BRUNO NERI, IL CALCIATORE PARTIGIANO

a cura di Cornelio Galas 

Qui ebbe i natali

BRUNO NERI

comandante partigiano

caduto in combattimento

a Gamogna il 10 luglio 1944

dopo aver primeggiato come atleta

nelle sportive competizioni

rivelò nell’azione clandestina prima

nella guerra guerreggiata poi

magnifiche virtù di combattente e di guida

esempio e monito alle generazioni future

(Iscrizione sulla lapide posta presso la casa faentina di Bruno Neri)

Bruno Neri: chi era costui? Stiamo parlando di un calciatore professionista: un grande mediano, arrivato alla nazionale con campioni come Piola e Meazza. Fu però anche il comandante partigiano «Berni», morto all’eta di 34 anni in uno scontro a fuoco con i nazifascisti nei pressi di Gamogna a due passi da Marradi, città del poeta Dino Campana.

Nato a Faenza nel 1910, già all’età di 14 anni Bruni siede in panchina nella squadra della sua città. Frequenta a Imola l’Istituto Agrario, cercando di conciliare lo studio con gli allenamenti. All’età di 16 anni è già titolare nel Faenza, che nel 1926/27 disputa il campionato di Seconda Divisione.

Gioca come detto nel ruolo di mediano e il suo allenatore è l’ungherese Belassa, della scuola danubiana, allora dominante in Europa. L’anno successivo il Faenza disputa un campionato strepitoso e arriva nella parte alta della classifica. Ancora una stagione nel Faenza, per Bruni, poi nell’estate del 1929 a soli 19 anni passa alla Fiorentina per … 10 mila lire. Alla presidenza del club viola c’è il marchese Ridolfi, fascista e squadrista della prima ora, considerato da Mussolini un buon gerarc: vuole allestire una squadra competitiva per passare nel campionato di serie A. Quell’anno la Fiorentina raggiunge un onorevole quarto posto.

Neri non è solo un buon un calciatore: lettore accanito, frequenta musei e pinacoteche, è di casa al Bar delle Giubbe Rosse di Firenze, coltiva amicizie con giornalisti e scrittori. È un ragazzo silenzioso Neri, attento a quello che dice, soprattutto è uno, che in campo lavora sodo, non sbaglia un passaggio e dirige con maestria la linea del centrocampo viola, tanto che l’anno successivo, la Fiorentina vince il campionato di serie B con tre giornate di anticipo e il merito principale di quell’annata calcistica strepitosa, a giudizio unanime della stampa sportiva, è proprio di Bruno Neri.

A 22 anni arriva la convocazione nella Nazionale B, allenata da Vittorio Pozzo, l’esordio è Italia-Austria che si disputa il 5 maggio 1932. Neri continua a giocare nella Nazionale B fino al 1936, quando, inevitabile viste le sue prove, c’è la convocazione nella squadra maggiore, quella che aveva vinto il Campionato del Mondo del 1934. È il 25 ottobre del 1936 e a Milano si gioca Italia–Svizzera finita con un netto 4 a 2 per l’Italia. Ecco quanto riferisce del mediano di Faenza la Gazzetta dello Sport: “Neri imposta magnificamente l’azione che sviluppa Meazza, Ferrari, Piola”.

Pozzo convoca Bruno Neri anche per la partita Germania-Italia disputatasi a Berlino a novembre del 1936 e in occasione di Italia-Cecoslovacchia giocata a Genova il 12 dicembre di quell’anno. Ormai Neri è compagno di squadra di Amoretti, Monzeglio, Allemandi, Montesanto, Andreolo, Pasinato, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.

