DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO? – 1

a cura di Cornelio Galas

L’oro svolse un ruolo essenziale nelle transazioni finanziarie che accompagnarono la seconda guerra mondiale. Questo metallo può assumere forme molteplici e successive (lingotti, monete, gioielli), può venire fuso e rifuso e confondere tutte le tracce delle sue origini: ecco perché costituì un mezzo di pagamento universale o fu scambiato con divise più comodamente negoziabili.

La Svizzera risultò al centro di quel gioco complesso e sottile ma ambiguo, destinato troppo spesso a dissimulare agli occhi del mondo il saccheggio criminale dell’oro altrui a profitto della Germania nazista. Oggi l’oro ha di nuovo una parte centrale nelle discussioni in atto fin dall’autunno 1996 sulle responsabilità delle nazioni e degli individui nella guerra. Il valore simbolico del metallo giallo, legato all’angoscia delle vittime, ha dato al dibattito sull’oro nazista una forte valenza emotiva.

La funzione della Svizzera, polo di quelle transazioni, ha posto il paese al centro di tale dibattito; è divenuto necessario e urgente che tale funzione sia chiarita. La Commissione Indipendente d’Esperti: Svizzera – Seconda Guerra Mondiale, costituita nel dicembre 1996 col mandato di esaminare a fondo l’atteggiamento tenuto in quegli anni dalla Svizzera e dalla sua piazza finanziaria, ha quindi affrontato la questione in forma prioritaria con un dettagliato rapporto che cercheremo di sintetizzare.

Gli svizzeri sono stati ampiamente risparmiati dalla guerra, ma l’hanno vissuta con l’angoscia di un paese assediato dalle forze dell’Asse, la cui minaccia restava imprevedibile anche quando, a partire dal 1943, l’esito finale era divenuto sì – in tempi più o meno lunghi – prevedibile. L’hanno vissuta con tutte le perturbazioni che la guerra imponeva alla loro esistenza, pubblica e privata; l’hanno vissuta anche con tutto un retaggio mentale e culturale ispirato dalle difficili esperienze precedenti, quelle del primo conflitto mondiale e della crisi degli anni Trenta.

Questo rapporto esprime il fermo desiderio presente in Svizzera di gettare luce senza restrizioni sul periodo storico della seconda guerra mondiale e sui rapporti col regime nazista. L’ampia rivisitazione di un arco temporale complesso del proprio passato ha lo scopo di creare chiarezza e trasparenza e deve consentire al paese di assumersi le sue responsabilità, soprattutto per quanto concerne la restituzione di beni e valori che ancora oggi, eventualmente, siano sottratti ai loro legittimi proprietari; un obiettivo ulteriore è quello di favorire un confronto imparziale e costruttivo con una fase controversa della storia svizzera.

Con decreto del 13 dicembre 1996 il parlamento istituì una Commissione Indipendente d’Esperti. Il 19 dicembre 1996 il Consiglio federale ne nominò i membri e il presidente, conferendo loro un mandato di vasto respiro: indagare nel modo più ampio e completo possibile i rapporti politici, economici e finanziari della Svizzera con le potenze dell’Asse, con gli Alleati e con altri Stati neutrali, ma anche la politica dei profughi e l’elaborazione ufficiale del passato.

La discussione pubblica sul ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale si è concentrata, in un primo tempo, sui patrimoni rimasti sepolti in banche svizzere senza notizie dei proprietari; dall’autunno 1996 un ulteriore polo d’interesse è rappresentato, sia in Svizzera sia all’estero, dalle transazioni in oro.

Considerando l’importante rilievo politico ed economico del metallo e le questioni morali sollevate dall’economia sistematica di rapina e saccheggio nello Stato nazista, la Commissione ha deciso di presentare i primi risultati della sua indagine. Oggetto di studio sono le operazioni in oro della Banca nazionale svizzera (BNS), di banche commerciali elvetiche e di altri partecipanti al mercato dell’oro, nonché gli interessi che ulteriori operatori (per esempio le assicurazioni) avevano in materia.

Alla fine degli anni Trenta l’oro acquistò nettamente importanza nei calcoli dei belligeranti e degli Stati neutrali, consentendo di comperare materiale bellico e materie prime d’interesse strategico (o le divise necessarie per tali acquisti). In questo campo il franco svizzero ebbe un ruolo particolare: in quanto unica valuta convertibile su scala mondiale da quando i beni dell’Europa continentale negli USA furono bloccati (14 giugno 1941), esso assunse funzioni fino ad allora riservate soprattutto al dollaro (e prima anche alla sterlina britannica).

I traffici in oro si inserirono nel fitto intreccio di rapporti finanziari ed economici che la Svizzera ebbe con la Germania, l’Italia, i paesi alleati e altri Stati neutrali. Durante la seconda guerra mondiale la BNS comperò oro per circa 1,2 miliardi di franchi dalla Germania e per quasi 2,3 miliardi di franchi da Stati Uniti, Gran Bretagna e Canadà. Già negli anni del conflitto nacquero discussioni sull’oro che era stato venduto dall’istituto d’emissione tedesco: già nell’autunno 1940 la direzione generale della BNS disponeva di prime indicazioni secondo cui la Reichsbank era in possesso di nuove riserve auree che potevano provenire solo dai paesi aggrediti dalla Germania.

Nel giugno 1942 la BNS prese in considerazione la rifusione di lingotti aurei che aveva comprato dalla Reichsbank, perché supponeva che provenissero da paesi occupati e temeva che la loro commerciabilità potesse venire impedita da liste di blocco allestite dal governo belga in esilio. Alla fine del 1943 il direttore dell’ufficio giuridico della BNS richiamò l’attenzione sul fatto che nelle zone occupate i tedeschi confiscavano patrimoni anche di privati, «per esempio di ebrei deportati».

In seguito ai moniti degli Alleati contro ulteriori acquisti di oro dalla Germania, verso la fine della guerra il governo e la BNS entrarono in una spirale crescente di accuse e giustificazioni; queste vicende furono anche oggetto delle trattative con gli Alleati svolte a Washington nella primavera del 1946. Le transazioni in oro fra la Reichsbank e la BNS rientrano nei settori di ricerca relativamente bene indagati. Pressoché inesistenti, invece, sono studi che partano dalla prospettiva delle vittime del regime nazista e possano gettare luce sull’origine dell’oro depredato e poi venduto in Svizzera.

La piazza finanziaria, inoltre, finora è stata analizzata in un’ottica fortemente imperniata sulla BNS: il ruolo avuto dalle banche commerciali, dagli intermediari finanziari e dal mercato nero è rimasto, per ora, ampiamente estraneo all’ambito delle ricerche. Ciò vale, in gran parte, anche per il fatto che le banche svizzere, avendo internazionalizzato la loro attività commerciale già nel periodo interbellico, ebbero maggiori possibilità di sviluppare transazioni tramite i loro punti d’appoggio all’estero e le filiali appena aperte nel 1939/40 a New York.

Qui di seguito esporremo brevemente le tappe principali della ricerca storica. Una prima panoramica delle operazioni più importanti è contenuta in un rapporto della BNS (16 maggio 1946) e in un messaggio del Consiglio federale all’Assemblea federale (14 giugno 1946), messaggio in cui il governo giustificava la ratifica svizzera dell’accordo di Washington.

