaborava con la Deutsche Orientbank non divenne oggetto di riflessioni critiche. La banca tedesca fungeva allora da punto d’appoggio della Dresdner Bank  in Turchia, quindi era fortemente coinvolta nel finanziamento del Terzo Reich; stretti contatti con banche tedesche in quel paese – altra piazza di trasbordo dell’oro per la Germania – aveva anche il CS. Due giorni più tardi, Rossy ne informò per telefono Golay; spunto di quel colloquio telefonico era stata una visita fatta a Rossy da Adnan M. Birgi, direttore della banca centrale turca.

Golay in proposito annotò:
«M. Birghi [sic] a informé M. Rossy qu’il n’a absolument rien contre les opérations d’or en Turquie, quoique deux banques allemandes aient monopolisé ces affaires. Elles traitent en général contre francs suisses et travaillent principalement avec la Société de Banque Suisse et le Crédit Suisse.»

In materia di oro, dunque, operazioni congiunte fra banche svizzere e tedesche in Turchia non erano un caso isolato. Gli accertamenti compiuti nel 1946/47 dalle autorità militari americane in Germania (OMGUS) confermarono che durante la guerra la succursale turca della Deutsche Bank era stata molto attiva nel commercio dell’oro, trattando soprattutto con il CS.

Margini di manovra per importazioni private svizzere di oro

Dopo l’introduzione della sorveglianza sul commercio trasfrontaliero, le banche private svizzere effettuarono solo pochissime importazioni dirette di oro dalla Germania: nel complesso la BNS, sino alla fine della guerra, autorizzò importazioni private di metallo dal Reich per un valore di soli 2,7 milioni di franchi. Nei suoi documenti, a partire dal 1943, le procedure di autorizzazione si possono seguire caso per caso; la maggior parte di quei permessi riguardava domande non di banche commerciali ma di altri concessionari del settore.

Poiché le banche in generale evitarono di chiedere importazioni, le varie richieste presentate dal CS nel 1943 costituiscono un’eccezione. I fatti principali al riguardo sono citati dagli autori: nella primavera e nell’estate di quell’anno la banca centrale autorizzò ripetutamente piccole forniture tedesche al CS, problematiche sotto vari aspetti. Con le sue condizioni sull’impiego dell’oro, del resto, la BNS divenne sempre più restrittiva: quando il CS, il 7 maggio 1943, chiese di poter importare 4000 napoleoni e 5000 pezzi d’oro olandesi, la direzione generale lo autorizzò ma solo a condizione che le monete importate fossero «piuttosto sorvegliate» nel deposito del CS.

A un’analoga fornitura tedesca al deposito della Deutsche Bank (filiale di Istanbul), nel settembre 1943 la direzione generale rifiutò temporaneamente il suo consenso; evidentemente la BNS temeva che i pezzi francesi e olandesi importati venissero venduti in Svizzera. E ciò sarebbe stato problematico sul piano politico, perché le monete in esame erano, per quanto se ne sapeva già allora, molto probabilmente oro depredato, cioè confiscato dai Devisenschutzkommandos tedeschi nei territori occupati.

Altrettanto sospetta era la cliente del CS per conto di cui doveva avvenire la transazione, cioè la filiale di Istanbul della Deutsche Bank: il suo direttore, Hans Weidtmann, si era già fatto notare in Svizzera per «operazioni indesiderate con l’oro». La BNS, per questo motivo, nell’aprile 1943 aveva sconsigliato alla polizia federale degli stranieri di concedergli un ulteriore permesso di entrata nel paese.

Si è già detto che Maurice Golay, presidente della direzione generale della SBS, ancora nel marzo 1944 riuscì a ottenere dalla BNS il permesso di compiere operazioni congiunte con la Deutsche Orientbank a Istanbul: fuori della Svizzera, a quanto pare, anche dopo l’estate 1943 c’erano metodi per restare nel commercio dell’oro insieme con banche tedesche. Come valutare simili vicende? Scrupoli morali o misure precauzionali per motivi politici da parte delle banche commerciali elvetiche non compaiono nelle fonti esaminate.

