CIAO FULVIO …

E’ MORTO FULVIO CANTONE

DSCN0845E’ morto mercoledì sera, 12 agosto, all’ospedale di Rovereto, Fulvio Cantone, 58 anni (ne avrebbe compiuto 59 il prossimo 10 ottobre), per anni centralinista dell’ospedale di Arco, molto conosciuto e stimato in tutto l’Alto Garda e Ledro. Era stato ricoverato nei giorni scorsi per l’aggravarsi delle sue condizioni in seguito ad un male che purtroppo non perdona.

Nato a Riva del Garda, dal 1990 al 2004 aveva prestato servizio all’ex Armanni (Palme) di Arco, quindi dal 2004 fino a pochi mesi fa, in portineria, al pronto soccorso dell’ospedale di Arco. In precedenza, aveva lavorato anche per la Costa Crociere come cameriere. Poi nella ditta dove lavorava il padre Tino, come muratore, fino al 31 agosto 1975, quando era rimasto vittima di un gravissimo incidente.  Cinque lunghissimi anni in ospedale, allora. Poi la lenta riabilitazione. Ma ce l’aveva fatta,con tenacia, a riprendersi. E a cercare lavoro. A ripartire.

Fulvio era un grande appassionato di storia, di cultura della “Busa”. In particolare, prima ancora degli eventi del Centenario, aveva raccolto documenti e foto della prima guerra mondiale relativi ai fronti in Trentino. Tante le foto d’epoca e i video proposti nel sito “La Marina, la Ciarina old burn”.

Amava fare fotomontaggi per gli amici di Facebook. E tanti lo stanno ricordando in rete proprio con quelle foto, con quelle caricature che regalava agli amici. Amava poi molto gli animali, i cani in particolare. Duca, il suo amatissimo dobermann, alcune settimane fa non ha resistito alle prolungate, strane, assenze del suo padrone. Ed è morto di crepacuore. Pur essendo invalido ha sempre rifiutato i servizi, le agevolazioni. Lui la “carità” non la voleva da nessuno. Tanto è vero che quel tumore col quale ha invano cercato di combattere forse è stato diagnosticato troppo tardi…

Lascia nel dolore la moglie Bruna e il figlio Evan. Lunedì 17 agosto, alle 15.30, nella chiesa di Rione Degasperi a Riva del Garda il rosario. Alle 16 la messa funebre. Fulvio sarà cremato.

UN GRANDE UOMODSCN5178

Lunedì 17 agosto, alle 15.30, il Rosario

nella chiesa di Rione Degasperi a Riva.

Seguirà la messa funebre.

Fulvio lascia nel dolore la moglie Bruna

e l’amatissimo figlio Evan.

L’ULTIMA, FORTE, STRETTA DI MANO

di Cornelio Galas

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti,  chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso…”.

Ricordi Fulvio? Eri stato tu – che di poesia, di letteratura te ne intendevi più di me – a darmi la bacchettata su Facebook: “Guarda che questa non è di Neruda, ma della poetessa brasiliana Martha Medeiros”. Ed avevi, come sempre, ragione. Anche se poi, comunque, la mia traduzione in dialetto trentino del falso Neruda, ti era piaciuta.

 Ma eravamo già amici da tempo. Ero io quello che ti rompeva le scatole – quando lavoravo al giornale – al centralino dell’ospedale. A tutte le ore. Per sapere … dove era andata l’ambulanza. E quante volte, prima di entrare al pronto soccorso – con quella porta che si apre dalla parte sbagliata e se non stai attento ti spacca la faccia … – solo dando un’occhiata, fugace, al tuo “bacuchèl”, subito a sinistra, capivo, dai tuoi occhi la gravità o meno della situazione.

Poi – senza mai pretendere nulla – mi hai dato una mano a “Televignole”. Ci si capiva al volo. IL giorno dopo il logo era pronto. Tua l’idea grafica anche delle banconote, dei francobolli, dell’ormai famoso passaporto della “Republica per so cont”. Devo tanto al tuo entusiasmo, Fulvio. Ma soprattutto alle tue grandi lezioni di vita.  All’ironia che, grazie anche all’aiuto dei baffetti furbi, celava, volutamente, la tua generosità. Finché una risata, quasi liberatoria, faceva crollare tutte queste protezioni. E in quel “buco” pieno di telefoni che squillavano, saltava fuori il caffè. Con l’inevitabile “resentìn”. Per non parlare delle tue caricature col Fotoshop: da collezione.

Tutto questo fino a quel maledetto giorno. Quando mi hai detto che non riuscivi più a dormire per colpa di uno strano mal d pancia. E non volevi nemmeno … stare a casa in malattia. Avevo scomodato mezzo mondo per farti fare le analisi. Per farti ricoverare. “Ma come, ti avevo detto, tu che da una vita lavori in ospedale non riesci a chiedere un’adeguata terapia?” Con un filo di voce alcuni mesi dopo, mi avevi confidato che un male terribile si era annidato nel tuo corpo. Poi le chemio. Una timida ripresa. Eri anche tornato al centralino per un breve periodo. Non nei turni di notte, però: troppo faticosi ormai. Già, eri salito su una sorta di ottovolante, come dicevi. Costante perdita di peso (“Son pèl e òssi zamài caro mio”), frequenti emorragie, ricadute, ricoveri d’emergenza. “Duca”, il tuo amato dobermann, non ha retto alle tue sempre più prolungate, insolite, assenze (“No te gài gnanca idea de quant che ‘l me manca…”). Lunedì sera non sapevo che quella forte stretta di mano tra noi due sarebbe stata l’ultima. Rispondevi al telefono, avevi ancora la forza di bagnarti da solo la bocca con la garza che mi avevi chiesto. Ce l’avevi col “cucù” dei monitor vicino al letto (“Te prego, girèlo verse ‘l mur…”).  Ma non c’era motivo per dirsi addio. Il tuo sms, poche ore dopo mi ha però fatto venire un groppo alla gola: “Grazie della visita, mi ha fatto immensamente piacere”. Il giorno dopo: “Bene, dormito finalmente”. E avevi risposto “ok” con il pollice in alto al mio ultimo messaggio: “Te spèto for da quel posto neh …”.

Ciao Fulvio, non sei morto lentamente. Sei solo impegnato al telefono con qualcuno che solo tu, ora, conosci. Mi saprai dire in qualche modo se è il caso di aggiungerlo ai nostri amici comuni.

I SUOI DIVERTENTI FOTOMONTAGGI

LE SUE CREAZIONI GRAFICHE PER “TELEVIGNOLE”

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