La questione delle motivazioni e di quanto sapessero i responsabili delle decisioni nella BNS e nelle istituzioni politiche, però, in quei documenti ufficiali non era affrontata o era esposta in senso giustificativo. L’inizio della guerra fredda, poi, avviò una sorta di oblio collettivo; la tematica in esame scomparve dalla retrospettiva storica sugli anni del conflitto.

In Svizzera qualche altra indicazione sugli acquisti di oro da parte della BNS, così come sui problemi connessi in materia di stabilità e di politica valutaria, è comparsa soprattutto in tesi di dottorato di economia. Anche il manuale Handbuch des Bank-, Geld- und Börsenwesens der Schweiz, edito per la prima volta nel 1947, e le due pubblicazioni Handbuch der schweizerischen Volkswirtschaft e Banca nazionale svizzera 1907–1957 offrono una panoramica sommaria di quanto si sapeva all’epoca.

Di norma gli autori di questi contributi, personalmente responsabili di decisioni politiche ed economiche, non affrontarono le questioni delicate e tolsero alle vicende la loro valenza problematica. Per lungo tempo il tema degli acquisti di oro dalla Germania non suscitò, in pratica, l’interesse degli storici. Nell’Archivio federale svizzero gli atti relativi alla seconda guerra mondiale divennero accessibili solo nel 1973; i quesiti sulla cooperazione economico-finanziaria con la Germania nazista furono generalmente trascurati.

Edgar Bonjour, quando venne incaricato dal Consiglio federale di elaborare un rapporto sulla neutralità svizzera e a tale scopo ebbe libero accesso alle fonti (1962), si concentrò sugli acquisti di oro dagli Alleati; nel cosiddetto «rapporto Bonjour», pubblicato a partire dal 1970, manca uno studio delle forniture tedesche di oro depredato.

Dopo un contributo di Daniel Frei (1969) sull’accordo di Washington del 1946,18 nel 1974 la tesi di dottorato di Daniel Bourgeois Le Troisième Reich et la Suisse affronta per la prima volta i nodi della problematica in base a fonti d’archivio tedesche.Il dibattito è avviato da un articolo di Peter Utz, che nell’aprile 1980 descrive le dimensioni e la portata delle transazioni in oro fra la BNS e la Germania nazista.

Nel 1983 Hans-Ulrich Jost integra un’interpretazione del traffico di oro nel capitolo «Minaccia e ripiegamento» con cui la Nuova Storia della Svizzera e degli Svizzeri copre anche gli anni della guerra. La tesi di dottorato di Marco Durrer sui rapporti finanziari elvetico-americani, pubblicata nel 1984, si concentra sugli acquisti svizzeri di oro dal campo alleato, tematica a cui fornisce importanti risultati anche Marc Perrenoud con un esame sulla distribuzione geografica degli averi svizzeri all’estero.

Nel suo libro sulla Svizzera «piattaforma di scambio dell’oro», il pubblicista e autore cinematografico Werner Rings pone l’accento sull’oro depredato proveniente dalla Germania. Anche se i suoi argomenti su ciò che sapeva la direzione generale della BNS sono contraddittori, la sua interpretazione differenziata mostra quanto il giudizio sui traffici in esame oscillasse, fin dall’inizio, tra efficientismo funzionale e principi morali.

Un approccio nuovo all’argomento risale all’inizio degli anni Novanta, quando vari autori presentano studi che illuminano aspetti nuovi della problematica. La tesi di dottorato di Linus von Castelmur, uscita nel 1992, ricostruisce nei dettagli i retroscena delle trattative di Washington e analizza le resistenze e i ritardi emersi nell’attuazione dell’accordo.

Nel 1993 Gian Trepp pubblica un’analisi descrittivo-particolareggiata delle operazioni in oro compiute dalla Banca dei regolamenti internazionali (BRI). Nella primavera del 1996 comincia in Svizzera un nuovo dibattito sul ruolo della piazza finanziaria elvetica nella seconda guerra mondiale; la fine della guerra fredda ha conferito intensità nuova alla discussione, che ha visto l’intervento anche di giornalisti e pubblicisti.

Questi ultimi hanno scritto rapidamente e pubblicato libri la cui qualità, da un punto di vista scientifico, è però molto diversa35: libri che forniscono in termini frammentari nuove informazioni, ma che contengono anche semplici congetture e le affiancano, talvolta avvalendosi di una scrittura drammatica, a fatti già noti. Eccezioni a parte, il guaio di queste pubblicazioni è anche la carenza dei rinvii alle fonti: si tratta di informazioni non controllabili, su cui la ricerca scientifica non si può fondare. Questi libri, tuttavia, nel complesso hanno contribuito a sensibilizzare sul problema.

Un approfondimento delle conoscenze hanno portato i due rapporti pubblicati dal ministero degli esteri britannico nel settembre 1996 e nel maggio 1997 («rapporti Rifkind»). Risale al maggio 1997 il rapporto Eizenstat, ove in base all’analisi di vasti fondi degli U.S. National Archives si dimostra che giunse in Svizzera anche oro delle vittime (cioè oro proveniente da campi di concentramento e di sterminio).

Il breve studio di Sidney Zabludoff, uscito nell’ottobre 1997, contiene interessanti riflessioni generali sulle operazioni in oro compiute dalla Reichsbank. Nuovi stimoli importanti per la ricerca si registrano anche da parte di organi ufficiali elvetici. La BNS, per esempio, ha avviato il rilevamento informatico delle sue riserve auree di quell’epoca, presentando poi un quadro sinottico corrispondente su tutte le entrate e uscite di lingotti e di altre forme di oro monetario.

In base a questo materiale il vicepresidente della BNS, Jean-Pierre Roth, ha studiato approfonditamente la storia dell’istituto. Un recente contributo di Harold James si occupa anche della «trappola della buona fede» in cui caddero i responsabili della BNS, avendo creduto – in mala fede – di potersi fidare delle false assicurazioni tedesche, senza voler cambiare atteggiamento neppure quando gli alleati li misero di fronte ai fatti reali.

In base ai dati approntati dalla BNS e a ulteriori ricerche personali, Michel Fior ha pubblicato uno studio che affronta la questione di quanto sapessero i responsabili dell’istituto, dimostrando che fin dall’inizio del 1941 essi conoscevano bene le circostanze in cui la Reichsbank si era procurata oro in Belgio e in Olanda; secondo la tesi di Fior, la BNS avrebbe cominciato ad acquistare oro dall’istituto d’emissione tedesco ritenendo di contribuire, in tal modo, a distogliere la Germania nazista da un’invasione della Svizzera.

Da citare, infine, i lavori ancora parzialmente inediti di Thomas Maissen sull’oro olandese; vari saggi precedenti dello stesso autore hanno trattato diversi aspetti di questa tematica. Ulteriori contributi, emersi nell’ambito della conferenza sull’oro nazista tenuta a Londra dal 2 al 4 dicembre 1997, affrontano il tema dell’oro nell’ottica di singoli paesi e istituzioni: citiamo anzitutto gli interventi degli USA, della Gran Bretagna, della Germania, del Belgio, dell’Olanda, del Lussemburgo, della Repubblica ceca, dell’Ungheria, della Grecia, dell’Albania, della Banca d’Italia, della Federal Reserve Bank of New York (Fed), della BRI, della Tripartite Gold Commission e della BNS.

