ARMIR, IL DRAMMA DELLA RITIRATA – 28

 a cura di Cornelio Galas

Fonte: Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Scienze Politiche. Titolo Tesi: “La campagna di Russia (C.S.I.R.- A.R.M.I.R. 1941-1943) nella memorialistica italiana del dopoguerra”. Anno accademico 1999-2000.

La religione

Anche la fede religiosa può essere assimilata agli strumenti di supporto psicologico tramite i quali gli individui sono in grado di superare momenti di grande difficoltà. Una tale funzione non può essere attribuita alla religione esclusivamente in determinate circostanze, dato che, proprio per la sua natura, essa si configura e viene percepita dagli uomini come un supporto costante al vissuto quotidiano di coloro che ne hanno abbracciato la fede.

Quello che però emerge dalla lettura delle memorie è un mutamento nel rapporto tra uomo e Dio che si individualizza nel momento dell’estrema difficoltà e dell’incertezza sul proprio futuro. Il ruolo della religione per come viene descritto dagli autori nel periodo precedente alla ritirata è certamente funzionale al conforto ed al supporto psichico di uomini che, per quanto non ancora in uno stato confusionale derivato dal crollo di tutte le strutture organizzative che avevano intorno,erano comunque inseriti in un contesto bellico le cui conseguenze sul piano emotivo non erano da sottovalutare.

In questa fase comunque la religione sembra presente nella vita dei soldati, e percepita da questi, sopratutto tramite le forme istituzionali del suo svolgersi, attraverso le funzioni religiose che venivano svolte dai cappellani militari. Non si assiste, come avverrà in seguito, ad un rapporto individuale tra uomo e Dio meno formale e non mediato dall’istituzione religiosa.

Con il disfacimento dell’organizzazione militare e con la trasformazione della ritirata in totale e confusa disfatta, con l’incertezza sempre più incalzante sul proprio futuro, il rapporto con la fede subisce una naturale trasformazione in un senso più individuale e più sentito sul piano dell’emotività da parte dei singoli. Nei giorni della ritirata, immersi nel dolore e nella paura, molti tra coloro che prima avevano vissuto la religione come un impegno al quale bisognava giornalmente assolvere senza una vera e propria partecipazione, riscoprono un colloquio diretto con Dio, ed un conforto, quasi inatteso, da questo rapporto diretto.

“ Nel mio gruppo si è aggiunto oggi anche il tenente farmacista di Podgornoje. Non ha più l’elegante divisa nella quale si pavoneggiava davanti alle ragazze russe […] Gli hanno rubato anche i pantaloni e di sotto la coperta che gli scende dalle spalle s’intravvedono i mutandoni di lana grigia in dotazione alla truppa italiana. Mi si avvicina e mi sussurra in un orecchio: – Cappellano, arriveremo a casa?

Ho anche pregato la Madonna….–. Non riesco a trattenere un sorriso. Il tenente farmacista si piccava di essere un anticlericale. Di fronte alla morte incombente aveva ritrovato la fede della mamma, della fanciullezza e, in mutande, aveva riscoperto il volto della madre di Dio”.

Sia che la fede religiosa fosse una recente scoperta indotta dalla drammaticità della situazione contingente e dall’incertezza sulla propria sorte, sia che la si fosse invece posseduta già in precedenza, dalle memorie si deduce una unanime considerazione sulla sua funzionalità rispetto alla condizione psicologica che travagliava l’animo dei soldati in ritirata. La scomparsa della fiducia nei confronti dell’istituzione e dell’organizzazione tanto militare quanto politica, ed il conseguente disfattismo che conduceva gli individui verso l’insicurezza più totale, veniva in parte mitigata dal conforto ricevuto dalla forza della fede.

Tramite il rapporto con Dio gli individui erano in grado di rigenerare quelle energie psichiche che venivano quotidianamente consumate nel tentativo di contrapporsi a quello che sembrava un destino oramai segnato; ancora una volta dalla scarsezza delle risorse materiali si rendeva necessario il rinnovo continuo delle risorse derivate dalla forza dello spirito, ed in questo senso la fede in Dio poteva divenire una risorsa molto preziosa.

“Avevo l’animo affranto, mai come quella notte dubitai delle mie forze, del mio destino. Da quella pianura sconfinata non sarei tornato. Mi si fece vicino un soldato: – Signor tenente, vuol dire il rosario con noi? –. Non avevo mai pregato, rimasi titubante, poi per accontentarlo risposi affermativamente. A mano a mano che proseguivo nella preghiera, il mio animo si rasserenava, si apriva alla speranza, la fiducia ritornava in me […]

Quando più tardi ritornai alla mia compagnia, nuovamente riunita, m’accorsi con stupore che tutti, a gruppi, recitavano il rosario. Partecipai anch’io e dopo la preghiera, mi divertivo a notare che i loro volti erano diventati più sereni. Potenza di una preghiera nei momenti cruciali della vita!”.