L’anno successivo passa al Torino, dove si gettano le basi per la costruzione di una grande squadra. Neri viene chiamato da Erbstein, allenatore ebreo ungherese, che con le leggi razziali sarà costretto a lasciare l’Italia, stessa sorte toccata ad Arpad Weisz tecnico del Bologna. I due si erano conosciuti alla Lucchese, squadra dove era approdato Bruno Neri dopo la parentesi fiorentina e il tecnico del Torino aveva bisogno di un mediano sicuro per la squadra. Nel capoluogo piemontese Neri alloggia all’albergo Dogana Vecchia di via Corte d’Appello, frequentato dai calciatori della Juventus, ma anche da giovani scrittori e intellettuali, incontra gli artisti che vivevano nelle soffitte di lungo Po. 

Bruno Neri, quando era ancora a Firenze aveva completato gli studi superiori e si era iscritto all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli, perciò continuava a studiare e a dare esami all’università partenopea. Così lo ricorda lo storico Gerbi: “Neri frequentava giovani giornalisti e scrittori, alcuni di loro lo avevano scelto come modello di personaggio, come esempio di atleta con una sensibilità aperta e cordiale, dotato di fermezza di carattere e schiettezza nei rapporti, coraggio e fiducia nel prossimo”.

A Torino gioca fino al 1940, quando a seguito di una serie di incidenti deve ritirarsi all’età di 30 anni. Disputa la sua ultima partita a Milano in occasione di Ambrosiana-Torino, finita 5 a 1 per la squadra nerazzurra.

Tornato a Faenza con un consistente “gruzzolo” di 600 mila lire, intensifica i rapporti con il cugino Virgilio, notaio con studio a Milano.  Compra una grande officina e mette a lavorare alcuni suoi amici. Gli eventi politici precipitano e attraverso il cugino, Bruno Neri entra nella Resistenza: su autorizzazione del Cln, fonda l’Ori (Organizzazione resistenza italiana), che ha il compito di fare da ponte tra le varie brigate partigiane.

Entra a far parte del battaglione Ravenna e nell’ambito dell’operazione «Zella», provvede di persona al trasporto in bicicletta di una radio che farà da centro di informazione per i gruppi partigiani della sua zona. Il 10 luglio del ’44, Bruno Neri e il suo amico Vittorio Bellenghi, giocatore di pallacanestro, su autorizzazione di Vincenzo Lega, comandante del battaglione Ravenna, vanno in avanscoperta per verificare che non vi siano tedeschi sulla strada che stanno costruendo tra Marradi e San Benedetto in Alpe.

Nei pressi della chiesa di Gamogna, dove sorge il cimitero, vi è una improvvisa svolta, lì si imbattono in un gruppo di una quindicina di tedeschi. Bellenghi e il comandante partigiano Berni, mediano della nazionale e compagno di squadra di Piola e Meazza, muoiono sul campo.

Torniamo un attimo indietro, al 1931. la Fiorentina gioca allo Stadio Giovanni Berta la gara inaugurale del nuovo impianto, la cui costruzione è stata fatta ad hoc per il Duce, tanto che a vederlo dall’altro il Berta non è altro che un gigantesca D che pullula di fascistissimi tifosi. Sono anni ruggenti per il Fascismo in Italia, a nove anni dalla Marcia su Roma ormai il potere è stabilmente nelle mani di Benito Mussolini e ogni attività contraria al regime è vista di cattivo occhio e, dunque, rimessa in riga a suon di maniere forti. In quel pomeriggio del 1931 a Firenze ci sono tutte le autorità fasciste anche se manca il Duce in persona, del quale si era vociferata la presenza.

Nella viola gioca un giovanissimo centrocampista nato a Faenza e cresciuto nel Faenza – anche se a dire il vero aveva la passione per le auto e aveva studiato agraria. Dopo il passaggio al Livorno era approdato alla Fiorentina della quale era il perno davanti alla difesa. Bruno Neri si chiama, e quel giorno del ’31 ha deciso che per lui anche un semplice saluto è un atto di propaganda da combattere.

Le squadre si schierano in campo e quando c’è da tendere il braccio Bruno Neri rimane con le mani ai fianchi.