La seconda guerra mondiale fu caratterizzata da nette cesure. Proiezioni future come il programma nazista del «nuovo ordine europeo», ancora possibili nel 1940 visti i trionfi della Wehrmacht, si dissolsero al più tardi nel 1943; nonostante la crescente sicurezza sull’esito della guerra, tuttavia, in vaste fasce della Svizzera rimasero notevoli incertezze. La Commissione tiene conto di simili riflessioni, perché il comportamento degli operatori di allora diventa più comprensibile se viene esposta anche la loro visione del contesto internazionale.

Solo un’analisi più ampia può presentare il dilemma in cui si trovò la Svizzera, con la sua politica della neutralità, quando si vide di fronte il «doppio Stato» nazionalsocialista, quindi un sistema politico dallo sviluppo ben diverso rispetto al diritto dei popoli, allo Stato borghese di diritto e all’ordre public elvetico.

Nei rapporti interstatali il Terzo Reich sfruttava abusivamente le convenzioni giuridiche internazionali come testi di facciata; forse la portata del problema venne misconosciuta perché un’ottica unilaterale metteva in primo piano le categorie formalistiche del diritto di neutralità? Come mai venne ignorato il fatto che la Svizzera si trovava di fronte, nel caso tedesco, un sistema iniquo, autore d’inauditi delitti di massa?

Già durante il conflitto mondiale la linea elvetica venne difesa rinviando semplicemente alla neutralità del paese, garantita sul piano internazionale, e all’obbligo conseguente di trattare formalmente alla pari tutti i belligeranti. Equiparando formalmente le transazioni dell’Asse a quelle degli Alleati, però, si misconoscono sia l’appropriazione delittuosa di gran parte dell’oro tedesco sia la natura dello Stato nazista; le riflessioni sulle conseguenze giuridiche della neutralità sono indubbiamente importanti, ma non devono indurre a escludere questioni morali e principi etici universalmente riconosciuti.

Un approccio che coinvolga nell’indagine la prassi persecutoria e l’economia di rapina del Terzo Reich, inoltre, riesce meglio a ricostruire la prospettiva degli esseri umani derubati e dei paesi saccheggiati, i cui interessi oggi ci appaiono trascurati nelle trattative del 1946 per l’accordo di Washington. Finora, per lo più, le ricerche si sono focalizzate sui flussi di oro concernenti le banche centrali; soltanto isolate, viceversa, sono le informazioni sulle razzie e sull’impiego dell’oro sottratto alle vittime in ghetti, campi di concentramento e campi di sterminio.

Nel frattempo, è vero, il quesito di quanto sapessero gli organi decisionali di allora ha destato una certa attenzione; come già menzionato, oggi si può considerare confutato l’argomento secondo cui i responsabili della BNS avrebbero agito ingenuamente, cioè senza conoscere la provenienza del denaro e in buona fede. Mancano finora, tuttavia, studi che facciano capire le motivazioni e le mentalità dei quadri decisionali più importanti della BNS; solo questi due aspetti potrebbero appunto mostrare in base a quali meccanismi di protezione e di difesa, pur sapendo a sufficienza, essi non agirono né reagirono in modo adeguato.

Si affaccia una domanda: che cosa non vollero sapere, e a quali informazioni restarono in certa misura refrattari? Un altro aspetto di questa problematica è la fiducia che, in una situazione informativa contraddittoria, essi mostrarono verso l’uno o l’altro schieramento. Come mai la direzione generale della BNS aveva un rapporto così stretto e amichevole con una figura ambigua come Emil Puhl, vicepresidente della Reichsbank? Si tratta di interrogativi che la Commissione tiene particolarmente a chiarire; il presente rapporto intermedio, peraltro, solo parzialmente è in grado di rispondere.

Per capire i vari nessi, è indispensabile che le operazioni svizzere in oro siano inserite nel contesto internazionale di allora, contraddistinto dal fatto che sviluppi di lungo periodo ed eventi unici straordinari coincidevano temporalmente: mentre la nascita della piazza finanziaria elvetica fu un processo trascinatosi per la seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento, l’economia nazista di rapina e di saccheggio rappresentò una situazione eccezionale, di durata limitata.

L’oro fu uno degli elementi che unirono fra loro queste dinamiche diverse; data la tendenza politica della Germania all’espansione territoriale, esso divenne sempre più la «materia prima militarmente decisiva», come osservò uno studio tedesco già nel 1937. Benché il metallo giallo avesse un ruolo rilevante, prima della guerra mondiale il commercio in oro non aveva ancora gran peso  per la piazza finanziaria svizzera; un franco pesante, sostenuto da una forte copertura aurea, manteneva invece in moto un mercato dei capitali efficiente, che in Europa assumeva un’importanza singolare e conferiva alle banche svizzere vantaggi comparativi.

Proprio in tale ambito ci si può domandare come e in che misura la Svizzera, dal 1941, poté diventare fornitrice di divise e polo di scambio per l’oro della Reichsbank, quindi per l’economia di guerra tedesca. Per trattare la problematica citata, occorre analizzare la provenienza e l’impiego dell’oro.

Qui il nucleo centrale è dato dalla Deutsche Reichsbank, dal suo ruolo nel sistema nazista e dalla tematica dell’oro delle vittime; vengono introdotte definizioni, inoltre, per singole categorie dell’oro collocato dalla Germania sul mercato internazionale. Il punto focale di questo rapporto intermedio è costituito dalla dinamica dei traffici tenendo conto di più fasi; qui in primo piano sono i motivi e gli argomenti, mutevoli nel tempo, di quegli esponenti della BNS che furono responsabili delle transazioni in oro.

Vengono segnalate, tuttavia, anche le operazioni triangolari fra Germania, Svizzera e Portogallo; è la prima volta, fra l’altro, che si forniscono dati concreti al riguardo. Il discorso prende le mosse da queste domande: che cosa sapevano i responsabili svizzeri, allora, sulla misura in cui si calpestava la legge e si pervertiva la morale in Germania e nei paesi occupati dalle potenze dell’Asse? Di quali conoscenze disponevano, in special modo sull’origine dell’oro che giungeva in Svizzera? Quali obiettivi imprenditoriali, monetari e politico-strategici perseguivano? Volevano tutelare la Svizzera da un’invasione o si limitavano soltanto a stabilizzarne la valuta?

Dapprima intesero contribuire a creare una nuova Europa dominata dalla Germania, e in seguito cedettero alle pressioni degli Alleati perché ritenevano più probabile, in fondo, che sarebbero stati loro a improntare il sistema economico e giuridico del dopoguerra? In che misura la BNS finì prigioniera dei suo stessi modelli di azione e di argomentazione nonché di strategie (psicologico-politiche) di razionalizzazione, diventando quindi incapace di cambiare giudizio sul proprio atteggiamento?