Sulla riscoperta della fede religiosa nei momenti di crisi anche Artuso Adolfo:

“ Se Iddio non c’era, chi mi dava, allora, la forza di continuare il mio cammino, in quelle disperate condizioni? […] Così come l’ammalato incurabile, dichiarato tale dai medici e professori, s’attacca a qualsiasi Santo con la speranza di un qualche miracolo, io, solo, in quelle tristi condizioni, senza una speranza d’aiuto da nessuna parte che non fosse me stesso, giuro che se anche prima avessi avuto dei dubbi mi sarebbero svaniti per sempre…”.

La fede religiosa poteva dunque contribuire in maniera decisiva al mantenimento di  quell’equilibrio psicologico la cui importanza in determinati frangenti era fondamentale ai fini della salvezza individuale. Tramite un rinnovato e più sentito rapporto con Dio gli uomini erano in grado di ritrovare quella serenità d’animo e quella convinzione di non essere completamente abbandonati a se stessi che il disfacimento di tutte le strutture organizzative dell’apparato militare gli avevano tolto.

Un aspetto importante del rapporto con la fede che caratterizza le memorie prese in esame è però la totale assenza, anche momentanea, della negazione di Dio. Così come, infatti, in quei momenti di completa incertezza e di grave pericolo, era possibile che anche coloro che non avessero mai avuto una fede convinta, la ritrovassero spinti dalla situazione contingente, sembrerebbe plausibile attendersi anche il verificarsi di un processo mentale inverso.

L’immersione prolungata in un ambiente caratterizzato da orrori e sofferenze di ogni genere avrebbe potuto insinuare anche nell’animo dei più credenti il dubbio sull’esistenza di un Dio che sembrava aver abbandonato a se stessi migliaia di soldati.

Ancora sul conforto della fede, Moioli Mario:

“Egli [ il Cappellano ] questo lo sentiva, e sapeva che non tutti quei giovani sarebbero ritornati; ma era il suo compito darci la speranza ed il coraggio col suo sguardo che appariva sereno e la voce ferma che parlava di fede così umanamente. E quando qualcuno gli si avvicinava mormorando: – Padre… Padre… –, egli sussurrava: – Cristo è con te, figliolo: non temere, abbi forza e fiducia in Lui.

Se tu sei qui a vent’anni è per un disegno divino che ha un suo fine, ed Egli è con te –, e gli batteva affettuosamente una mano sulla spalla, sì che il soldato, dal contatto di quella bianca mano scarna, ritraeva calore, forza e speranza. Dopo, guardavamo oltre il minaccioso Don, aspettando, con il viso più disteso e aperto e il cuore più sereno, fiducioso che Cristo era sceso tra noi”.

Nel libro “Ultime lettere da Stalingrado” sono state raccolte le lettere scritte ai loro cari da soldati tedeschi accerchiati a Stalingrado e partite con l’ultimo aereo disponibile prima che anche l’aeroporto cedesse in mano sovietica.

“Porre il problema dell’esistenza di Dio a Stalingrado, significa negarlo […] Ho cercato Dio in ogni fossa, in ogni casa distrutta, in ogni angolo, in ogni mio camerata, quando stavo in trincea, e nel cielo. Dio non si è mostrato, quando il mio cuore gridava a lui. Le case erano distrutte, i camerati erano tanto eroici o così vigliacchi quanto me, sulla terra c’erano fame e omicidio e dal cielo cadevano bombe e fuoco. Soltanto Dio non c’era. No, padre, non c’è nessun Dio […] a Stalingrado, no!”.

Le condizioni nelle quali dovevano trovarsi i soldati tedeschi isolati nella sacca di Stalingrado non dovevano essere sostanzialmente differenti da quelle nelle quali versavano i soldati italiani in ritirata: il freddo e la fame, l’incertezza sulla propria sorte, lo stesso nemico agguerrito e vendicativo con cui confrontarsi in uno scontro ormai impari.

La differenza che potrebbe aver prodotto l’assenza nelle memorie italiane di un distacco dalla fede religiosa potrebbe allora risiedere nel tempo in cui la testimonianza viene resa. Le lettere dei soldati tedeschi della Wehrmacht furono scritte nel momento in cui quegli episodi si verificavano e sono quindi il frutto del dolore, delle sofferenze e dei risentimenti di quegli istanti.

Ancora dallo stesso testo, a proposito del rapporto tra uomo e Dio nei momenti di estrema difficoltà:

“Non credo più che Dio possa essere benigno, altrimenti non permetterebbe una tale ingiustizia. Non ci credo più, altrimenti Dio avrebbe illuminato i cervelli degli uomini che hanno scatenato questa guerra […] Non credo più in Dio, perché ci ha traditi. Io non credo più, e starà a te vedere come puoi venirne a capo, con la tua fede”.

Le memorie italiane, invece, sono state prodotte in un periodo, breve o lungo, ma comunque successivo allo svolgersi degli avvenimenti. Nella rielaborazione del proprio ricordo è probabile che alcuni aspetti derivati dallo scoramento e dalle sofferenze del momento siano stati rimossi dalla memoria e cancellati dal ricordo. Che questo sia stata una scelta consapevole od il frutto di un processo psicologico inconscio è un dato di difficile interpretazione, certamente è singolare la mancanza di quest’aspetto di incredulità nella fede dovuta all’esperienza diretta e non alla riflessione concettuale.

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