Il fatto che le transazioni fossero a conoscenza dei responsabili della BNS non può essere una motivazione soddisfacente; ci si può domandare, perciò, che cosa spingesse i dirigenti delle banche svizzere a continuare il commercio di oro soprattutto dall’estate 1943, quando le quantità ormai erano relativamente piccole ma l’origine del metallo era palesemente problematica.

Dal 1942 la BNS attirò quasi solo su di sé le forniture dirette della Reichsbank in Svizzera; in misura ridotta, però, anche le banche commerciali avevano la possibilità di ricevere il metallo da Berlino, anche se non direttamente dall’istituto d’emissione tedesco. Un caso interessante al riguardo è il deposito di oro tenuto dalla banca centrale rumena presso l’UBS, che servì da tramite per varie forniture tedesche in territorio svizzero.

Si sa che durante la guerra le banche centrali estere potevano, in linea di massima, spedire oro alla BNS e da lì farlo proseguire per altri istituti d’emissione stranieri; tramite il deposito di Berna, quindi, la Reichsbank poté cedere oro alle banche centrali portoghese, spagnola e svedese nonché (dal maggio 1944) rumena. Diversamente dagli altri istituti d’emissione, però, quello rumeno aveva un conto in oro non soltanto presso la BNS bensì, cosa inconsueta, anche presso l’UBS.

Nei mesi successivi all’aprile 1941, l’UBS comprò per l’istituto rumeno oro in lingotti sul mercato svizzero; di tale fatto la BNS era pienamente a conoscenza. Di particolare interesse sono le transazioni compiute dall’UBS per la Romania tre anni dopo: dal maggio all’agosto 1944, in tre scaglioni, l’istituto ritirò dal deposito della Reichsbank presso la BNS, per conto della banca centrale rumena, monete e lingotti d’oro per un valore complessivo di 51 milioni di franchi.

Molto probabilmente queste operazioni erano legate all’accordo economico tedesco-rumeno del 9 febbraio 1944, che prevedeva forniture di cereali rumeni alla Germania in cambio di franchi; un’altra connessione possibile sta negli sforzi dell’istituto rumeno, a partire dall’inizio del 1943, per trasferire in Svizzera cospicue riserve auree. In questa sede non possiamo né dobbiamo affrontare gli sviluppi – sul piano dell’economia di guerra e della politica commerciale – che potrebbero avere indotto l’UBS agli acquisti di oro; possiamo ritenere probabile, però, che un simile nesso esistesse e che le citate operazioni della banca andrebbero analizzate più da vicino in tale contesto.

Le partite ritirate dall’UBS al deposito bernese della Reichsbank nel 1944 consistevano, in parte, di oro depredato: monete per un valore di 12,2 milioni di franchi appartenevano sicuramente al tesoro aureo sottratto dalla Germania alla banca centrale belga, come risulta da atti postbellici della BNS. Le fonti del periodo bellico rimaste non indicano affatto che l’UBS avesse adottato misure precauzionali per appurare l’origine del metallo, benché a quell’epoca fosse noto che la Reichsbank disponeva di oro belga depredato; una volta che l’oro fornito dalla banca tedesca era passato per il suo deposito di Berna presso la BNS, evidentemente non sorgevano scrupoli negli acquirenti di Zurigo.

I profitti nel commercio di oro e l’effetto dei controlli del mercato

Allo stato attuale delle ricerche, sui profitti delle banche nel commercio di oro non si possono fare affermazioni affidabili; vi sono varie indicazioni, tuttavia, su come il decreto governativo del 7 dicembre 1942, che fissava prezzi massimi e altre condizioni per il commercio dell’oro, influenzò le possibilità di guadagno delle banche commerciali. A titolo esemplificativo e senza pretese di esaustività, si può elencare una serie di risultati provvisori provenienti dall’archivio dell’attuale Credit Suisse Group.