Nella relazione vengono trattati gli acquisti svizzeri di oro dagli Stati alleati; qui il quesito è che cosa abbia indotto la BNS a comprare il metallo dagli USA, dal Canadà e dalla Gran Bretagna, e perché non sia lecito equiparare queste operazioni con gli acquisti analoghi dalla Reichsbank. E poi, la piazza finanziaria svizzera, le interazioni fra la BNS e le altre banche, le transazioni in oro commerciali; vengono descritti soprattutto gli acquisti di oro da parte di grandi istituti di credito. Su quali motivazioni si basava la politica delle banche commerciali, che fino al dicembre 1942 furono libere di compiere simili transazioni?

Nel rispondere a questa domanda è importante analizzare la piazza finanziaria elvetica come una struttura complessa, in cui operava anche un gran numero di intermediari; rientra in quest’ambito anche il commercio individuale su base privata. Partendo dal fatto – difficilmente comprensibile nell’ottica odierna – che la BNS fu disposta ad acquistare oro tedesco fin quasi alla fine della guerra, con la tolleranza delle autorità federali, il rapporto esamina gli interessi di quei creditori finanziari che nel marzo e nell’aprile 1945 sollecitarono il pagamento dei loro crediti nei confronti della Germania; qui in primo piano sono le compagnie svizzere di assicurazione.

Ci si occupa anche della situazione iniziale e delle richieste che dovette affrontare, nella primavera 1946, la delegazione elvetica ai negoziati di Washington. In questo caso si tratta soprattutto di capire con quali concetti e argomenti la Svizzera si difese; in forma di breve riassunto vengono menzionati anche i trasferimenti finanziari scattati con l’attuazione parziale delle clausole negoziali.

I risultati più importanti cui è giunta la Commissione riguardano anzitutto il settore delle banche commerciali e il mercato svizzero dell’oro. Le operazioni in oro sviluppate dalla Reichsbank tramite banche svizzere negli anni 1939–1941 sono più cospicue di quanto ritenuto finora; questo rapporto (intermedio), però, mostra altresì certi meccanismi e una complessità del mercato dell’oro che finora, in pratica, non era stata colta.

Anche i quadri sinottici sui movimenti dell’oro in Germania e in Svizzera, allestiti secondo il medesimo schema e con nessi reciproci, consentono una visuale più ampia. L’analisi illumina più in profondità, inoltre, i moventi dei vari operatori e la funzione degli argomenti da loro usati. Nuove conoscenze sono pure emerse per quanto concerne gli scopi cui andavano impiegate le divise ottenute dalla Germania con l’oro della Reichsbank: risulta che ebbe un ruolo rilevante, infatti, anche la soddisfazione delle richieste di creditori finanziari svizzeri.

Ciò può rendere più facile capire come mai gli acquisti di oro tedesco proseguirono fino agli ultimi mesi di guerra; i risultati della ricerca consentono di sottoporre a un nuovo giudizio il comportamento dei responsabili di allora.

Presupposto per capire il ruolo della Reichsbank sotto il regime nazista è anzitutto il fatto che la Germania, fin dalla crisi economica mondiale degli anni Trenta, soffriva di una carenza cronica di divise. Il crollo della Darmstädter- und Nationalbank (Danat-Bank), seconda banca tedesca per grandezza, nel luglio 1931 scatenò ritiri massicci di capitale straniero e un calo drammatico delle riserve tedesche, sia in oro sia in valuta estera.

Il governo tedesco si vide costretto a sopprimere il mercato libero delle divise e a introdurre il regime di controllo dei cambi; lo scopo era limitare ampiamente e sorvegliare nel modo più completo possibile il traffico dei pagamenti con l’estero. Il surplus delle esportazioni, inoltre, dalla fine del 1932 diminuì, portando nel 1934 a un disavanzo della bilancia commerciale. Di qui un riorientamento della politica tedesca in materia di commercio con l’estero: il «Piano nuovo» concepito nel 1934 da Hjalmar Schacht, presidente della Reichsbank e fresco di nomina come ministro tedesco dell’economia, prevedeva di limitare l’import alle sole quantità pagabili con l’export.

Le importazioni dovevano essere vincolate all’urgenza economica e provenire, di preferenza, dai paesi disposti a comprare quantità sufficienti di merci tedesche. Gli sforzi di autarchia compiuti dalla Germania nazista non riuscirono a eliminare la sua scarsità di divise; l’obiettivo di aumentare in misura significativa il grado di autoapprovvigionamento dell’economia tedesca non venne raggiunto. Inoltre Hitler, che dall’ottobre 1933 si riservava il diritto di nominare personalmente i direttori generali della Reichsbank, dal 1936 in poi diede la priorità all’economia di guerra.

Schacht, quindi, fu sostituito da Walther Funk sia come ministro dell’economia sia come presidente della Reichsbank, rispettivamente alla fine del 1937 e all’inizio del 1939. Funk, dal 1933 al 1937 addetto-stampa del governo tedesco e segretario di Stato nel ministero della propaganda (diretto da Joseph Goebbels), fungeva da consulente economico di Hitler ed era uomo di fiducia di Hermann Göring; nel 1938 divenne ministro dell’economia e plenipotenziario generale per l’economia di guerra, un anno dopo presidente della Reichsbank e plenipotenziario generale per l’economia.

Schacht si era opposto inutilmente al proposito di finanziare l’economia di guerra con debiti pubblici senza copertura. Con l’inizio della guerra s’intensificarono i bisogni di materiale bellico e di materie prime, che andavano acquistate all’estero con divise o con oro (soprattutto petrolio, minerale di ferro, manganese e tungsteno, forniti principalmente da Portogallo, Romania, Svezia, Spagna e Turchia); la domanda tedesca di divise liberamente convertibili aumentò.

Il fabbisogno di divise, però, era dovuto anche agli impegni della Germania nel traffico internazionale di servizi e capitali, proseguiti anche dopo il 1933 e poi onorati, anche se solo in parte, fino al 1945; tali impegni comprendevano, fra l’altro, gli interessi sui prestiti in valuta estera (soprattutto i Dawes, gli Young e quelli austriaci della Società delle Nazioni, rilevati nel 1938) nonché, in generale, il trasferimento di redditi di capitale (interessi e dividendi) a investitori stranieri, ma anche tasse di brevetto, premi assicurativi e onorari, oppure rendite versate a cittadini tedeschi residenti all’estero.

A tale proposito un esponente di punta dell’economia elvetica parlò, solo per i pagamenti che il Reich doveva compiere a beneficio della Svizzera, di un importo da lui valutato a 212,2 milioni di franchi annui. Per procurarsi divise, in linea di massima la Germania aveva cinque possibilità, che a seconda delle circostanze furono sfruttate in forma singola o combinata:
1. ottenere divise convertibili su scala mondiale, vendendo oro a banche centrali o commerciali estere;
2. esportare prodotti o servizi a committenti stranieri;
3. vendere beni depredati come oggetti d’arte, pietre preziose, titoli ecc.;
4. storcere denaro di riscatto per persone perseguitate dal regime nazista;
5. debitarsi con l’estero chiedendo crediti in valuta estera.