Al momento dell’entrata in guerra Neri ha già ripreso contatti con il calcio perché nel tempo libero allena il Faenza, ma segretamente collabora con le forze antifascista, con le mani mai protese verso il cielo, semmai serrati in un pugno e, forse, nascoste nelle tasche. Il cugino Virgilio gli fa conoscere Giovanni Gronchi e don Luigi Sturzo e, proprio grazie a queste nuove amicizie, dopo l’armistizio di Cassibile del 1943 Neri sa che scelta fare: niente Salò, si va sui monti a fare resistenza ai nazisti e ai fascisti.

Dino Fiorini per dirne uno è un centrocampista del Bologna e si aggrega ai repubblichini, non lo ritroveranno mai anche se è certo che sia stato fucilato.

Bruno Neri, che qualche anno dopo dovrà fare la scelta della montagna ed abbracciare la lotta partigiana, non poteva alzare il braccio in ossequio al regime fascista e in uno stadio che veniva dedicato allo squadrista Giovanni Berta. L’evento (e il rituale) proprio non stava nelle corde del mediano già terzino della Fiorentina. Era il 10 settembre del 1931, a Firenze si inaugurava l’avveniristico stadio progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi. In campo per una amichevole la squadra viola e il Montevarchi.

Come si può vedere in una foto Neri è l’unico tra i giocatori allineati sul campo prima del fischio d’inizio a non fare il saluto romano dei fascisti. Berti era passato due anni prima, per diecimila lire, dal Faenza (sua città natale) alla società gigliata del conte Ridolfi (lui fece costruire lo stadio di Campo di Marte, che oggi porta il nome di Artemio Franchi).

A Firenze rimase fino alla stagione 1935-36, collezionando circa duecento presenze e realizzando un solo gol. In maglia viola le sue pregevoli doti da mediano furono apprezzate anche da Vittorio Pozzo che lo volle prima nella nazionale B e poi lo fece esordire in quella maggiore il 25 ottobre del 1935, in uno scontro con la Svizzera, valido per la Coppa Internazionale e vinto dagli azzurri per 4-2 . In un breve passaggio della cronaca della partita che uscì sulla Gazzetta dello Sport si legge: “Neri imposta magnificamente l’azione che sviluppa Meazza, Ferrari, Piola…”.

Nonostante le sue indiscutibili doti da mediano di interdizione, Nerì collezionò solo tre presenze in nazionale. Dopo la Fiorentina vestì per una sola stagione la casacca rossonera della Lucchese (allenata dal quotato ungherese Ernö Erbstein), quindi militò per tre campionati nel Torino fino a far ritorno al suo Faenza, dove aveva esordito a soli sedici anni.

Il 10 luglio del 1944, mentre perlustrava con Vittorio Bellonghi il tragitto che avrebbe dovuto percorrere il suo battaglione, fu ferito mortalmente in uno scontro a fuoco coi nazisti nelle vicinanza dell’eremo di Gamogna. Fu quella l’ultima e maledetta partita che Neri giocò nella sua breve vita.

Nel 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò lo stadio, ma negli anni la memoria del calciatore-partigiano non è andata perduta: la band-rock Totozingaro Contromugno gli ha dedicato il brano “L’ultimo tackle”, il giornalista di Repubblica Massimo Novelli ha scritto un libro uscito qualche anno fa per Graphon, un testo di Lisandro Michelini ha ispirato il lavoro teatrale di Beppe Turletti che poi è stato portato in scena dalla compagnia Faber di Chivasso per la regia di Aldo Pasquero e Giuseppe Morrone.

Nelle note di scena dello spettacolo è scritto: “Un mediano è obbligato a correre a perdifiato, a conquistare palloni, a rilasciarli da una parte all’altra del campo. È il baluardo del centrocampo, cerniera tra difesa ed attacco: un mediano deve coprire il suo terzino, ma deve essere anche pronto a rilanciare l’azione, a far partire l’ala. Deve tenere la testa alta. Essere vigile. Pronto. Forse per questo Bruno Neri (…) fuori dal campo si dedicava all’arte, alla poesia… per cercare l’ispirazione da mettere in campo”.

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