Da un commento classificato «strettamente confidenziale» nella commissione finanze del CS, risulta che negli anni 1939–1941 la banca ottenne con le operazioni in oro un utile complessivo (presumibilmente lordo) di 1,63 milioni di franchi, corrispondente a circa l’1,7% dell’intero utile lordo nello stesso periodo. Quando la BNS, nell’agosto 1942, cercò di arginare con un gentlemen’s agreement il rialzo dei prezzi dovuto al commercio del metallo, la direzione del CS ebbe timore che gli «ottimi guadagni» sulle transazioni in oro degli ultimi tempi potessero essere messi in pericolo; quanto alti fossero i profitti nei mesi precedenti l’introduzione dei controlli da parte del Consiglio federale, gli atti della banca rimasti non lo dicono.

Altrettanto frammentari sono i dati sugli utili delle operazioni in oro della Banca Popolare Svizzera (BPS), i cui atti storici oggi si trovano nell’archivio del CSG. Dalle cifre si può calcolare, però, che i profitti della BPS sui corsi nel commercio di monete e lingotti furono di 37.668 franchi nel 1942, con un calo drastico a soli 3994 franchi nel 1943; nel 1944 e nel 1945 i guadagni ammontarono rispettivamente a 8422 e a 8402 franchi.

Da questi importi appare chiaro quanto il decreto varato dal Consiglio federale il 7 dicembre 1942 influenzò i profitti della BPS nelle transazioni in oro; durante la discussione del conto profitti e perdite per il 1943, nel consiglio d’amministrazione le sensibili perdite di guadagno sul commercio del metallo furono ricondotte esplicitamente alle «restrizioni delle autorità» in materia. Per la BPS, una volta fissati i prezzi massimi, evidentemente il traffico di oro non era più un affare cospicuo; ovviamente, però, le possibilità di guadagno rimaste continuarono a venire sfruttate.

Nel 1944, quando la banca centrale cedette forti quantità di monete d’oro agli istituti di credito privati, nel comitato del consiglio d’amministrazione della BPS si parlò con soddisfazione di un «certo compenso nelle operazioni svizzere»; in alcune filiali la rivendita di monete «Lator» alla clientela aveva portato «introiti rallegranti».

L’oro venduto dalla BNS alle grandi banche

Durante la guerra, per motivi di politica monetaria, la BNS cedette quantità piuttosto notevoli di oro al mercato interno, principalmente tramite le banche. Come risulta da un’analisi della sua contabilità di magazzino, pubblicata dall’istituto d’emissione nel 1997, le vendite del metallo al mercato durante il conflitto ammontarono a un importo netto di 547 milioni di franchi; in prevalenza (456 milioni di franchi) si trattò di cessioni di monete.

Dai dati si possono dedurre anche i valori lordi delle vendite di lingotti e monete alle sette grandi banche dell’epoca, nell’arco temporale fra l’inizio del 1939 e la fine del 1945. Complessivamente tali vendite furono di circa 590,4 milioni di franchi, di cui 424,5 relativi a monete; i corrispondenti valori netti per le transazioni con le sette grandi banche – vendite meno acquisti della BNS – ammontarono a un totale di 514,5 milioni di franchi.

In termini di valore la massima parte delle operazioni riguardò monete e avvenne a partire dal 1941. Vendendo oro, la BNS mirava soprattutto a limitare l’attrattività del mercato nero e la spinta al rincaro legata all’aumento di prezzo dell’oro, ma un’altra sua motivazione potrebbe essere stata la prospettiva di ulteriori introiti: acquistando oro dalla Deutsche Reichsbank, la BNS si era ritrovata con grandi quantità di monete che poteva rivendere con profitto in Svizzera.

Per le banche commerciali, indubbiamente, in primo piano c’era il lucro: come già menzionato, le monete d’oro erano molto ambite dal pubblico. La massima parte delle monete vendute agli istituti di credito dovrebbe essere affluita, presumibilmente, anche ai risparmi della clientela privata, svizzera e straniera.