Negli anni di guerra diventò sempre più chiaro che per procurarsi materie prime importanti ai fini bellici era irrinunciabile il ricorso all’oro; anche conguagliare i surplus del clearing era impensabile senza il metallo giallo. Nel 1941 Walther Funk affermò chiaro e netto: «L’oro necessario a tale scopo, lo possederemo dopo aver finito questa guerra.»

Poiché però già con Schacht la Reichsbank aveva cominciato ad accumulare una riserva aurea occulta per l’eventualità della guerra, ufficialmente essa dichiarava oro solo per un controvalore di 70,8 milioni di marchi; questo valore rimase costante anche in seguito, nonostante le vaste razzie compiute dal Terzo Reich. Ma come documentano certi atti del Piano quadriennale, oggi nel «Centro per la conservazione di collezioni storico-documentali» moscovita (Sonderarchiv), prima che scoppiasse la guerra le riserve dell’istituto erano di gran lunga superiori.

Per giunta l’oro, trasformabile com’era, offriva la possibilità di cancellare le tracce della sua provenienza: un ulteriore aspetto importante, da non sottovalutare né per gli uomini al potere nello Stato nazista né per altri paesi.

Come piazza di smercio dell’oro, la Svizzera aveva un ruolo centrale per la Reichsbank. In occasione di una polemica del settimanale di Joseph Goebbels Das Reich contro la «Svizzera paese dell’oro», per esempio, l’istituto d’emissione sostenne l’opinione che la Svizzera era «praticamente l’unico paese con la cui mediazione oggi possiamo procurarci divise in cambio di oro, cioè vendere ancora oro. – A nostro avviso, perciò, non è lecito in articoli di giornale … farsi beffe delle riserve auree svizzere, che in massima parte provengono da noi.»

Nel 1944 la Reichsbank fece valere anche l’argomento che con un’eventuale guerra economica contro la Svizzera: «in tutti i casi il traffico di capitali [verrebbe] a mancare; allora non riceveremmo franchi svizzeri anche per esigenze militari o altre esigenze non di politica commerciale; il nostro oro quindi diverrebbe inutile per tutti gli scopi che ci interessano.»

Per i rapporti finanziari tedesco-elvetici svolse un ruolo determinante il vicepresidente della Reichsbank, Emil Puhl. Nato nel 1889, dal 1930 al 1935 direttore dell’istituto (ove era responsabile delle questioni valutarie), nel maggio 1934 Puhl aveva aderito al partito nazionalsocialista tedesco; pur non essendo un nazista militante, si adoperava per gli obiettivi della politica nazista in materia di oro.

Lo si capisce dai suoi stretti contatti con l’SS Obergruppenführer Oswald Pohl, che dal 1942 alla fine della guerra diresse l’SS Wirtschaftsverwaltungshauptamt (WVHA). Puhl, vicepresidente della Reichsbank, provvide per esempio a che le SS ricevessero «senza l’intervento della Reichsstelle [für Edelmetalle]» l’argento di cui Himmler aveva bisogno per cornici-regalo, e in Svizzera difese personalmente gli interessi del WVHA. Nel novembre 1943 egli scrisse all’SS-Obergruppenführer Pohl:
«In questi giorni sono appena tornato da un viaggio di servizio in Svizzera, ove ho dovuto svolgere negoziati molto difficili nelle circostanze odierne.21 È stato un piacere, per me, il fatto che in questi negoziati … si sia potuta sistemare anche la faccenda esposta dal Suo ufficio. … Sono lieto di avere avuto in tal modo un’altra occasione per portare a buon fine una delle Sue faccende”.

Pohl, a sua volta, certificò a Puhl:
«che Ella mi ha aiutato in ogni modo nell’esecuzione del mio incarico, e sempre proprio in faccende in cui Ella sola poteva aiutarmi. So anche che ciò spesso Le è stato difficile. Mi farebbe piacere, perciò, se anch’io qualche volta potessi offrirLe il mio aiuto o consiglio”.

Nello stesso tempo, durante i suoi soggiorni regolari in Svizzera, Puhl eccelleva nel far trasparire il suo scetticismo verso il regime nazista e nello spacciarsi per «antinazista». Personaggi di spicco della finanza e dell’economia lo apprezzavano come specialista competente e come interlocutore gradevole. Il consigliere federale Ernst Wetter, ad esempio, dopo una visita del vicepresidente della Reichsbank annotò nel suo diario:

«Credo ci sia da rallegrarsi del fatto che la direzione della Reichsbank è in mani così tranquille e assennate. Anche per il dopoguerra.»

Puhl, che nel 1949 a Norimberga fu condannato a cinque anni, dopo la guerra sostenne che non fosse compito della Reichsbank controllare la provenienza dell’oro ritirato, o addirittura sconfessare il proprio governo definendo «non fornibili» i fondi consegnati da quest’ultimo:
«Ovviamente la Reichsbank non ha potuto fare differenze, ad esempio, fra … l’oro in seguito descritto dalla controparte come depredato e le altre sue riserve auree. … La Reichsbank partiva dal principio generale internazionale che l’oro è fungibile, quindi ha sempre considerato le sue riserve auree come una questione globale. Del resto doveva farlo, perché altrimenti l’oro non avrebbe più avuto senso come copertura delle banconote.»

La persona di Puhl, quindi, mostra in modo quasi esemplare quanto fosse discutibile compiere affari con la Reichsbank come se fossero business as usual. Nel Terzo Reich le transazioni in oro non si svolgevano solo tramite la Reichsbank; vi partecipavano parecchi organi e operatori delle più diverse provenienze. L’istituto d’emissione compiva affari commerciali in oro tramite una società affiliata, la Deutsche Golddiskontbank (Dego); acquisire oro a scopo di armamento, invece, rientrava nei compiti dell’ufficio per il Piano quadriennale.

Su quest’organo si legge, in un appunto retrospettivo del 1946:
«Tale ufficio, incontrollabile per la pienezza dei suoi poteri, disponeva di fondi notevoli per scopi speciali di politica statale e compiva notoriamente affari cospicui in metalli preziosi – in particolare oro e platino – e valute pregiate, per così dire all’insaputa del resto dell’aministrazione. … Presumibilmente il suo campo principale d’attività era negli Stati neutrali, quindi in Svizzera, Svezia, Portogallo e forse anche in Turchia. … Che la Reichsstelle für Edelmetalle fosse al corrente di questo complesso non è probabile.»

La citata Reichsstelle, ex «ufficio di sorveglianza dei metalli preziosi», dipendeva dal ministero tedesco dell’economia. Nell’ambito del regime legale di controllo dei cambi le sue competenze comprendevano, dapprima, il commercio in oro degli orefici e dei gioiellieri; specialmente controllato era l’export di oro soggetto ad autorizzazione. Entro il 1939 all’ufficio di sorveglianza dei metalli preziosi vennero attribuite ulteriori competenze, perché lo Stato livellò sempre più le differenze fra il Devisengold, oro monetario che rientrava nella gestione delle divise, e l’oro come merce liberamente commerciabile.

Alla fine del 1938 l’ufficio emanò una norma che vincolava ogni operazione in oro alla propria autorizzazione. Nel 1939 il ministero dell’economia lo promosse a Reichsstelle für Edelmetalle; quest’ultima doveva provvedere a «un impiego particolarmente parsimonioso delle materie prime costose che richiedono divise» e sorvegliare, fra l’altro, le fonderie specializzate in metalli preziosi.

Operazioni in oro venivano compiute anche da imprese private; da citare, al riguardo, soprattutto la fonderia Deutsche Gold- und Silberscheideanstalt (Degussa), la Deutsche Bank, la Dresdner Bank e l’istituto di credito Sponholz & Co. Finora delle attività di queste imprese nel commercio di oro si sa poco; a parte singoli accenni in indagini compiute dalle autorità d’occupazione a guerra appena finita, oggi non si hanno dati più precisi.

A metà del 1942 la Reichsstelle si assunse anche la gestione dei diamanti industriali e dei mezzi di pagamento necessari per l’importazione. Anche se i diamanti industriali esulano tematicamente dal nostro rapporto intermedio, gli acquisti di questo importante prodotto gettano luce sui trasferimenti di competenze tanto tipici del Terzo Reich: a comprare diamanti sul mercato nero, segnatamente in Francia e in Svizzera, erano sia l’ufficio del responsabile del Piano quadriennale (Hermann Göring) sia la Roges (Rohstoff-Handelsgesellschaft) sia il ministero dell’armamento e della produzione bellica (Albert Speer).

Di queste operazioni non avevano precisa conoscenza né la Reichsstelle für Edelmetalle né la Reichsbank. Questi esempi mostrano che un’analisi delle transazioni in oro nello Stato nazista non può limitarsi alla sola Reichsbank. La struttura policratica del Terzo Reich si rispecchia proprio anche nel traffico di oro; per tenere conto della complessità di questa situazione, bisogna distinguere terminologicamente le varie forme d’impiego del metallo.

Gli studiosi distinguono spesso fra oro «monetario» e «non monetario». Il primo era a disposizione delle banche centrali, fungeva da riserva valutaria nazionale ed era parte integrante dei regimi monetari basati sulla parità aurea o legati a divise convertibili in oro. La denominazione «non monetario» si riferisce a una categoria residua poco differenziata, in cui viene fatto rientrare tutto il resto dell’oro tenuto e commerciato da privati e da imprese private.

Su questa distinzione si basarono, dopo la guerra, anche gli sforzi di restituzione compiuti dalla Tripartite Commission for the Restitution of Monetary Gold (TGC). Questa focalizzazione sulle banche centrali chiarisce come l’intera problematica dei risarcimenti, sollevata dall’economia nazista di rapina e di saccheggio, fosse definita da Stati che volevano anzitutto il pagamento di spese belliche e la restituzione di proprietà nazionali un’esclusione dalla gestione controllata era fuori discussione. Anche dalla fusione di oro usato si otteneva oro monetario, soggetto quindi ad autorizzazione.

Le vittime, le persone derubate, dovettero passare in secondo piano rispetto alle pretese di riparazione ufficiali e alle nuove alleanze che si formavano all’insegna della Guerra Fredda. Anche oggi la distinzione fra «monetario» e «non monetario» tende a riprodurre una tale ottica legata agli Stati e alle banche centrali; questa distinzione è inadeguata specialmente per le metamorfosi cui è soggetto l’oro nelle sue forme diverse d’impiego.

La Commissione usa l’espressione «oro depredato», in termini generali ed estensivi, per l’oro venuto in possesso del regime nazista tramite le confische p niali, basate sulle leggi razziali naziste, e fin dall’inizio dell’espansione bellica in vaste parti dell’Europa. Il rapporto propone di classificare l’oro in cinque categorie, basate soprattutto sulla provenienza, per poi studiare come venne impiegato e che mutamenti di forma e funzione subì in seguito.

1. Oro giunto in possesso della Reichsbank grazie a mezzi di coercizione statali. Nel Terzo Reich tutta una serie di organizzazioni e uffici amministrativi si dedicò a individuare, acquisire ed estorcere oro. Le misure variavano da leggi fiscali a norme sulle divise o interventi coercitivi dell’economia di guerra; i proprietari precedenti potevano essere, perciò, tedeschi di origine ebrea e non ebrea nonché altre persone, associazioni o istituzioni espropriate in Germania.

2. Oro confiscato e saccheggiato. Ricadono in questa categoria da un lato gli effetti confiscati nel quadro della legislazione razziale nazista, soprattutto dal 1938, alla popolazione ebrea in Germania e in Austria (oro, gioielli e altri metalli preziosi), dall’altro quanto depredato – con arbitrî statali o saccheggi individuali – ad abitanti e cittadini delle regioni annesse e occupate. L’oro saccheggiato veniva trasferito nelle riserve della Reichsbank, venduto sul mercato nero o tesaurizzato.

3. Oro delle vittime. Questo termine generico indica l’oro che il regime sottraeva a vittime, trucidate o ancora vive, nei ghetti, con le fucilazioni di massa o nei campi di concentramento e di sterminio.


4. Oro proveniente dalle riserve valutarie di banche centrali. Già prima della guerra, grazie alla sua espansione territoriale, il Terzo Reich si era potuto impadronire delle riserve auree di altri Stati. Durante la guerra-lampo della primavera/estate 1940, forti quantità di oro finirono in mano allo Stato nazista; anche negli anni successivi, con l’occupazione di territori da parte della Wehrmacht, la Reichsbank continuò a ricevere oro dalle riserve valutarie di banche centrali europee.

5. Oro di partite giunte in possesso della Reichsbank prima del 1933 o acquistate in transazioni ordinarie prima dello scoppio della guerra.

Sinora il furto di oro e di altri oggetti privati di valore è stato trattato soprattutto tenendo presente la persecuzione degli ebrei e di altre minoranze discriminate nel quadro della politica razziale. Il termine qui usato di «oro delle vittime» intende sostituire l’indicazione troppo ristretta di «oro dei morti»; il problema è vedere anzitutto per quali vie quel metallo era raccolto e poi venduto.

Manca, a tutt’oggi, una disamina globale sulla prassi predatoria del Terzo Reich, che tenga conto dell’occupazione tedesca e dei suoi effetti su tutte le fasce di popolazione; neppure il saccheggio delle vittime ebree è stato assolutamente studiato a sufficienza. Sono molti, viceversa, gli studi singoli per singoli paesi. Anche il rapporto Eizenstat, uscito nel 1997, affronta questo tema, documentando in primo luogo gli sforzi degli USA per sequestrare e restituire i beni depredati.

Quanto al periodo bellico, il testo si basa sul materiale probatorio dei processi di Norimberga, oltre che su fonti del governo militare americano per la Germania. Va sottolineata soprattutto l’estesa descrizione dell’oro depredato che, reperito a Merkers (Turingia) da truppe statunitensi, entro il novembre 1946 fu sottoposto ad accuratissimo inventario.