Canali dell’oro depredato in Belgio e in Olanda

Come oggi sappiamo, gran parte delle monete vendute al pubblico era oro della banca centrale belga, che la Reichsbank, venutane in possesso tramite il governo di Vichy, in seguito aveva spedito a Berna. La tabella sottostante mostra sia la composizione dell’intero oro belga giunto a Berna, sia la quota acquistata in proprio dalla BNS. Fonte di questo quadro riassuntivo è un documento del 6 aprile 1946; i dati si basano su informazioni di cui la BNS prese piena conoscenza solo dopo la guerra.

Gli acquisti di monete riguardarono 5.033.000 pezzi «Lator», valutati dalla BNS a 28.10 franchi l’uno le prime forniture del genere arrivarono a Berna all’inizio del 1943. I rapporti trimestrali della banca conteggiavano gli acquisti appunto per trimestre, indicando anche i compratori cui venivano rivendute le monete giunte da Berlino, ma nel denominare le monete non seguivano sempre un criterio unitario.

Non si può dire, perciò, quali acquirenti, fra i clienti svizzeri e stranieri della BNS, acquistarono quale quota dell’oro belga depredato sotto forma di monete «Lator»; per ora si può solo costatare che fortissime quantità delle monete cedute al mercato interno erano di origine belga. Dai rapporti trimestrali risulta, inoltre, che all’inizio del 1943 la BNS non era ancora provvista delle cosiddette «monete straniere» (comprendenti anche le «Lator»), e che già alla fine del 1944 le aveva vendute tutte; evidentemente si disfece presto dell’oro in monete belghe, il cui aspetto non tradiva la sua origine di bottino dei tedeschi.

Se si considera un’ulteriore fonte della BNS, il valore delle «Lator» di provenienza belga spedite dal Terzo Reich a Berna e lì rivendute a banche svizzere si può stimare a 133,2 milioni di franchi, pari al 94% di tutte le «Lator» acquistate dalla BNS (valore: 141,4 milioni di franchi).

Nei riepiloghi settimanali sulle proprie operazioni in oro, destinati alla direzione generale, la BNS indicava minuziosamente le cessioni di monete al mercato interno. In questa fonte ricompaiono le monete che in origine provenivano dal Belgio: nella settimana dal 15 al 21 luglio 1943, per esempio, l’istituto vendette alla BPS «monete straniere» per un totale di 1.220.000 franchi, al prezzo unitario di 30.50 franchi. Che cosa ne facesse poi la BPS, non è possibile seguirlo nei dettagli; probabilmente anch’essa, come altre banche, le rivendette in Svizzera.

La sorte dell’oro depredato in Olanda, diversamente dal caso del Belgio, è molto più facile da ricostruire. Erano tre, complessivamente, i canali per cui l’oro olandese affluiva nelle casseforti delle banche elvetiche:
1. fornitura diretta dalla Reichsbank a grandi banche svizzere;
2. dizione al deposito bernese della Reichsbank, poi passaggio all’UBS per conto della banca centrale rumena;
3. dizione al deposito bernese della Reichsbank, poi acquisto da parte della BNS e rivendita a varie banche svizzere.

I destinatari delle forniture dirette sono noti. Si tratta in totale di 185 lingotti, che nel 1941 furono inviati alla Basler Handelsbank (97), alla SBS (56), al CS (13) e alla banca Leu (19); in totale queste consegne avevano un valore di 11.261.413 franchi. Il secondo canale riguarda esclusivamente l’UBS, che durante la guerra gestiva un deposito per la banca centrale rumena; in questo deposito, del cui ruolo particolare si è già parlato prima, affluirono 415 lingotti di oro depredato nei Paesi Bassi, per un valore di cassa di 23.947.214.65 franchi.

Il terzo canale per l’oro olandese giunto in Svizzera era costituito dagli acquisti della BNS; dei 6864 lingotti di origine olandese che l’istituto comprò dalla Reichsbank, per un valore di cassa di 399.902.839.70 franchi, una piccola parte – 245 lingotti, pari a 14.150.532.75 franchi – venne rivenduta dalla BNS a varie banche elvetiche. Le fonti oggi disponibili non dicono a quali istituti di credito svizzeri finirono; la massima parte dell’oro olandese, però, fu poi passato a banche centrali straniere.