Il rapporto Eizenstat, però, non può tenere conto dei microfilm di atti della Reichsbank (reparto metalli preziosi) riscoperti negli U.S. National Archives solo nel 1997, e per questo motivo non quantifica la massa complessiva dell’oro delle vittime; giunge però alla conclusione che una parte dell’oro sottratto dalle SS alle loro vittime venne fusa in lingotti, insieme con oro olandese, e poi spedita in tale forma anche al deposito della Reichsbank presso la BNS di Berna.

L’analisi dell’oro delle vittime può cominciare dalle singole forniture delle SS e ricostruirne i passaggi ulteriori, oppure partire dai conteggi finali, risultanti dai «diari dell’acquisto di oro» tenuti dalla Reichsbank. Entrambi i metodi sono legittimi, e del resto portano a risultati confrontabili; la Commissione, che ha scelto la seconda procedura, in proposito ha calcolato un valore minimo di 2,9 milioni di dollari.

Da dove proveniva l’oro delle vittime? In quali forme e per quali tramiti giungeva alla Reichsbank? In che misura esistevano possibilità d’impiego diverse dai canali ufficiali, e in che misura furono sfruttate? A domande come queste si può rispondere solo se si considerano certe caratteristiche strutturali del sistema di potere nazista.

Il Terzo Reich derubava, in Germania e nelle zone occupate, sia ebrei sia molte altre persone di varia fede e nazionalità; in questo campo le competenze non erano regolate in forma unitaria. Di norma c’era una differenza sostanziale fra amministrazione militare e amministrazione civile, ma erano sempre presenti anche organi delle SS ; ciò portava, in entrambi i sistemi di occupazione, a tensioni e conflitti fra le SS e le autorità occupanti.

Particolare sintomatico, però, simili dissidi solo molto di rado concernevano la politica fondamentale dell’occupazione tedesca; a innescarli, invece, erano contrasti d’interesse fra i vari organi. Molto controversa, fra l’altro, era l’appropriazione del patrimonio depredato; qui cercheremo, con qualche esempio, di dare una panoramica succinta dei modi in cui si derubavano le vittime.

Nei «centri di uccisione per eutanasia» (i centri di sterminio T4 e altri istituti T4), dal 1940 vennero raccolti e debitamente spediti i denti d’oro prelevati alle vittime. Un’ex dipendente dichiarò in tribunale, più tardi, che uno dei disinfettori le aveva portato quei denti:
«Lui aveva un registro e io avevo un registro, ce li siamo quietanzati a vicenda e poi li abbiamo lasciati lì [i denti]. Avevamo un piccolo cartone; sono rimasti lì, finché ne sono arrivati altri e li abbiamo spediti per corriere a Berlino.»

Anche altri oggetti di valore venivano presi alle vittime dei T-4 con gli stessi metodi usati nei campi di sterminio orientali, come osservò un verdetto posteriore:
«Infine spettava alla Hauptwirtschaftsabteilung prendere i soldi e gli oggetti di valore che i corrieri dei ‹T-4›, e in almeno un caso l’imputato stesso, avevano portato a Berlino dai campi di sterminio orientali. Il valore del ’bottino’, che consisteva prevalentemente di oro dentario ma anche di monete e gioielli, è stato valutato dall’imputato per l’anno 1942 a circa 180.000 marchi.Quanto agli oggetti d’oro, li fece portare all’istituto di tecnica criminale, ove vennero fusi come l’oro dentario del reparto lasciti. L’oro fuso venne venduto alla Degussa ….».

Non è chiaro se l’oro dentario strappato alle vittime dell’«azione T4» sia giunto effettivamente in possesso della Reichsbank. Subito dopo l’invasione del 1941, nell’Unione Sovietica alcuni commando operativi tedeschi compirono fucilazioni di massa; vennero poi allestiti ghetti ove furono condotti gli ebrei destinati allo sterminio. Questi ghetti vennero poi «sgomberati»; le persone qui riunite furono trucidate sul posto o deportate altrove.

Dai primi mesi dell’occupazione tedesca fino al 1942, alle comunità ebree e ad altre fasce vennero strappate contribuzioni in quantità enorme, che spesso andavano versate in metalli preziosi. La confisca delle proprietà ebraiche spettava nelle zone con amministrazione militare ai servizi economici militari, in Estonia e in Ucraina («commissariati del Reich») a servizi civili, segnatamente ai commissari di zona. La polizia di sicurezza, però, pretendeva per sé gli oggetti più preziosi; il successo di tale pretesa dipendeva dalle condizioni del potere in loco.

Oro delle vittime giungeva a Berlino sotto forma di monete e monili (anelli, orologi ecc.), ma anche di oro dentario. L’amministrazione civile teneva conti con un’indicazione corrispondente e regolava il tutto, a quanto pare, direttamente con la Reichsbank; i gioielli andavano al banco dei pegni (Städtische Pfandleihanstalt) di Berlino, che li commerciava o, se non si potevano vendere, li faceva fondere sotto la sorveglianza della Reichsstelle für Edelmetalle.

I servizi militari (comandi di campo) trasferivano l’oro alla Reichshauptkasse, che annotava via via le consegne in un «registro del bottino russo». Queste procedure valevano, fra l’altro, anche per l’oro sottratto alla popolazione non ebrea.

Bisogna partire, però, dal presupposto che solo una piccola parte del bottino proveniente dall’Unione Sovietica raggiungesse l’organo previsto. La polizia di sicurezza, per esempio, in sé era obbligata a consegnare all’amministrazione civile i metalli preziosi confiscati; non è chiaro, però, che cosa accadesse ai valori che si teneva per sé. Il bottino, inoltre, serviva su vasta scala all’«autofinanziamento» delle amministrazioni civili, che erano tenute a coprire il loro fabbisogno finanziario senza sussidi del Reich.

In proposito va citato un nuovo regolamento applicato dall’estate 1942 nell’Estonia e nell’Ucraina, commissariati ad amministrazione civile. Il 7 settembre di quell’anno il ministero per le zone orientali occupate ordinò di inviare i metalli preziosi provenienti da future perquisizioni e «azioni-ebrei» alla Reichsstelle für Edelmetalle, che doveva commerciarli e versare il ricavato, tramite la Reichshauptkasse, alle tesorerie dei commissariati.

Da allora le fusioni di oro delle vittime vennero quindi controllate dalla Reichsstelle, che teneva propri conti «J» presso le fonderie specializzate. Arricchimento personale e corruzione sono praticamente impossibili da misurare in valori assoluti o percentuali; la loro reale esistenza, però, è attestata dal fatto che allora simili casi furono portati dalle SS di fronte a un proprio tribunale. Certo è che esisteva un’altissima quota sommersa. Non solo per i maggiori dignitari del Reich ma anche per molti esecutori «in loco», il metallo prezioso era merce particolarmente ambita.

Le SS, a quel che sembra, si rifacevano quando consegnavano oro: per esempio Erich von dem Bach-Zelewski Höherer SS- und Polizeiführer Russland-Mitte, a fine dicembre 1941 recapitò alla Reichshauptkasse oro e divise per un valore di 32.000 rubli, ma altri 12 quintali d’argento direttamente all’SS  Hauptamt Haushalt und Bauten.

La Polonia, occupata dai tedeschi e dai sovietici fin dall’inizio della seconda guerra mondiale, già nel 1939 venne suddivisa in più parti. Nella zona nord del territorio annesso alla Germania si formò il Reichsgau Danzica-Prussia occidentale, nella zona ovest il Reichsgau Posnania, poi denominato Reichsgau della Warta (abbreviato in «Warthegau»). La fascia industriale dell’alta Slesia fin quasi a Cracovia, cui apparteneva anche la città di Oswiecim (Auschwitz), fu incorporata nel Reichsgau Slesia (dal 1941 suddiviso in «Alta Slesia» e «Bassa Slesia»).

Le altre regioni formarono il «governatorato generale» (Generalgouvernement), coi distretti di Cracovia, Radom, Varsavia e Lublino. Nell’agosto 1941, inoltre, si formò il distretto della Galizia con la regione intorno a L’vov (Leopoli), occupata nel 1939 dall’Unione Sovietica.

In questi territori venne creato un vasto sistema di lager (campi di lavoro, di transito, di concentramento, dal dicembre 1941 di sterminio). Occorre però distinguere fra luoghi di massacro come Chelmno (nel Warthegau), i campi dell’«azione Reinhard» – come si chiamò dalla primavera del 1942, nel governatorato generale, la deportazione di ebrei (per lo più polacchi) e la loro uccisione col gas– e il più grande dei campi di sterminio, Auschwitz-Birkenau, situato nelle cosiddette aree incorporate e quindi soggetto direttamente al Reich.

Nelle zone annesse, metalli preziosi appartenenti a ebrei e non ebrei vennero confiscati anche dalla Haupttreuhandstelle Ost e dalla Treuhandstelle für das Generalgouvernement; sottoposti all’incaricato del Piano quadriennale, Hermann Göring, questi organi solo nel 1944 ricevettero l’ordine di inviare alla Reichsbank gli stock da loro requisiti. Un caso speciale era il ghetto di Lodz, nel Warthegau; qui la competenza spettava alla locale amministrazione cittadina.

La citata «azione Reinhard» si estendeva al governatorato generale; lì avvennero deportazioni, uccisioni e razzie con metodi analoghi a quelli in uso nelle regioni sovietiche occupate. Su tali razzie si ebbero conflitti fra il Reichsführer SS, Heinrich Himmler, e il governatore generale Hans Frank; quest’ultimo riuscì a imporsi nell’autunno 1942.

Fino alla metà del 1942, nel territorio del Reich le SS praticarono il metodo di raccogliere l’oro dentario di prigionieri dei campi di concentramento, morti o uccisi, e di inviarlo direttamente all’SS-Sanitätsamt, ove veniva usato per cure dentarie a membri delle SS. A far modificare la procedura fu uno scambio epistolare fra il medico Ernst Robert Grawitz (SS-Gruppenführer nonché Reichsarzt SS und Polizei) e servizi delle SS nel governatorato generale.

A fine aprile 1942 Grawitz si rivolse all’SS- und Polizeiführer di Varsavia, chiedendo che gli fosse messo a disposizione per scopi odontoiatrici «oro usato di origine ebrea» confiscato a Varsavia. Dalla città polacca l’SS-Oberführer Wigand rispose di non poter decidere sull’impiego dell’«oro usato di origine ebrea» in suo possesso: Grawitz avrebbe dovuto esibire un ordine di Himmler.

Poiché Grawitz in effetti si rivolse allo stato maggiore personale di Himmler, quest’ultimo nell’agosto 1942 ordinò a ogni Höherer SS- und Polizeiführer nelle «regioni orientali» di consegnare «qualsiasi quantità di oro, oro usato, argento, altro metallo prezioso e altri oggetti di valore, senza alcuna eccezione, all’SS-Obergruppenführer Pohl», capo dell’SS-WVHA; il WVHA avrebbe poi deciso la ripartizione.

All’incirca nello stesso periodo ebbero luogo trattative fra il WVHA, rappresentanti del ministero tedesco delle finanze e Walther Funk, ministro dell’economia e presidente della Reichsbank, sull’impiego del bottino raccolto dalle SS; da tali trattative risultò che il WVHA avrebbe dovuto portarlo all’istituto d’emissione. A cominciare dall’agosto 1942, l’SS-Hauptsturmführer Bruno Melmer consegnò casse chiuse alla Reichsbank; lì si procedeva poi alla cernita delle divise, dei metalli preziosi, delle monete e dei gioielli.

Nella banca il reparto metalli preziosi, diretto da Albert Thoms, riceveva le forniture e le distribuiva a vari organi come il banco dei pegni, le fonderie specializzate ecc. Dopo che i dentisti delle SS ebbero coperto il loro «fabbisogno», dal novembre 1942 i subordinati di Himmler consegnarono anche oro dentario strappato agli uccisi; questo materiale venne soprattutto fuso e trasformato in lingotti del tipo «diversi», di livello qualitativo inferiore. Va però notato che nel bacino dell’«azione Reinhard» (nel governatorato generale) vennero compiute fusioni già prima della consegna a Berlino, mentre per Auschwitz-Birkenau una simile procedura non è nota.

I metalli preziosi indicati nei registri della Reichsbank con l’indicazione di provenienza «Melmer», però, non venivano solo dall’«azione Reinhard»: notevoli quantità di oro, invece, giungevano anche dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Queste consegne, peraltro, erano così cospicue che Auschwitz venne esclusa da una nuova regolamentazione sull’impiego dell’oro delle vittime, introdotta, stando a una dichiarazione del capo dell’Amtsgruppe D del WVHA, Willi Burger, circa alla fine del 1943.

In base a questa nuova regolamentazione, il WVHA dispose che in futuro gli oggetti di valore e l’oro dentario non andassero più spediti direttamente all’ufficio dell’SS-Hauptsturmführer Melmer, bensì all’amministrazione dei campi di concentramento (Amt D), che li avrebbe inoltrati a Melmer; Auschwitz, invece, continuò a consegnare direttamente a Melmer.

Riassumendo, possiamo osservare queste possibilità di sfruttamento dell’oro delle vittime: dai centri di sterminio T-4, come oro già fuso, alla Degussa; dall’Unione Sovietica direttamente alla Reichsbank e al banco dei pegni; da servizi militari, come bottino di tutte le zone occupate dai tedeschi, alla Reichsbank tramite la Reichshauptkasse; come metallo prezioso già raffinato, da Lublino al WVHA e da lì alla Reichsbank; come metallo prezioso non lavorato, da Auschwitz-Birkenau al WVHA.

Va tenuto presente, però, che su organi come la polizia di sicurezza si sa ancora troppo poco. Inoltre la citata disposizione del ministero per le zone orientali occupate, risalente al settembre 1942, è un forte indizio che l’oro depredato poteva
giungere ai centri di potere nazisti senza passare per la Reichsbank. Finora questi canali seguiti dall’oro delle vittime e il suo sfruttamento sono stati studiati solo a livello embrionale; in mancanza di fonti, in parte non sarà possibile chiarirli.

In termini di quantità e di valore, l’oro depredato alle vittime costituisce solo una frazione degli stock che risultano trattati dalla Reichsbank. Tale fatto, peraltro, non deve ingannare: dietro queste cifre si nascondono milioni di sofferenze umane.

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