In questa ricerca occorre sottolineare che i calcoli di flusso qui riportati si riferiscono ai trasferimenti fisici di oro. Per conto di chi si svolgessero le transazioni, non sempre si può accertare in modo affidabile; la questione va quindi lasciata aperta. Altro punto da notare: le informazioni in base a cui sono state ricostruite le vie percorse dall’oro olandese vennero rese note solo dopo la guerra.

Per valutare quelle operazioni, occorrerebbero ulteriori ragguagli; uno dei quesiti cui è più difficile rispondere dovrebbe essere se le banche commerciali conoscessero o no l’origine dell’oro.

Il commercio dell’oro compiuto durante la guerra dalle banche commerciali si può abbozzare, in base alle fonti finora accessibili, solo a grandi linee; sappiamo pochissimo, soprattutto, su ciò che avvenne prima dell’introduzione dei controlli (dicembre 1942), quando le banche, grazie all’arbitraggio sul metallo, avevano già ottenuto profitti interessanti. Dopo che gli acquisti di oro straniero diventarono anzitutto appannaggio della BNS e i guadagni vennero ridotti dai prezzi massimi, agli istituti commerciali in Svizzera restò solo un piccolo margine di manovra per transazioni in oro redditizie; alcune grandi banche elusero la difficoltà compiendo molteplici operazioni all’estero.

Il commercio del metallo, però, nel complesso va considerato soprattutto un’occupazione accessoria per gli istituti di credito, non certo il nucleo delle loro attività. I registri analizzati ex novo dalla Commissione forniscono ragguagli sulle cessioni di oro della Reichsbank alle banche private in Svizzera; quale fosse la quota acquistata dalle banche, però, sfugge alla nostra conoscenza. Resta avvolto nel buio anche il quesito se le banche commerciali, data l’origine dell’oro venduto dalla Germania, si imponessero volontariamente restrizioni.

Vi sono nella ricerca molte lacune che non si possono colmare in base al materiale documentario attualmente noto, fra cui probabilmente l’entità dei guadagni compiuti dalle singole banche commerciali col commercio di oro durante la guerra. Si è già accennato che per altre ricerche occorrerebbe considerare maggiormente, oltre alla BNS e agli istituti di credito commerciali, il gran numero degli altri operatori grazie a cui la Svizzera, durante il conflitto, restò un polo dinamico di scambio dell’oro.

Sul mercato regnava, in quel periodo, una certa ripartizione dei ruoli: mentre gli acquisti di forti quantità di oro straniero vennero accentrati dalla BNS, gli altri operatori si aprirono nicchie nuove, sia nelle transazioni internazionali compiute fuori del paese sia sul mercato nero. Da notare, inoltre, che anche dopo l’ottobre 1941, quando la BNS chiese alla Reichsbank di renderla l’unica destinataria delle future forniture di oro, le banche commerciali continuarono a compiere con la Reichsbank operazioni in scudi portoghesi.

Nel corso delle sue ricerche, la Commissione ha trovato molti nuovi materiali e rinvii ad altri fondi. Particolare vistoso, negli atti storici finora esaminati la dimensione politica e morale dell’attività commerciale è praticamente sempre assente. Il fenomeno si può spiegare, fino a un certo punto, con la cornice stessa in cui nacquero le fonti: in molti casi agli autori dei documenti interessava solo fissare le decisioni, non il loro contesto e il percorso che portò a quelle decisioni.

L’ampio silenzio delle fonti in materia d’implicazioni politiche e morali, inoltre, solleva altre domande: fra i responsabili delle decisioni non c’era spazio, semplicemente, per possibili scrupoli, oppure dubbi del genere erano manifestati sì ma non messi a verbale? Simili espressioni rientravano forse nei discorsi che volutamente non erano fissati per iscritto?

Per rispondere a queste e ad analoghe domande, occorre cercare maggiormente altre categorie di fonti, annotazioni e corrispondenze private, pratiche interne e lasciti di coloro che all’epoca presero le decisioni; su questa base si potrebbe riuscire a ricostruire, capire meglio e giudicare meglio i loro valori di riferimento e le loro motivazioni.

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